Archive for Tavole Architettoniche

Il Massone, chi è?

Il Massone, chi è?

Uno degli ultimi libri che ho letto è stato “I Pilastri della terra” di Ken Follet.

La sua lettura è stata accattivante; Follet tocca una dimensione epica, trasportando il lettore nell’Inghilterra medievale, al tempo della costruzione di una cattedrale di stile gotico.

La storia si sviluppa lungo quarant’anni durante i quali l’intreccio di intrighi, tradimenti, guerre civili, carestie, conflitti religiosi, lotte per la successione al trono, segnano i destini e mettono continuamente in discussione la costruzione delle cattedrali.

Questa lettura, coinvolgendomi in un viaggio all’indietro nel tempo, mi ha fatto meditare su come dovesse essere la vita di un uomo in quel tempo lontano.

Già nel ‘500 grandi modificazioni geopolitiche, sociali e scientifiche erano nell’aria ed avrebbero portato, in breve, ad una grande rivoluzione nella conoscenza e nell’uomo.

Qual era il ruolo dell’uomo in quel periodo?

Il mondo, allora, era retto da monarchie assolute, non vi erano che sudditi completamente sottomessi al sovrano, solo i nobili godevano di qualche guarentigia; gli artisti erano ben accetti solo per rallegrarlo; gli uomini di pensiero erano liberi se non ponevano in discussione il potere la cui finalità era il tramandarsi, condiviso tra corona e chiesa.

Nonostante abbia conosciuto poco il mio “Nonno Massone” ricordo una sua frase abbastanza ricorrente: “I popoli sono stati sempre dominati o da guerrieri o da sacerdoti; i primi dominavano con la paura della morte, i secondi con la paura di ciò che c’è dopo”.

Accanto a questa realtà vi erano poi, piccoli gruppi di persone che si muovevano con una certa tranquillità grazie alla loro utilità ed alla scarsa penetrabilità delle loro conoscenze tecniche. Racchiusi in gruppi definiti “corporazioni di mestieri”, avevano regole comportamentali, deontologiche moderate, ma sostanziali ed universali, regole interne primarie ed assolutamente esclusive che consentivano loro di raggiungere risultati magnifici.

Le origini più antiche della Massoneria sono strettamente legate alle corporazioni di mestieri: dai “Collegia Artificum” dell’Antica Roma, ai “Maestri Com’acini” del Medioevo, alla “Accademia del Rinascimento”.

Secondo alcuni studiosi, proprio la Fratellanza dei Comacini, corporazione di famosi costruttori, diffusori dello stile romanico, avrebbe tramandato ai Massoni l’arte di edificare e, al tempo stesso, il vincolo della fratellanza.

L’Europa continentale è cosparsa di cattedrali gotiche, importanti per la loro maestosità e bellezza, chiaro documento della superiorità, in campo conoscitivo, dei loro “costruttori”.

Costruttori, matematici, filosofi che riuscivano ad affinare “l’arte del costruire” operando in un silenzio quasi mistico, sempre sostenuti dalla volontà di tentare maggiori arditezze e di raggiungere altezze più elevate.

Costruttori, matematici, filosofi… uomini veramente speciali!!!

Quindi la Massoneria Operativa fiorì dall’inizio della storia registrata attraverso il Medioevo ed il compimento della costruzione delle grandi cattedrali in Europa.

Alla fine di questa era, uomini che non erano artigiani, ma che avevano gli stessi ideali e le stesse aspirazioni, che avevano desiderio di arrivare alla conoscenza, furono ammessi ugualmente a far parte della Massoneria e, a mano a mano che i massoni non operativi diventavano la maggioranza, la massoneria diventava speculativa ed i suoi insegnamenti venivano indirizzati verso il lato morale ed etico dell’uomo.

Si dedicarono alla costruzione del tempio interiore dell’uomo, dove egli avrebbe dovuto custodire e coltivare tutti i suoi valori di riferimento.

Dai Massoni operatori anzi presero le regole comportamentali: gli “Old Charges”. Statuto corporativo redatto in Inghilterra tra il 1300 ed il 1400. Queste regole si chiamarono “Landmarks” pietre miliari, paletti usati per fissare il centro e gli angoli di un edificio prima della costruzione (fili fissi nella tecnica costruttiva moderna). Si dettero il nome di “moderni speculativi” e nel 1717, il 24 giugno, si codificarono con una precisa entità: “Massoneria Speculativa Moderna”.

Da allora della Massoneria e dei Massoni si è detto tutto e di più.

La Massoneria è atea; la Massoneria è una religione; la Massoneria è una società segreta; la Massoneria è collusa con la mafia.

La Massoneria è atea?

Ed allora, chi è per noi il Grande Architetto? Perché sui nostri altari c’è sempre il libro della Sacra Legge aperto?

Sarà poi bene ricordare che la nostra esperienza umana è fatta di invisibilità non meno che di visibilità e che l’uomo pensa al prima, al dopo, all’oltre la propria vita, al di là di qualsiasi veto ateistico.

Anche il laicismo più convinto sente o pensa “Qualcosa” e lo può sentire o pensare nella forma dell’assenza (assenza di ciò che gli manca), tanto quanto il credente tradizionale lo sente e o lo pensa nella forma della presenza. E scopriamo quindi che il dialogo tra credente e non credente è qualcosa che, al di là delle dottrine e delle ortodossie, può essere realizzato attraverso un linguaggio in parte comune.

La Massoneria è una religione?

Solo perché raccomandiamo ai nostri fratelli di seguire la Chiesa da loro scelta? Tra noi ci sono ministri di molte chiese protestanti ed eminenti cattolici.

Il ruolo di qualsiasi religione, in qualsiasi tempo ed in qualsiasi luogo è sempre il medesimo ed immutabile, in quanto le religioni nascono da una esigenza naturale dell’uomo, che non è altro che la ricerca principale della sua esistenza.

E’ certamente più corretto dire che la Massoneria è religiosa e, principalmente, perché si occupa dell’uomo, dei suoi rapporti con gli altri uomini, degli impulsi che nascono dal più profondo del suo essere. Un uomo esclusivamente razionale è un’astrazione, il senso religioso della vita continuerà a pervadere, magari inconsciamente, l’animo umano.

Quando smarriti osserviamo l’Universo, la sua immensità, bellezza e perfezione, ci domandiamo il perché di tutto ciò. Il senso del divino, quale meraviglia dell’uomo di fronte all’universo, diventa una esperienza spirituale intima alla quale ognuno di noi potrà attingere.

La Massoneria è una società segreta?

Ciò dà adito a sospetti ed assurdità: i nostri insegnamenti sarebbero contrari agli interessi della maggioranza perché i nostri segni, i  nostri simboli, la nostra spiritualità hanno lo scopo di farci riconoscere solo dai Fratelli sparsi in tutto il mondo e di tenere lontano gli “altri”.

Ma la validità del nostro Ordine sta proprio lì: quando riconosciamo un Fratello attraverso i nostri simboli, abbiamo la certezza che è uno che ha i nostri stessi ideali ed i nostri principi.

Noi lavoriamo per le stesse cose per le quali lavora la gente di buona volontà e la nostra ambizione è aiutare il genere umano ad elevarsi a livelli più alti.

Noi promuoviamo la pace, la carità, la libertà, la fratellanza, la tolleranza, l’uguaglianza che sono le cose più preziose della vita.

Forse la reticenza a farci conoscere è stata la nostra debolezza ed il nostro grande errore. La reticenza a parlare di ”noi”, noi come Ordine, come istituzione, ha permesso il rafforzarsi delle accuse più svariate.

Ci hanno avvicinato perfino alla mafia, a causa di voci, favole, invenzioni, di “…si dice…” e, tacendo, abbiamo dato valore alle varie dicerie e malignità.

Non più tardi di quindici o venti giorni addietro, ho partecipato, a Vinci, ad un dibattito, o più precisamente ad un “processo al libro di Dan Brown, “Il Codice da Vinci”.

Nel libro vengono fatte pesanti accuse e considerazioni sull’organizzazione “Opus Dei”. Quanto false o quanto vere esse siano, non so dire e non voglio entrare nel merito, ma ciò che mi ha colpito è stato il fatto che membri, iscritti o associati di tale aggregazione erano lì a confutare le varie accuse ed a spiegare origini e finalità dell’Opus Dei.

Perciò a che non sa, a chi non capisce, a chi non vuol capire, ai non massoni dobbiamo spiegare il perché della nostra esistenza e dire ciò che ci consideriamo: una organizzazione che opera per il bene dell’umanità e per il perfezionamento dell’Uomo.

Abbiamo tutti la stessa natura, veniamo tutti dallo stesso “luogo” e condividiamo tutti le stesse speranze. Siamo figli di un universo così complesso che ci impone di aver paura di un’unica paura: la “solitudine”.

E quindi il Massone chi è?

- E’ un uomo in ascolto. Ascolto di sé, degli altri, di un qualsiasi pensiero e non è mai solo.

- E’ un uomo alla ricerca continua di ciò che essenzialmente è capace di mettere in dubbio qualsiasi dogma che possa offuscare il suo animo.

- E’ un uomo il cui dubbio non sarà mai colpa, ma un sofferto dovere verso se stesso, dovere che gli imporrà di approfondire e provvedere, certo che la sua attività muratoria non sarà mai conclusa, così come non sarà mai ultimata la costruzione del tempio.

- E’ un uomo che per la sua continua ricerca di perfezionamento etico e conoscitivo non può che avere un comportamento guidato da precise norme e doveri morali.

- E’ un uomo che considera l’amore fraterno uno dei primi doveri, seguito sia dal rispetto che porta alla comprensione delle diversità di atteggiamento e di comportamento, sia dalla tolleranza che aiuta ad accettare tale diversità; il che non significa abbandonare il proprio modo di essere, ma, con umiltà, comprendere quello altrui ed usarlo per arricchirsi interiormente.

In conclusione, il Massone è un uomo che, con una ferrea disciplina, con un senso di giustizia ricco di saggezza, con un impeto di carità, esperto ed illuminato, con una forte volontà, che non si piega di fronte a nessun ostacolo, cerca di realizzare se stesso attraverso una lenta e difficile maturazione.

A chi non sa, a chi non capisce, a chi non vuol capire, ai non massoni, diciamo che non esiste alcun “segreto massonico”, nessun mistero attorno alla figura del Massone.

L’unico aspetto misterioso è la guerra che, sia in passato, che nel presente, viene fatta alla Massoneria, senza contare che le guerre lasciano, dietro di sé, rovine, mentre il colloquio e la reciproca conoscenza, anche se non eliminano le divergenze, tuttavia, consentono un confronto dialettico dal quale tutti possono trarre benefici.

Fr:.

Autodeterminazione

AUTODETERMINAZIONE

Descrizione di un percorso che tenta di dimostrare, al di là delle apparenze, un principio, con l’unico strumento prediletto dal Massone: la Ragione

Mi rivolgo in particolare agli Apprendisti ed ai Compagni.

E’ una sequenza di riflessioni questa tavola, e per questo è necessario che io premetta che credo fermamente nel principio della autodeterminazione, e sono contrario ad ammettere l’esistenza di una casualità preordinata, che si svolge segnando gli eventi in modo inevitabile, secondo un rapporto di causa ed effetto, che esula dalla mia scelta consapevole.

Dal momento in cui sono stato Iniziato ho avuto modo di leggere, di respirare intorno a me, attraverso la presenza dei Simboli, che via via divenivano sempre più chiari e legati al contenuto Massonico, un’atmosfera di automatica simbiosi, quasi fosse insito nella nostra essenza il seguire un preordinato percorso costituito di tappe prestabilite per raggiungere uno Scopo Comune, talvolta non sempre comprensibile.

Sensazione veritiera di per sè, e rispondente in modo coerente con una spinta di coesione operativa dei nostri lavori.

Apparentemente avrebbe potuto essere interpretata (questa sensazione) come la percezione di una sorta di annullamento di quei principi di libertà, di dignità umana, per affermare i quali la Massoneria ha sopportato nei secoli ogni sorta di sopruso.

Una volta, alcuni anni fa, mi capitò di conoscere un vecchissimo Maestro, vecchio d’età (quasi centenario) e vecchio di Massoneria, e parlando, appunto, di questi argomenti, domandai a lui una interpretazione, una risposta che definitivamente facesse chiarezza dentro di me.

Non mi rispose, Venturino Venturini, ma mi regalò un foglio su cui c’era scritta una sua riflessione. Eccola:

“RIFLESSIONE

Quella mattina, il Muratore, posava il mattone sul letto di cemento.

Con un gesto preciso della sua cazzuola lo copriva ancora, e senza chiedergli il parere, posava sopra di lui un nuovo mattone.

Lentamente con sicurezza, la casa si elevava alta e dritta sopra le fondamenta.

Ho pensato, FRATELLO, a quel povero mattone, interrato, nella notte, alla base del grande edificio.

Nessuno lo vede, ma lui fa il suo lavoro e gli altri hanno bisogno di lui.

FRATELLO, non conta che io sia in cima alla casa, in bella vista nella sua facciata, o nel buio delle fondamenta, purché io sia sempre sicuro e fedele al mio posto, solo così rimarrà salda la GRANDE COSTRUZIONE.

L’apparente morale che si potrebbe evincere da queste poche righe portava istintivamente  ad una conclusione che appariva contraddittoria.

Si impone ora una breve riflessione su quello strumento che l’uomo, in particolare se è Massone, adotta come unico per la ricerca della verità dentro e fuori di sè.

L’Iniziato, prendendo coscienza di sè, fino a quel momento puramente istintivo, si emancipa: non vuole più obbedire ciecamente; ora è giunto il momento in cui è necessario comprendere, è necessario sapere agire più in un senso che in un altro.

In altre parole è la Ragione che si è fatta sua guida.

Il debole – fanciullo dei nufci – e delle antiche leggende crescerà, ma non sarà senza lottare.

Un uomo non diventa completamente ragionevole subito.

Egli dovrà istruirsi a proprie spese acquistando a caro prezzo un’esperienza che può acquisire solo da sè stesso.

Si accorgerà che riuscirà a distinguere faticosamente il vero soltanto dopo essere caduto nel falso.

Perché? Perché la Ragione è ancora offuscata. Non abbiamo ancora imparato a servircene.

E’ una Luce che, molto spesso, più che illuminare, abbaglia;perchè è ancora sottomessa all’istinto.

E quando questa falsa ragione ci guida, facilmente ci facciamo delle l’idee stravaganti che influiscono negativamente sul nostro modo di agire e in particolare sul nostro modo di trarre conclusioni corrette.

Affermarsi Uomo nell’accezione Iniziatica della parola implica l’assoluta padronanza dello strumento Ragione, e deve essere la Suprema Ambizione del vero Massone.

Essere Massone quindi implica prima di tutto, comprendere il progetto Massonico, trovare in esso una valida ragione per continuare coerentemente a camminare sullo stesso binario, sicuro di essere parte assolutamente indispensabile di un disegno complesso ed articolato, ma con una tesi assolutamente chiara per tutti: Libertà.

Proprio la stratificazione dentro di me, di queste riflessioni, di questi insegnamenti mi dettero la chiave per aprire la porta che il mio istinto aveva, per così dire, chiuso in faccia alla mia ragione.

Compresi che quello che sembrava una contraddizione era un falso: il principio di autodeterminazione, che appariva soffocato, trovò immediatamente la sua concreta realizzazione nella libera scelta, comune a tutti i Massoni, di essere un Mattone del Tempio, una pietra di quella grande costruzione.

In buona sostanza, usando una figura retorica, potremmo parlare di Massoneria come di una sorta di ecosistema nel quale un numero ragguardevole di uomini, accomunati da alcuni principi fondamentali, pur nella loro diversità sociale, culturale ed etica, muovono ed indirizzano il loro lavoro per il perfezionamento di loro stessi e per la creazione di una società

di individui eguali e liberi, dove la parola “eguaglianza”, intesa come uguaglianza di diritti,  rappresenti una sorta di utopia realizzata.

In questo quadro la molteplicità delle culture e le loro differenze sono fattori essenziali per realizzare i contenuti di questa Istituzione.

In un certo senso potremmo coniare emblematicamente il binomio “omogenea autodeterminazione”, assurgendolo ad una sorta di principio inscindibile da cui non distaccarsi.

Quando l’armonia è sovrana, quando lo stare insieme, pur nei distinguo di opinioni e pareri, è contraddistinto da un senso di reciproco rispetto ed affetto, allora il “viaggio” attraverso l’uomo, che è uguale per tutti, come proposito, risulta più semplice e costruttivo.

La coralità è del resto un aspetto essenziale: una coralità, si badi bene, non da intendersi come imposta e voluta, bensì naturalmente conquistata e messa in atto; nel rispetto, mi ripeto, di quel principio di autodeterminazione che è caratteristica di indipendenza intellettuale, di possibilità di scegliere.

Il lavoro delle api, instancabile, ordinato, funzionale, mai caotico, rappresenta simbolicamente il modello che noi dobbiamo perseguire, ma soltanto come una metodologia operativa frutto di una dignitosa, intelligente, libera scelta comune.

La diversità di culture e di condizioni sociali permette di trovare equilibri stabili e duraturi, poiché l’esperienza di ciascuno, unita a quella degli altri, infonde solidità e concretezza al lavoro di ricerca e di sperimentazione.

Ci si riferisce, ovviamente, a tutto quello che è interesse dell’uomo: dalle grandi interpretazioni del tempo e dello spazio, al mistero della vita e della morte, o più banalmente al vivere in Loggia sotto il segno dell’armonia (che non è obbedienza cieca e dogmaticamente ottenuta), gli

uni vicino agli altri, in silenzio, mentre il Maestro Venerabile e i Sorveglianti leggono le frasi dei rituali con mozartiane musiche di sottofondo.

Anche questa apparente monotonia, contraddittorio appiattimento, di rituali ripetuti, produce amore, produce affinità: quando si ama una persona, il solo starle accanto ci gratifica, anche nel silenzio.

In Loggia, il Fratello tra Fratelli, ciascuno nel posto che gli spetta, avverte che è accomunato da una misteriosa atmosfera, mentre quella catena di unioni diviene realtà, e colui che è posto al nostro fianco è la prosecuzione di noi stessi, della stessa fisicità.

Tutto ciò non è assenza di autodeterminazione, ma comunione di intenti liberamente accettati per la realizzazione di un unico progetto.

Fr:.

Massoneria italiana e cremazione

Massoneria italiana e cremazione

Le prime testimonianze certe di questa pratica risalgono al neolitico tra le popolazioni nomadi,

tra i soldati caduti in battaglia o riservata alle donne morte durante il parto.

I Greci e gli Etruschi la consideravano un atto di purificazione e di liberazione dello spirito riservato alle persone illustri.

Nel mondo romano questo rito era esclusivo delle classi nobili; solo i ricchi potevano permettersi le sontuose cerimonie funebri con le pire di legni irrorati di balsami: fu anche per questa ragione che le prime comunità cristiane, pervase da un senso di umiltà ed uguaglianza, preferirono, allo sfarzo tipico di queste cerimonie, la semplicità dell’inumazione.

La stessa cultura ebraica considerava la cremazione un onore straordinario riservato ai Re e agli eroi come Davide, Salomone, Saul.

Dopo qualche secolo dall’instaurazione del Cristianesimo, la cremazione dei cadaveri fu abolita poiché considerata una istituzione pagana.

In età moderna si ricomincia a discutere di cremazione nella Francia rivoluzionaria, alla fine del 1700.

Nell’Italia ottocentesca, caratterizzata dall’allarmante degrado della sanità pubblica, dalle precarie situazioni igieniche, dall’altissimo tasso di mortalità, e dal proliferare di ogni genere di malattia, illustri esponenti della Massoneria, molti dei quali medici, si adoperarono per dare al paese un insieme organico di disposizioni legislative capaci di razionalizzare il settore ed avviare il “risorgimento” sanitario italiano.

Così anche il paradigma cremazionista fu indissolubilmente legato ad un progetto massonico di

modernizzazione della società per questioni non solo igieniche, ma anche morali, religiose ed economiche.

La spinta più convincente in favore dell’ ”incinerazione” veniva, in primo luogo, dall’analisi fatta dalla scienza medica del tempo, che aveva ormai dimostrato come le principali cause di epidemie e affezioni morbose erano da ricercarsi nell’eccessiva vicinanza dei cimiteri alle zone abitate.

Il Professor Ferdinando Coletti, Rettore della Facoltà di Farmacia di Padova, dimostrò come le conseguenze per l’igiene e la salute dei cittadini fossero drammatiche e come le epidemie, che infierivano nelle contrade, fossero la conseguenza di frettolosi e non accurati seppellimenti, per cui tale “propinquità e tale pratica di tumulazione” doveva essere sostituita dalla pratica della cremazione, che preveniva la naturale decomposizione dei corpi, ed offriva la più assoluta garanzia di igienicità.

Coletti si richiamò all’esperienza francese di fine Settecento, allorché, nell’ambito del tentativo rivoluzionario di elaborare un nuovo rito funerario alternativo a quello cattolico, si ebbero le prime cremazioni, avvenute in Europa dopo l’avvento del Cristianesimo, nonché i primi progetti legislativi per dare veste organica e riconoscimento giuridico alla pratica dell’incenerimento.

Egli affrontò anche gli aspetti etico-religiosi della questione, soffermandosi sulla totale inesistenza di precisi vincoli dogmatici, ai quali i cattolici potessero attingere per avversare la cremazione.

Coletti svolse alcune interessanti considerazioni morali sulla questione: sostenne che la morte, ricondotta alle dimensioni di un fenomeno naturale, “svestita d’ogni immagine di ribrezzo, di ogni idea di putredine e vermificazione”, perdesse molti dei suoi aspetti più crudi; si dilungò sul ruolo delle urna, che con la loro presenza materiale all’interno delle case avrebbero svolto una concreta testimonianza di legame fra generazioni, di permanenza e solidità dei vincoli familiari, ma anche di un sentimento di appartenenza alla propria terra.

Come antichi lari, le urna avrebbero esercitato un’influenza salutare sulla morale degli individui, rappresentando una sorta di santuario della famiglia, base eterna dell’ordine sociale.

II 18 Giugno 1867 il Fr Salvatore Morelli, presentò agli uffici della Camera dei Deputati una proposta di Legge per circoscrivere il culto cattolico nella Chiesa e sostituire ai Campisanti il sistema della Cremazione.

Il deputato denunciò “l’abuso del culto praticato dal clero cattolico per spirito di fanatismo e per alimentare la più barbara superstizione fra le poveri plebi”.

In nome di un maggior rispetto per tutti i culti religiosi e per i nuovi principi igienici, Morelli chiedeva di instaurare in Italia il sistema della cremazione.

Il progetto, dal contenuto dirompente, non fu preso in considerazione dagli uffici della Camera, che lo archiviarono.

Per farlo conoscere Morelli lo stampò a sue spese, con una prefazione con cui Giuseppe Garibaldi lodava chi aveva osato, “con audacia senza pari, sfidare i pregiudizi dei secoli”.

Affiliato alla Loggia “LA CISALPINA” di Milano, Gaetano Pini fu uno degli esponenti più attivi del nuovo movimento cremazionista.

Volontario nella guerra del 1866 e nella spedizione garibaldina del 1867, conosce e si appassiona delle iniziative umanitarie e sociali di Domenico De Luca che aveva fondato, nel 1864, una clinica per la cura gratuita dei poveri malati agli occhi, con il sostegno economico della Massoneria.

Diede così vita all’istituzione della scuola per rachitici, e nel 1878 fondò la “REALE SOCIETÀ’ ITALIANA DI IGIENE” e la prima “Società per la Cremazione Italiana”, impegnandosi poi per far nascere molte altre società nel Nord della penisola, riuscendo a collegarle tra loro dopo averle raccolte in una “Lega Italiana delle Società di Cremazione”, tutte presiedute o coordinate da esponenti della Massoneria.

Elaborò gran parte del materiale che a mezzo della Massoneria servi alla preparazione della legge Crispi del 1888, che permise alla pratica della Cremazione di entrare ufficialmente nel nostro Ordinamento.

Il GOI (istituito nel 1861 nello stesso anno in cui nacque lo Stato Italiano), deliberò, il 26 Maggio del 1874, che i fratelli si sarebbero impegnati a promuovere presso i Municipi l’uso della cremazione.

- Questo il testo della proposta:

“La Massoneria Italiana, augurando che i cimiteri divengano esclusivamente civili senza distinzione di credenze e di riti, mentre lascia ai singoli Fratelli ed alle loro famiglie piena libertà di determinare il luogo ed il modo di deposito delle salme dei loro defunti, si propone di promuovere presso i Municipi l’uso della cremazione, da sostituirsi all’interramento.

Raccomanda perciò tale concetto a tutte le Officine e ai singoli Fratelli, lo studio di sistemi atti a raggiungere l’intento in modo cauto, igienico e poco dispendioso.

Le urna contenenti le ceneri dei Massoni e delle loro famiglie potrebbero così essere raccolte nei Templi o nelle loro adiacenze come in un sepolcreto di famiglia.

A Pistoia la “Società per la Cremazione” fu costituita nel Febbraio del 1883 e l’impianto crematorio venne inaugurato nel 1901, grazie all’appoggio delle Logge Massoniche locali ed all’impegno, in seno alla rappresentanza municipale, di due suoi dirigenti: Giuseppe Tesi e Lodovico Canini, ottenendo il concorso del Comune nelle spese per la costruzione del Tempio.

Pochi mesi dopo la Rivista della Massoneria Italiana, organo ufficiale della Comunione, cominciò a trattare il tema della laicizzazione della morte, evidenziando la necessità di rendere assolutamente civili i cimiteri sacri, perché, si scrive, “se il prete ne tiene in mano le chiavi, rifiuterà con cristiano amore, di aprire le porte a coloro che non siano trapassati con tutti i sacramenti della religione ortodossa”.

I Fratelli della Loggia Universo di Roma avevano infatti denunciato che molte volte i Fratelli Massoni non erano stati ricevuti nei pubblici cimiteri laici e la cremazione dei cadaveri fu una delle tematiche trattate in parallelo per alcuni anni, tematiche fatte proprie dalla Massoneria, sino a diventare parte integrante del suo programma, avvicinando all’Istituzione personaggi che ne condividevano le motivazioni ideali.

L’architetto Augusto Guidini concordava con il Fratello medico e scienziato Paolo Gorini nel ritenere che la cremazione non fosse altro che il sistema più decoroso ed innocuo per restituire alla natura gli elementi primi ed indistruttibili che le erano necessari per fabbricare “nuovi viventi. La natura per mettere insieme l’organismo umano trasse dalla terra alcuni principi solidi fissi, e ne compose l’ordito. Poi con sostanze volatili, che tolse dal seno dell’aria atmosferica, ne compose il tessuto. Avvenuta la morte, essa ridomanda la materia per fabbricare nuovi viventi”.

Nella scelta cremazionista dei Massoni del secolo scorso si deve ricercare, oltre alle già accennate motivazioni scientifiche, tecniche ed igieniche, una più profonda concezione della morte della spiritualità iniziatica, che consiste nella consapevolezza nella potenzialità insita in alcuni uomini di potersi reintegrare nell’Essenza Prima.

La morte deve essere intesa come evoluzione, come un momento del processo di mutazione generale, come legge di trasformazione-mutazione: si muore alla vita profana per rinascere alla vita iniziatica, come Hiram che muore e rinasce per richiamare il ruolo centrale della morte come metamorfosi.

Il trapasso non è che l’iniziazione ai misteri di una risurrezione, nel contesto di una metamorfosi della natura di cui il fuoco è principio e simbolo.

In questo rituale processo nulla può essere lasciato alla materialità profana.

Un’ulteriore prolungata fase di decomposizione rallenterebbe o arresterebbe il processo trasmutatorio.

L’opera compiuta nel Tempio è reale, non virtuale, perciò le spoglie mortali devono essere autenticamente purificate, cioè penetrate e consumate dal Fuoco, per essere strutturalmente da esso modificate.

Solo così si realizza il consummatum est, la parte più eterea della materia mortale ed immortale.

Il significato mitico del Fuoco si perde nella notte dei tempi: nel linguaggio alchemico il Fuoco è un sostanza pura, eterna, indispensabile per il compimento della Grande Opera.

Il Fuoco è lo strumento della modificazione degli stati che nella natura appaiono a prima vista stratificati e insuperabili, è il mezzo affinché la vita, trascorrendo dall’una all’altra forma, si riveli.

Attraverso il Fuoco l’uomo dovrebbe bruciare tutte le sue scorie e, divenuto pura scintilla, unirsi alla Fonte da cui si è separato.

Il valore dei riti funebri che fanno ricorso al Fuoco sta nel modificare ciò che è mortale trasformandolo in ciò che non può morire.

E’ interessante notare come la trasmutazione dell’essere fisico e animico che, attraverso il Fuoco, avviene fisicamente sul cadavere che viene sottoposto alla cremazione, si compie anche nell’essere fisico e animico di chi partecipa alla cerimonia funebre rituale nel Tempio Massonico e anche nel Tempio Crematorio.

Sono molti, in questo senso, gli edifici crematori del secolo scorso che ripropongono la simbologia del Tempio: a Milano in stile dorico-greco, il Tempio è sormontato da un Gallo in bronzo, che simboleggia l’annuncio della Luce del giorno, ma anche l’annunciatore esoterico della Luce Massonica; a Torino le urna cinerarie sono sormontate da una Piramide; a Roma, nel cinerario del Verano, vi è una complessa alternanza di simboli politici ed esoterici, dove campeggia l’edera, pianta funebre che rappresenta Dioniso, e che come lui simboleggia la morte rituale e la rinascita, la Luce e l’Oscurità, il calore e la freddezza.

Fr:.

A sè stesso (Pensieri) – Il Trattato di Marco Aurelio

Marco Aurelio

A se stesso

(pensieri)

LIBRO I

1            Da mio nonno Vero: il carattere buono e non irascibile.

2            Dalla fama e dal ricordo che si conservano di mio padre: il comportamento riservato e virile.

3            Da mia madre: la religiosity, la generosity e la ripugnanza non solo a compiere il male, ma anche all’idea di

compierlo; ancora: il tenore di vita semplice e distante dalla condotta dei ricchi.

4            Dal mio bisnonno: non aver frequentato le scuole pubbliche, aver avuto buoni maestri tra le mura di casa, e
aver compreso che per questo genere di cose non si deve risparmiare.

5            Dal mio precettore: non esser stato sostenitore dei Verdi né degli Azzurri né dei gladiatori armati di parma o di
quelli armati di scutum; la resistenza alle fatiche e la sobriety nelle esigenze, contare sulle proprie forze e non immischiarsi; non prestare ascolto alla calunnia.

6            Da Diogneto: l’indifferenza per ciò che è vacuo; non prestar fede alle fole di ciarlatani e imbroglioni su
incantesimi, cacciate di demoni e simili; non perdersi a colpire le quaglie sulla testa o dietro ad inezie del genere; tollerare la franchezza di linguaggio; aver acquisito familiarity con la filosofia; aver ascoltato prima Bacchio, poi Tandaside e Marciano; aver scritto dialoghi quand’ero ragazzo; aver desiderato un lettuccio con una pelle e tutte le altre cose di questo genere connesse con l’educazione greca.

7            Da Rustico: aver capito la necessity di correggere e curare il carattere; non aver deviato verso ambizioni da
sofista, non dedicarsi a scrivere di questioni teoriche o a recitare discorsetti ammonitorî ovvero a impressionare la gente esibendo il modello dell’asceta o del benefattore; essermi allontanato dalla retorica, dalla poesia e dal brillante conversare; non girare per casa in toga e non fare cose analoghe; scrivere le lettere in modo semplice, come quella che egli stesso scrisse a mia madre da Sinuessa; la disponibility a riavvicinarsi e riconciliarsi con chi si è irritato o ha mancato verso di noi, non appena decide di tornare sui suoi passi; leggere con estrema attenzione e non accontentarsi di afferrare il senso generale, e non trovarsi sùbito d’accordo con chi chiacchiera; l’incontro con i commentarî di Epitteto, che mi fornì dalla sua biblioteca.

8            Da Apollonio: l’atteggiamento libero e senza incertezze nel non concedere nulla alla sorte e nel non guardare,
neppure per poco, a nient’altro che alla ragione; restare sempre uguali, nei dolori acuti, nella perdita di un figlio, nelle lunghe malattie; aver visto con chiarezza, in un modello vivo, che la stessa persona può essere molto energica e pacata; non irritarsi mentre si dy una spiegazione; aver visto un uomo che evidentemente considerava come l’ultima delle sue quality l’espenenza e l’ability nell’insegnare i principî teorici; aver imparato come si devono ricevere dagli amici i cosiddetti favori: senza sentirsi inferiori per averli ricevuti e senza respingerli, peccando di tatto.

9            Da Sesto: la benevolenza; il modello di una famiglia patriarcale; il concetto di vita secondo natura; la dignity
autentica; la capacity di cogliere in cosa prendersi cura degli amici; la pazienza verso chi, privo di istruzione, crede anche a ciò che non ha esaminato in termini scientifici; la capacity di trovarsi bene con tutti: cosicché il suo conversare era più accattivante di ogni adulazione, eppure, in quel preciso momento, agli occhi dei suoi stessi interlocutori, egli restava degno del più alto rispetto; l’intelligenza e il metodo nell’individuare e disporre i principî indispensabili per la vita; non aver mai dato segno esterno di ira o di altra passione, essendo invece, nello stesso tempo, assolutamente impassibile e affettuosissimo; la disposizione a elogiare, e senza troppo rumore; un’ampia cultura, senza spazio per l’esibizione.

10          Dal grammatico Alessandro: non censurare e non redarguire in maniera offensiva chi parlando incappa in un
barbarismo o in un solecismo, ma, con il giusto tatto, limitarsi a pronunciare l’espressione corretta, come se si stesse rispondendo o manifestando la propria approvazione o analizzando la sostanza della questione, non il termine usato, oppure attraverso un’altra forma altrettanto garbata di rilievo.

11          Da Frontone: aver valutato il grado di invidia, tortuosity e ipocrisia del potere tirannico, e come in generale
costoro che da noi si chiamano patrizi siano, in certo modo, più insensibili all’affetto.

12          Da Alessandro il Platonico: parlando o scrivendo una lettera a qualcuno, non dire spesso e senza una ragione
stringente «non ho tempo», e non declinare continuamente, in questo modo, i nostri doveri nelle relazioni con chi ci vive accanto, col pretesto degli impegni che ci assediano.

13          Da Catulo: non trascurare un amico che ci accusa di qualcosa, anche se capita che ci accusi senza ragione, ma
cercare di riportarlo al suo rapporto consueto con noi; parlar bene, di cuore, dei propri maestri, come insegna quello che si racconta di Domizio e Atenodoto; l’amore autentico per i figli.

14          Da Severo: l’amore per la famiglia, l’amore per la verity, l’amore per la giustizia; aver conosciuto, grazie a lui,
Trasea, Elvidio, Catone, Dione, Bruto, ed essermi formato l’idea di uno stato con leggi uguali per tutti, governato secondo i principî dell’uguaglianza politica e di uguale diritto di parola, e l’idea di una monarchia che al di sopra di ogni cosa rispetti la liberty dei sudditi; ancora da lui: la giusta misura e la costanza nell’onorare la filosofia; fare del bene ed elargire con generosity; l’ottimismo e la fiducia nell’affetto dagli amici; la schiettezza verso chi meritasse la sua riprovazione; il fatto che i suoi amici non dovevano ricorrere a congetture per capire cosa volesse o non volesse: al contrario, il suo intendimento era chiaro.

15          Da Massimo: governare se stessi e non lasciarsi confondere in nulla; il buon umore in ogni circostanza e in
particolare nelle malattie; il carattere ben temperato: dolcezza e dignity; la capacity di adempiere i propri impegni senza cedere alla sofferenza; il fatto che, quando diceva qualcosa, tutti avevano fiducia che quello fosse davvero il suo

pensiero, e, quando faceva qualcosa, che agisse senza cattive intenzioni; la capacity di non farsi sorprendere o sbalordire, e di non cedere, in nessuna circostanza, alla fretta o all’indugio o alla disperazione, oppure alla depressione o al sarcasmo, o, ancora, alla collera e al sospetto; la propensione a fare del bene, al perdono e alla sincerity; l’impressione che offriva: di chi non si lascia piegare piuttosto che di chi si sta raddrizzando; il fatto che nessuno avrebbe mai pensato di essere disprezzato da lui né avrebbe mai osato di ritenersi superiore a lui; il saper scherzare in modo buono.

16           Da mio padre: l’indole mite e la fedelty incrollabile alle decisioni attentamente meditate; il rifiuto di ogni
vanagloria per i cosiddetti onori; l’amore per il lavoro e la tenacia; la disponibility ad ascoltare chi ha da proporre qualcosa di utile alla collettivity; l’atteggiamento inflessibile nell’attribuire a ciascuno secondo il merito; l’esperienza nel vedere dove occorra tirare, dove invece allentare; l’aver posto fine agli amori con i fanciulli; il rispetto per gli altri e l’aver consentito agli amici di non banchettare sempre con lui e di non doverlo per forza seguire nei suoi viaggi: anzi, il farsi sempre ritrovare amico come prima da chi per qualche necessity era rimasto a casa; lo scrupolo e l’insistenza, durante le riunioni di consiglio, nel cercare soluzioni, e non, come si dice, «non ha concluso il suo esame, accontentandosi delle prime impressioni»; il modo di conservare gli amici, senza mai provare fastidio per loro, e neppure un folle attaccamento; l’autosufficienza in tutto e la serenity; la lungimirante preveggenza e il provvedere a ogni minima cosa senza atteggiamenti teatrali; il fatto che, sotto di lui, furono ridotte le acclamazioni e ogni forma di adulazione verso il potere; l’attenzione continua alle necessity dell’impero, la gestione oculata della spesa pubblica e la tolleranza verso le critiche abituali in simili casi; non esser superstizioso per quel che riguarda gli dèi, né demagogo per quel che riguarda gli uomini, in cerca di consenso o di favore tra la massa, ma sobrio in ogni circostanza e saldo, mai volgare o smanioso di novity; saper far uso di ciò che serve a confortare la vita, e che la sorte fornisce in abbondanza, senza boria, e, insieme, senza accampare pretesti, in modo, se c’è, da goderne senza artifici, e da non sentirne il bisogno se manca; il fatto che nessuno lo avrebbe potuto definire un sofista o un buffone o un pedante, ma un uomo maturo, completo, immune alle adulazioni, capace di provvedere agli interessi suoi e altrui; inoltre, l’onore riservato ai cultori autentici della filosofia, senza tuttavia offendere gli altri, e senza neppure, però, farsi fuorviare da loro; ancora: l’affability e la gentilezza, ma senza esagerazione; la cura che aveva della sua persona: nei giusti limiti, e non come chi è troppo attaccato al proprio corpo, senza indulgere al lezioso e neppure cadere nella sciatteria, cosicché grazie alla propria personale attenzione riduceva al minimo la necessity di ricorrere all’arte medica o ai farmaci, e con l’esclusione di ogni impiastro; soprattutto il suo saper cedere il passo, senza invidia, a chi possedeva una certa ability, per esempio nell’eloquenza o nello studio delle leggi o dei costumi o di altre materie, e l’impegno con il quale aiutava ciascuno a divenire famoso nel settore in cui aveva particolare talento – e seguendo sempre nella sua azione le tradizioni avite, non cercava di mettere in luce neppure questa linea di condotta; ancora: la tendenza non a trasferirsi e spostarsi avanti e indietro, ma a restare a lungo negli stessi luoghi e nelle stesse attivity; la capacity, dopo i suoi violenti attacchi di cefalea, di tornare sùbito fresco e pieno di energie al lavoro consueto; il suo non avere molti segreti, ma pochissimi, rarissimi e solo su questioni di Stato; il buon senso e la misura nell’allestimento di spettacoli, nell’edificazione di opere pubbliche, nelle elargizioni al popolo e simili: da uomo che tiene d’occhio quello che si deve fare, non la gloria che può seguire alle sue azioni.

Non prendeva bagni in ore inconsuete, non aveva la fissazione di edificare, non pensava sempre ai cibi, ai ricami e ai colori delle vesti, alla bellezza degli schiavi. La veste che veniva da Lorio, dall’abitazione di campagna di laggiù, e la maggior parte di quel che accadde a Lanuvio; come si comportò con l’esattore che lo implorava a Tuscolo, e ogni analoga occasione. Non ebbe alcun atteggiamento rude, inesorabile, violento, o tale che qualcuno potesse dire: «fino al sudore»; ma ogni cosa veniva da lui valutata analiticamente, come in un momento di riposo, senza turbamenti, con ordine, con fermezza, nell’armonia dei fattori interni. Gli sarebbe adatto quanto si tramanda di Socrate, e cioè che sapeva sia godere sia rinunciare a quelle cose di fronte alle quali i più si mostrano deboli al momento di astenersene e smodati al momento di gustarne. L’esser forte e resistere con tenacia e, in entrambi i casi, mantenere la sobriety sono caratteristiche di un uomo che possiede un animo diritto e invincibile, come ad esempio dimostrò nella malattia di Massimo.

17           Dagli dèi: l’aver avuto buoni nonni, buoni genitori, una buona sorella, buoni maestri, buoni familiari, parenti,
amici, quasi tutti; il fatto che non sono arrivato a commettere una colpa verso nessuno di essi, pur avendo una disposizione tale per cui, se ve ne fosse stata l’occasione, me ne sarei macchiato – ed è un beneficio degli dèi che non si sia verificato nessun concorso di avvenimenti che potesse rivelarmi per quello che sono; non esser cresciuto troppo a lungo presso la concubina di mio nonno; aver conservato intatto il mio vigore e non aver avuto rapporti sessuali prima del tempo, anzi, aver atteso ancora dopo che era giunto il momento; esser stato sottoposto a un sovrano e a un padre che avrebbe eliminato ogni mia alterigia e mi avrebbe condotto a pensare che a corte si può vivere senza bisogno di guardie del corpo o di vesti pregiate, di candelabri o statue di questo genere e di un consimile sfarzo, e che anzi ci si può limitare a un tenore di vita assai vicino a quello di un privato, senza perciò risultare troppo modesti o trasandati di fronte alle incombenze che il sovrano deve affrontare nel pubblico interesse; aver avuto un fratello quale il mio, capace, con il suo carattere, di spronarmi ad aver cura di me stesso, e, insieme di gratificarmi con il suo rispetto e il suo affetto; non aver avuto figli deficienti o deformi; non aver fatto troppi progressi nella retorica, nella poesia e nelle altre discipline, in cui forse sarei rimasto irretito, se mi fossi accorto di procedere con facility; aver prevenuto i miei precettori attribuendo loro la posizione alla quale mi parevano ambire, e non aver rinviato la cosa in attesa, considerata la loro giovane ety, di farlo in séguito; aver conosciuto Apollonio, Rustico, Massimo; essermi spesso e con chiarezza rappresentato quale sia la vita secondo natura: cosicché, per quanto sta agli dèi e alle comunicazioni, agli aiuti, alle ispirazioni che da essi provengono, nulla ormai mi impedisce di vivere secondo natura – che a questo obiettivo manchi ancora qualcosa,

semmai, a colpa mia, perché non osservo i suggerimenti e, diciamo quasi, gli insegnamenti che vengono dagli dai; il fatto che il mio corpo abbia così a lungo resistito in una simile vita; non aver toccato Benedetta né Teodoto, e, anche più tardi, caduto in passioni amorose, esserne guarito; essermi tante volte adirato con Rustico, ma senza mai far nulla di cui poi pentirmi; il fatto che mia madre, pur destinata a morir giovane, abbia egualmente vissuto con me i suoi ultimi anni; il fatto che ogniqualvolta ho voluto soccorrere una persona povera o che aveva altre necessity, non mi sono mai sentito rispondere: «Non ho abbastanza denaro per farlo»; e non essermi trovato in un analogo stato di bisogno, ridotto a dover ottenere da altri; il fatto che mia moglie fosse così, tanto docile, tanto affettuosa e semplice; aver avuto per i miei figli tanti precettori adatti; il soccorso ricevuto attraverso i sogni, in particolare contro gli sbocchi di sangue e le vertigini; e [...] a Gaeta [...] … e, quando desiderai accostarmi alla filosofia, non essere incappato in un sofista e non esser rimasto seduto a leggere gli autori, ad analizzare i sillogismi o ad occuparmi dei fenomeni celesti. Perché tutte queste cose esigono l’aiuto degli dai e il favore della sorte.

Scritto nel territorio dei Quadi presso il Gran: libro I. LIBRO II

1              Al mattino comincia col dire a te stesso: incontrerò un indiscreto, un ingrato, un prepotente, un impostore, un

invidioso, un individualista. Il loro comportamento deriva ogni volta dall’ignoranza di ciò che a bene e ciò che a male. Quanto a me, poiché riflettendo sulla natura del bene e del male ho concluso che si tratta rispettivamente di ciò che a bello o brutto in senso morale, e, riflettendo sulla natura di chi sbaglia, ho concluso che si tratta di un mio parente, non perché derivi dallo stesso sangue o dallo stesso seme, ma in quanto compartecipe dell’intelletto e di una particella divina, ebbene, io non posso ricevere danno da nessuno di essi, perché nessuno potry coinvolgermi in turpitudini, e nemmeno posso adirarmi con un parente né odiarlo. Infatti siamo nati per la collaborazione, come i piedi, le mani, le palpebre, i denti superiori e inferiori. Pertanto agire l’uno contro l’altro a contro natura: e adirarsi e respingere sdegnosamente qualcuno a agire contro di lui.

2              Qualunque cosa sia questo che sono, a infine carne, soffio vitale e principio dirigente. Getta via i libri, non ti
far più distrarre: non a consentito. E invece, come se fossi a un passo dalla morte, disprezza la carne: coagulo di sangue, ossa, ordito intessuto di nervi, vene, intrico di arterie. Poi osserva anche quale sia la natura del tuo soffio vitale: vento, e neppure sempre lo stesso, ma un alito che, a ogni istante, viene emesso e riaspirato. Per terzo viene il principio dirigente. Qui rifletti: sei vecchio; non consentire più che questo principio sia schiavo, che come una marionetta sia manovrato da un impulso individualistico, che recrimini contro il destino presente o guardi con ansia quello futuro.

3              L’operato degli dai a pieno di provvidenza, l’operato della fortuna non a estraneo alla natura oppure a una
connessione e a un intreccio con gli eventi governati dalla provvidenza: tutto deriva di ly. E va aggiunto anche che ogni cosa a necessaria e utile alla totality del cosmo, di cui sei parte. Ma per ogni parte della natura a bene ciò che a prodotto dalla natura universale e ciò che contribuisce alla sua conservazione: e il cosmo a conservato sia dalle trasformazioni degli elementi, sia dalle trasformazioni dei composti. Ti bastino queste considerazioni, dal momento che si tratta di principî fondamentali: respingi invece la sete di libri, per poter morire non mormorando, ma veramente sereno e grato, dal profondo del cuore, agli dai.

4              Ricorda da quanto tempo rinvii queste cose e quante volte, ricevuta una scadenza dagli dai, non la metti a
frutto. Devi finalmente comprendere quale sia il cosmo di cui sei parte, quale sia l’entity al governo del cosmo della quale tu costituisci un’emanazione, e che hai un limite circoscritto di tempo, un tempo che, se non ne approfitti per conquistare la serenity, andry perduto, e andrai perduto anche tu, e non vi sary un’altra possibility.

5              Ad ogni istante pensa con fermezza, da Romano e maschio quale sei, a compiere ciò che hai per le mani con
seriety scrupolosa e non fittizia, con amore, con liberty, con giustizia, e cerca di affrancarti da ogni altro pensiero. Te ne affrancherai compiendo ogni singola azione come fosse l’ultima della tua vita, lontano da ogni superficiality e da ogni avversione passionale alle scelte della ragione e da ogni finzione, egoismo e malcontento per la tua sorte. Vedi come sono poche le condizioni che uno deve assicurarsi per poter vivere una vita che scorra agevolmente e nel rispetto degli dai: perché gli dai non chiederanno nulla di più a chi osserva queste condizioni.

6              Offendi, offendi te stessa, anima mia: ma non avrai più l’occasione di renderti onore; [...] la vita per ciascuno:
ma questa vita tu l’hai quasi portata a termine senza rispettare te stessa, riponendo invece la tua felicity nelle anime altrui.

7              Ti distraggono gli accidenti esterni? Procùrati il tempo di apprendere ancora qualcosa di buono e smetti di
vagare senza meta. Anzi, devi guardarti anche dal secondo genere di smarrimento: infatti vaneggiano anche attraverso le loro azioni gli uomini stanchi della vita e senza un obiettivo al quale indirizzare ogni impulso e, insomma, ogni rappresentazione.

8              Difficilmente si vede qualcuno infelice perché non considera che cosa avvenga nell’anima di un altro; mentre
chi non segue i moti della propria anima fatalmente a infelice.

9              Bisogna sempre tenere a mente questi punti: qual a la natura del tutto e quale la mia; in quale relazione questa
sta con quella e quale parte a di quale intero; che nessuno può impedirti di agire e di esprimerti sempre in conformity alla natura di cui sei parte.

10           Nel valutare comparativamente le varie colpe, come si usa comunemente confrontarle, Teofrasto da vero

filosofo afferma che sono più gravi quelle commesse per concupiscenza di quelle commesse per ira. L’individuo adirato, infatti, sembra voltare le spalle alla ragione in uno stato di sofferenza e di latente contrazione, mentre chi sbaglia per concupiscenza, vinto dal piacere, risulta in un certo senso più intemperante e femmineo nelle proprie mancanze. Quindi a corretta e filosoficamente apprezzabile l’opinione di Teofrasto secondo cui l’errore che si accompagna al piacere a soggetto a imputazione più grave di quello che si accompagna al dolore; in sintesi: nel primo caso l’individuo a assimilabile a chi ha patito un’ingiustizia e dalla sofferenza a stato inevitabilmente spinto all’ira, mentre nel secondo la persona ha tratto da se stessa l’impulso a commettere ingiustizia, lasciandosi trascinare ad agire per concupiscenza.

11           Fare, dire e pensare ogni singola cosa come chi sa che da un momento all’altro può uscire dalla vita. Ma
congedarsi dagli uomini non a nulla di grave, se gli dai esistono: non vorrebbero certo travolgerti nel male; e se, d’altra parte, o non esistono oppure non si curano delle cose umane, che mi importa di vivere in un mondo privo di dai o privo di provvidenza? Ma non a così: esistono e si occupano delle cose umane e hanno attribuito all’uomo il pieno potere di non incorrere in quelli che sono veramente mali; quanto agli altri, se qualcuno di essi fosse davvero un male, gli dai avrebbero anche provveduto a che tutti avessero la facoltà di evitarlo. Ma ciò che non rende peggiore l’uomo come potrebbe rendere peggiore la vita dell’uomo? La natura dell’universo non avrebbe mai trascurato queste cose per ignoranza e neppure perché, pur conoscendole, non potesse prevenirle o correggerle, né avrebbe compiuto, per impotenza o inettitudine, un simile errore, e cioa che bene e male toccassero in egual misura, indistintamente, agli uomini buoni e ai cattivi. La morte, appunto, e la vita, la fama e l’oscurità, il dolore e il piacere, la ricchezza e la povertà, tutte queste cose accadono in egual misura agli uomini buoni e ai cattivi, in quanto non sono moralmente belle né brutte. Non sono, quindi, né beni né mali.

12           Come tutto svanisce rapidamente: nel cosmo i corpi stessi, nell’eternità il loro ricordo; qual a la natura di tutte
le cose sensibili e soprattutto di quelle che adescano con il piacere o spaventano per il dolore o hanno trovato risonanza nella vanità dell’uomo; come sono vili, spregevoli, sordide, corruttibili, morte… – tocca alla facoltà razionale soffermarsi su questi punti; che cosa sono costoro, la cui opinione e la cui voce dispensano fama e infamia; che cos’a la morte, e il fatto che, se uno la osserva in sé e per sé e attraverso un’analisi del concetto dissolve ciò che vi crea l’immaginazione, non la considererà più null’altro che un’opera della natura – e se uno teme un’opera della natura, a un bambino, e d’altronde questa non a solo un’opera della natura, ma anche un’opera utile alla natura stessa; come l’uomo si collega a dio, per quale sua parte e in quale disposizione deve essere questa parte dell’uomo perché giunga tale momento.

13           Nulla di più sventurato di chi percorre tutto in cerchio e, dice il poeta, «indaga le profondità della terra» e cerca
di captare ciò che sta nell’anima del prossimo, senza accorgersi che basta dedicarsi esclusivamente al demone che ha dentro di sé e tributargli un culto sincero. E il culto che gli spetta consiste nel serbano puro dalla passione, dalla leggerezza e dallo scontento per ciò che viene dagli dai e dagli uomini. Le cose che vengono dagli dai, infatti, sono venerabili per la loro virtù, mentre quelle che vengono dagli uomini sono care per il nostro legame di parentela, e qualche volta sono anche, in certo modo, degne di pietà perché nascono dall’ignoranza del bene e del male – cecità, questa, non meno grave di quella che impedisce di distinguere il bianco dal nero.

14           Anche se tu dovessi vivere tremila anni e dieci volte altrettanto, in ogni caso ricorda che nessuno perde altra
vita se non questa che sta vivendo, né vive altra vita se non questa che va perdendo. Pertanto la durata più lunga e la più breve coincidono. Infatti il presente a uguale per tutti e quindi ciò che si consuma a uguale e la perdita risulta, così, insignificante. Perché nessuno può perdere il passato né il futuro: come si può essere privati di quello che non si possiede? Ricordare sempre, quindi, questi due punti: il primo, che tutto, dall’eternità, a della medesima specie e ciclicamente ritorna, e non fa alcuna differenza se si vedranno le stesse cose nello spazio di cento o di duecento anni o nell’infinità del tempo; il secondo, che sia chi vive moltissimi anni sia chi dopo brevissimo tempo a già morto subiscono una perdita uguale. È solo il presente, infatti, ciò di cui possono essere privati, poiché a anche l’unica cosa che possiedono, e uno non perde quello che non ha.

15           Tutto a opinione. Sono evidenti, infatti, le parole rivolte a Monimo il Cinico; ed a evidente anche l’utilità di
quelle parole, se uno ne accetta il succo nei limiti della loro veridicità.

16           L’anima dell’uomo offende se stessa soprattutto quando diviene, per quanto da essa dipende, un ascesso e come
un’escrescenza del cosmo. Perché sentirsi in contrasto con qualcuno degli eventi a una defezione dalla natura, che include le singole nature di ciascuno degli altri esseri. In secondo luogo, l’anima offende se stessa quando respinge una persona o addirittura la contrasta con l’intenzione di danneggiarla, come fa l’anima di chi a in preda all’ira. In terzo luogo: quando si lascia vincere dal piacere o dal dolore. In quarto luogo: quando recita e fa o dice qualcosa fingendo o nascondendo la verità. In quinto luogo: quando non indirizza una sua azione o un suo impulso ad alcun obiettivo, ma fa cose qualsiasi, a caso e senza badarvi: mentre anche il più piccolo gesto deve avvenire in relazione al suo fine; e il fine degli esseri razionali a di seguire la ragione e la legge della città e dello Stato più venerabili.

17           Nella vita umana il tempo a un punto, la sostanza a fluida, la sensazione oscura, il composto dell’intero corpo a
marcescibile, l’anima a un inquieto vagare, la sorte indecifrabile, la fama senza giudizio. Riassumendo: ogni fatto del corpo a un fiume, ogni fatto dell’anima sogno e inanità, la vita a guerra e soggiorno in terra straniera, la fama postuma a oblio. Quale può essere, allora, la nostra scorta? Una sola ed unica cosa: la filosofia. La sua essenza sta nel conservare il demone che a in noi inviolato e integro, superiore ai piaceri e ai dolori, in grado di non compiere nulla a caso né subdolamente e ipocritamente, di non aver bisogno che altri faccia o non faccia alcunché; ancora: disposto ad accettare gli avvenimenti e la sorte che gli tocca in quanto provengono di là (ovunque si trovi poi questo luogo) da dove anch’egli a giunto; soprattutto, pronto ad attendere la morte con mente serena, giudicandola null’altro che il dissolversi degli

elementi di cui ciascun essere vivente a composto. Ora, se per gli elementi stessi non c’a nulla di temibile nel continuo trasformarsi di ciascuno in un altro, perché si dovrebbe temere la trasformazione e il dissolvimento del composto di tutti questi elementi? È conforme a natura, e nulla di quanto a conforme a natura a male.

LIBRO III

Scritto a Carnunto

1              Non bisogna soltanto considerare il fatto che ogni giorno la vita si consuma e ne resta una parte sempre più

piccola, ma anche il fatto che, se uno dovesse vivere più a lungo, rimarrebbe comunque un’incertezza: la sua facolty mentale sarebbe ancora egualmente capace di comprendere le azioni e la teoria che tende alla concreta conoscenza delle cose divine ed umane? Se, infatti, comincery a vaneggiare, non perdery – a vero – la facolty di respirare, nutrirsi, ricevere impressioni, provare impulsi e così via: ma la facolty di disporre di sé, la scrupolosa attenzione a tutti i punti del proprio dovere, l’analisi articolata dei fenomeni che si presentano, la valutazione stessa della necessity di porre ormai fine alla propria vita e quant’altro, analogamente, richiede un raziocinio ben esercitato, tutto ciò si spegne prima del resto. Bisogna quindi affrettarsi, non solo perché la morte si fa ad ogni istante più vicina, ma anche perché la capacity di intendere e di seguire la realty si esaurisce prima della fine.

2              Occorre far tesoro anche di osservazioni come questa: anche gli elementi accessori dei processi naturali
possiedono qualcosa di gradevole e attraente. Per esempio, mentre il pane si cuoce alcune sue parti si screpolano e queste venature che vengono così a prodursi, e che in un certo senso contrastano con il risultato che si prefigge la panificazione, hanno una loro eleganza e un modo particolare di stimolare l’appetito. Ancora: i fichi pienamente maturi si presentano aperti. E nelle olive che dopo la maturazione sono ancora sulla pianta a proprio quell’essere vicine a marcire che aggiunge al frutto una speciale bellezza. E le spighe che si incurvano verso terra e la fronte grinzosa del leone e la bava che cola dalle fauci dei cinghiali e molte altre cose: a osservarle una per una sono lontane da un aspetto gradevole, e tuttavia, per il fatto di essere conseguenze di fatti naturali, contribuiscono ad abbellire e affascinano, al punto che se uno ha una sensibility e una concezione più profonda di ciò che si produce nell’universo, non ci sary quasi nulla, anche tra quanto avviene in subordine ad altri eventi, che non gli risultery avere una sua piacevolezza. Costui, allora, guardery anche le fauci spalancate delle belve in carne ed ossa con non meno piacere di quando guarda l’imitazione che ne presentano pittori e scultori; e con i suoi occhi casti sapry scorgere in una vecchia e in un vecchio una loro forma di florida maturity, e la grazia che seduce nei fanciulli, e gli si presentery l’occasione di compiere molte analoghe osservazioni, non persuasive per chiunque, ma solo per chi abbia raggiunto un’autentica familiarity con la natura e le sue opere.

3              Ippocrate, dopo aver guarito molte malattie, si ammalò a sua volta e morì. I Caldei predissero la morte di molti,
poi il destino assegnato raggiunse anche loro. Alessandro e Pompeo e Caio Cesare, dopo aver tante volte raso al suolo intere citty e massacrato in campo tante migliaia di fanti e di cavalieri, un giorno dovettero anch’essi uscire dalla vita. Eraclito, che nelle sue indagini sulla natura si era tanto occupato della conflagrazione universale, morì con le viscere piene d’acqua, cosparso di sterco bovino. Democrito lo uccisero i pidocchi, Socrate pidocchi di altra specie. Ebbene? Ti sei imbarcato, hai navigato, sei approdato: sbarca. Se la tua destinazione a un’altra vita, nulla a privo di dai, anche ly; se invece la meta a l’insensibility, cesserai di resistere a dolori e piaceri e di far da schiavo a un recipiente tanto più vile della parte che lo serve: perché questa a intelletto e demone, quello terra e sangue corrotto.

4              Non consumare la parte di vita che ti rimane in rappresentazioni che riguardano altri, se non quando tu agisca
in relazione all’utile comune: altrimenti o ti privi di un’altra opera [...] immaginandoti cioa che cosa fa il tale e perché, che cosa dice, cosa pensa e cosa sta escogitando e simili: tutti comportamenti che fuorviano dall’attenzione al proprio principio dirigente. Occorre quindi impedire l’accesso del casuale e del gratuito al concatenarsi delle rappresentazioni, e soprattutto escluderne l’indiscrezione e la cattiveria; e ci si deve abituare esclusivamente a rappresentazioni tali che, se all’improvviso uno ti domandasse: «A cosa stai pensando ora?», potresti sùbito rispondere in tutta franchezza: «A questo e a quest’altro»; sicché dalle tue parole sarebbe immediatamente chiaro che ogni tuo pensiero a semplice, benevolo e degno di un essere destinato a vivere in society e disinteressato a immagini che suscitino piacere o, in una parola, godimento, e indifferente a una qualche forma di rivality o invidia e sospetto o qualsiasi altra passione per cui arrossiresti, se dovessi spiegare che la nutrivi nel tuo intimo. Un uomo simile, infatti, che non rinvia più il suo ingresso tra i migliori in assoluto, a come un sacerdote e un ministro degli dai, in stretto rapporto anche con la divinity che dimora in lui: questo rende l’uomo incontaminato dai piaceri, invulnerabile a ogni dolore, intatto da ogni sopraffazione, insensibile a qualsiasi malvagity, atleta nella competizione più alta – la lotta per non essere abbattuti da alcuna passione -, profondamente permeato di giustizia, pronto ad abbracciare con tutta l’anima tutto ciò che gli accade e gli viene assegnato in sorte, alieno dal pensare spesso, o senza una stretta necessity connessa all’utile comune, che cosa mai un altro dica, faccia o pensi. Quest’uomo, infatti, per il proprio operato tiene soltanto le cose che gli appartengono e pensa continuamente a quelle che, tra gli eventi dell’universo, si intrecciano con lui, e rende belle le prime ed a persuaso che le seconde siano buone. Infatti il destino assegnato a ciascuno a incluso nel tutto e include nel tutto. E ricorda anche, costui, che ogni essere razionale a suo parente, e che prendersi cura di tutti gli uomini a conforme alla natura umana, e tuttavia non bisogna attenersi all’opinione di tutti, ma soltanto a quella di chi vive in conformity alla natura. Quanto poi

a coloro che non vivono così, ha sempre presente quale tipo di persone siano in casa e fuori di casa, quale gente sia e con quale gente si mescoli di giorno e di notte. Non tiene in conto, quindi, neppure la lode che può venirgli da costoro, visto che non piacciono neanche a se stessi.

5              Non agire controvoglia né in modo individualistico o senza un accurato esame o lasciandoti trascinare; non
adornare il tuo pensiero con bei discorsi; non dire troppe parole, non fare troppe cose. Ancora: il dio che a in te sia la guida di un essere virile, maturo, membro della comunity civile, di un Romano, di un governante, di un uomo che si a collocato nella disposizione di chi attende il segnale di ritirata dalla vita, pronto alla soluzione dei vincoli, senza aver bisogno di un giuramento o di qualcuno che faccia da testimone. All’interno, la serenity, e, dall’esterno, nessun bisogno di aiuto, nessuna necessity di una pace fornita da altri. Bisogna essere retti, non raddrizzati.

6              Se nella vita umana trovi qualcosa di superiore alla giustizia, alla verity, alla temperanza, alla fortezza, e, in
una parola, al fatto che alla tua mente basti se stessa, nelle azioni che ti fa compiere secondo la retta ragione, e il destino, nella sorte che ci viene assegnata indipendentemente dalla nostra scelta; se, dico, vedi qualcosa di superiore a questo, rivolgiti a esso con tutta l’anima e godi del bene supremo che vi trovi. Se invece niente ti risulta superiore al demone stesso che dimora in te e che ha sottomesso a sé i tuoi impulsi personali, che vaglia le tue rappresentazioni, che si a sottratto (come diceva Socrate) alle passioni dei sensi, che si a sottomesso agli dai e si cura degli uomini; se rispetto a questo trovi tutto il resto più piccolo e vile, non lasciare spazio a nient’altro: perché una volta che tu abbia preso a inclinare e a gravitare verso qualcos’altro non sarai più in grado di onorare indisturbato, al di sopra di tutto, quel bene che a davvero e solo tuo: al bene della ragione e della society, infatti, non a lecito contrapporre qualsivoglia cosa di altra natura, come gli elogi della gente o le cariche o la ricchezza o il godimento dei piaceri. Tutte cose, queste, che se anche per un po’ sembrano rispondere a un intimo equilibrio, all’improvviso prendono il sopravvento e fuorviano. Tu però, dico; scegli in modo semplice e libero il meglio e attieniti a questo. «Ma il meglio a l’utile». Se intendi l’utile dell’essere razionale, osservalo sempre; se invece intendi l’utile dell’essere animale, dichiaralo e tieni fermo il tuo giudizio, senza vane esibizioni; soltanto, cerca di condurre la tua valutazione con assoluta sicurezza.

7              Non onorare mai come il tuo utile ciò che un giorno ti costringery a tradire la parola data, ad abbandonare il
pudore, a odiare qualcuno, a sospettare, maledire, recitare, desiderare qualcosa che debba esser nascosto da pareti e paraventi. Perché chi in prima istanza ha scelto il proprio intelletto, il proprio demone e il culto che spetta alla virtù di questo demone, non fa tragedie, non rompe in gemiti, non sentiry il bisogno di essere solo o di avere una folla intorno: e, il punto più importante, vivry senza inseguire né fuggire. E di poter usufruire per uno spazio di tempo maggiore o minore dell’anima avviluppata nel suo corpo non gli importa minimamente: infatti, anche se deve andarsene tra un istante, a pronto a staccarsi e a partire come a compiere un’altra qualsiasi delle azioni che si possono compiere senza vergogna e con dignity, badando, per tutta la vita, solo a questo, che la sua mente non si volga a qualcosa di improprio per un essere razionale e sociale.

8              Nella mente di un uomo riportato alla disciplina e alla purezza non puoi trovare nulla di marcio, nulla di
contaminato, nessuna piaga interna. E la sua vita, quando il fato la coglie, non a incompiuta, come invece si direbbe nel caso di un attore tragico che si congedasse prima di aver concluso e recitato l’intero dramma. E ancora: nulla di servile, nulla di specioso, nessun legame eccessivo, nessun distacco reciso, nessun rendiconto a terzi, niente in agguato.

9              Venera la facolty di concepire un’opinione: dipende totalmente da questa che nel tuo principio dirigente non
insorga più un’opinione incorente con la natura e con la costituzione dell’essere razionale. Ed a questa che promette un’attitudine non precipitosa e la familiarity con gli uomini e l’obbedienza agli dai.

10           Getta via tutto, quindi, e tieni ferme solo queste poche cose, e ricorda anche che ciascuno vive solo questo
presente, incommensurabilmente breve: il resto a giy stato vissuto o a avvolto nell’incertezza. È poca cosa, quindi, ciò che vive ciascuno, ed a poca cosa il cantuccio della terra in cui vive; e poca cosa a anche la più duratura fama postuma: questa fama trasmessa da una generazione all’altra di omuncoli che in un attimo sono morti, e che non conoscono neppure se stessi, figurarsi poi chi a giy morto da tanto tempo!

11           Ai fondamenti giy esposti se ne aggiunga ancora uno: provvedere sempre a definire o raffigurare l’oggetto della
rappresentazione, così da vederlo qual a nella sostanza, nudo, nella sua interezza e, distintamente, in tutte le sue parti, e pronunciare tra sé il nome che lo designa e i nomi degli elementi di cui a stato composto e in cui si dissolvery. Nulla, infatti, può elevare il nostro animo quanto il saper vagliare sistematicamente e autenticamente i singoli eventi della vita, e guardare sempre ad essi in maniera da cogliere quale utility il dato evento abbia per quale cosmo, e di conseguenza quale valore abbia in relazione all’universo, e quale in relazione all’uomo cittadino della citty suprema, di cui le altre citty sono come le case; che cosa sia e di cosa sia composto e per quanto tempo, secondo la sua natura, persista questo oggetto che ora produce la mia rappresentazione, e quale virtù si debba usare nei rapporti con esso – per esempio: la mansuetudine, la fortezza, la sincerity, la lealty, la semplicity, l’autosufficienza, eccetera. Perciò in ogni singola circostanza occorre dire: questa cosa viene da dio, quest’altra risulta dal combinarsi di accadimenti, dall’intreccio di connessioni e dalla tale coincidenza fortuita, quest’altra poi viene da un essere che condivide la mia razza, la mia stirpe e la mia comunity, e tuttavia ignora che cosa per lui a secondo natura. Ma non lo ignoro io: perciò lo tratto secondo la legge naturale della comunity, con indulgenza e giustizia; e insieme, però, miro ad attribuire il giusto valore nei campo delle cose intermedie.

12           Se svolgi il cómpito presente seguendo la retta ragione, con impegno, con vigore, benevolmente, e non ti curi
di alcun fatto accessorio, ma di mantenere il tuo demone nella sua purezza, come se da un momento all’altro dovessi restituirlo: se ti attieni a questo principio senza attenderti o rifuggire nulla, pago invece del tuo attuale operato conforme a natura e della romana verity di ciò che dici ed esprimi, vivrai felice. E non c’a nessuno che possa impedirti di farlo.

13           Come i medici hanno sempre sottomano gli strumenti e i ferri per intervenire d’urgenza, così tu tieni sempre

pronti i principî per conoscere l’umano e il divino, e per agire in ogni cosa, anche nella più piccola, come chi ha ben presente il reciproco legame tra l’uno e l’altro. Perché ignorando la correlazione con le cose divine non potrai compiere bene nulla di umano, e viceversa.

14           Non divagare più: non riuscirai a leggere i tuoi appunti, né le imprese degli antichi Greci e degli antichi
Romani e gli estratti delle opere che ti eri messo da parte per la vecchiaia; affréttati alla meta, allora, lascia stare le vane speranze e soccorri te stesso, se ti importa qualcosa di te, finché a possibile.

15           Non sanno quanti significati ha rubare, seminare, comprare, starsene quieti, vedere le cose da farsi (operazione
che non si fa con gli occhi, ma con un’altra vista).

16           Corpo, anima, intelletto. Del corpo: le sensazioni; dell’anima: gli impulsi; dell’intelletto: i principî. Essere
impressionati da una rappresentazione a proprio anche del bestiame, essere mossi come marionette dagli impulsi a proprio anche delle belve, degli androgini, di un Falaride, di un Nerone; avere nella mente una guida a ciò che appare il nostro cómpito a proprio anche di chi non crede negli dei, di chi tradisce la patria e di chi… quali cose non fa, quando ha chiuso la porta! Ora, se il resto a comune ai soggetti menzionati, la peculiarità che rimane propria dell’uomo onesto a amare ed accettare di cuore gli eventi e l’intreccio di fatti che gli toccano; e non macchiare né agitare il demone che risiede nel suo petto con una turba di rappresentazioni, ma conservarlo sereno, disposto a seguire disciplinatamente dio, senza dire nulla di contrario al vero o fare nulla di contrario al giusto. E se anche l’intera umanità non crede che egli viva semplicemente, con discrezione e ottimismo, non si adira con nessuno e non devia dalla strada che conduce al termine della vita, dove bisogna giungere puri, tranquilli, pronti al distacco, in spontanea armonia con il proprio destino.

LIBRO IV

1              Il principio sovrano dentro di noi, quando si trovi conforme a natura, ha verso gli eventi una disposizione tale,

che può sempre facilmente mutarla in relazione a ciò che a possibile e concesso. Infatti non ama alcuna materia definita, ma segue, con riserva, il suo impulso ai fini più alti, e di quello che gli si oppone fa materia per sé, come il fuoco, quando fa suo ciò che vi cade dentro – un lumicino ne sarebbe spento: il fuoco vivo, invece, in un istante si impadronisce di ciò che gli si getta sopra, lo consuma e proprio di qui trae alimento per divampare ancora più alto.

2              Non si compia alcuna azione a caso o in qualsiasi modo non conforme a un principio che contribuisca a
realizzare l’arte del vivere.

3              Si cercano un luogo di ritiro, campagne, lidi marini e monti; e anche tu sei solito desiderare fortemente un
simile isolamento. Ma tutto questo a proprio di chi non ha la minima istruzione filosofica, visto che a possibile, in qualunque momento lo desideri, ritirarti in te stesso; perché un uomo non può ritirarsi in un luogo più quieto o indisturbato della propria anima, soprattutto chi ha, dentro, principî tali che gli basta affondarvi lo sguardo per raggiungere sùbito il pieno benessere: e per benessere non intendo altro che il giusto ordine interiore. Quindi concediti continuamente questo ritiro e rinnova te stesso; e siano brevi ed elementari i principî che, appena incontrati, basteranno a purgarti da ogni nausea e a congedarti senza che tu provi fastidio per le cose a cui ritorni. Che cosa, infatti, ti infastidisce? La cattiveria degli uomini? Considerati i termini del problema – e cioa che gli esseri razionali esistono gli uni per gli altri; che la tolleranza a parte della giustizia; che sbagliano senza volerlo – e considerato quanti già, dopo aver nutrito inimicizia, sospetto, odio, giacciono trafitti, ridotti in cenere, smettila, infine! O forse il tuo fastidio a anche per la sorte che, nell’ordine universale, ti viene assegnata? Ritorna col pensiero all’alternativa: «O provvidenza o atomi», e a tutti gli argomenti con cui fu dimostrato che il cosmo a come una città. O forse ti sentirai toccato dalle cose del corpo? Torna ancora a pensare che la mente non si immischia con i movimenti dolci o aspri del soffio vitale, una volta che abbia isolato se stessa e preso cognizione del proprio potere; e poi pensa a tutto quello che hai ascoltato intorno al dolore e al piacere, e su cui hai espresso il tuo assenso. O sarà forse la preoccupazione di una misera fama a fuorviarti? Guarda la rapidità dell’oblio che investe tutto, l’abisso dell’eternità che si estende infinita in entrambe le direzioni, la vacuità della rinomanza, la volubilità e la sconsideratezza di chi sembra tributare elogi, e l’angustia del luogo in cui la fama a circoscritta. Perché tutta la terra a un punto: e quale minuscolo cantuccio della terra a questa dimora? E, qui, quanti e quali sono gli uomini che ti elogeranno? Ricorda, allora, che puoi ritirarti in questo tuo campicello, e soprattutto non agitarti e non darti troppa pena, ma sii libero e guarda la realtà da uomo, da essere umano, da cittadino, da essere mortale. E tra i principî che più dovranno stare a portata di mano quando ti ripiegherai su di essi, vi siano i due seguenti. Il primo: le cose non toccano l’anima, ma stanno immobili all’esterno, mentre i turbamenti vengono soltanto dall’opinione che si forma all’interno. Il secondo: tutto quanto vedi, tra un istante si trasformerà e non sarà più; e pensa continuamente alla trasformazione di quante cose hai assistito di persona. Il cosmo a mutamento, la vita a opinione.

4              Se l’intelligenza a comune a noi uomini, a comune anche la ragione, in virtù della quale siamo esseri razionali;
se così, a comune anche la ragione che ordina ciò che deve o non deve essere fatto; se così, a comune anche la legge; se così, siamo concittadini; se così, partecipiamo di un organismo politico; se così, il cosmo a come una città. Di quale altro organismo politico comune, infatti, si potrà dire partecipe l’intera umanità? E di qui, da questa città comune, ci viene la nostra stessa intelligenza, ragione, legge; da dove, altrimenti? Infatti, come ciò che in me vi a di terreno a particella ricavata da una qualche terra, l’umido da un altro elemento, il soffio vitale da una sorgente, il calore e il fuoco

da una loro specifica fonte – perché nulla viene dal nulla, come neppure finisce nell’inesistente -, così appunto anche l’intelligenza ha origine da qualcosa.

5              La morte a, tale quale la nascita, un mistero della natura: aggregazione degli stessi elementi agli stessi
elementi; non certo, insomma, qualcosa di cui ci si debba vergognare: infatti non contrasta con la condizione di un essere razionale né contrasta con il criterio della sua costituzione.

6              Questo a il prodotto inevitabile di individui che abbiano una simile natura: chi non lo accetta, non accetta che il
fico abbia il lattice. Insomma, ricòrdati di questo; in men che si dica sarete morti sia tu sia costui, e fra poco di voi non restery neppure il nome.

7              Cancella l’opinione: a cancellato il «sono stato danneggiato». Cancella il «sono stato danneggiato»: a
cancellato il danno.

8              Ciò che non rende un uomo peggiore di quel che a, non rende peggiore neppure la sua vita, e non la danneggia,
né dall’esterno né dall’interno.

9              La natura dell’utile non può produrre che questo.

10           Tutto ciò che avviene avviene giustamente: lo verificherai, se osservi con attenzione. Non dico soltanto nel

senso che avviene in giusta conseguenza, ma nel senso che avviene secondo giustizia e come per opera di qualcuno che assegna quanto spetta secondo il merito. Quindi osserva questo principio, come hai cominciato a fare, e in qualunque azione agisci con il presupposto di essere buono, nel senso in cui a propriamente inteso l’essere «buono». Mantieni questa esigenza in ogni azione.

11           Non formarti opinioni in analogia ai giudizi che il prepotente formula o vorrebbe che tu formulassi, ma guarda
le cose in sé, quali sono in verity.

12           Bisogna tenere sempre pronte queste due regole: la prima, compiere soltanto ciò che la ragione di sovrano e
legislatore suggerisce per il bene degli uomini; la seconda, cambiare parere se accanto c’a qualcuno in grado di correggerti o staccarti da una determinata convinzione. Questa conversione, tuttavia, deve sempre avvenire per verosimili ragioni di giustizia o utility sociale, e ciò che fa mutare strada deve essere solo di questa natura, non qualcosa che sia apparso fonte di piacere o di fama.

13           Hai la ragione? Sì. Allora perché non la usi? Quando essa, infatti, svolge il proprio cómpito, che altro vuoi?

14           Sei venuto al mondo come parte. Scomparirai dentro ciò che ti ha generato, o meglio sarai riassunto, attraverso

trasformazione, nella sua ragione seminale.

15           Molti granelli di incenso sullo stesso altare: uno a caduto prima, l’altro dopo, ma non fa nessuna differenza.

16           Entro dieci giorni sembrerai un dio a quelli stessi a cui ora sembri una belva e una scimmia, se ritorni ai

principî e al culto della ragione.

17           Non vivere come se dovessi vivere migliaia di anni. Il fato incombe: finché vivi, finché a possibile, diventa
virtuoso.

18           … quanto tempo libero guadagna chi non guarda che cosa il prossimo ha detto, fatto o pensato, ma soltanto le
proprie azioni, perché siano giuste e pie, cioa conformi all’uomo virtuoso. Non voltarti intorno a guardare un carattere malvagio, ma corri dritto lungo la linea, senza lasciarti deviare.

19           Chi spasima per la sua gloria postuma nòn pensa che anche ognuno di quelli che lo ricordano al più presto
moriry, e poi sary il turno di chi avry preso il suo posto, finché il ricordo di lui, avvicendandosi tra vite che si accendono e spengono, si estinguery completamente. Ma supponi pure che siano immortali coloro che ricorderanno, e immortale il ricordo: ebbene, che senso ha tutto questo per te? E non dico soltanto che non ha senso per il defunto: ma, anche per chi a vivo, che senso ha la lode? (a prescindere da una sua funzione strumentale). Adesso, infatti, tu trascura pure inopportunamente la dote naturale, dedicandoti a un’altra ragione; poi [...]

20           Tutto quel che per qualsivoglia ragione a bello, a bello di per se stesso e si conclude in se stesso, senza che la
lode ne costituisca una parte. Ciò che a lodato, quindi, non diviene per questo peggiore né migliore. Lo dico anche a proposito delle cose comunemente definite belle, ad esempio gli oggetti materiali e i prodotti artistici. Invece, ciò che a veramente bello di che altro ha bisogno? Di nulla, esattamente come la legge, come la verity, come la benevolenza o il pudore. Quale di queste cose a bella se a lodata o perde valore se a biasimata? Uno smeraldo diventa peggiore di quel che a, se non viene lodato? E l’oro, l’avorio, la porpora, una lira, un pugnale, un fiorellino, un alberello?

21           Se le anime persistono, come può l’aria contenerle tutte dall’eternity? E come può la terra contenere i cadaveri
di chi, da tanto tempo, vi viene sepolto? Infatti, come quaggiù la trasformazione e il dissolvimento di questi, dopo una determinata persistenza, fanno spazio ad altri morti, così le anime che trasmigrano nell’aria, dopo essersi mantenute per un dato periodo di tempo, si trasformano, si effondono e deflagrano venendo riassunte nella ragione seminale dell’universo, e in questo modo procurano spazio alle anime che continuano ad aggiungersi ad esse. Questa può essere la risposta nell’ipotesi che le anime persistano. Non bisogna, però, considerare soltanto la quantity di cadaveri che si seppelliscono in questo modo, ma anche quella degli animali che ogni giorno sono mangiati da noi e da tutti gli altri animali. Quanto a grande, infatti, il numero degli animali che vengono consumati e così, in certo modo, vengono seppelliti nel corpo di chi se ne nutre? Eppure c’a abbastanza spazio per accoglierli, grazie all’assimilazione in sangue, alla trasformazione in elemento aereo o igneo.

In questo caso, qual a la via per raggiungere la verity? La distinzione tra materia e causa.

22           Non vagare a vuoto, ma in ogni impulso rendi ciò che a giusto e in ogni rappresentazione conserva la facolty di
comprendere.

23           È in armonia con me tutto ciò che a in armonia con te, o cosmo; nulla di ciò che per te cade al momento

opportuno a precoce o tardivo per me. È un frutto per me tutto ciò che recano le tue stagioni, o natura: tutto da te, tutto in te, tutto a te. Quel tale dice: «O cara città di Cecrope»; e tu non dirai: «O cara città di Zeus»?

24           «Fai poco» dice «se vuoi esser sempre sereno». Non sarà meglio fare il necessario e quanto prescrive la
ragione di un essere sociale per natura, e nel modo in cui lo prescrive? Questo, infatti, porta non solo la serenità che viene dall’agire secondo virtù, ma anche quella che deriva dall’agire poco. Perché se uno elimina la maggior parte delle nostre parole e azioni, in quanto non necessarie, avrà più tempo libero e una quiete più sicura. Per cui, in ogni singola circostanza, bisogna ricordare a se stessi: «Ma questo non sarà qualcosa di non necessario?». E non si devono eliminare soltanto le azioni non necessarie, ma anche le rappresentazioni non necessarie: perché così non ne seguiranno neppure azioni superflue.

25           Verifica come ti riesce la vita dell’uomo virtuoso, pago di ciò che, entro le cose dell’universo, gli viene
assegnato in sorte, contento del proprio giusto agire e della propria disposizione benevola.

26           Hai visto quelle cose? Guarda anche queste! Non turbare te stesso: semplìficati. Qualcuno sbaglia? Sbaglia a
suo danno. Ti a successo qualcosa? Bene: tutto quel che ti succede, fin dall’inizio, era stato riservato, entro le cose dell’universo, per essere assegnato a te e intrecciato con la tua vita. Insomma: la vita a breve; bisogna sfruttare il presente con oculatezza e nel rispetto della giustizia. Sii sobrio, ma con elasticità.

27           O un cosmo ordinato o un miscuglio raccolto insieme: ma, ancora, un cosmo. Oppure a possibile che in te
esista un ordine e nell’universo il disordine, quando per giunta tutte le cose risultano così distinte, diffuse e solidali?

28           …un carattere malvagio, un carattere femmineo, un carattere duro, feroce, bestiale, puerile, inerte, falso, da
buffone, da mercante, da tiranno.

29           Se a straniero nel cosmo chi non conosce ciò che sta nel cosmo, non meno straniero a chi non conosce ciò che
vi accade. Fuoruscito a chi si allontana dalla ragione su cui si regge la società; cieco chi chiude l’occhio dell’intelletto; mendico chi ha bisogno di un altro e non ricava da sé tutto ciò che serve per la vita; ascesso del cosmo chi recede e si stacca, scontento degli eventi, dalla ragione della natura comune: a quella, infatti, che li produce, la stessa che ha prodotto anche te; scheggia della città chi schianta la propria anima da quella degli esseri razionali, che a una sola.

30           Uno pratica la filosofia senza tunica, un altro senza libro. Quest’altro seminudo dice: «Non ho pane e resto
fedele alla dottrina». Quanto a me, non ho il nutrimento che viene dagli studi, e le resto fedele.

31           Ama l’arte che hai imparato, acquiatati in essa: e trascorri il resto della vita come chi ha rimesso agli dai, con
tutta l’anima, ogni suo bene, senza farsi tiranno o schiavo di nessuno.

32           Pensa, per esempio, ai tempi di Vespasiano, e vedrai le stesse cose: gente che si sposa, tira su i figli, si ammala,
muore, combatte, festeggia, commercia, coltiva, adula, si chiude nel suo orgoglio, sospetta, trama, prega che qualcuno muoia, brontola per la situazione in cui si trova, fa l’amore, accumula tesori, ambisce al consolato, al trono. Ebbene: quella gente non esiste più, in nessun luogo. Passa poi ai tempi di Traiano: vedrai ancora le medesime cose, senza eccezione: anche quella generazione a morta. Allo stesso modo osserva anche gli altri titoli sotto cui si registra la storia di epoche e interi popoli, e guarda quanti, dopo essersi tanto affannati, in breve tempo caddero e furono dissolti negli elementi. Ma soprattutto bisogna richiamare alla mente quelli che tu stesso hai visto stremarsi in vane fatiche, trascurando di compiere quanto era conforme alla propria costituzione, di tenerlo ben stretto e di accontentarsene. Qui, però, a necessario ricordare che anche l’attenzione dedicata a ogni singola azione ha un suo valore e una sua appropriata misura: non ti sentirai avvilito, infatti, solo se non ti applicherai per più tempo del dovuto a cose di minor conto.

33           Le parole che un tempo erano usuali ora sono lemmi in disuso; così pure i nomi di personaggi un tempo
celebrati ora sono, in un certo senso, voci obsolete: Camillo, Cesone, Voleso, Dentato – e tra poco lo diverranno anche Scipione e Catone, poi anche Augusto, e poi anche Adriano e Antonino. Perché tutto presto svanisce e diviene mito: e presto lo seppellisce un totale oblio. E questo dico a proposito di chi visse in un prodigioso alone di gloria: perché gli altri, come esalano l’ultimo respiro, restano ignoti, non lasciano traccia. Del resto cos’a, in sostanza, un ricordo imperituro? Il vuoto totale. Ma cos’a, allora, ciò in cui ci si deve impegnare? Unicamente questo: un pensiero ispirato a giustizia, azioni tese al bene comune, una parola che non inganni mai e una disposizione che di cuore abbracci tutto ciò che avviene, in quanto necessario, già noto, derivante da un tale principio e da una tale sorgente.

34           Conségnati spontaneamente a Cloto, lasciando che ti intrecci con qualsiasi fatto voglia.

35           Tutto effimero, sia il soggetto che ricorda, sia il soggetto ricordato.

36           Osserva continuamente che tutto nasce per trasformazione e abituati a pensare che la natura del tutto nulla ama

come trasformare l’esistente e produrre cose nuove che gli somiglino. Tutto ciò che a, infatti, in un certo modo a seme di quello che ne sarà. Tu invece ti rappresenti come seme soltanto quello che penetra nella terra o nell’utero: ma questo significa proprio non avere istruzione filosofica!

37           Presto sarai morto, e ancora non sei semplice, imperturbabile, certo di non poter subire danno dall’esterno,
benevolo verso tutti; e ancora non riponi la saggezza unicamente nell’agire secondo giustizia.

38           Osserva il loro principio dirigente, e quali cose rifuggono le persone sagge, quali invece inseguono.

39           Il tuo male non può stare nel principio dirigente di un altro, e neppure in qualche mutamento e alterazione di

quel che ti circonda. Dove, allora? Nella parte di te che formula opinioni intorno ai mali. Ebbene, tale parte non formuli opinioni, e tutto andrà bene. Anche se ciò che le sta più vicino, il corpo, viene tagliato, bruciato, anche se va in suppurazione, in cancrena, la parte che formula opinioni su tutto questo resti quieta, cioa non giudichi male né bene nulla che possa indifferentemente accadere a un uomo malvagio e a uno buono. Perché quello che accade parimenti a chi vive contro natura e a chi vive secondo natura non a né secondo né contro natura.

40           Pensa continuamente al cosmo come a un solo essere che racchiude una sola sostanza e una sola anima, e

pensa come tutto pervenga a una sola sensazione, la sua, come quest’essere compia tutto per un solo impulso, come tutte le cose siano concausa di tutti gli eventi, e quale sia il loro fitto intrecciarsi e connettersi.

41           Sei un’animuccia che porta un cadavere, come diceva Epitteto.

42           Per ciò che si trova in corso di trasformazione non può esservi nulla di male, come neppure può esservi nulla di

bene per ciò che sorge da una trasformazione.

43           L’eternity a come un fiume formato dagli eventi e una corrente impetuosa: ogni singola cosa, infatti, appena
cade sott’occhio a giy passata oltre, e ne passa un’altra, che a sua volta sary trascinata via.

44           Tutto ciò che accade a abituale e noto così come la rosa in primavera e la frutta in estate: lo stesso vale, in
effetti, anche per la malattia, la morte, la calunnia, le trame, e quanto rallegra o addolora gli sciocchi.

45           La conseguenza sussegue all’antecedente secondo un vincolo di affinity: perché non si tratta di una serie di fatti
indipendenti, retta solo da una legge di necessity, ma di una stretta connessione razionale; e come la realty a armonicamente coordinata, così gli eventi presentano non una nuda successione, ma una specie di mirabile affinity.

46           Ricorda sempre l’opinione di Eraclito: «morte della terra a divenire acqua e morte dell’acqua divenire aria e
dell’aria divenire fuoco e viceversa». Ricorda anche «chi dimentica dove conduce la via»; e che «gli uomini sono in contrasto proprio con quello con cui sono nel rapporto più assiduo, con la ragione che governa il tutto, e a loro sembrano estranee proprio le cose in cui si imbattono quotidianamente»; e «non si deve agire e parlare come durante il sonno» (anche allora, infatti, ci sembra di agire e di parlare); e non bisogna «quali figli dei genitori…», cioa in base al puro principio del «come abbiamo appreso».

47           Come, se uno degli dai ti dicesse: «Entro domani o al massimo dopodomani sarai morto», non daresti grande
importanza al morire dopodomani invece che domani, a meno di essere meschino fino in fondo (quanto vale, infatti, un simile scarto di tempo?); così pure non credere che sia un grande affare morire tra molti anni invece che domani.

48           Pensa continuamente quanti medici sono morti, dopo aver tante volte aggrottato le sopracciglia sui loro
pazienti; quanti astrologi, dopo aver predetto la morte di altri con l’aria di emettere un’importante previsione; quanti filosofi, dopo mille estenuanti dispute sulla morte o sull’immortality; quanti eroi, dopo aver ucciso tanti uomini; quanti tiranni, dopo aver esercitato il potere di vita e di morte con terribile superbia, quasi fossero immortali; e quante intere citty sono, per così dire, morte: Elice, Pompei, Ercolano e innumerevoli altre. Passa in rassegna anche tutti quelli che conosci, uno dopo l’altro: questo ha seppellito quello, poi a stato disteso sul letto di morte, quest’altro ha fatto lo stesso con quell’altro, e così via: e tutto in breve tempo. Insomma, guarda sempre la realty umana come effimera e vile – ieri un po’ di muco, domani mummia o cenere. Questo infinitesimale frammento di tempo, quindi, trascorrilo secondo natura e concludilo in serenity, come l’oliva che, ormai matura, cadesse lodando la terra che l’ha prodotta e ringraziando l’albero che l’ha generata.

49           Sii come il promontorio, contro cui si infrangono incessantemente i flutti: resta immobile, e intorno ad esso si
placa il ribollire delle acque.

«Me sventurato, mi a capitato questo». Niente affatto! Semmai: «Me fortunato, perché anche se mi a capitato questo resisto senza provar dolore, senza farmi spezzare dal presente e senza temere il futuro». Infatti una cosa simile sarebbe potuta accadere a tutti, ma non tutti avrebbero saputo resistere senza cedere al dolore. Allora perché vedere in quello una sfortuna anziché in questo una fortuna? Insomma, chiami sfortuna per un uomo ciò che non a un insuccesso della natura umana? E ti pare un insuccesso della natura umana ciò che non va contro il volere di tale natura? E allora? Hai appreso qual a il suo volere: sary forse quel che ti a capitato a impedirti di essere giusto, magnanimo, temperante, assennato, non precipitoso, sincero, riservato, libero, dotato di tutte le altre quality che, quando sono insieme presenti, consentono alla natura dell’uomo di possedere ciò che le a proprio? Ricorda poi, ad ogni evento che ti induca a soffrire, di far uso del seguente principio: «questo fatto non a una sfortuna, mentre a una fortuna sopportarlo nobilmente».

50           Aiuto non filosofico, ma comunque produttivo per il disprezzo della morte, a richiamare alla mente coloro che
si sono tenacemente aggrappati alla vita. Ebbene, che hanno avuto di più rispetto a chi ha avuto una fine prematura? Giacciono pur sempre, da qualche parte, Cediciano, Fabio, Giuliano, Lepido e gli altri come loro, che ne avevano seppelliti tanti, e poi sono stati seppelliti! Insomma, la differenza di tempo a piccola, e, per giunta, da scontare con quante sofferenze, con quale compagnia e in quale corpo! Quindi non considerarla un affare. Guarda dietro di te l’abisso dell’eternity, e, davanti a te, un altro infinito. In questa dimensione che differenza c’a tra vivere tre giorni o tre volte gli anni di Nestore?

51           Corri sempre per la via più breve – la via più breve a quella secondo natura – così da parlare e agire sempre nel
modo più valido. Un simile proposito, infatti, libera dalle fatiche di una campagna militare, di ogni incombenza di governo, dell’eccessiva raffinatezza.

LIBRO V

1              All’alba, quando ti svegli di malavoglia, tieni sottomano questo pensiero: «Mi sveglio per svolgere il mio

compito di uomo; e ancora protesto per avviarmi a fare quello per cui sono nato e per cui sono stato introdotto nel cosmo? O forse sono stato fatto per restare a letto a scaldarmi sotto le coperte?». «Questo, però, a più piacevole». Sei nato, allora, per godere? Il che, insomma, non significa forse: per essere passivo? O, invece, sei nato per essere attivo?

Non vedi che le piante, i passeri, le formiche, i ragni, le api svolgono il proprio cómpito, collaborando per la loro parte alla vita dell’universo? E tu, allora, non vuoi fare ciò che a proprio dell’uomo, non corri verso ciò che a secondo la tua natura? «Ma a necessario anche riposarsi». È necessario, lo dico anch’io: la natura, però, ha posto una misura anche per questo, ne ha posto una anche per il mangiare e il bere; e tu, ciò non ostante, vai al di ly della misura, al di ly di quel che a sufficiente? Non lo fai più, però, quando si tratta di agire: allora ti tieni «nei limiti del possibile»! Non ami te stesso: perché in tal caso ameresti anche la tua natura e la sua volonty. Altri, che amano il proprio lavoro, vi consumano ogni energia, saltando il bagno, saltando i pasti: tu onori la tua natura meno di quanto il cesellatore onori il cesello o il danzatore la danza o l’avaro il denaro o il vanaglorioso la sua misera gloria? Eppure costoro, quando si appassionano, sono disposti a non mangiare e a non dormire pur di veder crescere l’opera in cui sono impegnati: a te invece le azioni ispirate al bene della comunity sembrano di minor valore, meno degne di attenzione?

2              Come a facile respingere e cancellare ogni rappresentazione molesta o impropria, e trovarsi sùbito in una calma
assoluta.

3              Ritieniti degno di ogni parola e azione che siano conformi a natura; e non cedere al pensiero che ne possano
conseguire le critiche o le chiacchiere di alcuni, ma, se a bene che una cosa sia fatta o detta, non giudicartene indegno. Quelli, infatti, hanno un proprio principio dirigente e seguono un proprio impulso: tu non tenerne conto, ma raggiungi la meta per la via dritta, seguendo la tua natura personale e quella comune: una sola, per entrambe, a la strada.

4              Procedo attraverso ciò che a secondo natura, finché, caduto, riposerò, esalando l’ultimo respiro in ciò da cui
ogni giorno traggo respiro, cadendo su ciò da cui mio padre raccolse lo sperma, mia madre il sangue e la mia nutrice il latte, ciò da cui ogni giorno, da tanti anni, traggo cibo e bevanda, ciò che mi sostiene mentre lo calpesto e lo sfrutto per tante cose.

5              Non possono ammirare il tuo acume. D’accordo, ma possono ammirare molte altre doti, per le quali non puoi
dire: «La natura non mi ha dato questa quality». Metti in campo, quindi, quelle che dipendono interamente da te: la genuinity, la seriety, la resistenza a fatiche e dolori, l’indifferenza al piacere, la piena accettazione della sorte, la sobriety nelle esigenze, la benevolenza, la liberty, la semplicity, l’avversione per le chiacchiere, la magnanimity. Non ti accorgi quante doti – per le quali non puoi assolutamente accampare di non aver disposizione naturale o attitudine – sei giy in grado di mettere in atto e, ciò non ostante, continui volontariamente a restare al di sotto dei tuoi mezzi? O a forse la scarsa disposizione naturale che ti costringe a mormorare, a esser gretto, adulare, lagnarti del tuo povero corpo, mostrarti compiacente, millantare, ondeggiare tanto nell’anima? No, per gli dai: anzi, di tali atteggiamenti ti saresti potuto liberare da tempo, o, semmai, avresti potuto essere giudicato solo poco pronto e poco dotato d’ingegno. Ma anche in questo bisogna esercitarsi, invece di trascurare il problema e crogiolarsi nel torpore.

6              Ci sono persone pronte, quando hanno conseguito un merito presso qualcuno, a mettergli in conto il favore. C’a
chi a questo non arriva, e tuttavia dentro di sé considera l’altro un debitore ed a ben consapevole di ciò che ha fatto. Ci sono poi altri che, in certo modo, non sono neppure consapevoli di quello che hanno fatto, ma assomigliano alla vite che produce il grappolo e, una volta che ha prodotto il proprio frutto, non cerca altro – come pure il cavallo che compiuto la sua corsa, il segugio che ha lavorato sulle peste, l’ape che ha fatto il miele. E un uomo che ha agito bene non si mette a gridarlo, ma passa a un’altra azione, come la vite passa a produrre ancora, quando a stagione, il grappolo. Ora, bisogna appartenere al novero di queste persone che agiscono così: in certo modo, senza rendersene conto. «Sì – diry qualcuno – eppure proprio di questo occorrerebbe rendersi conto, perché a caratteristica dell’essere sociale comprendere di agire per la society, e, per Zeus, esigere che lo comprendano anche gli altri componenti della society». Quello che dici a vero, ma fraintendi ciò di cui si sta parlando ora; perciò sarai uno di quelli che ho ricordato prima: anche loro, infatti, si lasciano fuorviare da una parvenza di logica. Se però vorrai comprendere di cosa mai si stia parlando, non temere di dover per questo trascurare alcuna azione utile alla comunity.

7              Preghiera degli Ateniesi: «Piovi, piovi, o caro Zeus, sui campi e sulla piana degli Ateniesi». O non si deve
pregare, o si deve farlo così, semplicemente e schiettamente.

8              Come si dice: «Asclepio ha ordinato al tale di cavalcare, o di lavarsi con l’acqua fredda o di camminare
scalzo», così pure si può dire: «la natura universale ha ordinato al tale una malattia o una menomazione o una perdita o simili». Infatti nel primo caso «ha ordinato» significa all’incirca «ha disposto per lui questa cura, in quanto idonea alla sua salute»; e anche nel secondo caso ciò che accade a ciascuno a stato in certo modo disposto in quanto idoneo al suo destino. Così pure diciamo che le cose «avvengono» come gli architetti dicono che le pietre squadrate «convengono», nelle mura o nelle piramidi, perché si adattano l’una all’altra in un determinato assetto. Nell’insieme, infatti, l’armonia a una sola, e come dal complesso di tutti i corpi si realizza un simile corpo – il cosmo -, così dal complesso di tutte le cause si realizza una simile causa: il destino. E anche coloro che sono completamente sprovvisti di istruzione filosofica capiscono di cosa parlo; dicono infatti: «il destino gli ha portato questo». Quindi: questo a stato portato a lui, questo a stato disposto per lui. Allora accettiamo queste prescrizioni come quelle di Asclepio. Anche tra esse ve ne sono molte pesanti, ma noi le accettiamo volentieri nella speranza di ottenere la salute. Considera la compiuta realizzazione di ciò che pare bene alla natura comune come la tua salute. E così accetta di cuore tutto ciò che avviene, anche se ti risulta alquanto aspro, perché conduce ly, alla salute del cosmo, al pieno e felice successo di Zeus. Egli, infatti, non avrebbe mai portato questo evento a qualcuno, se questo evento non avesse comportato un vantaggio per l’universo: né una qualsivoglia natura arreca qualcosa che non sia adatto a ciò che a governato da essa. Perciò devi amare quel che ti accade per due ragioni: la prima, perché a per te che doveva avvenire, per te a stato disposto e con te stava in un determinato rapporto, intessuto, indietro nel tempo, con i fili delle cause più antiche; la seconda, perché per colui che governa il tutto anche ciò che tocca singolarmente a ciascuno a fattore che contribuisce alla prosperity, alla compiutezza

e, per Zeus, alla sussistenza stessa. L’intero viene mutilato, infatti, se dal complesso e dalla compagine tu amputi anche solo una delle parti e così pure delle cause; e, per quanto sta in te, quando ti senti in contrasto con il tutto tu amputi e in certo modo sottrai.

9              Non disgustarti, non scoraggiarti, e non avvillrti se non ti riesce stabilmente di compiere ogni singola azione
secondo retti principî, ma, dopo un insuccesso, ripercorri di nuovo i tuoi passi e sii già contento, se le tue azioni sono per la maggior parte più degne di un uomo, e ama ciò a cui ritorni, e non ritornare alla filosofia come a un pedagogo, ma come i malati agli occhi ritornano alla spugnetta e all’uovo, come altri all’impiastro, al fomento. In questo modo, infatti, non ostenterai per nulla la tua obbedienza alla ragione, ma troverai quiete in essa. Ricorda, però, che la filosofia vuole unicamente ciò che vuole la tua natura, mentre tu volevi altro, non conforme a natura. Del resto, cosa c’a di più attraente di ciò che a conforme a natura? Il piacere non inganna forse proprio perché attrae? Ma allora osserva se non seduca di più la magnanimità, la libertà, la semplicità, la mitezza, la devozione agli dai. E cosa attrae più della saggezza stessa, quando consideri che la facoltà di comprendere e conoscere con esattezza assicurano un cammino esente da errori e sicuro in ogni circostanza?

10           La realtà, in certo modo, a avvolta in un tale viluppo da essere apparsa assolutamente inafferrabile a non pochi
filosofi, e non a filosofi qualsiasi (per non dire che agli stoici stessi appare difficilmente afferrabile). E ogni nostro assenso a mutevole: dov’a, infatti, l’uomo che non muta mai? Passa quindi a considerare direttamente gli oggetti, come abbiano breve durata e scarso valore e possano appartenere a un invertito o a una prostituta o a un brigante. Dopo di che passa a considerare il carattere di coloro che ti vivono accanto: si fa fatica a sopportare anche il più amabile di loro, per non dire che uno fatica a tollerare anche se stesso. Ora, in una simile oscurità, in una simile lordura, in tanto fluire della sostanza, del tempo e del movimento e di ciò che a in moto, non riesco a vedere cosa possa mai esserci che meriti il nostro apprezzamento o, in ogni caso, il nostro impegno. Al contrario: bisogna confortare se stessi e attendere la soluzione naturale, e non spazientirsi per l’attesa, ma trovar quiete in queste sole considerazioni: la prima, che non mi succederà nulla che non sia conforme alla natura universale; la seconda, che non mi a consentito fare nulla contro il mio dio e demone. Non c’a nessuno, infatti, che possa costringermi a trasgredire il suo volere.

11           Per quale scopo debbo usare ora la mia anima? In ogni singola circostanza poniti questa domanda e verifica:
«Cosa c’a, ora, in questa parte di me che chiamano principio dirigente, e di chi, ora, ho l’anima: di un bambino? di un ragazzino? di una donnetta? di un tiranno? di un animale da allevamento? di un animale selvatico?».

12           Quale sia la natura delle cose che ai più sembrano beni, puoi capirlo anche da questo ragionamento. Se uno
considera come veri beni taluni che effettivamente lo sono, come la saggezza, la temperanza, la giustizia, la fortezza, dopo averli così concepiti non può più stare ad ascoltare quel verso: «per i beni…», perché non risponde alla sua situazione. Mentre chi valuta come beni quelli che ai più sembrano tali ascolterà fino in fondo la frase del poeta comico e non avrà difficoltà ad accettarla, giudicandola appropriata. Così anche i più hanno idea della differenza: altrimenti non succederebbe che, nel primo caso, l’espressione urti e venga respinta, nel secondo, invece, accettiamo come conveniente e spiritosa la battuta sulla ricchezza e sui colpi di fortuna che portano lusso o gloria. Prosegui, allora, e chiediti se si debbano onorare e ritenere beni cose tali che, dopo averle così valutate, pare appropriato aggiungere che chi le possiede «non ha più», per la sua ricchezza, «dove poter cacare».

13           Sono composto di elemento causale ed elemento materiale; nessuno dei due si perderà nel nulla, come neppure
a sorto dal nulla. Pertanto ogni mia parte, attraverso trasformazione, sarà ricondotta a una parte del cosmo, e a sua volta quella si trasformerà in un’altra parte del cosmo e così via all’infinito. Anch’io esisto come prodotto di tale trasformazione, e così i miei genitori, e così via, procedendo a ritroso, ancora all’infinito. Nulla, infatti, impedisce di esprimersi in questo modo, anche nell’eventualità che il cosmo sia governato per cicli definiti.

14           La ragione e l’arte di ragionare sono facoltà sufficienti a se stesse e al loro operato. Muovono, quindi, da un
proprio principio, e procedono verso il fine proposto; di conseguenza, simili azioni vengono chiamate «azioni rette», a indicare il loro percorso rettilineo.

15           L’uomo non deve occuparsi di nessuna delle cose che non convengono all’uomo in quanto tale. Non sono
esigenze dell’uomo, non le ripromette la natura umana, non danno compiutezza alla natura umana. Quindi in esse non si trova neppure il fine posto all’uomo né ciò che realizza compiutamente tale fine, il bene. Ancora: se una di queste cose convenisse all’uomo, non sarebbe conveniente disprezzarle e combatterle, e non sarebbe degno di lode chi mostrasse di saperne fare a meno, né, se davvero queste cose fossero beni, sarebbe virtuoso chi si pone dei limiti in alcuna di esse. Ora, invece, uno a tanto più virtuoso quanto più accetta di privarsi di queste e altre simili cose, o di esserne privato da altri.

16           Quali saranno le tue rappresentazioni ricorrenti, tale sarà la tua mente: le rappresentazioni, infatti, impregnano
l’anima con il proprio colore. Pertanto impregnala continuamente con rappresentazioni quali, per esempio: «dove si può vivere, si può anche vivere bene; a corte si può vivere; quindi a corte si può anche vivere bene». E, ancora: «ogni singolo essere muove verso ciò per cui a stato prodotto; il suo fine sta in ciò verso cui muove; dove sta il fine, là sta anche l’utile e il bene di ciascun essere; il bene dell’essere razionale, quindi, a vivere in società». Infatti a da tempo dimostrato che siamo nati per la vita in società. O non era evidente che gli esseri inferiori esistono per quelli superiori, e quelli superiori esistono gli uni per gli altri? E gli esseri animati sono superiori agli esseri inanimati, gli esseri razionali agli esseri semplicemente animati.

17           Inseguire l’impossibile a da folli: ed a impossibile che i malvagi non facciano cose del genere.

18           A nessuno accade nulla che egli non possa per natura sopportare. A un altro accadono le stesse cose e questi, o

perché ignora che gli sono accadute, o perché vuole esibire grandezza d’animo, resta ben saldo e ne esce senza danno. È grave, quindi, che ignoranza e compiacimento siano più forti della saggezza.

19           Le cose di per sé non sfiorano in alcun modo l’anima, né hanno accesso alcuno all’anima, né possono
modificare o muovere l’anima; essa soltanto modifica e muove se stessa, e rende per sé le cose che la raggiungono dall’esterno tali quali sono i giudizi che su di esse si ritiene degna di esprimere.

20           Per un verso abbiamo il più stretto legame con gli uomini, in quanto dobbiamo far loro del bene e sopportarli;
per l’altro, invece, in quanto certuni mi ostacolano nello svolgimento del mio specifico operato, gli uomini divengono per me una delle cose indifferenti, non meno del sole o del vento o di una belva. Ora, questi possono sì intralciare un’attivity, ma l’impulso e la disposizione non hanno ostacoli, poiché ricorrendo alla riserva li abbattono. Il pensiero, infatti, travolge e trasforma ogni ostacolo alla sua attivity nel vero valore che la guida, e così ciò che frenava quella data azione diviene utile all’azione e ciò che sbarrava quella data via aiuta a percorrerla.

21           Degli esseri che si trovano nel cosmo onora il migliore: a quello che di tutto dispone e tutto governa. Allo
stesso modo, anche di quanto si trova in te onora il meglio: a ciò che condivide la natura di quell’essere supremo; anche in te, infatti, a quello che dispone di tutto il resto, e la tua vita a sotto il suo governo.

22           Ciò che non a dannoso alla citty, non danneggia neppure il cittadino. Ad ogni rappresentazione di un danno
subito, applica questa regola: se la citty non a danneggiata da questo, non risulto danneggiato neppure io. E se la citty non riceve danno, non ci si deve adirare con l’autore dell’azione dannosa, ma mostrargli qual a la sua mancanza.

23           Considera spesso la rapidity del passaggio e della scomparsa degli esseri e degli avvenimenti. La sostanza,
infatti, a come un fiume che scorre ininterrottamente, le attivity soggiacciono a continue trasformazioni, le cause a migliaia di modificazioni e non c’a pressoché nulla di stabile; e considera, proprio qui accanto, questo infinito abisso del passato e del futuro, in cui tutto scompare. Come può, dunque, non essere folle chi in questa situazione a tanto pieno di sé o spasima o si lamenta come se il suo tormento dovesse durare a lungo?

24           Ricorda l’intera sostanza, della quale partecipi in entity minima; l’intera eternity, di cui ti a stato assegnato un
breve, infinitesimale intervallo; e il destino, di cui tu quale minuscola parte sei?

25           Un altro commette una colpa nei miei confronti? Se la vedry lui: ha una propria disposizione interna, una
propria attivity. Io ora ho ciò che la natura comune vuole che io ora abbia, e faccio ciò che la mia natura vuole che io ora faccia.

26           Il principio dirigente e sovrano della tua anima sia una parte immodificabile dai movimenti dolci o aspri che si
verificano nella carne, e non vi si mescoli, ma circoscriva se stesso e confini quelle passioni nei loro organi. Qualora invece si propaghino fino alla mente attraverso l’altro genere di simpatia – come cioa avviene nell’ymbito di un corpo che a unico -, allora non si deve tentare di contrastare il passo alla sensazione, che a naturale, ma il principio dirigente non aggiunga di suo l’opinione che si tratti di bene o di male.

27           Vivere con gli dai. Vive con gli dai chi continuamente mostra loro la propria anima soddisfatta di ciò che gli
viene assegnato in sorte, e in atto di compiere quanto vuole il demone che Zeus, quale frammento di sé, ha dato a ciascuno perché lo guidi e lo diriga. Questo demone a l’intelletto e la ragione di ciascuno.

28           Ti adiri forse con chi puzza di caprone? Ti adiri forse con chi ha l’alito pesante? E che ti fary mai? Ha la bocca
che si ritrova, ha le ascelle che si ritrova: a inevitabile che dalla condizione in cui si trova derivino simili effluvi. «Ma l’uomo – si obietta – possiede la ragione e può comprendere, riflettendo, in che cosa sbaglia». Benissimo! Quindi anche tu possiedi la ragione: con la tua disposizione razionale smuovi la sua disposizione razionale, indicagli, richiamagli l’errore. Se ti ascolta, lo curerai e non ci sary bisogno di adirarsi.

Né attore tragico né prostituta.

29           Qui a possibile vivere nello stesso modo in cui pensi di vivere una volta uscito di qui. E se non te lo dovessero
permettere, allora esci anche dalla vita: come chi, però, non patisce per questo nulla di male. C’a fumo, e quindi me ne vado: perché credi che sia un fatto importante? Finché, però, nulla di simile mi spinge a uscire, rimango libero e nessuno mi potry impedire di fare quello che voglio; e il mio volere a conforme alla natura dell’essere razionale e sociale.

30           La mente dell’universo a favorevole al vincolo sociale. Quindi ha prodotto gli esseri inferiori per quelli
superiori, e ha posto gli esseri superiori in reciproca connessione. Vedi come ha subordinato, coordinato e assegnato a ciascuno secondo il merito, e come ha condotto gli esseri eminenti a reciproca concordia.

31           …come ti sei comportato fino ad ora verso gli dai, i genitori, i fratelli, la moglie, i figli, i maestri, gli istitutori,
gli amici, i parenti, gli schiavi; se fino ad ora per te a valso, nei confronti di tutti, il principio di «non fare né dire ad alcuno nulla di ingiusto». Ricorda anche attraverso quali esperienze sei passato e quali sei riuscito a sopportare. E ricorda che ormai la storia della tua vita a compiuta e il tuo servizio a alla fine, e quante cose belle hai visto e quanti piaceri e dolori hai disprezzato, e quante occasioni di gloria hai trascurato, e con quanti ingrati sei stato benevolo.

32           Perché anime senz’arte e ignoranti confondono un’anima che ha arte e scienza? Ma qual a, allora, l’anima che
ha arte e scienza? Quella che conosce l’inizio e la fine e la ragione che attraversa l’intera sostanza e che lungo tutta l’eternity governa il tutto per periodi definiti.

33           In men che si dica, cenere o scheletro e semplice nome o neppure più nome; e il nome a solo rumore e voce che
risuona. Le cose che nella vita si considerano tanto preziose sono vuote, marce, piccole, botoli che si azzannano, bambini rissosi che ridono, e un attimo dopo piangono. La lealty, invece, il pudore, la giustizia e la verity «dalla terra dalle ampie strade» [sono volate] «sull’Olimpo». Allora che cos’a che ancora ti trattiene qui, visto che gli oggetti della

sensazione sono quanto mai mutevoli e instabili, gli organi della sensazione ottusi e corrivi a impressioni illusorie, la stessa povera anima a alito che evapora dal sangue, e aver buona fama presso gente come questa a cosa vacua? E allora? Attenderai sereno di estinguerti o trasmigrare? E finché non sarà giunto quel momento, che cosa basta fare? Che altro se non venerare e benedire gli dai, far del bene agli uomini e sopportarli, e astenersi, e ricordare che quanto cade fuori dei limiti della tua misera carne e del tuo misero soffio vitale non a tuo né in tuo potere?

34           Hai sempre la possibilità di fare un viaggio felice, poiché hai anche la possibilità di procedere per la retta via, e
conformare ad essa le tue opinioni e azioni. All’anima del dio e a quella dell’uomo e di ogni essere razionale sono comuni queste due facoltà: non essere impediti da altri e riporre il bene nella disposizione interna e nell’azione conformi a giustizia, portando ad esaurirsi qui ogni desiderio.

35           Se questa non a cattiveria mia né azione che avvenga per mia cattiveria, e se la comunità non ne viene
danneggiata, che interesse posso avere alla cosa? Quale danno ne viene alla società?

36           Non lasciarti trascinare totalmente dalla rappresentazione, ma presta il tuo aiuto agli altri secondo le tue
possibilità e secondo il loro merito, anche se il danno che lamentano riguarda le cose intermedie (ma, allora, non rappresentartelo come un danno: a una cattiva abitudine). Invece, come faceva quel vecchio che, al momento di andarsene, chiedeva la trottola del suo pupillo, ben ricordando che si trattava di una trottola, così appunto fai anche tu, qui [...]. Uomo, ti sei dimenticato di cosa si trattava? «Sì, lo ricordo bene: ma per costoro hanno grande importanza». E per questo, quindi, dovresti diventar pazzo anche tu?

37           Un tempo ero, in qualunque situazione fossi colto, un uomo fortunato; ma «fortunato» significa: che ha
assegnato a se stesso una buona sorte; e una buona sorte significa: buone inclinazioni dell’anima, buoni impulsi, buone azioni.

LIBRO VI

1              La sostanza dell’universo a docile e duttile; e la ragione che la governa non ha in sé nessuna causa per cui

debba produrre il male: perché in sé non ha male, a nulla fa del male e non c’a nulla che ne venga danneggiato. Tutto, invece, avviene e si compie secondo la ragione dell’universo.

2              Non far differenza se per svolgere il tuo cómpito tu debba soffrire il freddo o il caldo, ciondolare per il sonno o
esser ben riposato, ricevere critiche o elogi, morire o fare qualcos’altro. Anche questa, che compiamo nel morire, a una delle azioni della vita: a sufficiente quindi, anche in questa occasione, provvedere bene al fatto presente.

3              Guarda dentro: di nessuna cosa ti sfugga la qualità che le a propria e il valore.

4              Tutti gli oggetti molto presto si trasformeranno e dilegueranno in vapore, se davvero la sostanza a una;

altrimenti si disperderanno.

5              La ragione che governa sa con quale disposizione e che cosa compie, e nell’àmbito di quale materia.

6              Il modo migliore di difendersi a non assimilarsi.

7              Trova gioia e quiete in una sola cosa: nel passare da un’azione utile alla comunità a un’altra azione utile alla

comunità, memore di dio.

8              Il principio dirigente a quello che desta se stesso, orienta, rende se stesso quale vuole essere, e a se stesso fa
apparire ogni evento quale vuole che sia.

9              Ogni singola cosa si compie secondo la natura universale: non certo secondo un’altra natura che la includa
dall’esterno o che sia inclusa al suo interno o che sia esterna e indipendente.

10           O miscuglio, groviglio e dispersione, ovvero unità, ordine e provvidenza. Nel primo caso: perché dovrei
desiderare di trattenermi oltre in una congerie casuale e in una confusione come questa? Di che altro mi importa, se non del modo in cui, un giorno, «diventerò terra»? E perché farmi turbare? La dispersione, infatti, mi raggiungerà qualunque cosa io faccia. Nel secondo caso: esprimo venerazione, saldezza, fiducia verso colui che governa.

11           Quando sei costretto dalle circostanze a subire come un turbamento, torna rapidamente a te stesso e non
estraniarti dal ritmo oltre l’indispensabile: tornando continuamente all’armonia crescerà il tuo dominio su di essa.

12           Se tu insieme avessi una matrigna e una madre, della prima avresti certamente cura, e tuttavia torneresti
continuamente da tua madre. Questo, matrigna e madre, sono ora per te la corte e la filosofia: qui, alla filosofia, ritorna spesso, e trova pace in colei grazie alla quale quell’ambiente ti risulta sopportabile e tu risulti sopportabile in quell’ambiente.

13           Quanto vale, di fronte alle leccornie e ai cibi di questo genere, accogliere la rappresentazione: «questo a il
cadavere di un pesce, quest’altro il cadavere di un uccello o di un maiale», e, ancora, «il Falerno a il succo di un grappolo d’uva», e «il laticlavio sono peli di pecora intrisi del sangue di una conchiglia»; e, a proposito dell’unione sessuale: «a sfregamento di un viscere e secrezione di muco accompagnata da spasmo»! Quanto valgono queste rappresentazioni che raggiungono le cose in sé e le penetrano totalmente, fino scorgere quale sia la loro vera natura. Così bisogna fare per tutta la vita, e, quando le cose ci si presentano troppo persuasive, bisogna denudarle e osservare a fondo la loro pochezza e sopprimere la ricerca per la quale acquisiscono tanta importanza. Perché la vanità a una terribile dispensatrice di falsi ragionamenti, e ti lasci più incantare proprio quando più ti pare di impegnarti in cose di valore. Vedi, quindi, cosa dice Cratete a proposito dello stesso Senocrate.

14           La maggior parte delle cose che la moltitudine ammira risalgono alle specie più comuni, costituite da un

determinato stato o da una determinata natura: pietre, legna, fichi, viti, olivi; le cose che invece incontrano l’apprezzamento di persone un po’ più vicine alla giusta misura si riconducono a esseri animati, come greggi, mandrie; l’apprezzamento di persone ancora più raffinate va a specie dotate di un’anima razionale, non però in quanto puramente razionale, ma in quanto capace di un’arte o abile in qualche altra cosa, o, semplicemente, al possesso di una quantity di schiavi. Chi invece onora un’anima razionale e sociale, non si rivolge più a nessuna delle altre cose, ma al di sopra di tutto conserva la propria anima nel suo stato e moto razionale e sociale, e collabora a questo fine con quanti appartengono alla sua stirpe.

15           Vi sono esseri rapidi nel pervenire all’esistenza, altri nell’averla giy compiuta; e anche in ciò che nasce qualcosa
a giy estinto; flussi e alterazioni rinnovano continuamente il cosmo, come l’ininterrotto moto del tempo rende sempre nuova l’infinita eternity. E in questo fiume, tra queste cose che scorrono via a quale si può mai dare un valore, se su di essa a impossibile trovare un punto d’appoggio? Come se uno cominciasse ad amare qualcuno di quei passerotti che in un attimo volano via: ecco, a giy scomparso alla vista. E la vita di ciascuno a qualcosa come l’evaporazione del sangue e l’inspirazione dell’aria. Quale, infatti, a il singolo atto, che continuamente ripetiamo, dell’inspirare e rimettere l’aria, tale a anche il restituire l’intera facolty di respirare, che hai acquistato ieri o l’altro ieri al momento di nascere, ly da dove l’hai attinta all’inizio.

16           Non ha grande valore né traspirare come le piante, né respirare come gli animali domestici e selvatici, né essere
impressionati da una rappresentazione, né esser mossi come marionette da impulsi, né far parte di un gregge né nutrirsi (che a come evacuare i residui del cibo). Cos’ha valore, allora? Essere applauditi? No. Quindi neppure essere applauditi con la lingua: gli elogi della gente, infatti, sono un applauso tributato con la lingua. Bene, hai rifiutato anche la gloria: che cosa ti resta che abbia valore? La capacity, credo, di muoversi e di trattenersi secondo la propria costituzione, il che a anche il fine cui puntano le varie attivity e arti. Ogni arte, infatti, mira a questo scopo, che il suo prodotto sia adatto a ciò per cui a stato prodotto: l’agricoltore che si cura della vite, il domatore di cavalli e l’allevatore di cani inseguono questo risultato. E l’opera del pedagogo, l’opera del maestro quale risultato inseguono? È qui, dunque, ciò che vale. E se va bene così, non dovrai conseguire nient’altro. Non vuoi smettere di apprezzare anche tante altre cose? Ebbene, non sarai libero né autosufficiente né esente da passioni. È inevitabile infatti che tu debba provare invidia, gelosia, sospetto verso chi può toglierti quelle cose, che tu debba insidiare chi possiede quello cui attribuisci valore; insomma, chi si sente privo di una di quelle cose inevitabilmente resta turbato, e per di più ha molto da rimproverare agli dai; mentre il rispetto e l’onore per la tua intelligenza ti renderanno soddisfatto di te stesso, in armonia con gli uomini e in intimo accordo con gli dai: pronto a lodare, cioa, quanto essi distribuiscono e hanno disposto.

17           I moti degli elementi: verso l’alto, verso il basso, in circolo. Il movimento della virtù, invece, non rientra in
nessuno di questi, ma a qualcosa di più divino, e compie felicemente il suo corso procedendo per una via difficile da concepire.

18           Che tipo di comportamento, il loro! Non vogliono elogiare gli uomini che vivono negli stessi anni e accanto a
loro, ma considerano molto ricevere l’elogio dei posteri, che non hanno mai visto e non vedranno mai. Il che a all’incirca come se tu soffrissi perché non hanno avuto parole di elogio per te anche gli antenati.

19           Se qualcosa ti si presenta difficile da realizzare, non pensare che sia impossibile per l’uomo; piuttosto, se
qualcosa a possibile e appropriato all’uomo, consideralo raggiungibile anche per te.

20           Durante gli esercizi in palestra uno ci ha graffiato con le unghie e lanciandosi di testa ci ha ferito: eppure non
usciamo in espressioni di riprovazione, non ci offendiamo, né, in futuro, lo sospettiamo di tenderci insidie; ce ne guardiamo, sì, ma non come da un nemico, né con sospetto, bensì evitandolo, senza rancore. Analogo comportamento si tenga anche negli altri settori della vita: non diamo peso a tante azioni di chi, per così dire, si allena misurandosi con noi! Perché, come ho detto, a possibile evitarli senza nutrire sospetti né ostility.

21           Se qualcuno può contestarmi e dimostrare che le mie opinioni o le mie azioni non sono rette, sarò felice di
mutare atteggiamento. Perché io cerco la verity, che non ha mai fatto danno a nessuno; mentre infligge un danno a se stesso chi persiste nel proprio inganno e nella propria ignoranza.

22           Io faccio il mio dovere, senza lasciarmi distrarre da tutto il resto: esseri inanimati, o irrazionali, o che si sono
smarriti e non conoscono la strada.

23           Con gli animali sprovvisti di ragione e, in generale, con le cose e gli oggetti sensibili abbi un atteggiamento
magnanimo e libero, come deve avere chi possiede la ragione con quanto ne a privo; con gli uomini, invece, abbi l’atteggiamento che conviene avere con chi possiede la ragione e che risponde ai principî della society. A ogni circostanza invoca gli dai e non porti il problema: «per quanto tempo potrò agire in questo modo?», perché sono sufficienti anche tre ore vissute così.

24           Alessandro il Macedone e il suo mulattiere morendo passarono alla medesima condizione: infatti o furono
riassunti nelle medesime ragioni seminali del cosmo o furono dispersi, allo stesso modo, negli atomi.

25           Considera quante cose in uno stesso infinitesimale spazio di tempo avvengono, contemporaneamente, in
ciascuno di noi, nel corpo e insieme nell’anima: e così non ti stupirai se un numero molto maggiore di fatti, anzi, tutto quanto avviene in quell’unico insieme di ogni cosa, che chiamiamo cosmo, si realizza contemporaneamente.

26           Se uno ti domandasse come si scrive il nome di Antonino, perderesti forse la pazienza mentre scandisci le
lettere una per una? E se, dall’altra parte, dovessero adirarsi? Ti adireresti a tua volta? Non ti metterai invece a enumerare pacatamente ogni singola lettera? Allo stesso modo, anche qui, ricorda che ogni dovere si compone di un

certo numero di fasi. Bisogna osservarle, senza perdere la calma e inquietarsi con chi si inquieta, e così realizzare con metodo l’obiettivo.

27           Com’a crudele non permettere agli uomini di seguire l’impulso verso ciò che pare loro appropriato e
conveniente; eppure in certo modo tu non consenti loro di farlo quando ti indigni perché sbagliano: perché, in ogni caso, sono convinti di muoversi verso ciò che a loro appropriato e conveniente. «Ma non a così». Allora porgi loro gli insegnamenti e le indicazioni del caso, senza indignarti.

28           La morte a quiete dall’impressione dei sensi, dagli impulsi che ci muovono come marionette, dalle deviazioni
del pensiero, dal servizio che prestiamo alla carne.

29           In quella vita in cui il tuo corpo non si arrende a vergognoso che sia l’anima ad arrendersi per prima.

30           Bada di non cesarizzarti, di non impregnarti con la porpora: succede, infatti. Mantieniti quindi semplice,

buono, integro, serio, alieno da orpelli, amico del giusto, devoto, benevolo, affettuoso, forte nell’adempimento del tuo dovere. Lotta per rimanere tale quale ha voluto renderti la filosofia. Venera gli dai, soccorri gli uomini. La vita a breve: unico frutto dell’esistenza terrena sono una disposizione pia e azioni ispirate al bene comune. Compòrtati, in tutto, da allievo di Antonino: ti sia di modello la sua energia nelle azioni conformi a ragione, la sua condotta uguale in ogni circostanza, la sua devozione, la serenity del suo volto, la sua dolcezza, il suo rifiuto della vanagloria, il suo desiderio di comprendere le cose; e il fatto che mai, a nessun costo, avrebbe accantonato una questione prima di averla esaminata a fondo e compresa con chiarezza; che sopportava chi lo criticava ingiustamente, senza replicare con altre critiche; che non faceva nulla di fretta e non prestava orecchio alle calunnie; e l’acutezza con cui indagava caratteri e azioni, senza insultare, senza allarmarsi al minimo rumore, senza vivere nel sospetto, senza sofisticare; il suo accontentarsi di poco, per quanto ad esempio riguardava l’abitazione, il letto, il vestiario, il cibo, il servizio domestico; la sua laboriosity e magnanimity; la sua capacity di [...] fino a sera, per la sua semplicity di vita, senza neppure aver bisogno di evacuare al di fuori dell’ora consueta; la solidity e la costanza che mostrava nelle sue amicizie; la sua tolleranza verso chi con franchezza si esprimeva contro le sue idee, e la gioia che provava se qualcuno indicava una via migliore; la sua religiosity, aliena da timori superstiziosi; perché, quando sopraggiungery la tua ultima ora, la tua coscienza sia tranquilla come la sua.

31           Riacquista i sensi, riprenditi, e, una volta che ti sarai liberato dal sonno e ti sarai reso conto che quelli che ti
turbavano erano solo sogni, allora, di nuovo sveglio, guarda queste cose come guardavi quelle.

32           Sono fatto di corpo e di anima. Per il corpo ogni cosa a indifferente: perché il corpo non può se non essere
indifferente verso le cose. Per la mente, invece, a indifferente quanto non a prodotto della sua attivity; mentre tutto ciò che a prodotto della sua attivity ricade in suo potere. In quest’ymbito, tuttavia, la mente si occupa soltanto del presente: perché di attimo in attimo la sua attivity futura e passata le rimane, anch’essa, indifferente.

33           Né la mano né il piede compiono un lavoro contrario a natura, finché il piede esegue il cómpito del piede e la
mano i cómpiti delle mani. Così pure, quindi, per l’uomo in quanto uomo il lavoro non a contrario a natura, finché egli svolge le funzioni proprie dell’uomo. E se non a per lui contrario a natura, non a neppure male per lui.

34           …quali piaceri hanno goduto briganti, invertiti, parricidi, tiranni.

35           Non vedi quanti, nell’esercizio del loro mestiere, si sforzano entro certi limiti di adeguarsi alle idee dei profani,

e ciò non ostante si attengono alla ragione della loro arte e non accettano di staccarsene? Non a grave che l’architetto e il medico abbiano per la ragione del loro mestiere un rispetto maggiore di quello che l’uomo nutre per la propria ragione, che egli possiede in comune con gli dai?

36           L’Asia, l’Europa sono cantucci del cosmo; ogni mare a una goccia del cosmo; l’Athos a una piccola zolla del
cosmo; l’intero tempo presente a un punto dell’eternity: tutto a piccolo, instabile, in atto di scomparire. Tutto viene di ly, da quello che a il principio dirigente comune, per impulso diretto o per conseguenza. E, allora, le fauci spalancate del leone, il veleno e quanto provoca danno, come le spine, come il fango, sono accessori di ciò che a venerabile e bello. Non rappresentartelo, quindi, come estraneo a ciò che veneri, ma considera quella che a la fonte di tutto.

37           Chi ha visto la realty presente ha visto tutto, sia ciò che a stato dall’eternita sia cio che sary fino all’infinito:
perché tutto ha uguale origine e uguale aspetto.

38           Medita spesso sul vincolo che unisce tutte le cose nel cosmo e sul loro reciproco rapporto. In un certo modo,
infatti, si intrecciano tutte tra loro e perciò sono tutte amiche l’una all’altra; infatti a una cosa consegue quest’altra, in forza del movimento di tensione, dell’intimo accordo e dell’unity della sostanza.

39           Adyttati alla realty alla quale sei stato abbinato dalla sorte; e le persone con le quali per tua sorte ti trovi a stare,
amale, ma sinceramente.

40           Ogni strumento, arnese, utensile, se compie quello per cui a stato prodotto, va bene. Eppure, in questo caso, il
loro produttore a lontano; mentre nel caso di ciò che a costituito da una sua natura, la forza che lo ha prodotto a e permane all’interno: tanto più, quindi, devi venerarla e, se la tua disposizione interiore e la tua condotta sono conformi al suo volere, ritenere che tutto sia conforme al tuo intendimento. Così pure per l’universo: ciò che gli appartiene a conforme al suo intendimento.

41           Qualunque cosa, tra quante non sono soggette alla tua scelta etica, tu ti ponga innanzi come bene o male, a
inevitabile che, per essere incorso in quel determinato male o aver mancato quel determinato bene, tu debba lamentarti degli dai e odiare gli uomini che sono o, tu sospetti, saranno responsabili dell’insuccesso o dell’incidente; e sono molte le ingiustizie che commettiamo perché non restiamo indifferenti a questo genere di cose. Se invece giudichiamo beni e mali solo le cose che sono in nostro potere, non rimane più ragione alcuna né di accusare dio né di assumere atteggiamento ostile verso un uomo.

42           Tutti collaboriamo a un solo risultato finale, alcuni con lucida consapevolezza, gli altri senza saperlo – nel

modo in cui anche chi dorme, mi pare che dica Eraclito, lavora e collabora agli eventi del cosmo. Chi collabora in un modo, chi in un altro, e per giunta collabora anche chi critica e tenta di contrastare e cancellare gli avvenimenti: evidentemente il cosmo aveva bisogno anche di individui come lui. Vedi, quindi, di capire tra chi vuoi schierarti: egli, infatti, colui che governa l’universo, fary in ogni caso buon uso di te e ti accogliery, in questo o in quell’altro ruolo, tra i suoi collaboratori e cooperatori. Ma tu non assumere un ruolo come quello che ha nel dramma il verso inutile e ridicolo di cui parla Crisippo.

43           Il sole pretende forse di svolgere il cómpito della pioggia? Asclepio pretende forse le prerogative della
Carpofora? E i singoli astri? Non sono forse entity diverse, ma cooperanti al medesimo fine?

44           Se gli dai hanno deliberato riguardo a me e a quanto mi deve avvenire, hanno deliberato bene (quanto a un dio
che non decida, non a facile neppure immaginarlo). Per quale ragione avrebbero dovuto cercare di farmi del male? Che ne sarebbe venuto a loro o al complesso dell’universo, che a il primo dei loro pensieri? Se invece non hanno deliberato al mio personale riguardo, hanno in ogni caso deliberato sul complesso dell’universo: devo allora accogliere di buon grado anche questi eventi che conseguono alla loro deliberazione. E se proprio non deliberano riguardo a nulla – ma non a pio crederlo: altrimenti smettiamo di sacrificare, pregare, giurare, fare le altre cose che, ogni volta, facciamo rivolgendoci agli dai come presenti e accanto a noi -, se proprio non deliberano circa nessuna delle cose che ci riguardano, mi rimane sempre la facolty di deliberare su me stesso, e di cercare quel che conviene. Ma a ciascuno conviene quel che a conforme alla sua costituzione e natura: e la mia natura a razionale e sociale. Per me, in quanto Antonino, citty e patria a Roma; in quanto uomo, il cosmo. Per me, quindi, a bene solo ciò che giova a queste citty.

45           Quanto avviene a ciascuno conviene all’universo. Sarebbe giy sufficiente questo; ma in generale, osservando
con attenzione, noterai ancora che quanto avviene a un uomo, conviene anche agli altri uomini. Questa volta si prenda «ciò che conviene» nel senso comune dell’espressione, con riferimento alle cose intermedie.

46           Come ti infastidiscono i giochi dell’anfiteatro e di simili luoghi, perché vedi sempre le stesse cose e la
monotonia dello spettacolo sazia fino alla nausea, provi lo stesso fastidio anche per l’intera esistenza: tutto, infatti, nel suo su e giù, a la medesima cosa e ha la medesima origine. Fino a quando, dunque?

47           Pensa continuamente agli uomini (di ogni genere, di ogni professione, delle più varie classi sociali) che sono
morti, fino ad arrivare, seguendo questo filo, a Filistione, Febo e Origanione. Passa ora alle altre stirpi. La nostra trasformazione ci condurry proprio ly dove sono finiti tanti abili retori, e tanti autorevoli filosofi – Eraclito, Pitagora, Socrate – e, prima di loro, tanti eroi, poi tanti generali, tanti tiranni; e, ancora, Eudosso, Ipparco, Archirnede, altri personaggi acuti, magnanimi, laboriosi, attivi in ogni campo, orgogliosi, canzonatori di questa stessa vita umana, mortale ed effimera, quali Menippo e gli altri come lui. Pensa che tutti costoro giacciono morti da tempo. E in questo cosa c’a di terribile per loro? E che cosa, poi, per coloro di cui non rimane neppure il nome? Una sola cosa, qui, ha davvero valore: vivere sempre nella verity e nella giustizia, ma indulgenti con i bugiardi e gli ingiusti.

48           Quando vuoi rallegrarti, considera i pregi di chi ti vive accanto: il carattere energico di uno, per esempio, la
riservatezza di un altro, la generosity di un altro ancora, e così via. Nulla, infatti, rallegra come le sembianze delle virtù che traspaiono nel carattere di chi ci vive accanto e tutte insieme, per quanto a possibile, balzano ai nostri occhi. Perciò bisogna anche tenerle a portata di mano.

49           Ti inquieti forse perché pesi un dato numero di libbre e non 300? Così pure non inquietarti perché devi vivere
un dato numero di anni e non oltre: infatti, come sei pago della quantity di sostanza che ti a stata assegnata, così devi esserlo anche per il tempo.

50           Cerca di convincerli, ma agisci anche contro il loro volere, quando la ragione della giustizia lo esiga. Se
tuttavia qualcuno ricorre alla forza per sbarrarti la strada, assumi uno stato d’animo ugualmente soddisfatto, senza cedere al dolore, e approfitta di quell’impedimento per esercitare un’altra virtù, e ricorda che sul tuo impulso gravava una riserva, e che non puntavi all’impossibile. A cosa, allora? A seguire, appunto, un impulso di quel determinato genere. Una meta che raggiungi: quello per cui siamo stati prodotti si realizza.

51           Chi cerca la fama ripone il proprio bene in un’attivity altrui, chi cerca il piacere nella propria passivity: chi ha
senno, nella propria azione.

52           Su questo punto a possibile non formarsi alcuna opinione e, quindi, non turbare la propria anima – di per sé,
infatti, le cose non hanno natura atta a produrre i nostri giudizi.

53           Abìtuati a considerare con estrema attenzione le parole degli altri, e per quanto puoi entra nell’anima di chi sta
parlando.

54           Quel che non a utile allo sciame non a utile neppure all’ape.

55           Se i marinai criticassero il timoniere, o i malati il medico, a che altro penserebbero se non a come uno agisce

per l’incolumity dell’equipaggio o per la salute dei pazienti?

56           …quanti, con cui sono entrato nel cosmo, se ne sono giy andati.

57           Agli itterici il miele sembra amaro, agli idrofobi l’acqua fa paura e ai bambini piace la palla. Perché mi adiro,

allora? Ti pare forse che l’errore abbia meno effetto di quanto ne ha la bile sull’itterico e il virus sull’idrofobo?

58           Nessuno ti impediry di vivere conforme alla ragione della tua natura; non ti succedery nulla di contrario alla
ragione della natura comune.

59           …che genere di persone sono quelle cui gli uomini vogliono piacere, e per quali profitti e con quali attivity;
come, ben presto, l’eternity copriry tutte le cose e quante ne ha giy coperte.

LIBRO VII

1          Cos’a la malvagità? È quello che hai visto tante volte. E per ogni avvenimento tieni sottomano la

considerazione: «È quello che hai visto tante volte». Insomma, troverai il perenne andirivieni delle stesse cose, di cui sono piene le storie delle epoche antiche, delle età di mezzo, dei tempi recenti, di cui sono piene le città e le case. Nulla di nuovo: tutto a consueto e dura poco.

2              In che altro modo possono morire i principî, se non per l’estinguersi delle rappresentazioni ad essi
corrispondenti, che sta a te ravvivare continuamente? Su questo punto posso nutrire l’opinione dovuta: e se posso, perché turbarmi? Ciò che a fuori della mia mente non a assolutamente nulla per la mia mente: imparalo, e sei un uomo retto. Puoi rivivere; torna a vedere le cose come le vedevi: questo significa rivivere.

3              Futilità di un corteo trionfale, drammi in scena, greggi, mandrie, combattimenti con la lancia, un osso gettato a
dei botoli, un boccone di pane nelle vasche dei pesci, affannarsi di formiche sotto il carico, topolini impauriti che corrono qua e là, marionette mosse con i fili. In queste situazioni bisogna mantenere un atteggiamento benevolo, senza ombra di alterigia, pur osservando che ciascuno vale tanto quanto valgono le cose cui ha rivolto il suo impegno.

4              Bisogna seguire con attenzione, parola per parola, quello che si dice e, impulso per impulso, quello che
avviene, e, in quest’ultimo caso, vedere sùbito con quale scopo a in relazione l’impulso, nel primo, osservare bene qual a il significato.

5              La mia mente arriva a questo oppure no? Se vi arriva, me ne servo come di uno strumento fornitomi per questo
cómpito dalla natura universale; altrimenti, o cedo il cómpito a chi può svolgerlo meglio, oppure, se tale cómpito non può toccare ad altri, lo svolgo come posso, prendendo al mio fianco chi sia in grado, collaborando con il mio principio dirigente, di fare quel che ora a opportuno e utile alla comunità. Qualunque cosa, infatti, io faccia, con le mie forze o con l’aiuto di altri, occorre tendere a questa sola meta, a ciò che a utile e appropriato alla comunità.

6              …quanti, già celebratissimi, sono ormai consegnati all’oblio; e quanti, che li avevano celebrati, da tempo sono
scomparsi.

7              Non vergognarti di ricevere aiuto: il cómpito che ti attende, infatti, a di fare il tuo dovere come un soldato che
combatte sulle mura. E allora? E se tu, azzoppato, non fossi in grado di salire da solo sugli spalti, e ci riuscissi invece con l’aiuto di un altro?

8              Non lasciarti turbare dal futuro: ci arriverai, se dovrai arrivarci, con la stessa ragione che ora usi per il presente.

9              Tutte le cose si intrecciano tra loro e il loro legame a sacro, e si può dire che non ci sia cosa estranea alle altre,

perché tutte sono coordinate e concorrono all’ordine del medesimo cosmo. Unico, infatti, a il cosmo formato da tutte le cose, unico il dio che pervade ogni cosa, unica la sostanza, unica la legge, comune la ragione di tutti gli esseri provvisti di intelligenza, unica la verità, poiché unica a pure la compiutezza degli esseri che hanno la stessa origine e partecipano della stessa ragione.

10           Ogni cosa materiale in un istante scompare nella sostanza dell’universo, ogni causa in un istante viene riassunta
nella ragione universale, e in un istante il ricordo di ogni cosa sprofonda sepolto nell’eternità.

11           Per l’essere razionale la medesima azione che a conforme a natura a anche conforme a ragione.

12           Diritto o raddrizzato.

13           Lo stesso rapporto che in un singolo organismo intercorre tra le membra del corpo, collega, in esseri distinti, le

capacità razionali, che sono state costituite per collaborare tra loro ad un’unica attività. Il concetto ti diverrà più evidente se ripeterai più volte a te stesso: «Sono un membro [mélos] del sistema formato dagli esseri razionali». Se invece dirai, con la lettera rho, di esserne solo una parte [méros], significa che non ami ancora gli uomini dal profondo del cuore, che il far del bene non ti allieta ancora con la piena consapevolezza della tua condotta, che continui a farlo come un semplice dovere, non ancora persuaso di fare del bene, così, anche a te stesso.

14           Ciò che vuole colpire, colpisca pure dall’esterno le cose che possono soffrirne. Queste, infatti, se vorranno,
potranno lamentarsi delle proprie sofferenze, mentre io, se non ritengo che l’accaduto sia male, non ho ancora ricevuto danno. E ho la possibilità di non ritenere che si tratti di un male.

15           Qualunque cosa uno faccia o dica, devo essere un uomo virtuoso; come se l’oro o lo smeraldo o la porpora
ripetessero sempre: «Qualunque cosa uno faccia o dica, devo essere uno smeraldo e mantenere il mio colore».

16           Il principio dirigente non provoca turbamenti a se stesso: intendo dire, per esempio, che non spaventa, non fa
soffrire se stesso, non si induce a desiderare. Se un altro a in grado di spaventarlo o farlo soffrire, lo faccia: perché il principio dirigente, per la facoltà che ha di formarsi un’opinione, non si piegherà a simili alterazioni. Il corpo pensi, dal canto suo, a non patire nulla, se ne a capace, e, se patisce qualcosa, lo dica; ma l’anima, in quanto può formarsi un’opinione di ciò che prova paura, di ciò che sente dolore, insomma di tutta la situazione, non c’a rischio che patisca nulla: perché non ha cedimenti verso un simile giudizio. Il principio dirigente, per quanto da esso dipende, non ha bisogno di nulla, a meno di crearsi da sé una necessità, e analogamente a anche immune da turbamenti e ostacoli, a meno che non turbi o ostacoli se stesso.

17           Felicità a un demone buono o [...] buono. Allora che fai qui, rappresentazione? Vattene, in nome degli dai,
come sei venuta: non ho bisogno di te. Sei qui secondo la tua vecchia abitudine; non mi adiro con te: solo, vattene!

18           C’a qualcuno che teme la trasformazione? E cosa può avvenire senza trasformazione? E che cosa vi a di più
caro o familiare alla natura dell’universo? Tu stesso puoi forse prendere un bagno caldo se la legna non si trasforma in

calore? Puoi nutrirti, se il cibo non si trasforma? E che altro, tra le cose utili, può realizzarsi senza trasformazione? Non vedi, quindi, che anche la tua trasformazione a uguale a queste e ugualmente necessaria alla natura dell’universo?

19           Attraverso la sostanza universale passano, come attraverso un torrente, tutti i corpi, i quali condividono la
natura dell’universo e con essa collaborano, come le nostre membra fanno tra loro. …quanti Crisippi, quanti Socrati, quanti Epitteti ha giy ingoiato l’eternity. La stessa considerazione ti si presenti a proposito di qualsiasi uomo e qualsiasi cosa.

20           Di un’unica cosa mi preoccupo: di non trovarmi a fare ciò che la costituzione dell’uomo non vuole, o ad agire
come non vuole o a compiere ciò che al momento non vuole.

21           È prossimo, per te, l’oblio di tutto; prossimo, per tutti, l’oblio di te.

22           Prerogativa propria dell’uomo a amare anche chi sbaglia. E questo si verifica, se ti si presenta il pensiero che si

tratta di parenti e che sbagliano per ignoranza e senza volerlo, e che tra poco entrambi, tu e chi ha sbagliato, sarete morti, e, soprattutto, che costui non ti ha danneggiato, perché non ha reso il tuo principio dirigente peggiore di prima.

23           La natura universale dalla sostanza universale, come dalla cera, ora ha plasmato un cavallo, poi lo ha fuso e ha
usato la sua materia per un albero, poi per un uomo, poi per qualcos’altro; e ciascuno di questi esseri a sorto per durare brevissimo tempo. Ma per un cofanetto non c’a nulla di terribile nell’essere distrutto come neppure nell’essere costruito.

24           Un volto oscurato dall’ira a decisamente contrario a natura: quando più volte [...] alla fine si estingue, così da
non poter più, in alcun modo, essere acceso. Cerca di afferrare bene almeno questo principio, cioa che si tratta di cosa contraria alla ragione. Perché se svaniry anche la percezione dell’errore, quale ragione di vivere restery più?

25           La natura che governa l’universo tra un istante trasformery tutte le cose che vedi, e dalla loro sostanza ne
produrry altre e dalla sostanza di queste altre ancora, perché il cosmo resti sempre giovane.

26           Quando uno sbaglia nei tuoi confronti, considera sùbito quale opinione sul bene o sul male lo ha spinto
all’errore: se riuscirai a capirlo proverai compassione per lui e non sarai più sorpreso né adirato. Infatti, se hai ancora, anche tu, la sua stessa opinione del bene, o ne hai una simile, devi scusarlo; se invece la tua opinione del bene e del male non a più di questo genere, ti sary più facile essere indulgente con chi sbaglia.

27           Non pensare alle cose assenti come se fossero presenti, ma, tra quelle presenti, valuta le più favorevoli e
ricorda, in proposito, come le cercheresti, se non le avessi a disposizione. Ma contemporaneamente bada di non abituarti, essendone così soddisfatto, ad apprezzarle al punto da turbarti se un giorno non ci fossero più.

28           Raccogliti in te stesso. Il principio razionale che ti dirige a per natura autosufficiente, quando agisce secondo
giustizia, e proprio nell’agire così trova pace.

29           Cancella la rappresentazione. Ferma i fili che muovono la marionetta. Circoscrivi l’istante presente del tempo.
Prendi cognizione di ciò che avviene a te o ad altri. Separa e suddividi l’oggetto in fattore causale e fattore materiale. Pensa all’ora estrema. Lascia l’errore di quell’uomo ly dove l’errore a sorto.

30           Applica il pensiero a quanto si dice. Penetra con la mente negli avvenimenti e nei loro fattori.

31           Ilumina te stesso con la semplicity, il pudore e l’indifferenza per ciò che sta a mety tra la virtù e il vizio. Ama il

genere umano. Segui dio. Quello dice: «Tutto a per convenzione, solo gli elementi esistono realmente». È sufficiente ricordare che tutto a per convenzione: a questo punto da ricordare c’a davvero poco.

32           [Sulla morte] O dispersione (nel caso la realty sia costituita da atomi), o altrimenti (nel caso sia un’unity
compatta) estinzione o trasmigrazione.

33           [Sul dolore] Ciò che a insopportabile uccide, ciò che invece perdura a sopportabile; la mente, ritirandosi in se
stessa, mantiene la propria quiete, e il principio dirigente non riceve danno. Quanto alle parti danneggiate dal dolore, dichiarino, se sono in grado, la loro sofferenza.

34           [Sulla fama] Osserva la loro mente, quale natura abbia, quali cose eviti, quali insegua. E osserva che, come gli
strati di sabbia depositandosi gli uni sugli altri nascondono quel che precede, così nella vita i fatti precedenti in un attimo sono nascosti dai fatti che vi si depositano sopra.

35           «A chi dunque ha una mente magnanima e l’attitudine ad abbracciare col pensiero la totality del tempo e
dell’essere, davvero tu credi che la vita umana possa sembrare una cosa molto importante? – Impossibile – disse quello. – E quindi un uomo di questo genere giudichery forse la morte qualcosa di terribile? – No, affatto».

36           «È condizione di un re agire bene ed esser criticato».

37           È vergognoso che il volto si lasci docilmente atteggiare e comporre come ordina la mente, e la mente invece

non sappia atteggiare e comporre se stessa.

38           «Non ci si deve adirare con le cose:
a queste, infatti, non importa nulla».

39           «Agli dai immortali e a noi concedi motivi di gioia».

40           «…mietere la vita come una spiga matura,

e che uno viva, l’altro no».

41           «E se dagli dai siamo stati trascurati io e i miei due figli,
anche questo ha la sua ragione».

42           «Il bene e il giusto sono con me».

43           Non unirsi alle lamentazioni, non sussultare.

44           «A questo potrei giustamente ribattere: hai torto, amico mio, se credi che un uomo di un qualche minimo

valore debba calcolare il rischio di vita e di morte e invece non considerare soltanto se, quando agisce, agisce giustamente o ingiustamente, e da uomo virtuoso o da malvagio».

45           «Perché, Ateniesi, la verità a questa: nel posto dove uno si schiera, perché lo ha giudicato il migliore o perché

gli a stato assegnato dal comandante, in quel posto, a mio parere, deve rimanere e sfidare il pericolo senza dar peso alla morte e a nient’altro più che al disonore».

46           «Mio caro, guarda se la nobiltà d’animo e il bene non siano qualcosa di diverso dal salvare gli altri e se stessi;
se chi a davvero un uomo non debba trascurare la durata della vita e, invece di attaccarvisi tanto, non debba piuttosto rimettere la questione al dio e, credendo a quello che dicono le donne – cioa che nessuno può sfuggire al suo destino -, pensare a vivere nel modo migliore per il tempo che deve vivere».

47           Osserva il corso degli astri, come ruotando insieme con essi, e considera continuamente il reciproco
trasformarsi di un elemento nell’altro: la rappresentazione di queste cose purifica dalla lordura della vita su questa terra.

48           [Bello il pensiero di Platone!] E parlando degli uomini occorre anche osservare le cose terrene come da un
luogo elevato si guarda verso il basso: mandrie, eserciti, campi coltivati, matrimoni, divorzi, nascite, morti, clamore di tribunali, terre deserte, popolazioni barbariche varie, feste, lamentazioni, mercati, tutto questo gran miscuglio e l’armonioso ordine che nasce dagli opposti.

49           Ripercorri nella mente il passato, tanti mutamenti di imperi e dominazioni; si può anche prevedere il futuro:
sarà del tutto simile; e non a possibile uscire dal ritmo degli eventi attuali, per cui indagare la vita umana per quaranta anni o per diecimila a esattamente la stessa cosa. Infatti, cosa potrai vedere di più?

50           E:

ciò che a nato dalla terra torna

alla terra, e le stirpi germogliate dall’etere

tornano alla volta eterea;

in altri termini: dissolvimento dei reciproci legami degli atomi e una consimile dispersione degli elementi non passibili.

51           E:

cercando con cibi, bevande e incantesimi

di deviare il corso del destino, per non dover morire.

Il vento che spira dagli dai a necessario

sopportare, soffrendo senza lamenti.

52           Più abile nella lotta, non però più incline al bene comune, né più pudico, né più disciplinato verso gli
avvenimenti, né più indulgente verso gli errori del prossimo.

53           Là dove un’azione può essere compiuta secondo la ragione comune agli dai e agli uomini, non vi a nulla da
temere: perché là dove si può conseguire un vantaggio tramite un’attività che avanzi per la retta via e proceda conforme alla costituzione del soggetto, non si deve temere nessun danno.

54           Ovunque e continuamente a in tuo potere, esprimendo devozione agli dai, sentirti appagato dalla situazione
presente, comportarti secondo giustizia con gli uomini presenti e applicarti scrupolosamente alla rappresentazione presente, perché non vi si insinui nulla che non sia stato compreso a fondo.

55           Non volgerti intorno a guardare i principî dirigenti degli altri, ma guarda dritto a quale meta ti guidi la natura -
sia la natura universale, per mezzo degli avvenimenti che ti toccano, sia la tua, per mezzo dei doveri che ti attendono. Il dovere di ciascuno, d’altronde, a di fare quel che consegue alla sua costituzione; ora, mentre gli altri esseri sono stati costituiti per gli esseri razionali – e, del resto, in ogni altra situazione gli esseri inferiori sono costituiti per quelli superiori -, gli esseri razionali sono stati costituiti gli uni per gli altri. Quindi il valore eminente nella costituzione dell’uomo a l’inclinazione a vivere in società; al secondo posto viene la facoltà di non cedere alle passioni del corpo; infatti a proprio del movimento della ragione e dell’intelletto circoscrivere se stesso e non risultare mai inferiore al movimento dei sensi e a quello degli impulsi, poiché questi ultimi sono entrambi movimenti animali, mentre il movimento dell’intelletto vuole avere il primato e non essere dominato da quelli. Giustamente, senza dubbio, perché a nella sua natura disporre e servirsi di tutti quelli. La terza caratteristica, nella costituzione dell’essere razionale, a non esser precipitoso nei giudizi e non lasciarsi ingannare. Attenendosi a queste peculiarità, quindi, il principio dirigente percorra la retta via: e avrà ciò che a suo.

56           Fa conto di esser morto, di aver concluso ora la tua esistenza: devi vivere il resto dei tuoi giorni come un di
più, secondo natura.

57           Ama unicamente quello che ti accade e viene intrecciato nella tua vita. Che può esservi di più appropriato?

58           Ad ogni singolo accadimento tieni davanti agli occhi coloro cui accadevano le stesse cose, dopodiché

soffrivano, si stupivano, si lamentavano: e adesso quelli dove sono? In nessun luogo. E allora? Vuoi comportarti anche tu allo stesso modo? Non preferisci invece lasciare i turbamenti a te estranei a chi turba e a chi si lascia turbare, e dedicarti per intero a capire quale uso fare degli eventi? Infatti potrai farne buon uso e ne avrai materia per agire, purché tu presti attenzione e desideri essere virtuoso in tutto ciò che fai; e purché ti ricordi di ambedue le cose, che [...] e importante ciò su cui verte l’azione.

59           Scava dentro di te. Dentro a la fonte del bene, e può sgorgare perenne, se perenne a il tuo scavo.

60           Bisogna anche che il corpo sia saldo e non venga agitato, né in movimento né in quiete. Bisogna esigere anche

per l’intero corpo un risultato analogo a quello che la mente ottiene nel caso del volto, che essa sa conservare composto e decoroso. Ma a tutto questo si deve provvedere senza affettazione.

61           L’arte di vivere a più simile all’arte della lotta che a quella della danza, in quanto ci si deve sempre tener pronti
e ben saldi contro gli accidenti imprevisti.

62           Esamina continuamente chi siano costoro che tu vuoi ti facciano da testimoni, e quali principî dirigenti

abbiano. Guardando alle fonti della loro opinione e del loro impulso, infatti, non dovrai lamentarti di chi sbaglia involontariamente e non avrai bisogno della loro testimonianza.

63           «Ogni anima – dice – viene privata della verità contro il suo volere»; e così pure a privata della giustizia, della
temperanza, della benevolenza e di ogni consimile virtù. Ricordarsi continuamente di questo a quanto di più necessario: così sarai più indulgente con tutti.

64           Ad ogni dolore, sia a portata di mano la considerazione: «Non si tratta di cosa turpe e non rende peggiore la
mente che sta al timone: infatti non la danneggia né in quanto essa a razionale, né in quanto a disposta alla vita sociale». Ma nella maggior parte dei dolori ti soccorra anche la massima di Epicuro, cioa che il dolore non a insopportabile né eterno, se ricordi i suoi limiti e nel giudicarlo non aggiungi fantasie. E ricorda anche questo: molte sensazioni fastidiose sono uguali, benché non ce ne accorgiamo, al dolore: il torpore della sonnolenza, per esempio, il caldo soffocante, l’inappetenza. Perciò, ogni volta che ti senti afflitto da una di queste sensazioni, di’ a te stesso: «Stai cedendo al dolore».

65           Vedi di non provare mai per le persone disumane quello che gli uomini provano per gli uomini.

66           Da dove possiamo sapere se Telauge non avesse una disposizione morale superiore a quella di Socrate? Non

basta, infatti, che Socrate abbia avuto una morte più gloriosa, che disputasse più abilmente con i sofisti, che abbia rivelato la sua straordinaria resistenza fisica nel passare la notte al gelo, che, ricevuto l’ordine di arrestare quell’uomo di Salamina, abbia così nobilmente ritenuto di trasgredirlo, e che per la strada camminasse con aria spavalda – fatto, questo, su cui bisognerebbe soffermarsi con molta attenzione, se fosse vero. Occorre invece esaminare questo: quale anima avesse Socrate, se sapesse accontentarsi di essere giusto nei rapporti con gli uomini e pio nei rapporti con gli dai, senza irritarsi gratuitamente contro la malvagità, senza esser schiavo dell’ignoranza di alcuno, senza ricevere come estraneo e subire come intollerabile nulla di ciò che, entro l’ordine universale, gli veniva assegnato, e senza permettere all’intelletto di partecipare alle passioni della carne.

67           La natura non ti ha mescolato nel composto universale in modo tale da non permetterti di circoscrivere te
stesso e sottoporre al tuo dominio le cose che sono davvero tue; a più che possibile, infatti, diventare un uomo divino e non essere riconosciuto come tale da alcuno. Ricordatene sempre, e ricorda anche che la vita felice si basa su pochissime cose; e, se hai perso la speranza di poter diventare un dialettico o un fisico, non disperare per questo di poter diventare libero, pudico, atto alla vita sociale e obbediente a dio.

68           Trascorri la vita senza costrizione, nella più profonda gioia dell’anima, anche se tutti ti ingiuriano gridandoti
tutto quello che vogliono, anche se le belve lacerano le misere membra di questo impasto che ti a cresciuto intorno. Cosa impedisce, infatti, che in mezzo a tutto questo la mente conservi la propria calma, il giudizio veritiero sulle circostanze e il pronto uso degli oggetti ad essa sottoposti? In maniera tale che il giudizio dica a ciò che gli si presenta; «Nella sostanza sei questo, anche se all’opinione sembri diverso», e l’uso dica a ciò che ricade nel suo àmbito: «Sei proprio tu quello che cercavo: perché per me quanto di volta in volta a presente a sempre materia per la virtù razionale e sociale e, in breve, per l’arte dell’uomo o del dio». Infatti ogni evento diviene familiare a dio o all’uomo e non a nuovo né difficile da maneggiare; anzi, a ben noto e facile all’impiego.

69           La completa realizzazione etica include questo: trascorrere ogni giorno come l’ultimo, senza sussulti, senza
torpore, senza recite.

70           Gli dai pur essendo immortali non si indignano di esser destinati a sopportare perennemente, in una così vasta
eternità, tanti e tali esseri meschini: anzi, si prendono cura di essi in ogni modo possibile. E tu, che tra un istante finirai, ti arrendi? Tu che oltre tutto sei uno di quegli esseri meschini?

71           È ridicolo non cercare di sottrarsi alla propria malvagità, come sarebbe possibile, e cercare di sottrarsi a quella
degli altri, cosa impossibile.

72           La facoltà razionale e sociale giudica legittimamente inferiore a sé tutto ciò che le risulti sprovvisto di intelletto
e di inclinazione alla società.

73           Quando tu hai fatto del bene e un altro lo ha ricevuto, qual a il terzo risultato che insegui, come gli sciocchi,
oltre a questi due? La fama di benefattore? O il contraccambio?

74           Nessuno si stanca di ricevere benefici. I benefici sono azioni secondo natura: quindi non stancarti di riceverne,
nel momento in cui ne fai.

75           La natura dell’universo seguì l’impulso di costruire il cosmo. Ora, o tutto ciò che avviene avviene in
conseguenza di quell’atto, oppure sono irrazionali anche le cose più importanti, verso le quali il principio dirigente del cosmo orienta un particolare impulso. Questo principio, richiamato alla memoria, ti renderà più sereno verso molte cose.

LIBRO VIII

1              Anche questa constatazione porta a sopprimere ogni vanità: non puoi più cogliere l’obiettivo di un’intera

esistenza – o almeno dell’età seguita alla giovinezza -, vissuta da filosofo; anzi, a ormai chiaro a molti, e anche a te stesso, che resti lontano dalla filosofia. La confusione in cui sei caduto a tale che non ti a più facile acquisire la fama di filosofo; e vi si oppongono i presupposti della tua vita. Allora, se hai veramente visto dove sta il punto fondamentale, lascia perdere cosa si penserà di te: e accontantati se potrai vivere il resto della vita, quanto mai possa essere, come

vuole la tua natura. Rifletti, quindi, su cosa essa vuole, e non lasciarti distrarre da nient’altro, perché hai già sperimentato per quante vie hai dovuto vagare senza trovare in nessun luogo la vita felice – non nei sillogismi, non nella ricchezza, non nella fama, non nel godimento: in nessun luogo. Dov’a, allora? Nel fare ciò che esige la natura dell’uomo. E l’uomo come potrà farlo? Se avrà dei principî all’origine dei suoi impulsi e delle sue azioni. Quali principî? Quelli intorno al bene e al male: cioa che nulla a bene per l’uomo se non lo rende giusto, temperante, forte, liberale, e nulla a male, se non produce in lui i vizi opposti.

2              Ad ogni singola azione interroga te stesso: «Cosa significa quest’azione per me? Non dovrò poi pentirmene?».
Tra un attimo sono morto e tutto a sparito. Se l’azione presente a quella di un essere dotato di intelletto, incline al vivere sociale, che ha le stesse leggi di dio, che cosa cerco di più?

3              Alessandro, Caio e Pompeo che cosa sono di fronte a Diogene ed Eraclito e Socrate? Questi ultimi, infatti,
videro la realtà, le cause e le materie, e i loro principî dirigenti erano autonomi: là, invece, di quante cose preoccuparsi, e di quante essere schiavi!

4              Faranno non di meno le medesime cose, anche se crepi.

5              Per prima cosa non turbarti: tutto, infatti, a secondo la natura dell’universo e tra breve non sarai più nessuno, in

nessun luogo, come Adriano, come Augusto. Poi concentra il tuo sguardo sulla cosa in sé e, ricordando che devi essere un uomo virtuoso e che cosa esige la natura dell’uomo, fallo senza voltarti indietro e parla nel modo che ti sembra più giusto: ma con benevolenza, con discrezione, e senza ipocrisia.

6              La natura dell’universo si occupa di questo: trasportare là le cose che sono qui, trasformarle, prenderle da una
parte e portarle dall’altra. Tutto a mutamento, senza che con ciò si debba temere qualcosa di nuovo: tutto a consueto. E, analogamente, le attribuzioni della sorte sono sempre uguali.

7              Ogni natura a paga di procedere felicemente per la propria via; e una natura razionale procede felicemente se,
tra le rappresentazioni, non dà l’assenso a una che sia falsa o oscura; se indirizza gli impulsi esclusivamente alle azioni utili alla comunità; quanto agli appetiti e alle avversioni, se ne limita il regime alle cose che dipendono da noi, e abbraccia di cuore tutto ciò che le viene attribuito dalla natura comune. Infatti a parte di essa, come la natura della foglia a parte della natura della pianta; tranne che, in questo caso, la natura della foglia a parte di una natura insensibile, irrazionale e assoggettabile a impedimento, mentre la natura dell’uomo a parte di una natura non assoggettabile a impedimento, dotata di intelletto e giusta, considerato che a ciascuno assegna porzioni di tempo, sostanza, causa, attività, ed evento che sono equivalenti e rispondono al merito. Non verificare, però, l’equivalenza del singolo fattore con il singolo fattore in ogni essere, ma l’equivalenza complessiva tra tutti i fattori di una cosa e tutti i fattori dell’altra.

8              Non a possibile leggere. Ma a possibile respingere la prepotenza; a possibile dominare piaceri e dolori; a
possibile sollevarsi al di sopra della fama; a possibile non adirarsi con gli insensibili e gli ingrati, e, in più, prendersi cura di loro.

9              Che nessuno, neppure tu stesso, debba più sentirti criticare la vita di corte.

10           Il pentimento a una sorta di rimprovero che uno fa a se stesso per aver tralasciato qualcosa di utile; ma a il bene

che deve costituire qualcosa di utile, e l’uomo moralmente superiore deve praticarlo; nessun uomo moralmente superiore, però, potrebbe mai pentirsi di aver tralasciato qualche piacere: pertanto il piacere non a una cosa utile né un bene.

11           Cos’a, questo, in sé e per sé, nella propria particolare costituzione? Qual a la sua componente sostanziale e
materiale? Quale la sua componente causale? Cosa fa nel cosmo? Per quanto tempo sussiste?

12           Quando ti pesa svegliarti, ricorda che produrre azioni rivolte al bene comune a conforme alla tua costituzione e
alla natura umana, mentre dormire a comune anche agli esseri irrazionali; e ciò che per ciascuno a conforme a natura gli a più appropriato e congeniale, e anche più gradito.

13           Continuamente e, se possibile, ad ogni rappresentazione, applica la scienza della natura, la scienza delle
passioni, la dialettica.

14           Chiunque tu incontri, comincia sùbito col dire a te stesso: «Quest’uomo quali principî ha sul bene e sul male?».
Perché se ha principî di un certo genere sul piacere e sul dolore e sui fattori dell’uno e dell’altro, sulla notorietà e l’oscurità, sulla morte e la vita, non mi risulterà affatto strano o sorprendente che possa agire in un certo modo, e ricorderò che a inevitabile che agisca così.

15           Ricorda che, come non fa onore stupirsi che un fico produca dei fichi, così non fa onore stupirsi che il cosmo
produca questo genere di cose, di cui a produttore; ed al medico e al timoniere non fa onore stupirsi, il primo, che il tale abbia preso la febbre, il secondo, che si sia levato un vento contrario.

16           Ricorda che mutare opinione e seguire chi ti corregge a egualmente segno di libertà. Infatti a attività tua, che si
compie secondo il tuo impulso e giudizio e, in particolare, secondo il tuo intelletto.

17           Se dipende da te, perché lo fai? Se dipende da altri, con chi te la prendi? Con gli atomi o con gli dai? In
entrambi i casi a da folli. Non bisogna prendersela con nessuno. Infatti: se puoi, correggi la persona; se non puoi, correggi almeno quello che ha fatto; se non puoi fare neppure questo, a che ti giova prendertela? Non bisogna fare nulla che non abbia senso.

18           Ciò che a morto non cade fuori del cosmo. Se rimane qui, qui anche si trasforma e si dissolve nei propri
elementi, che sono gli elementi del cosmo e i tuoi. Anch’essi si trasformano, e non mormorano.

19           Ogni singolo essere esiste per uno scopo: il cavallo, la vite… Perché ti stupisci? Anche il sole dirà: «Esisto per
un determinato cómpito», e così pure gli altri dai. E tu, allora, per quale scopo esisti? Per godere? Vedi tu se il concetto sia ammissibile.

20           Per ciascun essere la natura ha avuto di mira la fine dell’esistenza, non meno che il suo inizio e il suo corso,

proprio come chi lancia la palla: ora, quale bene ha mai la palla nel salire, quale male nello scendere o nell’essere giy caduta a terra? E quale bene ha la bolla intatta, quale male la bolla scoppiata? Lo stesso dicasi anche per una lucerna…

21           Rivoltalo e guarda com’a, come diventa nella vecchiaia, nella malattia, nella lussuria.

Ha vita breve chi loda e chi a lodato, chi ricorda e chi a ricordato, per di più nel cantuccio di questa zona del mondo, dove non sono neppure tutti d’accordo tra loro: anzi, neppure ciascuno con se stesso. E la terra intera a un punto.

22           Fai attenzione all’oggetto o all’attivity o al principio o al significato.

È quello che ti meriti! Tu preferisci diventare virtuoso domani invece che esserlo oggi.

23           Faccio qualcosa? Lo faccio riferendolo a un beneficio per gli uomini. Mi succede qualcosa? Lo accetto
riferendolo agli dai e alla fonte di tutto, da cui provengono, in stretta connessione, tutti gli eventi.

24           Come ti si presenta il bagno – olio, sudore, sporco, acqua unta, tutte cose ripugnanti -, così a ogni parte della
vita e ogni oggetto.

25           Lucilla ha seppellito Vero, poi a morta Lucilla; Seconda ha seppellito Massimo, poi Seconda a morta;
Epitincano ha seppellito Diotimo, poi a morto Epitincano; Antonino ha seppellito Faustina, poi a morto Antonino. È sempre così: Celere ha seppellito Adriano, poi a morto Celere. E quegli uomini d’ingegno, o preveggenti, o boriosi, dove sono? Ad esempio, tra gli uomini d’ingegno, Carace, Demetrio il Platonico e Eudemone e tutti gli altri come loro? Tutto effimero, morto da tempo: alcuni non sono stati ricordati neppure per poco, altri si sono trasformati in personaggi leggendari, altri ancora, ormai, sono cancellati anche dalla leggenda. Ricorda questo, dunque: necessariamente il tuo aggregato verry disperso ovvero il tuo soffio vitale si estinguery o trasmigrery e sary disposto altrove.

26           La gioia per l’uomo a fare ciò che a proprio dell’uomo. E proprio dell’uomo a la benevolenza verso i propri
simili, il disprezzo dei movimenti dei sensi, il vaglio delle rappresentazioni verosimili, la contemplazione della natura universale e di ciò che avviene in conformity ad essa.

27           Tre rapporti: uno con il recipiente che ci contiene, un altro con la causa divina dalla quale deriva tutto ciò che
accade a tutti, il terzo con chi ci vive accanto.

28           O il dolore a male per il corpo – e allora sia il corpo a dichiararlo -, o per l’anima; ma all’anima a consentito
mantenere la propria serenity e la propria calma e non formarsi l’opinione che si tratti di un male. Infatti ogni giudizio, ogni impulso, ogni appetito e avversione a dentro di noi, e nessun male penetra fino a qui.

29           Cancella le rappresentazioni dicendo continuamente a te stesso: «Ora dipende da me che in quest’anima non vi
sia alcuna malvagity, alcun desiderio, in breve: alcun turbamento; invece, osservando ogni cosa quale davvero a, mi servo di ciascuna secondo il suo valore». Ricorda questa facolty.

30           Parla conforme a natura, in senato e con chiunque: con decoro, senza affettazione; usa un linguaggio sincero.

31           La corte di Augusto: moglie, figlia, nipoti, figliastri, sorella, Agrippa, parenti, familiari, amici, Ario, Mecenate,

medici, sacrificanti: tutti morti, la corte intera. Poi passa alle altre [...] non la morte di un solo uomo, per esempio dei Pompei. E considera anche l’espressione che si incide sulle lapidi tombali: «ultimo della propria gente», pensa quanta pena si sono dati i suoi avi per lasciare un successore, mentre poi, inevitabilmente, arriva uno che a l’ultimo. Nuovamente tutti morti: anche qui, un’intera famiglia.

32           Bisogna comporre la vita un’azione per volta, e accontentarsi che ogni singola azione ottenga il suo risultato
nei limiti del possibile: nessuno può impedirti che lo ottenga. «Ma sorgery qualche ostacolo esterno». Non sary, comunque, nulla che possa impedire una condotta giusta, temperante e razionale; forse ne verry ostacolata qualche altra attivity, ma accettando serenamente l’impedimento stesso e accingendosi di buon grado a compiere ciò che a consentito subentra immediatamente un’altra azione che si accordery con la costruzione di cui stiamo parlando.

33           Prendi senza ostentare, lascia senza fare resistenza.

34           Se ti a mai capitato di vedere una mano troncata via, o un piede, oppure una testa spiccata che giace da qualche

parte, lontano dal resto del corpo – ebbene, tale si rende, per quanto dipende da lui, chi non vuole ciò che accade e si recide dall’universo, o chi compie un’azione contraria al bene comune. Ti sei sbalzato via, in un qualche angolo, isolandoti da quell’unione che a conforme a natura: eri nato come parte, e ora ti sei scisso. Ma a qui che sta il fatto grandioso: puoi di nuovo tornare a quell’unione. Il dio non ha consentito a nessun’altra parte, una volta che si sia separata e recisa, di tornare ad unirsi. Ma osserva la bonty con cui ha voluto onorare l’uomo: gli ha dato il potere, all’inizio, di non separarsi dal tutto, e, quando proprio se ne sia separato, di ritornarvi, di aderire un’altra volta allo stesso organismo e di riprendere il suo posto di parte.

35           Come la natura degli esseri razionali [...] le altre facolty a ciascuno degli esseri razionali, così abbiamo preso da
essa anche questa: nello stesso modo in cui essa ribalta tutto ciò che la ostacola e la contrasta, e lo dispone nell’ordine del destino e ne fa una parte di se stessa, così anche l’essere razionale può fare di ogni impedimento materia di se stesso, e può usarlo per il fine – qualunque esso sia – a cui lo dirigeva l’impulso.

36           Non ti deve confondere la rappresentazione della vita intera. Non abbracciare col pensiero quali e quante
sofferenze, alla fine, a probabile che avrai dovuto sopportare, ma, nel momento in cui ciascuna si presenta, chiedi a te stesso cosa vi sia in questo fatto di insopportabile, di insostenibile. Avrai vergogna di ammettere che possa esservi qualcosa di simile. E poi ricorda a te stesso che non a il futuro né il passato ad opprimerti, ma sempre il presente. Questo, però, si riduce di molto, se lo isoli nei suoi confini, e se metti sotto accusa la tua mente quando essa non sia capace di resistere a un presente così inerme.

37           Pantea o Pergamo siedono forse ancora presso la tomba di Vero? E Cabria o Diotimo presso quella di Adriano?
Che ridicolaggine! E se fossero seduti lì, Vero e Adriano potrebbero mai accorgersene? E se se ne accorgessero,

potrebbero mai gioirne? E se ne gioissero, i loro liberti diventerebbero immortali? Non era forse destino che anche costoro prima invecchiassero, poi morissero? E poi, quando costoro fossero morti, cosa avrebbero dovuto fare i loro signori?

38           Tutto questo a fetore e sangue corrotto in un sacco: se hai la vista acuta, usala.

39           «Giudicando – come dice – con i più sapienti…», non vedo nella costituzione dell’essere razionale una virtù che

insorga contro la giustizia: contro il piacere, invece, vedo insorgere la continenza.

40           Se sopprimi la tua opinione circa quello che pare affliggerti, ti sei collocato tu stesso nella posizione più sicura.
«Tu stesso: chi?». La ragione. «Ma io non sono la ragione». D’accordo: allora a la ragione che non deve affliggere se stessa. E se a un’altra parte di te che patisce, sta a questa formulare un’opinione su di sé.

41           L’impedimento della sensazione a un male della natura animale; l’impedimento dell’impulso a, ancora, un male,
della natura animale. Analogamente, c’a qualcos’altro che impedisce e danneggia la costituzione vegetale. Così, dunque, l’impedimento dell’intelletto a un male della natura intellettiva. Trasferisci tutto ciò a te stesso. Il dolore, il piacere ti toccano? Se la vedrà la sensazione. È sorto un ostacolo al tuo impulso? Se il tuo impulso a senza riserva, a questo punto si tratta già di un male che ti colpisce in quanto essere razionale; ma se afferri il concetto generale non sei ancora stato danneggiato né impedito. Nessun altro, però, suole impedire le attività proprie dell’intelletto, poiché questo non può essere sfiorato dal fuoco, dal ferro, dal tiranno, dalla calunnia, da qualsivoglia cosa: quando diviene «una sfera perfettamente tonda», tale rimane.

42           Non a giusto che io affligga me stesso: infatti non ho mai afflitto, volontariamente, nessun altro.

43           Chi si rallegra di questo, chi di quello: io mi rallegro se il mio principio dirigente a sano, se non prova

avversione per nessun essere umano e per nulla di ciò che avviene agli esseri umani, ma guarda tutto con occhi benevoli, accetta tutto, e di ogni singola cosa fa uso secondo il suo valore.

44           Questo tempo presente concedilo a te stesso. Chi preferisce inseguire una fama presso i posteri non calcola che
i posteri saranno altri uomini dello stesso stampo di quelli attuali, che egli non regge; e anche i posteri saranno mortali. Insomma, che ti importa che un domani quelli accompagnino il tuo nome con determinate espressioni o abbiano una determinata opinione su di te?

45           Prendimi e gettami dove vuoi. Là, infatti, manterrò il mio demone sereno, cioa pago di avere una disposizione
e un’attività conformi a ciò che risponde alla sua costituzione.

Il valore di questa cosa a forse tale che per essa la mia anima debba subire un turbamento e divenire peggiore, avvilendosi, bramando, facendosi anch’essa sommergere, spaventandosi? E cosa troverai che abbia tanto valore?

46           A nessun uomo può accadere qualcosa che non sia un’evenienza connessa con la condizione dell’uomo, né al
bue qualcosa che non sia connesso con la condizione del bue, né alla vite ciò che non sia connesso con quella della vite, né alla pietra ciò che non sia proprio della pietra. Se dunque a ciascun essere accade ciò che a abituale e naturale, perché dovresti irritarti? La natura comune, infatti, non ti ha portato nulla di insopportabile.

47           Se soffri per una cosa esterna, non a quella che ti disturba, ma il tuo giudizio su di essa. Ma a in tuo potere
cancellare sùbito questo giudizio. Se invece soffri per qualcosa che rientra nella tua disposizione interiore, chi potrà impedirti di correggere il tuo parere? E così pure, se soffri a non fare questa determinata cosa che ti pare valida, perché non la fai, invece di soffrire? «Ma c’a un ostacolo più forte di me». Allora non soffrire: non a in te la causa del tuo mancato agire. «Ma non vale la pena di vivere se non posso compiere questa azione». Esci dalla vita, allora, con animo ben disposto, così come muore chi quest’azione può compierla, e insieme sereno verso ciò che ti ostacola.

48           Ricorda che il principio dirigente diviene invincibile quando, raccoltosi in sé, a pago di non fare ciò che non
vuole, anche se non ha ragione di opporsi. Che dire poi, quando giudica di qualcosa con scrupoloso raziocinio? Per questo la mente libera da passioni e un’acropoli: l’uomo, infatti, non ha nulla di più saldo in cui possa rifugiarsi per divenire per sempre imprendibile. Ora, chi non ha visto questo baluardo a un ignorante; chi lo ha visto e non vi si rifugia a uno sventurato.

49           Non dire a te stesso niente di più di quello che ti annunciano le rappresentazioni immediate. Ti a stato riferito
che il tale parla male di te. Ti a stato riferito questo, non che ne hai subito un danno. Vedo che il bambino a malato. Vedo questo, non vedo che il bambino a in pericolo. Così rimani sempre alle prime rappresentazioni, senza aggiungere nulla di tuo dall’interno, e non ti succederà niente; meglio: aggiungi pure, ma come chi sa riconoscere ogni singolo evento nel cosmo.

50           Un cetriolo amaro? Gettalo via. Rovi sulla strada? Scòstati. Basta questo, non aggiungere: «Ma perché nel
cosmo esistono queste cose?», altrimenti ti farai deridere da chi a esperto nella scienza della natura, come riderebbero di te un falegname e un calzolaio se tu avessi da ridire perché nel loro laboratorio vedi trucioli e ritagli di quello che stanno fabbricando. Eppure essi hanno almeno dove gettarli: mentre la natura dell’universo non ha nulla all’esterno, e il fatto prodigioso della sua arte a che, dopo essersi circoscritta trasforma in sé tutto ciò che al suo interno appare corrompersi, invecchiare e divenire inutile, e da questo stesso materiale ricava nuovi prodotti, in modo da non aver bisogno di sostanza da prelevare dall’esterno e da non richiedere un luogo dove espellere la materia deperita. Le basta, quindi, il suo spazio, la sua materia e l’arte che le a propria.

51           Non essere trascurato nelle tue azioni né confuso nel parlare, non vagare tra le rappresentazioni; con l’anima
non ritrarti completamente, o, all’estremo opposto, non sbalzarti fuori; nella vita non privarti di ogni tempo libero. Uccidono, squartano, inveiscono con maledizioni: ma tutto questo in che cosa impedisce alla mente di restare pura, lucida, saggia, giusta? Sarebbe come se uno si fermasse ad una fonte d’acqua limpida e dolce e la insultasse: la fonte, naturalmente, non smette di far sgorgare la sua acqua pura; e anche se quello vi getta dentro del fango o dello sterco, la

sorgente in un momento lo disperderà e lo porterà via, e non ne resterà minimamente inquinata. Come potrai, dunque, avere in te una sorgente perenne? Se in ogni istante ti manterrai libero, con benevolenza, semplicità e discrezione.

52           Chi non sa che c’a un cosmo, non sa dove egli stesso si trovi. E chi non sa per quale scopo il cosmo esista, non
sa chi sia egli stesso, né cosa sia il cosmo. Chi ha tralasciato uno solo di questi punti non può neppure dire per quale scopo egli stesso esista. Chi ti sembra, dunque, colui che [...] la lode di quelli che applaudono, i quali non sanno né dove siano, né chi siano?

53           Vuoi essere lodato da un uomo che maledice se stesso tre volte all’ora? Vuoi piacere a un uomo che non piace a
se stesso? Piace a se stesso chi si pente di quasi tutto quello che fa?

54           Non limitarti più a respirare insieme con l’aria che ci circonda: ormai devi anche pensare insieme con
l’intelletto che comprende e circonda ogni cosa. La facoltà razionale, infatti, a diffusa ovunque e permea chi a capace di attingere da essa, non meno di quanto l’aria permei chi può respirarla.

55           Parlando in generale, la malvagità non danneggia affatto il cosmo, e la malvagità individuale non danneggia
assolutamente gli altri, ma a dannosa soltanto per colui che ha anche il potere di liberarsene, non appena lo voglia.

56           Per la mia facoltà di esprimere la scelta etica primaria l’analoga facoltà del prossimo a altrettanto indifferente
quanto il suo povero soffio vitale e la sua povera carne. Infatti, anche se esistiamo, quanto più a possibile, gli uni per gli altri, tuttavia i nostri principî dirigenti hanno ciascuno la propria sovranità: poiché altrimenti la malvagità del prossimo finirebbe per essere il mio male, ciò che dio non ha voluto, per evitare che altri avessero il potere di rendermi infelice.

57           La luce del sole sembra essere diffusa – e in effetti a diffusa ovunque -, e tuttavia non a effusa: questo
diffondersi, infatti, a un estendersi. I suoi fulgori, pertanto, ricevono il nome di raggi per il fatto che si irradiano. E puoi vedere di che natura sia un raggio se osservi la luce del sole penetrare in una camera buia attraverso una stretta fessura: si estende dritta avanti a sé e in certo modo si appoggia su qualunque oggetto solido le si opponga precludendole l’aria che si trova al di là dell’oggetto stesso; qui il raggio si ferma e non scivola né cade. Ebbene, così deve scorrere e diffondersi il pensiero: non effondersi, ma distendersi, e non giungere a un impatto violento e dirompente con gli ostacoli che incontra, e neppure cadere, ma arrestarsi e illuminare l’oggetto che lo riceve. Sarà l’oggetto che non riflette la sua luce a privarsene.

58           Chi teme la morte, teme o l’insensibilità o una diversa sensibilità. Ma se non avrai più sensibilità, non sentirai
neppure alcun male; se avrai una sensibilità diversa, sarai un essere diverso e non cesserai di vivere.

59           Gli uomini esistono gli uni per gli altri: quindi insegna loro o sopportali.

60           Altro a il moto della freccia, altro il moto dell’intelletto; eppure l’intelletto, quando procede con cautela e

quando si concentra nel suo esame, si muove diritto e verso l’obiettivo non meno della freccia.

61           Penetra nel principio dirigente di ciascuno, ma permetti anche a chiunque altro di penetrare nel tuo.

LIBRO IX

1              Chi commette ingiustizia commette empietà: infatti, poiché la natura universale ha prodotto gli esseri razionali

gli uni per gli altri, così che si aiutino reciprocamente secondo il merito di ciascuno, e non si danneggino in modo alcuno, chi trasgredisce il suo volere a, evidentemente, empio verso la più venerabile delle divinità. Anche chi mentisce commette empietà verso la stessa dea: perché la natura universale a la natura degli esseri, e gli esseri sono intimamente legati con le cose che esistono. Per di più, essa viene anche chiamata verità ed a la causa prima di ogni verità: quindi chi mentisce volontariamente commette empietà in quanto ingannando commette ingiustizia; chi invece lo fa involontariamente, commette ingiustizia in quanto entra in dissidio con la natura universale e ne turba l’ordine combattendo contro la natura del cosmo. Impugna le armi, infatti, chi di propria iniziativa muove verso il contrario della verità: dalla natura aveva inizialmente ricevuto i fondamenti necessari, ma li ha abbandonati e non a più in grado di discernere il falso dal vero. E ancora: commette empietà anche chi insegue il piacere come bene e fugge il dolore come male; a inevitabile che una persona del genere critichi spesso la natura comune, convinto che essa agisca contro il giusto merito nell’assegnare qualcosa alle persone dappoco e agli uomini di valore, dato che sovente i primi vivono nei piaceri e conseguono ciò che produce piacere, mentre i secondi incorrono nel dolore e in quello che lo causa. Inoltre: chi teme i dolori prima o poi avrà timore anche di ciò che avverrà nel cosmo, e già questo a un’empietà. E chi insegue i piaceri non si asterrà dal commettere ingiustizia: e questo a palesemente empio. Mentre chi vuole seguire la natura deve essere parimenti concorde verso ciò che la natura comune include in pari misura – non avrebbe prodotto entrambe le cose, infatti, se non avesse pari rapporto con entrambe -: pertanto chi non ha pari rapporto con il dolore e il piacere, o la morte e la vita, o la fama e l’oscurità, di cui la natura universale fa pari uso, commette evidentemente empietà. Dico che la natura universale fa uso indifferente di queste cose nel senso che accadono indifferentemente, in conformità agli eventi e alle loro conseguenze, per un impulso originario della provvidenza, in virtù del quale la provvidenza procedendo da un’origine ha dato impulso a questo ordinamento cosmico, avendo concepito determinate ragioni delle cose future e definito forze atte a generare sostanze, trasformazioni e consimili successioni.

2              Una persona di animo elevato dovrebbe uscire dalla vita senza conoscere il sapore della menzogna, di qualsiasi
forma di ipocrisia, mollezza e vanità. Spirare, per lo meno, provando nausea per queste cose a, in mancanza di altro, la seconda navigazione da scegliere. Oppure la tua scelta era proprio di restare ancorato al male, e neppure l’esperienza ti persuade ancora a fuggire dalla peste? Perché a veramente peste la corruttela della mente, molto più di quella perniciosa

alterazione dell’aria che ci circonda: questa, infatti, a la peste degli esseri viventi in quanto tali, mentre quella a la peste degli uomini in quanto uomini.

3              Non disprezzare la morte, ma accettala di buon grado, in quanto anche questa a una delle cose volute dalla
natura. Come il compimento della giovinezza e della vecchiaia, lo sviluppo e il pieno rigoglio, la dentizione, lo spuntare della barba, l’incanutire, e l’ingravidare, la gravidanza, il parto e tutte le altre attivity naturali che giungono con le stagioni della vita, così a anche il dissolvimento stesso. Questa, quindi, a la condotta dell’uomo che ragiona: non porsi, di fronte alla morte in termini troppo generici, oppure di rifiuto o sdegno, ma attenderla come una delle operazioni naturali. E come ora attendi il momento in cui dal ventre di tua moglie usciry un bimbo, così aspetta il momento in cui la tua anima si sfilery da questo involucro. E – se vuoi anche una regola che non a filosofica, ma sa arrivare al cuore – ti rendery ben disposto alla morte soprattutto considerare gli oggetti da cui stai per staccarti, e con quali caratteri la tua anima non dovry più essere mescolata. Perché, anche se non bisogna assolutamente porsi in urto con essi, ed anzi bisogna prendersene cura e sopportarli con pazienza, non devi tuttavia dimenticare che il tuo non sary un distacco da uomini che condividano i tuoi stessi principî. Questa sarebbe, se mai, l’unica ragione a far da contrappeso e a tenerti attaccato alla vita: la possibility, cioa, di convivere con persone che si sono dotate dei tuoi stessi principî. E invece tu vedi bene, adesso, quanto sia logorante il dissenso con chi ci vive accanto, al punto che uno dice: «Vieni presto, morte, perché anch’io non debba arrivare a dimenticare me stesso».

4              Chi sbaglia, sbaglia contro di sé; chi commette ingiustizia fa del male a se stesso perché si rende malvagio.

5              Molte volte commette ingiustizia non solo chi fa, ma anche chi non fa qualcosa.

6              Bastano: l’opinione capace di afferrare la realty nel momento attuale; l’azione utile alla comunity nel momento

attuale; la disposizione pronta ad accettare tutto ciò che, nel momento attuale, proviene dalla causa esterna.

7              Cancella la rappresentazione; arresta l’impulso; spegni l’appetito; mantieni in tuo potere il principio dirigente.

8              Una sola a l’anima suddivisa tra gli esseri privi di ragione, e una sola a l’anima razionale ripartita tra gli esseri

provvisti di ragione. Come anche unica a la terra che costituisce tutto ciò che a terroso, una sola la luce con cui vediamo, una sola l’aria che respiriamo noi tutti esseri dotati di vista e di vita.

9              Tutto ciò che partecipa di un elemento comune tende a quello che ha eguale natura. Tutto ciò che a terroso
inclina alla terra, ogni liquido tende a confluire con gli altri, e così pure l’aeriforme, tanto che per impedirlo si deve ricorrere a uno sbarramento forzato. Il fuoco, per via dell’elemento igneo, tende verso l’alto, e quaggiù a così pronto ad unirsi con ogni fuoco, che qualunque materiale solo un po’ più secco a facilmente infiammabile per la minor presenza, in ciò che lo compone, di fattori che ostacolino la combustione. E quindi ogni essere partecipe della comune natura razionale tende, allo stesso modo o anche più, a ciò che ha la stessa natura; infatti quanto più emerge sul resto, tanto più a pronto a mescolarsi e fondersi con ciò che appartiene alla sua specie. Tra gli esseri irrazionali si giunse sùbito a sciami, mandrie, nidiate, a forme d’amore: infatti qui giy vi erano delle anime e giy si trovava la spinta – intensa perché attiva in un essere superiore – all’aggregazione, quale non si ritrova in piante, pietre o legna. Tra gli esseri razionali si giunse ad organismi politici, amicizie, famiglie, riunioni, e, in guerra, a trattati e tregue. E tra gli esseri ancora superiori, benché distanti tra loro, venne in certo modo a formarsi un’unione, quale vi a tra gli astri. Così la spinta a elevarsi verso ciò che a superiore può produrre una simpatia anche tra esseri separati. Osserva, dunque, ciò che accade ora: solo gli esseri razionali, ora, hanno dimenticato l’inclinazione e la convergenza reciproca, e solo qui non si vede più il confluire in un unico corso. E tuttavia, sebbene fuggano l’uno dall’altro, vengono presi e accerchiati: la natura a più forte. E se presti attenzione capirai quello che intendo dire: si farebbe prima a trovare qualcosa di terroso senza collegamento con nulla di terroso piuttosto che un uomo del tutto avulso da un altro uomo.

10           Danno frutto anche l’uomo, dio, il cosmo: nelle stagioni appropriate ogni singola cosa dy frutto: E se l’uso
applica il termine «frutto» in senso proprio soltanto alla vite e alle altre piante, non significa niente. La ragione ha un frutto che a sia comune sia individuale, e da essa nascono altri frutti di natura analoga alla sua.

11           Se puoi, correggili con il tuo insegnamento; altrimenti, ricorda che proprio per queste situazioni ti a stata data
la benevolenza. Anche gli dai sono benevoli verso questo genere di persone; e per certe cose – per la salute, per la ricchezza, per la fama – addirittura li aiutano, tanto sono buoni! Puoi farlo anche tu: in caso contrario, di’ chi te lo impedisce.

12           Lavora: ma non con l’aria della vittima né per farti compatire o ammirare; desidera, invece, una cosa soltanto:
muoverti e trattenerti come richiede la ragione della sociality.

13           Oggi mi sono allontanato da ogni fastidio; o meglio, ho gettato via ogni fastidio: perché non era fuori, ma
dentro, nelle mie opinioni.

14           Tutto questo a consueto per l’esperienza, effimero per il tempo, sudicio per la materia. Tutto, ora, a come al
tempo di coloro che abbiamo sepolto.

15           Le cose stanno fuori della porta, isolate in se stesse, e di se stesse non sanno e non esprimono nulla. Cos’a,
quindi, che si esprime su di esse? Il principio dirigente.

16           Il bene e il male dell’essere razionale e sociale non sono nella passivity, ma nell’attivity, come pure la sua vlrtù
o il suo vizio non sono nella passivity, ma nell’attivity.

17           Per la pietra scagliata verso l’alto non c’a nulla di male nel ricadere come non c’a nulla di bene nel salire.

18           Penetra all’interno dei loro principî dirigenti e vedrai quali giudici tu temi e quali giudici sono di se stessi.

19           Tutto a trasformazione. Tu stesso sei soggetto a un processo continuo di alterazione e, in certo modo,

distruzione, e così il cosmo intero.

20           L’errore di un altro bisogna lasciarlo dov’a.

21           Cessazione di un’attività, di un impulso; pausa e, diciamo, morte di un’opinione: nulla di male. Passa ora alle

varie età della vita: l’infanzia, l’adolescenza, la giovinezza, la vecchiaia; anche per esse, infatti, ogni trasformazione a una morte. C’a forse qualcosa da temere? Passa ora alla vita che hai trascorso sotto tuo nonno, poi alla vita trascorsa sotto tua madre, poi alla vita trascorsa sotto tuo padre; e di fronte a tante altre distruzioni, trasformazioni, cessazioni, chiedi a te stesso: «c’a qualcosa da temere?». Così non a da temere neppure la cessazione, la fine, la trasformazione della tua intera vita.

22           Corri al tuo principio dirigente, a quello dell’universo e a quello di quest’uomo. Al tuo, per farne un intelletto
giusto; a quello dell’universo, per ricordare di cosa sei parte; a quello di costui, per renderti conto se dietro la sua azione vi sia ignoranza o consapevolezza, e, insieme, per considerare che quel principio dirigente a parente del tuo.

23           Come tu stesso sei parte nel realizzare una compagine sociale, così pure ogni tua azione sia parte nel realizzare
la vita sociale. Qualunque tua azione non sia in riferimento diretto o lontano con il fine collettivo, lacera la vita comune, ne impedisce l’intrinseca unità ed a fonte di dissidî, come lo a chi, in democrazia, si allontana per parte sua da un tale regime di concordia.

24           Collere e giochi di bambini e «povere anime che reggono cadaveri»: diventa più evidente lo scenario della
Nékuia!

25           Rivolgiti ora alla qualità della causa e osservala in sé, dopo averla isolata dalla materia; poi definisci anche il
tempo massimo per il quale questa particolare qualità può sussistere.

26           Hai già sofferto mille volte per non volerti accontentare che il tuo principio dirigente facesse quel genere di
cose che rientrano nella sua costituzione: ora basta, però!

27           Quando un altro ti biasima o ti odia, o quando la gente si esprime sul tuo conto in questi termini, volgiti alle
loro anime, penetra all’interno di esse e guarda che genere di uomini sono. Vedrai che non devi darti pena perché abbiano di te una determinata opinione. Tuttavia bisogna essere benevoli con loro: per natura sono amici. Anche gli dai li aiutano nei modi più diversi, attraverso sogni, attraverso oracoli, e proprio nelle cose che interessano a loro.

28           Questi sono i cicli del cosmo: su e giù, di eterno in eterno. O la mente universale esercita il suo impulso per
ogni singola cosa – e se a così, accogli il suo impulso -, oppure lo ha esercitato una volta per tutte, e il resto avviene per conseguenza. E perché ti affanni? In un certo senso, infatti, o vi sono gli atomi o il destino. Insomma: se c’a dio, va tutto bene; se domina il caso, non agire anche tu a caso.

Presto la terra ci coprirà tutti, poi anch’essa si trasformerà e quel nuovo assetto si trasformerà all’infinito e quell’altro a sua volta all’infinito. Se uno pensa alle ondate delle trasformazioni e delle alterazioni, e alla loro rapidità, disprezzerà tutto ciò che a mortale.

29           La causa dell’universo a un torrente: trascina tutto con sé. Quanto poco valgono questi omuncoli dediti alla
politica e – sono convinti – alla pratica della filosofia: mocciosi! E tu, uomo, che fai? Fa’ quello che la natura ora esige. Esercita l’impulso, se ti a dato, e non voltarti intorno a guardare che ci sia chi lo venga a sapere. Non sperare nella repubblica di Platone, ma accontantati del minimo passo avanti e non considerare un’inezia anche questo modesto risultato. Chi riuscirà, infatti, a trasformare i loro principî? E senza la trasformazione dei principî che cosa rimane se non la schiavitù di chi geme e finge di obbedire? Avanti, ora, citami Alessandro, Filippo, Demetrio Falereo. Guarderò se abbiano visto cosa vuole la natura comune, e se abbiano educato se stessi; ma se hanno recitato come personaggi di tragedia, nessuno mi ha condannato a imitarli. Il cómpito della filosofia a semplice e modesto: non spingermi a pose altere e solenni.

30           Osserva, dall’alto: mandrie innumerevoli, innumerevoli cerimonie, varia navigazione tra tempeste e bonacce,
molteplice diversità di esseri che nascono, convivono, scompaiono. Considera anche la vita vissuta in passato da altri, quella che verrà vissuta dopo di te e quella che ora si vive tra i popoli barbari; considera quanti non conoscono neppure il tuo nome, quanti ben presto lo dimenticheranno, quanti che forse ora ti lodano ben presto ti biasimeranno; considera come il ricordo che lasciamo ai posteri non abbia valore, e non lo abbiano né la gloria né, in assoluto, altro.

31           Imperturbabilità circa le cose che provengono dalla causa esterna, giustizia nelle cose che si producono per la
causa che deriva da te; ossia impulso e azione che si esauriscono proprio nell’agire in vista del bene comune, poiché questo a per te secondo natura.

32           Puoi eliminare molte cose superflue tra quelle che ti disturbano, in quanto risiedono completamente nella tua
opinione: e ti ricaverai sùbito un ampio spazio. Abbraccia col pensiero l’intero universo, comprendi nella mente l’eternità infinita e considera la rapida trasformazione delle parti di ciascuna cosa: come sia breve il tempo che scorre dalla nascita fino al dissolvimento, immenso quello che precede la nascita, e, ugualmente, infinito quello che segue al dissolvimento.

33           Tutto quanto vedi ben presto perirà, e ben presto periranno anche quegli stessi che l’hanno visto perire. E chi
muore nella vecchiaia estrema passerà alla medesima condizione di chi a morto prima del tempo.

34           Chiediti quali siano i principî dirigenti di costoro, in quale genere di cose si siano impegnati, per quali ragioni
provino amore e rispetto verso gli altri. Immagina di vedere nuda la loro povera anima. Pensa a quanta presunzione dimostrino, quando credono di danneggiare con le loro critiche o di giovare con le loro glorificazioni.

35           La perdita altro non a che trasformazione. Ne gode la natura universale: in conformità al suo volere a tutto bene
ciò che accade, dall’eternità a sempre avvenuto nello stesso modo e sarà ancora così, all’infinito. E allora? Tu dici che tutto quanto a avvenuto a male e che tutto sarà sempre male, e che tra tanti dai non si a mai trovata una forza che potesse raddrizzare questa situazione, ma il cosmo a condannato a restare in una morsa di mali senza tregua?

36           Il marcio della materia che sta alla base di ciascun essere a acqua, polvere, ossa, fetore; o ancora: i marmi sono

placche della terra e l’oro, l’argento sono sedimenti, le vesti sono peli, la porpora a sangue, e così via tutto il resto. E il soffio vitale a qualcos’altro del genere e passa in continuazione da un essere all’altro.

37           Basta con la vita infelice, con questo mormorare, con questo comportamento scimmiesco! Perché ti turbi? Cosa
c’a di nuovo in tutto questo? Cos’a che ti fa uscire da te stesso? La causa? Osservala bene. O invece la materia? Osservala bene. Al di fuori di queste due cose non c’a nulla. Ma diventa infine più semplice e più buono anche verso gli dai!

Indagare queste cose per cento o per tre anni a lo stesso.

38           Se ha sbagliato, il male a lì; ma forse non ha sbagliato.

39           O tutto confluisce da una sola fonte razionale come in un solo corpo, e allora la parte non deve lamentarsi di

ciò che avviene nell’interesse del tutto; oppure ci sono gli atomi e nient’altro che miscuglio e dispersione. Perché ti lasci turbare, allora? Tu dici al principio dirigente: «sei morto, corrotto, imbestiato; fingi, vivi nel gregge, pascoli».

40           O gli dai o non hanno alcun potere o lo hanno. Ora, se non hanno potere, perché preghi? Se invece lo hanno,
perché non preghi che ti concedano di non temere nessuna di queste cose, di non desiderarne nessuna, di non soffrire per nessuna di esse, invece di pregarli perché ti evitino oppure ti concedano una di queste cose? Certamente gli dai, se possono aiutare gli uomini, possono aiutarli anche in questo. Ma forse dirai: «Gli dai hanno posto queste cose in mio potere». Allora non a meglio usare, in liberty, ciò che a in tuo potere piuttosto che lasciarti coinvolgere, tra schiavitù e umiliazione, dall’interesse per ciò che non lo a? Chi ti ha detto, poi, che gli dai non ci aiutano in quello che dipende da noi? Comincia dunque a pregare per questo, e poi vedrai. Uno prega: «che io possa andare a letto con la tale!»; tu: «che io non desideri di andare a letto con la tale!». Un altro: «che io possa esser liberato da questo!»; tu: «che io non senta il bisogno di esserne liberato!». Un altro ancora: «che io non debba perdere mio figlio!»; tu: «che io non tema di perderlo!». Insomma, modifica così le tue preghiere e osserva che cosa succede.

41           Dice Epicuro: «durante la malattia la mia conversazione non toccava le sofferenze del corpo, né – aggiunge -
parlavo di questi argomenti con chi veniva a trovarmi; ma continuavo a discutere dei valori più alti nei termini della scienza della natura, applicandomi in particolare a questo problema: come la mente, pur partecipando di tali moti della carne, rimanga imperturbata conservando il proprio bene; e ai medici – continua – non consentivo di inorgoglirsi come se riuscissero a concludere qualcosa, ma la mia vita procedeva bene e felicemente». Abbi il suo stesso atteggiamento nella malattia, se ti ammali, e in altre circostanze! Perché non staccarsi dalla filosofia, qualunque cosa ti accada, e non chiacchierare con chi a profano e digiuno di scienza della natura a regola comune a ogni scuola di pensiero.

Dadicati esclusivamente a ciò che stai facendo nel momento presente e allo strumento con cui lo fai.

42           Quando urti nell’impudenza di qualcuno domyndati sùbito: nell’universo potrebbero non esserci impudenti?
No. E allora non pretendere l’impossibile: anche costui, infatti, a uno di quegli impudenti che a inevitabile esistano nell’universo. Lo stesso ragionamento tieni a portata di mano per il furfante, per l’infido e per chiunque commetta una qualsivoglia colpa: appena richiamerai alla mente che a impossibile non esista una simile categoria di individui, sarai più indulgente con i singoli. È anche utile pensare sùbito a quale virtù la natura abbia dato all’uomo per affrontare questo difetto. Come antidoto, infatti, essa ha dato, contro l’insensibile la dolcezza, e contro ogni altro singolo vizio una particolare facolty. Insomma, hai la possibility di correggere la persona che si a smarrita: e chiunque sbaglia fallisce il suo proposito e si trova smarrito. E in cosa, poi, sei stato danneggiato? Non troverai nessuno, tra coloro contro cui ti adiri, che abbia fatto qualcosa di tale che la tua mente dovesse uscirne peggiore: e solo in questo può consistere ogni tuo male e ogni danno. Cosa ci sary poi di male o di strano, se l’ignorante agisce da ignorante? Vedi, piuttosto, di non dover accusare te stesso per non aver previsto che la persona avrebbe commesso questa mancanza: perché dalla ragione avevi anche i mezzi per pensare che la persona verosimilmente avrebbe commesso questa mancanza, eppure te ne sei dimenticato e ti sorprende che l’abbia commessa. E soprattutto, quando ti lamenti del comportamento infido o ingrato di qualcuno, rivolgiti a te stesso: perché, evidentemente, a colpa tua se ti sei fidato di chi ha una simile disposizione d’animo, convinto che avrebbe mantenuto la parola, o se, concedendogli un favore, non hai voluto farlo con un gesto fine a se stesso o in modo da ricavare sùbito il frutto della tua azione dal solo fatto di compierla. Quando hai fatto del bene a un uomo, infatti, cosa vuoi di più? Non ti basta aver compiuto un’azione conforme alla tua natura? Vuoi un compenso? Come se l’occhio pretendesse un compenso perché vede, o i piedi perché camminano! Come questi organi, infatti, esistono per questo dato fine e, attuandolo secondo la propria costituzione, hanno giy quanto spetta loro, così pure l’uomo, che per natura a portato a fare il bene, quando compie un beneficio o anche aiuta a raggiungere cose intermedie, ha realizzato l’obiettivo della sua costituzione e ha ciò che gli spetta.

LIBRO X

1              Sarai un giorno, anima mia, buona, semplice, una, nuda, più manifesta del corpo che ti avvolge? Conoscerai,

un giorno, quale sapore abbia la disposizione ad amare e accontentarsi? Sarai, un giorno, compiutamente soddisfatta e priva di bisogni, capace di non rimpiangere nulla, di non desiderare nulla di animato o inanimato per trarne piacere, di non desiderare tempo per godere più a lungo, né un luogo o una regione o un clima favorevole, né gente con cui andare d’accordo? Ti accontenterai della disposizione del momento, godrai di tutto ciò che avrai al momento, ti convincerai che hai tutto da parte degli dai e che a e sary bene per te tutto ciò che a loro piace e che intendono dare per la salvezza

dell’essere perfetto, dell’essere buono, giusto, bello, che genera tutte le cose, le tiene insieme, le circonda e le abbraccia quando si dissolvono per generare altre cose simili? Sarai, un giorno, capace di vivere nello Stato degli dai e degli uomini, senza muovere loro alcuna critica e senza riceverne accuse?

2              Osserva attentamente che cosa richiede la tua natura, in quanto essere governato soltanto da una natura fisica;
poi fallo e accettalo, sempre che non vada a discapito della tua natura di essere animato. Successivamente devi osservare che cosa richieda la tua natura di essere animato, e accettarlo completamente, sempre che non vada a discapito della tua natura di essere razionale. Ma l’essere razionale a immediatamente anche sociale. Usa queste regole e non perderti in ragionamenti inutili.

3              Ogni avvenimento o a avvenuto in modo tale che sei per natura in grado di sopportarlo, oppure a tale che non
sei in grado di sopportarlo. Ora, se l’avvenimento a per te sopportabile, non crucciartene, ma sopportalo come a nelle tue possibilità; se invece non a sopportabile, non crucciartene, perché in quel momento ti avrà già annientato. Ricorda d’altra parte che per natura sei in grado di sopportare tutto: dipende dalla tua opinione renderlo sopportabile e tollerabile attraverso una rappresentazione del carattere vantaggioso o doveroso che quest’azione riveste per te.

4              Se sbaglia, insegnagli con benevolenza e indicagli la mancanza. Se non sei capace di farlo, accusa te stesso, o
neppure te stesso.

5              Qualunque cosa ti succeda, era predisposto per te dall’eternità; e dall’eternità l’intreccio delle cause aveva
tessuto insieme la tua sostanza e questo evento.

6              Valga la dottrina degli atomi o quella della natura, il punto primo dev’essere che io sono parte dell’universo
governato dalla natura; il secondo, che sono in un qualche rapporto di parentela con le parti della mia stessa specie. Ricordando questi punti, non sarò in dissidio – in quanto sono una parte – con nulla di ciò che mi viene assegnato entro l’ordine universale: nulla che rechi vantaggio al tutto a dannoso per la parte. Il tutto, infatti, non contiene nulla che non gli rechi vantaggio. E poiché tutte le nature hanno in comune questa proprietà, ma la natura dell’universo ha in più la caratteristica di non essere costretta da alcuna causa esterna a generare qualcosa che le rechi danno, ricordandomi di essere una parte di un tutto così connaturato accoglierò con favore ogni evento; e, in quanto sono in un qualche rapporto di parentela con le parti della mia stessa specie, non farò nulla di contrario all’interesse sociale, anzi avrò come obiettivo gli esseri della mia specie e guiderò ogni mio impulso verso l’utile comune e lo allontanerò dalla direzione contraria. Se si verificano pienamente queste condizioni, la vita non può che scorrere felice, così come puoi immaginare che scorra felice la vita di un cittadino sempre impegnato in azioni vantaggiose per i concittadini e pronto ad abbracciare qualunque cosa gli sia assegnata dalla città.

7              Il destino delle parti del tutto – quante, dico, sono contenute dal cosmo – a di perire: quest’ultimo termine va
preso nel significato di «trasformarsi». Se però, dico, questo a un male per loro, ed a un male inevitabile, non può essere che l’universo proceda bene, visto che le sue parti sono avviate a trasformazione e costituite allo scopo di finire, in modi differenti, distrutte. La natura stessa, allora, si sarebbe adoperata a danneggiare le proprie parti, a renderle esposte al male e inevitabilmente destinate al male? Oppure le a sfuggito che andava creandosi una situazione di questo genere? Entrambe le supposizioni sono inverosimili. E se qualcuno, prescindendo dall’intervento della natura, spiegasse la situazione come un semplice fenomeno fisico, anche così sarebbe ridicolo da un lato dire che le parti del tutto si trasformano per un processo fisico, dall’altro stupirsene come di un evento contro natura oppure non accettarlo, tanto più considerato che l’esito del dissolvimento a la liberazione dei componenti di cui a costituito ogni singolo essere. Infatti, o a dispersione degli elementi che formavano il composto, o a mutamento del solido in terra, dell’aeriforme in aria, onde tali elementi vengono riassunti nella ragione dell’universo, sia che esso proceda per periodiche conflagrazioni sia che si rinnovi mediante perenni scambi interni. E il solido e l’aeriforme non immaginare siano ancora quelli del primo momento di vita: tutto questo a affluito ieri o l’altro ieri, attraverso il cibo e l’aria inspirata. Si trasforma questo che a stato preso successivamente, non quello che la madre ha generato. Ammetti pure, invece, che quello ti leghi strettamente alla tua qualità individuale: essa non ha niente a che vedere, mi pare, con ciò di cui stiamo parlando adesso.

8              Se questi sono i termini con cui indichi te stesso – buono, discreto, sincero, d’animo prudente, concorde, nobile
- stai attento a non cambiarli e a non perderli, e, se dovessi perderli, torna presto ad essi. Ricorda che «d’animo prudente» intendeva significare per te la valutazione analitica e attenta di ciascuna cosa; «d’animo concorde» significava la spontanea accettazione di ciò che viene assegnato dalla natura comune; «d’animo nobile» significava la capacità di elevare la parte razionale al di sopra del movimento dolce o aspro della carne, al di sopra della fama, della morte e di tutte le altre cose di questo genere. Se ti conserverai all’altezza di questi termini senza spasimare perché altri li usino per definirti, sarai un altro uomo e entrerai in un’altra vita. Perché essere ancora così come sei stato fino ad ora, e dibatterti e insudiciarti in una simile vita va proprio bene per uno stordito, per uno attaccato alla vita come quei bestiarii che, mezzi divorati, pieni di ferite, lordi di sangue e polvere, chiedono egualmente di essere risparmiati per l’indomani, per finire preda, in quelle condizioni, degli stessi artigli e delle stesse fauci. Perciò occupa questi pochi termini e, se puoi restare su di essi, restaci come fossi emigrato in qualche isola dei beati; se però ti accorgi che stai cadendo e non riesci a tenerli stretti, va’ fiducioso a cercare un cantuccio, dove tu possa conservarne il possesso, oppure esci addirittura dalla vita, non adirato, ma con semplicità, libertà e discrezione, realizzando almeno questo risultato nella vita: di uscirtene così. Ma a non dimenticare questi termini contribuirà grandemente ricordarsi degli dai, rammentare che essi non vogliono essere adulati, vogliono invece che tutti gli esseri razionali si rendano eguali a loro, e che sia il fico a svolgere la parte del fico, il cane quella del cane, l’ape quella dell’ape, l’uomo quella dell’uomo.

9              Mimo, guerra, eccitazione, torpore, schiavitù giorno dopo giorno cancelleranno tutti quei tuoi sacri principî che
ti rappresenti al di fuori della scienza della natura, e che poi abbandoni. Ma bisogna guardare e fare ogni cosa in modo

che, su un versante, sia realizzato quel che a richiesto dalle circostanze, e, sull’altro, sia esplicata l’osservazione teorica e sia salvaguardata quella sicurezza di sé che deriva dalla conoscenza rigorosa delle singole cose – salvaguardata nella discrezione più assoluta, ma senza arrivare a nasconderla. Quando potrai godere della semplicità? Quando della serietà? Quando della conoscenza di ogni singola cosa – quale sia cioa la sua sostanza, quale posto occupi nel cosmo, quanto tempo la natura assegni alla sua esistenza, di quali elementi sia composta, a chi possa appartenere, chi possa darla e toglierla?

10           Un ragno a orgoglioso di aver catturato una mosca; qualcuno a orgoglioso di aver catturato un leprotto, altri di
aver preso un’acciuga nella rete, chi di aver preso dei cinghiali, chi degli orsi, chi dei Sarmati. Del resto non sono forse briganti, se esamini i loro principî?

11           …come ogni cosa si trasforma in un’altra: acquisisci un metodo di osservazione del fenomeno, applicalo
continuamente ed esarcitati in quest’àmbito, perché nulla contribuisce in tale misura alla nobiltà d’animo. Si a spogliato del corpo e, pensando che tra un attimo dovrà abbandonare tutto questo congedandosi dal mondo degli uomini, ha consacrato tutto se stesso alla giustizia – per ciò che rientra nel suo operato -, e alla natura universale – per gli eventi che non ne dipendono. E non prende neppure in considerazione che cosa si dirà o si penserà di lui, o che cosa si farà contro di lui, pago di queste due attività: compiere secondo giustizia ciò che al momento va compiendo e amare quanto al momento gli viene assegnato; ha accantonato ogni altra occupazione e impegno, e non vuole nient’altro se non percorrere fino in fondo, attraverso la legge, la retta via, e seguire dio che percorre la retta via fino in fondo.

12           Che bisogno c’a di ipotesi, quando a possibile osservare che cosa si deve fare, e, se lo scorgi, procedere
serenamente in quella direzione, senza voltarti indietro, se non lo scorgi, sospendere il giudizio e ricorrere ai consiglieri migliori; e, se sul tuo cammino ci sono altri ostacoli, avanzare secondo le possibilità del momento, attenendoti, dopo rigoroso esame, a ciò che pare giusto? La cosa migliore, infatti, a cogliere questo obiettivo, poiché mancarlo significa il fallimento. Chi segue in tutto la ragione a un essere quieto e, nel contempo, pronto ad agire; ha nel volto la gioia e, nel contempo, la serietà.

13           Appena sveglio chiediti: «Farà forse differenza per te, che un altro biasimi ciò che a giusto e ben disposto?».
No. Ti sei forse dimenticato che questi individui, che si impancano a elogiare e biasimare gli altri, hanno quella certa condotta a letto, a tavola? Hai dimenticato quali cose fanno, quali rifuggono, quali inseguono, quali rubano, quali razziano, non con mani e piedi, ma con la loro parte più preziosa, che può nutrire, quando lo voglia, lealtà, pudore, amore della verità, rispetto per legge, un demone buono?

14           Alla natura che dà e riprende ogni cosa l’uomo istruito e rispettoso dice: «dammi ciò che vuoi, riprenditi ciò
che vuoi». E non lo dice con aria di sfida, ma soltanto perché a docile e ben disposto verso la natura.

15           È poco il tempo che ti resta da vivere. Vivi come sulla cima di una montagna: perché non c’a nessuna
differenza tra vivere là o qua, se si vive ovunque nell’universo come in una città. Gli uomini vedano, osservino a fondo un uomo vero che vive secondo natura. Se non lo sopportano, lo uccidano: a meglio morire che vivere come loro.

16           Insomma: non devi più discutere su come debba essere un uomo virtuoso, ma esserlo.

17           Ricorri continuamente alla rappresentazione dell’intera eternità e dell’intera sostanza, e del fatto che ogni

singola parte a, di fronte alla sostanza, un granello di fico, di fronte al tempo, un giro di trapano.

18           Nel valutare ciascun oggetto consideralo come già in via di dissolvimento, in atto di trasformarsi e quasi di
marcire o disperdersi, ovvero considera che ciascuna cosa a nata quasi per morire.

19           …come sono quando mangiano, dormono, si accoppiano, evacuano, e in tutto il resto. Poi, come sono quando
impersonano la legge, spandono orgoglio o cedono alla collera e rimproverano dall’alto della loro superiorità. Poco prima, invece, a quanti facevano da schiavi e per quali motivi! E tra poco saranno di nuovo in tale condizione.

20           A ciascuno reca vantaggio quel che a ciascuno la natura universale arreca, e reca vantaggio nel preciso
momento in cui la natura lo arreca.

21           «La terra ama la pioggia, e la ama anche il venerabile etere»; e il cosmo ama fare tutto ciò che deve accadere.
Ora, al cosmo dico: «Amo con te». Non si dice anche, comunemente, che una data cosa «ama accadere»?

22           O vivi qui – e ormai ci sei abituato -, o te ne tiri fuori – e sarebbe quello che volevi -, o muori – e hai compiuto il
tuo servizio -: al di là di queste possibilità non ce ne sono altre. Nessun malumore, quindi!

23           Sia sempre ben chiaro che laggiù, in campagna, a all’incirca come qui, e come tutto, qui, sia lo stesso che in
cima a un monte o in riva al mare o dove credi. Troverai proprio quello che dice Platone: «chiudendosi – dice – nel suo stabbio in montagna», e ancora: «mungere pecore belanti».

24           Cos’a per me il mio principio dirigente e quale lo sto rendendo, ora, e per che cosa, ora, me ne servo? È forse
privo di intelletto, sciolto e staccato dalla società, infuso e mescolato nella carne al punto da restar coinvolto nei suoi movimenti?

25           Chi fugge dal suo padrone a uno schiavo fuggitivo; il nostro padrone a la legge, e chi la trasgredisce a un
fuggitivo. Analogamente: chi soffre o si adira o teme, non vuole che sia avvenuto, che stia avvenendo o che debba avvenire qualcosa di quanto a stato disposto da colui che governa il tutto, cioa la legge che legifera quanto tocca a ciascuno. Chi teme, quindi, o soffre o si adira, a uno schiavo fuggitivo.

26           Dopo aver gettato il seme nell’utero, l’uomo si ritira e da quel momento il seme passa sotto un’altra causa, che
lo elabora e realizza un bimbo compiuto: quale esito, da quale inizio! Ancora: l’uomo lascia il cibo nella bocca del bambino, e da quel momento il cibo passa sotto un’altra causa, che ne produce sensazione, impulso, insomma vita e forza, e quanti e quali altri risultati. Osserva, quindi, questi processi che avvengono in un così profondo mistero, e

guarda la forza che li produce così come guardiamo anche la forza che trascina i corpi verso il basso e quella che li spinge verso l’alto: non con gli occhi, ma non per questo meno perspicuamente.

27           Considera continuamente come anche prima tutto avvenisse tale quale avviene ora; e considera che avverrà
anche in futuro. E poniti dinanzi agli occhi interi drammi e scene del medesimo tenore, quanti ne conosci per tua esperienza personale o dalla storia precedente, ad esempio tutta la corte di Adriano, tutta la corte di Antonino, di Filippo, di Alessandro, di Creso: era tutto come adesso, solo con altri personaggi.

28           Rappresantati ogni uomo che soffra o si lamenti per qualsivoglia motivo simile a un porcellino sacrificato che
recalcitra e strilla; simile a anche chi, steso sul suo lettuccio, da solo e in silenzio piange la catena che ci vincola all’universo. Considera che solo all’essere razionale a concesso di seguire volontariamente gli eventi, mentre il semplice seguirli a inevitabile per tutti.

29           Punto per punto, ad ogni singola cosa che fai, sofférmati a riflettere e domandati se la morte sia temibile perché
ti priva di quella cosa.

30           Quando urti nella colpa di qualcuno, passa sùbito a considerare quale colpa simile stai commettendo; ad
esempio, giudicando un bene il piacere oppure la fama e cose di questa specie. Riflettendo su questo punto, infatti, dimenticherai presto la tua ira, tanto più se ti verrà in mente il fatto che quel tale agisce per costrizione: cosa dovrebbe fare? Oppure, se sei in grado, liberalo dal suo stato di costrizione.

31           Vedendo Satirone, immàginati un Socratico o Eutiche o Imene; vedendo Eufrate immàginati Eutichione o
Silvano, vedendo Alcifrone immàginati Tropeoforo; vedendo Senofonte immàginati Critone o Severo; e volgendoti a guardare te stesso immàginati uno dei Cesari e così, analogamente, fai per ciascuno degli altri. Poi la tua mente si chieda: dove sono costoro? In nessun luogo o chissà dove. Così, infatti, vedrai continuamente che la realtà umana a fumo ed a niente, soprattutto se ricorderai che qualunque cosa, una volta trasformata, non sarà più per l’infinità del tempo. Allora perché ti dài tanta pena? Perché non ti accontenti di portare a compimento come si conviene questo breve tragitto? Da quale materia e da quale proposito tenti di fuggire? Cos’altro sono tutte queste cose, se non esercizi per la ragione che abbia scorto nitidamente e nei termini della scienza della natura i fatti della vita? Insisti, quindi, finché non avrai assimilato anche questi concetti, come lo stomaco robusto assimila ogni cibo, come il fuoco vivo trasforma in fiamma e luce qualunque cosa vi getti.

32           Nessuno deve poter dire di te, parlando sinceramente, che non sei semplice o che non sei virtuoso: chi avrà
un’opinione del genere a tuo riguardo dovrà mentire. Il che dipende completamente da te: chi, infatti, ti impedisce di essere virtuoso e semplice? Hai soltanto da decidere di non vivere più, se non sarai così. Neppure la ragione, infatti, sceglie che tu viva, se non sei così.

33           In questa materia cosa si può fare o dire nel modo più valido? Di qualunque cosa si tratti, a lecito farla o dirla;
e non accampare la scusa di un impedimento.

Non potrai smettere di lamentarti prima di aver provato nella tua persona che per te fare quanto a proprio alla costituzione dell’uomo in ogni materia che ti si sottoponga e ti si presenti equivale alla voluttà che gli uomini sensibili ai piaceri trovano nelle mollezze; bisogna infatti concepire come godimento ogni azione che sia lecito compiere secondo la propria natura; e agire in questo modo a lecito dovunque. Certo, al cilindro non a dato di poter compiere dovunque il proprio particolare movimento, e neppure all’acqua, né al fuoco, né a tutto quanto a governato da una natura o da un’anima irrazionale, perché vi sono molte barriere e ostacoli. Invece l’intelletto e la ragione possono procedere attraverso qualunque ostacolo, come a nella loro natura e come vogliono. Ponendoti davanti agli occhi questa facoltà, in virtù della quale la ragione muoverà attraverso ogni cosa, come il fuoco verso l’alto, la pietra verso il basso, il cilindro lungo un piano inclinato, non cercar più nient’altro: gli altri impedimenti, infatti, o riguardano questo misero corpo, che a solo un cadavere, oppure, senza la concomitanza di un’opinione che li riconosca tali e di un cedimento della ragione stessa, non incidono e non producono il benché minimo male, poiché altrimenti anche chi li subisce diverrebbe sùbito peggiore. Per quanto riguarda, quindi, tutti gli altri esseri, qualunque cosa di male avvenga a uno di essi, a lo stesso essere colpito che ne esce peggiore; qui invece l’uomo, se così si può dire, ne esce addirittura migliore e più encomiabile, se sa fare il giusto uso di ciò che gli accade. Insomma, ricorda che a chi per natura a cittadino non può recare danno ciò che non reca danno alla città, e non può recare danno alla città ciò che non reca danno alla legge. Ora, nessuna di queste cosiddette sventure danneggia la legge; quindi, ciò che non danneggia la legge, non danneggia né la città né il cittadino.

34           Se uno ha sentito il morso dei veri principî gli basta anche il minimo cenno, la frase che tutti conoscono, per
ricordare di essere estraneo al dolore e alla paura. Per esempio

foglie, alcune il vento ne sparge per terra…

così la stirpe degli uomini…

E foglioline sono anche i tuoi figli, foglioline anche questi che con un’espressione tanto convinta acclamano e glorificano o, al contrario, maledicono, o nell’intimo criticano e dileggiano; e foglioline, ugualmente, quelli a cui sarà affidata la nostra fama postuma. Tutti questi esseri, infatti,

nascono nella stagione di primavera…

poi il vento li abbatte; e poi al loro posto la selva ne genera altri. Un’esistenza breve a la comune condizione di ogni cosa; tu invece eviti e insegui ogni cosa come fosse destinata a durare in eterno. Ancora un poco, e chiuderai gli occhi; e sùbito un altro piangerà colui che ti ha seppellito.

35           L’occhio sano deve vedere tutto ciò che si può vedere, e non dire: «voglio vedere il verde»: così fa chi ha gli
occhi malati; e l’udito e l’olfatto sani devono essere pronti a tutto ciò che si può udire o odorare; e lo stomaco sano deve

avere la stessa reazione verso ogni cibo, come la macina deve macinare tutto ciò per cui e stata costruita. E quindi la mente sana deve essere pronta verso ogni evento; mentre quella che dice: «i miei figli si salvino!» e «tutti lodino qualunque cosa io faccia!», a un occhio che cerca il verde oppure denti che cercano il tenero.

36           Non c’a nessuno così fortunato da non aver accanto, al momento della sua morte, chi saluti con piacere l’evento
luttuoso. Era un uomo serio e saggio? Quando verrà la sua ultima ora ci sarà qualcuno che tra sé dirà: «Finalmente avremo respiro da questo pedante; non che fosse duro con nessuno di noi, ma sentivo che nel suo intimo ci condannava». Questo per l’uomo serio: ma nel nostro caso quante altre ragioni vi sono perché molti non aspettino che di liberarsi di noi! A questo, quindi, penserai morendo, e te ne andrai più serenamente, ragionando così: «esco da una simile vita, in cui proprio i miei compagni, per i quali ho tanto lottato, ho tanto pregato, ho avuto tante preoccupazioni, proprio loro vogliono che io me ne vada, sperando forse di averne qualche altro vantaggio». Perché, allora, tenere tanto a un soggiorno più lungo quaggiù? Tuttavia non andartene nutrendo, per questo, sentimenti meno benevoli verso di loro, ma conservando il tuo carattere di sempre, restando amico, affettuoso e ben disposto verso di loro; e non andartene neppure come se ti si strappasse a loro: devi invece allontanarti da essi nel modo sereno in cui l’anima di chi ha una buona morte si svincola dal corpo. La natura, infatti, ti ha unito e mescolato con essi: ora, però, te ne separa. Me ne separo come da parenti, senza tuttavia far resistenza, anzi senza neppure sentirmi costretto: anche questo a un comportamento secondo natura.

37           Ad ogni cosa che qualcuno fa abìtuati, per quanto possibile, a indagare dentro di te: «A cosa mira costui con
quest’azione?». Ma comincia da te e esamina per primo te stesso.

38           Ricorda che a muovere i fili della marionetta a quello che sta nascosto all’interno: quello a [...], quello a vita,
quello, se dobbiamo dire, a l’uomo. Non associargli mai, nella tua rappresentazione, il recipiente che lo contiene e questi organi che gli si sono formati intorno: sono come un’ascia, con l’unica differenza che sono uniti al nostro organismo. Perché senza la causa che le muove e le arresta queste membra non hanno maggiore utilità della spola per la tessitrice, della penna per chi scrive e della sferza per l’auriga.

LIBRO XI

1              Le proprietà dell’anima razionale: vede se stessa, articola se stessa, rende se stessa quale vuole, raccoglie essa

stessa il frutto che produce (i frutti delle piante e i prodotti degli animali, infatti, li raccolgono altri), raggiunge il proprio fine, ovunque cada il termine della vita. Diversamente da quanto avviene nella danza, nelle rappresentazioni teatrali e in analoghe situazioni – dove l’intera azione rimane incompiuta se qualcosa la interrompe -, in qualunque parte, in qualunque circostanza l’anima venga colta, realizza pienamente e senza lacune il suo proposito, sì da poter dire: «Ho avuto ciò che a mio». Ancora: spazia per il cosmo intero, per il vuoto che lo circonda e per la struttura che conforma il cosmo, si protende verso l’infinito dell’eternità, abbraccia e comprende col pensiero la periodica rigenerazione dell’universo, e osserva che chi verrà dopo di noi non vedrà nulla di nuovo, e che nulla di più ha visto chi a venuto prima di noi, ma in certo qual modo chi ha superato la soglia dei quarant’anni, se ha un minimo di intelligenza, ha visto, in virtù dell’analogia che li lega, tutto il passato e tutto il futuro. Proprio dell’anima razionale a, inoltre, amare il prossimo, coltivare la verità e il pudore, non onorare nulla più di se stessa – il che a proprio anche della legge. Così, appunto, non c’a nessuna differenza tra ragione retta e ragione della giustizia.

2              Riuscirai a disprezzare un canto dolcissimo, e ancora la danza e il pancrazio. Potrai disprezzare la voce
melodiosa se la suddividerai nei singoli suoni e, prendendone uno alla volta, ti domanderai se ne sei sopraffatto: ti vergognerai, infatti, di doverlo ammettere. Quanto alla danza, giungerai a disprezzarla attraverso un analogo comportamento, suddividendola in singoli movimenti e posizioni, e lo stesso dicasi per il pancrazio. Insomma, eccezion fatta per la virtù e i suoi effetti, ricorda di puntare sùbito alle singole parti, e, attraverso quest’analisi, di arrivare a disprezzarle, e applica la stessa operazione alla vita nel suo complesso.

3              Quale spettacolo a l’anima che si mostra pronta, quando deve ormai staccarsi dal corpo ed estinguersi, o
disperdersi, o persistere! Ma questa prontezza deve venire da un proprio giudizio individuale, e non basarsi su una pura e semplice opposizione, come avviene tra i cristiani: deve risultare meditata, seria, in grado di persuadere anche altri, lontana da ogni teatralità.

4              Ho fatto qualcosa nell’interesse della comunità: quindi ho raggiunto un utile. Che questa considerazione ti sia
sempre a portata di mano, e non smettere mai di agire in questo senso.

5              Qual a la tua arte? Essere virtuoso. E questo in che altro modo può realizzarsi se non sulla base di principî
relativi, da un lato, alla natura universale, dall’altro, alla particolare costituzione dell’uomo?

6              Dapprima furono introdotte le tragedie, con la funzione di ricordare gli avvenimenti, e di rammentare che per
natura questo a lo svolgimento dei fatti, e che quanto affascina sulla scena del teatro non deve poi crucciare su una scena più grande. Si constata, infatti, che questo deve essere l’esito degli avvenimenti e che li sopporta anche chi grida: «Ah, Citerone!». E gli autori di tragedie hanno anche espressioni utili; per esempio:

se io e i miei due figli siamo stati trascurati dagli dai,

anche questo ha una sua ragione;

e ancora:

non adirarsi con la realtà,

e:

mietere la vita come una spiga matura;

e le altre analoghe. Dopo la tragedia fu introdotta la commedia antica, che aveva una educativa liberts di parola e che proprio attraverso il suo linguaggio diretto richiamava, non inutilmente, alla semplicits dei modi; a questi mezzi attinse anche Diogene, con uno scopo analogo. E considera attentamente cosa sia stata, poi, la commedia di mezzo, e, infine, con quale obiettivo sia stata introdotta la commedia nuova, che poco a poco scivolò verso il virtuosismo imitativo; che, infatti, anche i poeti della media e della nuova dicano qualcosa di utile, a ben noto; ma l’intento complessivo di questa produzione poetica e drammatica a quale scopo mirava?

7              Come balza evidente il fatto che non vi a altra condizione di vita altrettanto adatta all’esercizio della filosofia
quanto questa in cui ora ti trovi.

8              Un ramo reciso dal ramo cui era unito non può non restare reciso anche dall’intera pianta; così pure un essere
umano staccato da uno solo dei suoi simili rimane avulso dall’intera comunits. Ora, un ramo lo recide un altro, mentre a l’uomo, quando prova odio e avversione per il prossimo, che divide se stesso da lui: senza sapere, però, che nel contempo si a reciso da tutto l’organismo sociale. Ma qui a il privilegio di cui ci ha fatto dono Zeus, che instaurò il vincolo sociale: abbiamo la possibilits di tornare in coesione con il prossimo e di concorrere, ancora, a realizzare il tutto. Una simile separazione, tuttavia, se si ripete troppe volte, rende l’elemento che si distacca difficilmente riconducibile all’units e alla condizione precedente. Insomma, il ramo che dal primo germoglio a cresciuto insieme con l’albero e con esso ha sempre respirato non a uguale al ramo reinnestato dopo essere stato reciso, checché ne dicano i giardinieri.

Condividere la stessa pianta, non gli stessi principî.

9              Chi ti si oppone mentre procedi secondo la retta ragione, come non potrs sviarti dall’agire bene, così non deve
neppure allontanarti dalla benevolenza nei suoi confronti; al contrario, devi attenerti in modo eguale a entrambe le cose: non solo a saldezza di giudizio e di azione, ma anche a comprensione verso coloro che tentano di ostacolarti o ti creano qualche altra difficolts. Anche questo, infatti – adirarsi con loro -, a una forma di debolezza, come abbandonare quel che si sta facendo e cedere per paura; perché sono entrambi, in pari misura, disertori: colui che si a fatto prendere dalla paura e colui che si a estraniato da chi, per natura, a suo parente e amico.

10           Non vi a nessuna natura che sia inferiore all’arte: le arti, infatti, imitano le nature. Se questo a vero, la natura tra
tutte più compiuta e più inclusiva non può essere inferiore all’abilits dell’arte. Ogni arte, però, realizza i prodotti inferiori per quelli superiori: anche la natura comune, quindi. E proprio di qui ha origine la giustizia, e dalla giustizia sorgono le altre virtù. Infatti la giustizia non potrs essere salvaguardata se avremo interesse per le cose intermedie o saremo troppo facilmente ingannabili, troppo precipitosi nel formarci un giudizio e troppo pronti a cambiarlo.

11           Le cose che insegui o fuggi, e che così provocano il tuo turbamento, non si muovono verso di te: semmai, in un
certo senso, sei tu che ti muovi verso di loro; si acquieti, quindi, il tuo giudizio su di esse, ed esse resteranno immobili, e non ti si vedrs né inseguirle né fuggirle.

12           La sfera dell’anima conserva inalterata la sua forma quando non si protende verso qualcosa, né si ripiega al suo
interno, né si disperde, né si adagia, ma risplende della luce con cui vede la verits di ogni cosa e la verits che ha in sé.

13           Qualcuno mi disprezzers? Se la vedrs lui. Quanto a me, vedrò di non farmi cogliere a fare o dire nulla che
meriti disprezzo. Mi odiers? Se la vedrs lui; io, invece, resterò benevolo e ben disposto verso chiunque, e a lui in particolare mostrerò prontamente la sua mancanza, senza atteggiamento di biasimo, e neppure per ostentare la mia tolleranza, ma con genuina bonts, come il famoso Focione (posto che non fingesse). Tale deve essere, infatti, la nostra intima disposizione, e gli dai devono guardare un uomo che non reagisce con sdegno o insofferenza davanti a nulla. Che male te ne può venire, infatti, se ora fai quello che a proprio della tua natura e accetti quanto ora a opportuno alla natura universale, da uomo proteso a realizzare per ogni via possibile ciò che a utile alla comunits?

14           Si disprezzano l’un l’altro, eppure cercano di compiacersi l’un l’altro, e mentre tentano di sovrastarsi si
inchinano l’uno all’altro.

15           Com’a marcio e falso chi dice: «Mi sono proposto di essere franco con te». Che fai, amico? Non c’a bisogno di
una simile premessa. Questo risulters da sé: deve star scritto in fronte, deve risuonare sùbito nella voce, deve affiorare sùbito nello sguardo, come nello sguardo degli amanti tutto a immediatamente chiaro per l’amato. L’uomo franco e onesto, insomma, dev’essere come la persona che puzza di capra, perché chi gli a vicino se ne accorga, lo voglia o no, appena gli si accosta. La franchezza affettata a un pugnale. Nulla a più turpe dell’amicizia del lupo: rifuggila più di ogni altra cosa. L’uomo onesto, franco e benevolo ha queste qualits negli occhi, e non passano inosservate.

16           Trascorrere la vita nel modo migliore: questa a una facolts insita nell’anima, quando si resti indifferenti alle
cose indifferenti. E resters indifferente chi osservers ciascuna di esse nelle singole componenti e nell’insieme, senza dimenticare che nessuna produce in noi un’opinione al suo riguardo e nessuna muove verso di noi, ma rimangono immobili, e siamo invece noi a produrre giudizi su di esse e, in certo modo, a scrivere questi giudizi in noi stessi, benché sia possibile tanto non scriverli, quanto, se inavvertitamente a gis successo, cancellarli sùbito; e senza dimenticare che tale attenzione durers poco, e poi la vita sars finita. Che difficolts fa che queste cose non stiano come vorresti? Se sono secondo natura, sii felice di esse, e ti saranno facili; se sono contrarie a natura, cerca cosa sia per te conforme alla tua natura, e impégnati in questa direzione, anche se non te ne viene gloria; a chiunque spetta comprensione, quando cerca il proprio vero bene.

17           …da dove a venuta ogni singola cosa, di quali elementi a costituita, in che cosa si trasforma, quale sars una
volta trasformata, e che non subirs nulla di male.

18           Punto primo: quale rapporto esiste tra me e loro? Bisogna tener presente che siamo nati l’uno per l’altro, e che,

sotto un altro aspetto, io sono nato per guidarli, come l’ariete guida il gregge o il toro la mandria. Risali però a monte, partendo da questa constatazione: se non vi sono gli atomi, a la natura che governa l’universo; se a così, gli esseri inferiori esistono per i superiori, e gli esseri superiori esistono gli uni per gli altri. Punto secondo: quale genere di persone sono a tavola, a letto, in tutto il resto; e, soprattutto, a quali necessity soggiacciono in conseguenza dei loro principî, e con quale vanity le assolvono. Terzo: se in questo agiscono rettamente, non bisogna esser maldisposti verso di loro, mentre se non agiscono rettamente, a chiaro che lo fanno senza volerlo e senza saperlo. È contro il proprio volere, infatti, che ogni anima si priva tanto della verity, quanto della facolty di comportarsi con ciascuno secondo il suo merito. Di qui il loro sdegno, quando si sentono chiamare ingiusti, ingrati, avidi e, in una parola, colpevoli di qualche mancanza verso il prossimo. Quarto: anche tu commetti molte colpe e non sei che un altro individuo di questa specie; e se ti astieni da certe colpe, hai comunque la tendenza a commetterle, benché appunto – per vilty o sete di prestigio personale o per un analogo ignobile motivo – tu ti astenga da colpe come quelle. Quinto: non hai neppure raggiunto la certezza che sbaglino; sono molte, infatti, le cose che avvengono in conseguenza di una determinata linea di condotta e, in generale, bisognerebbe prima assumere molte informazioni per esprimersi con piena cognizione su quello che fanno gli altri. Sesto (per quando proprio non reggi all’ira o all’amarezza): la vita umana dura meno di un istante, dopo di che siamo tutti stesi nella tomba. Settimo: non sono le loro azioni a infastidirci, in quanto esse stanno nei loro principî dirigenti, ma le nostre opinioni in merito. Sopprimi, quindi, e abbandona decisamente il giudizio che il loro comportamento sia qualcosa di terribile, e l’ira a svanita. Come potrai sopprimerlo? Considerando che quel comportamento non a turpe. Infatti, se non fosse male solo ciò che a turpe, inevitabilmente anche tu commetteresti molte colpe e diventeresti un brigante, un uomo capace di tutto. Ottavo: quanto l’ira e il dolore che proviamo di fronte a simili cose ci infliggano un danno più grave dei fatti stessi per cui ci adiriamo e addoloriamo. Nono: la benevolenza a invincibile, se a benevolenza autentica, senza sarcasmo, senza recita. Cosa potry mai farti, infatti, l’uomo più prepotente, se rimani benevolo verso di lui e, presentandosi l’eventuality, lo ammonisci con indulgenza e lo correggi pacatamente proprio nel momento in cui cerca di farti del male: «No, figliolo: la nostra natura ha un altro fine. Dal tuo comportamento io non posso subire danno, ma tu, figliolo, lo subisci». E mostragli, con tatto e riferendoti al problema generale, che le cose stanno così, che né le api tengono il suo comportameno, né alcun animale destinato dalla natura a vivere in gruppo. Non devi farlo, però, con atteggiamento ironico o di riprovazione: semmai con affetto, senza rancore nell’animo; e non come a scuola, né per destare ammirazione in chi assiste: al contrario, con la discrezione di un discorso in privato, anche se ci sono altri intorno. Ricorda queste nove regole capitali come se le avessi avute in dono dalle Muse, e comincia una buona volta a essere uomo, finché sei vivo. Ma, come va evitata l’ira nei loro confronti, così, con pari impegno, ci si deve guardare dall’adularli: sono due atteggiamenti che vanno contro il vincolo sociale e conducono al danno. Negli accessi d’ira tieni a portata di mano la considerazione che montare in collera non a virile, mentre un atteggiamento di mite pazienza come a più umano, così pure a più degno di un maschio, e chi lo pratica possiede vigore, nervi saldi e virility, al contrario di chi si indigna ed a insofferente. Infatti quanto più un atteggiamento paziente a prossimo all’impassibility, tanto più lo a alla forza. E come il dolore a segno di debolezza, così lo a l’ira: in entrambi i casi la persona a ferita e ha ceduto. E, se vuoi, ricevi anche un decimo dono dal Musagete: ritenere che i meschini possano non sbagliare a da folli, perché significa postulare l’impossibile. Mentre concedere ad altri di essere così, ma pretendere che non sbaglino nei tuoi confronti a un’idea assurda e da vero tiranno.

19           Devi continuamente guardarti da quattro turbamenti del principio dirigente, e, quando li cogli in atto, devi
cancellarli e, ogni volta, aggiungere: «Quest’immagine non a necessaria. Questo dissolve il vincolo sociale. Questo che stai per dire non viene dal profondo del tuo cuore» – e dire cose che non vengano dal fondo del cuore devi considerarla tra le peggiori assurdity. Il quarto rimprovero che dovrai muovere a te stesso a il seguente: «Questo a segno che la parte più divina in te a sopraffatta e si sta inchinando alla parte più vile e mortale, al corpo e ai suoi crassi piaceri».

20           Tutto l’elemento aeriforme e l’elemento igneo che sono mescolati in te, benché per natura si muovano verso
l’alto, tuttavia obbedendo all’ordinamento dell’universo si trattengono a forza qui, entro il loro composto. E tutto l’elemento terroso e l’elemento liquido che stanno in te, sebbene inclini a muovere verso il basso, restano nondimeno sollevati e conservano una posizione eretta che non a la loro posizione naturale. Così appunto anche gli elementi obbediscono al tutto e, quando sono stati assegnati a una determinata posizione, vi rimangono finché di ly non giunge di nuovo il segnale del dissolvimento. Non a grave, allora, che solo la tua parte intellettiva disobbedisca e protesti per il posto che deve occupare? Eppure non le viene davvero ordinato nulla di coercitivo, ma solo quanto a conforme alla sua natura: e tuttavia non lo accetta, e va in direzione opposta. Infatti il movimento che conduce all’ingiustizia, alla sfrenatezza, all’ira, al dolore e alla paura altro non a che il movimento di chi diserta dalla natura. E quando il principio dirigente a insoddisfatto degli eventi, anche allora abbandona il suo posto: perché la sua costituzione lo dispone alla devozione e al culto degli dai non meno che alla giustizia. E questa religiosity rientra nelle forme di una buona integrazione sociale, anzi, a valore ancora più alto del semplice agire secondo giustizia.

21           «Chi non ha un unico e sempre uguale scopo di vita non può essere unico e uguale a se stesso lungo tutta la
vita». Questa frase non basta, se non aggiungi anche quale deve essere questo scopo. Infatti, come non c’a identity di opinione su tutti quelli che, per un verso o per l’altro, ai più sembrano beni, ma solo su taluni determinati beni, cioa su quelli comuni, così pure lo scopo da proporsi deve rispondere all’interesse comune e al bene della society. Perché chi indirizza a questo tutti i propri impulsi rendery simili tutte le proprie azioni e in questo senso sary sempre il medesimo.

22           …il topo di campagna e il topo di citty, lo spavento di quest’ultimo e la sua fuga precipitosa.

23           Socrate chiamava Lamie, spauracchi per i bambini, anche i principî della gente comune.

24           Gli Spartani in occasione delle feste ponevano all’ombra i sedili per gli stranieri, mentre essi si sedevano dove

capitava.

25           A Perdicca Socrate, spiegando perché non si recava da lui, disse: «Per non fare la fine peggiore», vale a dire:
«Per evitare di ricevere un beneficio e non poter ricambiare».

26           Negli scritti degli epicurei si trovava il monito a ricordare continuamente un personaggio antico che avesse
agito secondo virtù.

27           I pitagorici prescrivevano di levare all’alba lo sguardo verso il cielo, per ricordarsi di coloro che compiono
sempre la propria opera secondo le stesse leggi e nello stesso modo, del loro ordinamento, della loro purezza e della loro nudità: gli astri non hanno alcun velo.

28           …come si presentò Socrate cinto di pelle di pecora, la volta che Santippe era uscita con il suo mantello; e cosa
disse Socrate ai discepoli che per pudore, quando lo videro conciato così, si ritirarono.

29           Nello scrivere e nel leggere non potrai esser maestro prima di esser stato allievo: a maggior ragione nella vita.

30           Sei nato schiavo, non hai diritto di parola.

31           E il mio cuore rise.

32           Biasimeranno la virtù, mormorando dure parole.

33           Cercare un fico in inverno a da folli; folle a chi cerca il figlioletto, quando non gli a più concesso.

34           Diceva Epitteto che baciando il figlioletto bisogna aggiungere tra sé: «Domani forse morirai». «Ma sono parole

di cattivo augurio». «Nessun cattivo augurio – diceva Epitteto -: indicano invece un fatto naturale; altrimenti anche la mietitura delle spighe diventa un cattivo augurio».

35           Uva acerba, uva matura, uva passa, tutto a trasformazione, non verso ciò che non a, ma verso ciò che ora non a.

36           «Non c’a ladro della scelta etica fondamentale»: sono parole di Epitteto.

37           «Si deve trovare un’arte che regoli l’assenso – diceva – e, nel campo degli impulsi, prestare sempre attenzione a

che siano impulsi con riserva, rispondenti al bene collettivo, commisurati al valore dell’oggetto; e ci si deve assolutamente astenere sia dal desiderio sia dall’uso dell’avversione per tutto ciò che non dipende da noi».

38           «Non a per un premio qualunque che lottiamo – diceva -, ma per essere folli o savî».

39           Diceva Socrate: «Cosa volete? Avere l’anima di esseri razionali o irrazionali?». «Di esseri razionali». «Quali

esseri razionali: sani o perversi?». «Sani». «Perché, allora, non cercate di averla?». «Perché già l’abbiamo». «Perché, allora, state a combattere e a questionare?».

LIBRO XII

1              Tutto quello a cui preghi di arrivare attraverso un lungo giro, puoi già averlo ora, se non decidi di negartelo.

Vale a dire: se accantoni il passato, se affidi il futuro alla provvidenza e ti occupi solo del presente, con lo sguardo rivolto alla devozione e alla giustizia. Alla devozione, per amare ciò che ti a assegnato: perché la natura ha assegnato quello a te e te a quello. Alla giustizia, per dire la verità liberamente e senza perifrasi, e per agire in conformità alla legge e ai singoli valori in questione; non lasciarti impedire dalla malvagità, dall’opinione, dalla voce degli altri, e neppure dalla sensazione della carne che ti a cresciuta intorno: se la dovrà vedere la parte soggetta a patire. Ora, in qualunque momento tu debba uscire dalla vita, se, abbandonato tutto il resto onorerai soltanto il tuo principio dirigente e il divino che a dentro di te, se avrai paura non di dover da ultimo smettere di vivere, ma piuttosto di non aver mai cominciato a vivere secondo natura, sarai un uomo degno del cosmo che ti ha generato e cesserai di essere straniero in patria e di meravigliarti degli avvenimenti quotidiani come di fatti inattesi, e di restare sospeso a questo e a quest’altro.

2              Dio vede tutti i principî dirigenti spogli dei loro recipienti materiali, delle loro cortecce e impurità; infatti
giunge a toccare, e con la sola sua parte intellettiva, solo quanto da lui a defluito e derivato a questi principî dirigenti. Se anche tu ti abituerai a farlo, sopprimerai i numerosi fattori che ti distraggono da te stesso. E infatti colui che neppure vede le misere carni che lo racchiudono dedicherà forse il suo tempo al vestiario, alla casa, alla fama, a questo vario apparato e a tutta una consimile scenografia?

3              Tre sono gli elementi di cui sei composto: il corpo, il soffio vitale, l’intelletto. Di questi i primi due sono tuoi
nei limiti in cui te ne devi curare; solo il terzo a propriamente tuo. Perciò se separi da te stesso, cioa dalla tua mente, quanto gli altri fanno o dicono, o quanto tu hai fatto o detto, quanto ti turba per il futuro, quanto del corpo in cui sei racchiuso o del soffio vitale a te congenito ti a connesso indipendentemente dalla tua scelta etica, quanto il vortice esterno ci mulina tutto attorno, in modo che la facoltà intellettiva, liberata dalle conseguenze esterne del suo destino, pura, possa vivere senza vincoli, in assoluta autonomia, compiendo il giusto, accettando volontariamente gli avvenimenti e dicendo il vero; se, dico, separi da questo principio dirigente ciò che vi si a depositato per effetto delle passioni, nonché ogni cura del tempo di là da venire o già passato, se ti rendi come l’empedoclea

sfera perfettamente tonda, che esulta nella sua circolata solitudine,

se ti impegni a vivere soltanto ciò che stai vivendo, ossia il presente, potrai trascorrere senza turbamenti, serenamente e in dolce pace con il tuo demone, quel che ti resta fino alla morte.

4              Mi sono già chiesto tante volte con stupore come mai ciascuno ami se stesso più di tutti gli altri, eppure nel
giudicare se stesso dia meno peso alla propria opinione che a quella degli altri. In effetti, se a uno comparisse un dio o un saggio maestro per ordinargli di non considerare e pensare dentro di sé nulla che non possa anche esprimere ad alta

voce, non resisterebbe neppure un giorno. A tal punto rispettiamo quello che potry pensare di noi il prossimo più di noi stessi.

5              Come mai gli dai, che pure hanno disposto ogni cosa in modo saggio e favorevole all’uomo, hanno trascurato
solo questo punto, che alcuni uomini – fior di persone, che hanno saputo instaurare, per così dire, moltissime relazioni con la divinity, e con essa sono stati, tramite opere devote e azioni sante, nella familiarity più stretta – una volta morti, non rinascono, ma sono definitivamente estinti? Posto che le cose stiano davvero così, sappi bene che gli dai, se fossero dovute andare diversamente, avrebbero provveduto. Se infatti fosse giusto, sarebbe anche possibile, e se fosse secondo natura, la natura lo avrebbe prodotto. Proprio dal fatto che non sia così – visto che così non a – convinciti che non doveva essere così. Anche tu vedi, infatti, che con questo tipo di indagine finisci per mettere dio sul banco degli avversari; d’altra parte, però, non potremmo discutere in questo modo con gli dai, se essi non fossero davvero infinitamente buoni e giusti. Ora, se a così, non possono per negligenza aver lasciato nulla di ingiusto e di irrazionale nell’ordinamento del cosmo.

6              Esarcitati anche nelle cose in cui sei convinto di non riuscire: la mano sinistra, inetta nel resto per mancanza di
esercizio, tiene le briglie con più forza della destra, perché vi a esercitata.

7              …quale debba essere la disposizione del corpo e dell’anima nel momento in cui si a colti dalla morte; la brevity
della vita, il baratro del tempo che si apre alle nostre spalle e di fronte a noi, la fragility di ogni materia.

8              Osserva gli elementi causali spogli della loro corteccia; il fine delle azioni; cos’a il dolore; cos’a il piacere; cos’a
la morte; cos’a la gloria; chi a il responsabile della propria inquietudine; come nessuno possa essere impedito da altri; che tutto a opinione.

9              Nell’uso dei principî bisogna assomigliare al pancraziaste, non al gladiatore: questi, infatti, depone e riprende la
spada che usa, mentre il primo la sua mano l’ha sempre e non deve far altro che serrarla.

10           Guarda cose di questo genere analizzandole secondo materia, causa, scopo.

11           …quale facolty abbia l’uomo di non fare altro se non quello che il dio lodery, e di accettare tutto ciò che il dio

gli assegna come conseguente alla natura.

12           Non si devono criticare gli dai: non commettono alcun errore, né volontario né involontario; e neppure gli
uomini: errano solo involontariamente. Sicché non bisogna criticare nessuno.

13           Com’a ridicolo e straniero chi si meraviglia di qualunque cosa succeda nella vita!

14           O la morsa del destino e un ordinamento inviolabile, o una provvidenza misericordiosa, o la confusione di una

casuality senza governo. Ora, se vi a una necessity inviolabile, perché ti opponi? Se invece vi a una provvidenza che accoglie le suppliche, renditi degno dell’aiuto che viene dalla divinity. Se, infine, vi a una confusione anarchica, rallégrati che in un simile vortice tu possa avere in te un intelletto che ti dirige. E se il vortice ti travolge, travolga pure la carne, il soffio vitale, il resto: non travolgery l’intelletto. (15) Oppure la luce della lucerna, finché non si spegne, risplende e non perde chiarore, mentre la verity, la giustizia, la temperanza che sono in te si spegneranno prima del tempo?

16           Se qualcuno ti dy motivo di rappresentarti una sua colpa, ragiona: «E che ne so, se questa a una colpa?»; e, se a
effettivamente colpevole, pensa che si a condannato da sé, e questo suo comportamento somiglia al gesto di chi si graffia il viso con le proprie mani.

Chi pretende che il malvagio non sbagli a come chi pretende che il fico non produca lattice nei suoi frutti, che i neonati non piangano, che il cavallo non nitrisca, e così via, per tutti questi fenomeni necessari. In effetti, che cosa dovrebbe fare chi ha una simile disposizione? Se sei tanto irritato, curala.

17           Se non a conveniente, non farlo; se non a vero, non dirlo. Il tuo impulso sia [...].

18           Vedi sempre cosa effettivamente sia quello che produce la tua rappresentazione, e spiegalo suddividendolo in

elemento causale, elemento materiale, fine, tempo entro cui dovry aver cessato di essere.

19           Randiti conto una buona volta di avere in te stesso qualcosa di superiore e più divino di ciò che produce le tue
passioni e che, in conclusione, ti muove come una marionetta.

Cos’a ora la mia mente? Non a forse paura? Non a sospetto? Non desiderio? Non qualcos’altro di questo genere?

20           Punto primo: non agire casualmente né senza uno scopo. Punto secondo: non riferirsi ad altro se non al fine
della comunity.

21           …tra non molto non sarai nessuno, in nessun luogo, né sary alcuna delle cose che ora vedi, né alcuno di coloro
che vivono ora. È nella natura di tutte le cose, infatti, trasformarsi, mutare e perire, perché, senza soluzione di continuity, ne nascano altre.

22           …tutto a opinione, e questa dipende da te. Quando vuoi, quindi, sopprimi l’opinione e, come chi ha doppiato il
promontorio, troverai bonaccia, calma degli elementi e un golfo al riparo dei flutti.

23           Una singola attivity, qualunque sia, se finisce al momento giusto, non subisce nulla di male per il fatto di esser
finita; e chi ha compiuto quest’azione non ha subito nulla di male per il fatto che essa sia finita. Allo stesso modo, quindi, il sistema complessivo delle azioni, che a la vita, se finisce al momento opportuno, non subisce alcun male per il fatto di essere finito, e chi ha posto fine a tempo debito a questa catena di azioni non ne ha ricavato danno. Il momento opportuno e il limite sono dati dalla natura, talvolta anche dalla natura individuale (così nella vecchiaia), ma in ogni caso sempre dalla natura universale: attraverso la trasformazione delle sue parti il cosmo intero rimane sempre giovane e rigoglioso. Ora, bello e tempestivo a sempre tutto ciò che a utile all’universo. Per l’individuo, quindi, la fine della vita non a un male, poiché non a neppure cosa turpe, dato che non dipende dalla scelta etica e non a contrario all’interesse

della collettività; anzi, a un bene, dato che a opportuno all’universo, gli arreca e ne trae vantaggio. Così risulta mosso anche da dio chi muove nella stessa direzione di dio e col pensiero muove verso il suo stesso fine.

24           Bisogna tenere a portata di mano queste tre considerazioni. La prima: a proposito di quello che fai, valutare se
non sia fatto a caso o diversamente da come avrebbe agito la giustizia in persona; a proposito degli avvenimenti esterni, ricordare che alla loro origine o c’a il caso o c’a la provvidenza: e non bisogna lamentarsi del caso né accusare la provvidenza. La seconda considerazione: esaminare quale sia ogni singolo essere da quando viene concepito a quando in lui si anima la vita, e dal momento in cui riceve la vita fino al momento in cui la restituisce, e da quali elementi tragga origine il composto e quali elementi liberi il suo dissolvimento. Terza considerazione: se tu, improvvisamente librato in cielo, osservassi dall’alto la realtà umana e la sua varietà, la disprezzeresti scorgendo nello stesso tempo quanto sia vasto lo spazio che la avvolge, popolato di esseri aerei ed eterei; e ogniqualvolta ti librassi in alto, vedresti sempre le medesime cose, il loro aspetto sempre uguale, la brevità della loro esistenza. E sono queste cose l’oggetto della vanità umana!

25           Getta via l’opinione che hai in te, e sei salvo. Ebbene, chi ti impedisce di gettarla?

26           Quando ti inquieti per qualcosa, ti sei dimenticato che tutto avviene secondo la natura dell’universo, che l’errore

a altrui e, inoltre, che ogni avvenimento a sempre avvenuto così, così avverrà e così ora avviene ovunque; ti sei dimenticato quanto sia stretta la parentela dell’uomo con l’intero genere umano: non a, infatti, comunanza di sangue o di seme, ma di intelletto. E ti sei anche dimenticato che l’intelletto di ciascuno a un dio ed a derivato di là; che nulla appartiene a nessuno, ma anche il figlioletto, il suo povero corpo e la sua stessa povera anima sono venuti di là; che tutto a opinione; che ciascuno vive solo il presente e perde solo questo.

27           Richiama in continuazione alla mente chi arse di sdegno per una qualche ragione, chi visse al colmo degli
onori o delle sventure o delle inimicizie o di qualsiasi sorte; poi considera dove sia adesso tutto quanto: fumo, cenere, leggenda – o neppure leggenda! Ti si presentino alla mente anche tutti i casi analoghi – per esempio Fabio Catullino nella sua tenuta di campagna, Lusio Lupo nei suoi giardini, Stertinio a Baia, Tiberio a Capri, Velio Rufo – e, insomma, tutte le situazioni in cui si accende un conflitto di interessi, qualunque sia la posta, combattuto con tanta presunzione; e considera quanto poco valga sempre l’obiettivo di questi sforzi e quanto più conforme ai dettami della filosofia sia, nella materia che ci a stata data, mostrarsi giusto, temperante, pronto a obbedire agli dai, e con semplicità, perché la vanità che cova sotto un’apparente modestia a la peggiore di tutte.

28           A chi chiede: «Dove hai visto gli dai, e da dove hai desunto che esistono, per venerarli in questo modo?»
rispondi: «Prima di tutto sono anche visibili ai nostri occhi; poi, nemmeno la mia anima ho visto, eppure la venero. Lo stesso vale per gli dai: desumo che esistono dal fatto che ogni volta sperimento la loro potenza, e dunque li venero».

29           La salvezza della nostra vita: esaminare a fondo in che consista, in sé, ciascuna cosa, quale sia il suo elemento
materiale, quale il suo elemento causale; fare il giusto e dire il vero con tutta l’anima; che altro, infine, se non godere di vivere legando ad ogni azione virtuosa un’altra azione virtuosa, così da non lasciare neppure il minimo intervallo?

30           Una sola a la luce del sole, anche se viene divisa da muri, montagne, da innumerevoli altri ostacoli. Una sola la
sostanza comune, anche se viene divisa tra innumerevoli corpi individuati da specifiche qualità. Una sola a l’anima, anche se viene divisa tra innumerevoli nature e circoscritte individualità. Una sola l’anima razionale, anche se pare frammentata. Ora, le altre parti degli esseri menzionati, quali i singoli soffi vitali e i singoli corpi materiali, sono insensibili ed estranee l’una all’altra; eppure anch’esse sono tenute insieme dal fattore unitario e dal peso che le spinge nella stessa direzione. La mente, invece, ha la caratteristica di tendere a ciò che a della sua specie e di unirsi ad esso, e questo intimo senso di comunanza non conosce ostacoli.

31           Cosa cerchi? Di protrarre la tua esistenza? Di avere sensazioni, provare impulsi, crescere, poi declinare, usare
la voce, pensare? Quale di queste cose ti sembra degna di essere desiderata? E se ciascuna di queste cose a facilmente disprezzabile, spingiti fino all’ultima che rimane: seguire la ragione e il dio. Ma con questa scelta si scontra l’onore che riserviamo alle cose sopra elencate, il cruccio di esserne privati con la morte.

32           Quale minuscola parte dell’infinito abisso del tempo a stata assegnata a ciascuno? In men che si dica svanisce
nell’eternità. Quale minuscola parte dell’intera sostanza? Quale dell’intera anima? In quale minuscola zolla della terra intera cammini? Considerando tutto ciò non immaginare che esista nulla di grande all’infuori dell’agire come ti induce la tua natura e del subire quello che reca la natura comune.

33           Quale uso fa di sé il principio dirigente? Il problema a tutto qui. Il resto o a frutto della scelta di fondo, o
estraneo a questa – cadavere, fumo.

34           Il maggior incentivo al disprezzo della morte a che anche chi giudica il piacere un bene e il dolore un male l’ha
disprezzata.

35           Se per un uomo a bene solo quel che cade al momento opportuno, se per lui ha lo stesso valore compiere un
numero maggiore o minore di azioni conformi alla retta ragione, se per lui a indifferente osservare l’universo per più o meno tempo, a costui neppure la morte fa paura.

36           Uomo, sei stato cittadino in questa grande città: che ti importa, se per cinque anni o per cento? Quel che a
secondo le leggi ha per ognuno pari valore. Che c’a di grave, allora, se dalla città ti espelle non un tiranno o un giudice ingiusto, ma la natura che ti ci aveva introdotto? È come quando il pretore che aveva assunto un attore lo congeda dalla scena, «Ma non ho recitato i cinque atti, ne ho recitato solo tre». Giusto! Ma nella vita tre atti sono un dramma intero. A stabilire che il dramma a completo, infatti, a chi allora fu responsabile della composizione, ora del dissolvimento; tu invece non sei responsabile né dell’una né dell’altro. Quindi parti sereno: chi ti congeda a sereno.

Pensieri a sè stesso, una meditazione ispirata al trattato di Marco Aurelio “Ricordi”

Pensieri a  se stesso, una meditazione ispirata al trattato di Marco Aurelio ‘Ricordi’

I “pensieri a se stesso” o “Ricordi” sono una raccolta di scritti di Marco Aurelio Annio Vero, un imperatore romano della dinastia degli Antonini che regnò a Roma nel secondo secolo D.C.. Marco Aurelio fu imperatore dal 161 al 180 D.C., succedendo ad Antonio Pio, che lo aveva adottato su indicazione del suo predecessore Publio Elio Adriano.

Si tratta di testi scritti in più periodi e raccolti in libri, frutto di una meditazione legata alla pratica della vita filosofica stoica; furono composti durante le campagne militari che Marco condusse alle frontiere della Germania tra il 170 e il 180 D.C.

Inizia infatti così il secondo libro: “Scritto nel territorio dei Quadi presso il fiume Granua”.

Nel mondo antico la meditazione è pratica collettiva, o anche individuale, ma sempre connessa ad una sorta di dialogicità implicita (ne vediamo traccia in certi testi di Seneca sulla felicità, sulla vecchiaia o sulla morte).

Essa assume molti volti, a seconda delle scuole, ma ha una caratteristica comune: non è un percorso di ricerca, ma di applicazione della ricerca alla vita.

I “pensieri” di Marco Aurelio richiamano i principi della scuola stoica e sono il frutto di una meditazione su di essi operata mediante il legame con l’esperienza vissuta, interiore ed esteriore.

L’uomo è stato considerato da sempre l’imperatore-filosofo: il punto di arrivo della scuola stoica.

Voglio evitare di impegnarmi in un’esposizione di quella corrente filosofica (la stoica appunto)  nell’ambito della quale il Marco Aurelio dei “pensieri” viene solitamente ascritto dalla critica moderna; non ho le conoscenze approfondite per farlo.

L’idea di questa tavola è, piuttosto, quella di cogliere il senso profondo della figura di un’uomo del passato che, da una posizione di assoluto privilegio, sente il bisogno di parlare con se stesso e tocca aspetti essenziali dell’esistenza.

Del resto alcune delle tematiche fissate nell’opera che ci è stata tramandata sono le basi di alcuni principi del pensiero massonico moderno.

Perché è interessante  la  figura di quest’uomo vissuto tanti secoli fa?

Non è per il libro in se stesso -  per quanto nell’antichità lo scrivere fosse una cosa assai rara e non consueta, se non per i filosofi di professione, ma non certo per uomini “d’azione” (a parte Cesare e Cicerone, nell’antichità pochissimi statisti hanno lasciato tracce scritte compiute delle loro gesta) – e non certo per lo stile dello scritto: un po’ lezioso e pesante.

E’ interessante, secondo me, perché il Marco Aurelio dei “pensieri” anticipa i tempi: per arrivare a vedere un’opera simile occorre che passino molti secoli e arrivare a Montaigne con i suoi “Saggi”.

Ma egli, a differenza di Montaigne (che scriverà ben al chiuso del suo castello di campagna) è un uomo di azione calato in un contesto di un’epoca storica che vede per il mondo classico l’inizio della disgregazione.

Nel libro è difficile non cogliere l’idea che ci troviamo di fronte ad un grande dignitosissimo, attore – perdente della storia; è paradossale che egli, l’uomo più potente del mondo, si renda conto che le vittorie conseguite non potranno fermare il corso della storia; avverte chiaramente che la fame dei barbari avrà la meglio sulla forza dei romani; sente che è già in atto la crisi irreversibile dell’Impero Romano.

Come tutti i grandi perdenti finisce però per suscitare nei posteri un grande affetto ,poiché la sconfitta ha una dignità che la vittoria non merita.

Vengono in mente la parole che farà dire la Yourcenar nelle “Memorie di Adriano” all’Imperatore Adriano nella lunga lettera immaginaria al piccolo Marco Aurelio, quando, troppo severo con se stesso, non si concedeva nulla dei frutti e degli svaghi che la vita poteva offrirgli nella Villa Adriana di Tivoli; dice più o meno: “mi chiedo a che ti serva tanta virtù, su quale scoglio ti infrangerai poiché è certo che ciò accadrà”.

Venendo alla poetica del libro.

Nel libro Marco tenta di spiegarci la nostra esistenza puntando sulla forza del cuore filtrata dalla dura disciplina del dovere.

La forte spinta emotiva del libro è dovuta al tentativo di allargare la coscienza fino ad abbracciare l’umanità.

La massima che ispira il libro è questa: non perder mai di vista il grafico di una esistenza umana, che non si compone mai, checché si dica, d’una orizzontale e due perpendicolari, ma piuttosto di tre linee sinuose, prolungate all’infinito, ravvicinate e divergenti senza posa: che corrispondono a ciò che un uomo ha creduto di essere, a ciò che ha voluto essere, a ciò che è stato; tutto ciò non è sotto il nostro controllo: quello che noi possiamo fare è operare per il bene, rifuggire il male, curarsi dell’essenziale.

“Corri sempre per la via più breve – la via più breve è quella secondo natura – così da parlare e agire sempre nel modo più valido. Un simile proposito, infatti, libera dalle fatiche di una campagna militare, di ogni incombenza di governo, dell’eccessiva raffinatezza”.

Non si deve mai perdere di vista l’essenza.

Ricordati che sta nascosto dentro di te ciò che muove i fili della tua esistenza, ed è attività, è vita, è l’uomo, se così si può dire. Non confonderlo mai, quando te lo immagini, con l’involucro che lo avvolge, né con gli organi che gli sono stati modellati intorno …”.

E quanto più ti senti coinvolto tanto più  devi essere distaccato.

“Quanto vale, di fronte alle leccornie e ai cibi di questo genere, accogliere la rappresentazione: «questo è il cadavere di un pesce, quest’altro il cadavere di un uccello o di un maiale», e, ancora, «il Falerno è il succo di un grappolo d’uva», e «il laticlavio sono peli di pecora intrisi del sangue di una conchiglia»; e, a proposito dell’unione sessuale: «è sfregamento di un viscere e secrezione di muco accompagnata da spasmo»! Quanto valgono queste rappresentazioni che raggiungono le cose in sé e le penetrano totalmente, fino scorgere quale sia la loro vera natura. Così bisogna fare per tutta la vita, e, quando le cose ci si presentano troppo persuasive, bisogna denudarle e osservare a fondo la loro pochezza e sopprimere la ricerca per la quale acquisiscono tanta importanza. Perché la vanità è una terribile dispensatrice di falsi ragionamenti, e ti lasci più incantare proprio quando più ti pare di impegnarti in cose di valore”.

Marco Aurelio fa propria una coscienza lucida e forte di avvertire la prossima fine dell’Impero, quale lui lo presiede, ed elabora in ciò una saggezza profonda, quasi non toccata dal divenire. Perché in fondo al saggio stoico nulla importa se non questo: vivere con onestà ogni minuto.

Il Marco Aurelio che ci piace vede davanti a sé il mutare del destino e, dalla posizione privilegiata che ricopre (di capo della superpotenza del mondo antico), accetta di prendere parte al gioco vestendo i panni di chi deve resistervi.

E che per far ciò usa le armi di cui dispone: una buona dose di filosofia per sé – per rendere sopportabile ciò che altrimenti sarebbe intollerabile – e una buona dose di cinica violenza per gli altri: possedeva le più potenti forze armate di tutti i tempi e le usò – si dice – senza risparmio: nel libro non sono riportati gli eccidi – che pure vi furono – di intere popolazioni barbariche.

Un (breve) inquadramento storico.

Era nato a Roma nel 121 D.C., da una nobile famiglia equestre di origine spagnola.

Fu designato ancora giovane da Adriano a succedere ad Antonino Pio, purtroppo per lui, Marco maritò la figlia di Antonino Pio, tale Faustina.

Non ebbe fortuna coi figli né con Faustina: tra un amante e l’altro ebbe, sì, il tempo di dargli quattro figli: due femmine e due gemelli.

Di questi però uno morì precocemente mentre l’altro, Commodo, che sarà suo successore, si rivelerà  un pessimo reggitore di Roma.

Veniva dalla famiglia d’origine spagnola degli Aureli, una “Gens” che si era guadagnata il soprannome di “Veri” per la loro onestà nell’amministrazione della cosa pubblica (una rarità all’epoca).

Era rimasto orfano a pochi mesi e della sua educazione si occupò il nonno (Adriano) che gli dette ben 17 precettori di cui 4 in grammatica, uno in matematica e sei in filosofia.

Si appassionò alla filosofia stoica che non solo volle studiare a fondo, ma anche praticare.

A 12 anni cominciò a dormire nudo sul letto ed iniziò una dieta ed un’astinenza (anche sessuale) tanto severe che la sua salute alla fine si dice ne risentì.

Ma questo non gli impedì poi di essere soldato fra i soldati e di condividerne fatiche e disagi nei lunghi anni di direzione della guerra alla frontiera germanica.

Antonino Pio lo aveva designato, seguendo i dictat del suo mèntore, come suo Cesare quando era ancora adolescente ed associato al suo governo quando era ancora giovanissimo.

Quando salì al trono aveva 40 anni.

Probabilmente non aveva né inclinazione per le armi, né esperienza di esse, visto che non riportò mai decisive vittorie ma trascinò una guerra avanti per anni e anni.

Fu costretto a combattere contro nemici interni ed esterni per quasi tutta la durata del suo regno.

E tanto fece con  coscienziosa determinazione.

Durante il Regno di Marco Aurelio si cominciano ad evidenziare i segni dell’incipiente declino: i  tentativi di invasione dei barbari nelle frontiere danubiane e la fragilità delle strutture sociali ed economiche del mondo antico tipiche di una società chiusa.

Per capire il senso dei dialoghi, che sono effettivamente intrisi da una profonda tristezza, non si può non riflettere sul fatto che ci fu durante quei tempi una escalation di guerre ai confini (guerre, che gli faranno passare almeno vent’anni in accampamenti militari; prima in oriente, poi sul confine danubiano).

Quelle guerre orientali, si portarono dietro una tremenda conseguenza: la peste; infatti terminate le operazioni di guerra ad Oriente (anni 161 – 166 D.C.) alcune Legioni tornarono in Italia e portarono con sé il contagio.

La peste giunse a Roma spargendo lutti e desolazione lungo il suo cammino; imperversò per anni nei quartieri di moltissime città dell’Italia centrale; Roma ebbe interi isolati che furono interdetti dai soldati a titolo sanitario (si dice, ma è un dato esagerato, che perirono di peste almeno 200.000 persone solo nell’Urbe).

Dietro l’epidemia arrivò la carestia secondo un rituale che era consueto nel mondo antico, poiché quel mondo era basato su di una economia per lo più di sussistenza.

Mentre la peste infuriava nella stessa Roma, giunse un’altra grave crisi esterna.

Cominciò la serie di dure guerre sul Danubio, che doveva occupare, con brevi interruzioni, i rimanenti anni del regno di Marco (167 – 180).

La causa: un grande movimento migratorio iniziato dai Germani del Baltico, a loro volta premuti da famelici popoli scandinavi che si riversarono a sud in cerca di cibo e pascoli stanziali.

I confini lasciati da Traiano al nord  erano troppo vicino all’Italia per non suscitare apprensioni in chi governava.

La prova fu data dall’invasione improvvisa di un’orda di Marcomanni che distrusse parte del nord-est del Veneto, penetrando in profondità fino ad Oderzo e che furono a stento ricacciati al di là delle Alpi con un esercito raccogliticcio fatto di schiavi e avanzi di galera.

I rimedi dell’epoca che si poterono escogitare furono i seguenti: l’annessione del territorio dei Marcomanni (area fra l’Elba e l’Oder) e successivamente di quello dei Quadi (tribù stanziate nell’odierna Moravia), la Boemia e la Moravia sarebbero diventati il baluardo settentrionale dell’Impero.

Durante queste campagne di contenimento e rafforzamento il nostro Marco scriverà i pensieri a se stesso.

Non vedrà il compimento del suo disegno strategico: morirà a Vienna (all’epoca chiamata Vindobona) poco prima di porvi termine; chi gli succederà  (il figlio Commodo) amava troppo la bella vita romana per cimentarsi nell’ambiziosa impresa: in breve, rinunciò ad annettersi il nord e ripiegò a Roma dopo aver stipulato, in tutta fretta, un trattato, giusto salvando le apparenze, e lasciando le frontiere immutate.

Ebbe una fortuna da morto, smentendo alcuni suoi scritti: quella di non essere dimenticato; sia per l’opera letteraria che per la sue effige.

I Cristiani non gli distrussero la statua equestre eretta in suo onore avendola scambiata per quella del loro “protettore” Costantino che, a conti fatti, fu un uomo assai peggiore di lui.

La statua equestre e dorata di Marco che troneggia in Piazza del Campidoglio, innalzatagli postuma dal figlio in un momento di rimorso – l’originale è nei musei capitolini – ce lo raffigura in un incedere solenne: ha le sembianze del guerriero, ma lo sguardo è quello del filosofo che vede la fine di una fase storica.

Ci piace pensare  – dato che la statua è, per la verità, poco espressiva mancando degli occhi – che da quello sguardo dal Campidoglio sgorghi tutta la contraddizione fra un dettato morale teso alla libertà ed alla eguaglianza ed una necessità di real-politik che tende a conservare e consolidare l’imperialismo in atto.

Quando gli si richiese per l’ultima volta la parola d’ordine, la risposta, si dice, di Marco Aurelio fu: “andate verso il sole nascente, il mio sole tramonta”.

E con lui tramontava anche il mondo antico.

Da allora in poi la crisi assumerà proporzioni vastissime; nel secolo III, sarà temporaneamente arrestata da Diocleziano e Costantino, fino alla rovinosa caduta finale del V secolo.

Anche per questo, forse, fu l’ultimo dei grandi Imperatori romani.

Quali sono le idee che Marco ci tramanda dal suo lontanissimo passato? Sono idee attualissime e certo apprezzabili dai liberi Muratori.

  • Il destino dell’uomo è fissato nella natura; la natura ha dato all’uomo uno spirito; segue che il destino dell’uomo non è nel soddisfare i sensi – che ci accomunano con gli altri animali – ma nel pensare e nell’agire conformemente alla sua natura razionale cioè alla parte divina di sé.
  • Il successo delle nostre azioni non dipende solo da noi; alcune cose sono in nostro potere altre no; il successo esterno non è sicuro; può anche venire a mancare: non si deve averne angustia, il vero successo è la cura della salvezza dell’anima; lo scopo della vita è perfezionare il proprio essere. Nell’anima ogni uomo è libero quanto Dio.
  • L’uomo deve impiegare tutte le sue forze in un lavoro positivo: non nella passività, ma nell’azione si trovano il bene e la virtù dell’essere razionale.
  • Il bene è ciò che ci migliora, il male è ciò che ci peggiora interiormente.
  • La morte non deve spaventarci perché in essa c’è un processo naturale che secondo l’ordine cosmico porta al dissolvimento dell’individuo e al trapasso delle parti che lo compongono in altre forme di essere.
  • Gli affetti rappresentano per l’uomo morale il pericolo più insidioso perché limitano la libertà dello spirito.

Morirà a Vienna di malattia, forse di peste, impegnato nella guerra contro i Quadi: aveva fatto promettere al figlio che la sua opera sarebbe stata conclusa e i confini rassicurati e ristabiliti; il figlio, come ho detto, non lo ascoltò nemmeno; ma così aveva parlato Marco:

“Prerogativa propria dell’uomo è amare anche chi sbaglia. E questo si verifica, se ti si presenta il pensiero che si tratta di parenti e che sbagliano per ignoranza e senza volerlo, e che tra poco entrambi, tu e chi ha sbagliato, sarete morti..”.

Fr:.

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Notre Dame de Chartres: l’enigma del suo labirinto

Notre Dame de Chartres: l’enigma del suo labirinto

Il labirinto è una delle allegorie più complesse e dense di significati del simbolismo.

E’ un simbolo fondamentale e prezioso per la ricerca dell’uomo dentro di sé, sia per il cedente che per l’agnostico.

Uno dei maggiori esempi è, notoriamente, quello nell’abbazia di Chartres.

Il breve saggio che riportiamo è il frutto di una complessa ricerca e di un viaggio che alcuni anni addietro un Fratello vi compì.

 

 

Chi non ha visto nella cattedrale di Chartres il labirinto circolare che occupa la navata per tutta la sua larghezza?

Quello di Chartres è il solo labirinto che si è conservato, raro e prezioso testimone medioevale, di molti altri labirinti.

La circonferenza di quasi 13 metri (12,89) di diametro è pressoché tangente alla base delle colonne laterali a distanza di 16,40 m.  da un asse all’altro di pilastri.

Labirinti simili a questo esistevano nelle cattedrali di Sens, Arras, Amiens, Reims e Auxerre.Altri ancora più grandi di quello di Chartres, erano a Strabourg, Beauvais, Bourges ed anche in Notre Dame a Parigi.Labirinti minori esistono tutt’oggi a Saint-Quentain, Bayeaux, Toulouse e Poitiers.

L’epoca classica non dette troppa importanza ai labirinti, tantoché molti di essi vennero distrutti, con la scusa che i fedeli, percorrendoli durante le funzioni, disturbassero le stesse.

Ad esempio il labirinto di Auxerre venne distrutto nel 1690, quello di Sens nel 1768 e così via per molti altri.

Fortunatamente quello di Chartres è scampato alla distruzione poiché è incastonato nella pavimentazione ed è realizzato in pietra di Berchères, pietra locale particolarmente resistente.

Il canonico Souchet (morto nel 1654), lo considerava “… un divertimento per gli stupidi che nient’altro hanno da fare che perdere il loro tempo a percorrerlo e a girarci intorno.”

D’altronde anche nelle fila degli illuministi si levarono critiche al labirinto se Molière scrive ne L’Avaro “… giuoco dell’oca buono per passare il tempo quando non si ha nulla da fare.” (atto II, scena seconda).

Tuttavia nonostante la trascuratezza  il labirinto è anche stato oggetto di numerosi studi, a dimostrazione del fascino insito in  questo simbolo.

Secondo Charles Challine il labirinto di Chartres è incompleto, nella parte centrale rimangono i rivetti di acciaio che mantenevano in posizione una lastra di rame raffigurante il combattimento tra Teseo e il Minotauro (Challine, Recherches sur Chartres), la piastra fu probabilmente fusa assieme al bronzo delle campane per costruire cannoni nel 1792.

Di molti labirinti scomparsi non restano che i disegni, preziosi per classificare i vari tipi di labirinti.

Quelli di Chartres e Sens erano circolari, mentre quelli di Reims ed  Amiens erano ottagonali, ma la caratteristica che li accomunava, o meglio il principio a cui obbedivano, era lo stesso: portare dall’esterno verso il centro con un percorso unico.

Quello di Chartres ha un percorso di 261,50 metri, formato da lastre di calcare di Berchères e di lastre di marmo blu-nero della Valle delle Muse.

È diviso in sei lobi simmetrici, percorrendolo si attraversano gli anelli interni di sinistra, poi quelli esterni di sinistra ed ancora quelli di destra.

Il numero delle strisce parallele è 11, che è ricorrente anche in altri labirinti e l’ingresso è all’altezza della quinta striscia.

Le testimonianze storiche dei labirinti sono molte.

Già alcune illustrazioni delle Metamorfosi di Ovidio avevano la stesa rappresentazione geometrica di Chartres. Al Louvre un dipinto italiano del XV sec. intitolato “Teseo e Arianna” mostra il combattimento tra Teseo ed il Minotauro al centro di un labirinto uguale a quello di Chartes.

Lo stesso vale per le incisioni di Hieronymus Cook, nel XVI secolo.

Una mappa del mondo del XIII secolo attribuita a Richard Hallington raffigura Creta come il labirinto di Chartres, con incisa la frase “Laborintus id est domus  dealli”.

Lo stesso motivo è inciso  sulla chiave di volta  della Chiesa di Saint Mary Reatcliffe a Bristol.

Sul portale del Duomo di Lucca è inciso un piccolo labirinto identico a quello di Chartres.

Moltissimi altri sono gli esempi che si possono riportare, tra di essi citiamo il labirinto inciso dalla mano di un bambino a Pompei recante la scritta “labyrinthus hic habitat Minotaurus”

Il più vecchio labirinto cristiano si trova in Algeria ad El- Asman  nella basilica di Reparatus, risale al 328 D.C., è quadrato ed ha al centro una chiesa con la scritta Santa Ecclesia.

Il labirinto di Chartes era noto anche con altri appellativi.

Il Dedalo, con una chiara allusione al labirinto di Cnosso.

La Lega, che corrisponde a circa 4 Km, e si riferisce, secondo la tradizione orale, ad un percorso lungo un’ora – e della distanza di una lega- da fare in ginocchio recitando il Miserere.

E’ naturalmente un riferimento evidente al significato del viaggio, tantoché questo viaggio fittizio corrispondeva ad un pellegrinaggio in Terra Santa.

Questi nomi si applicavano solamente ai labirinti da pavimento ed un’altra spiegazione plausibile è che si riferissero al cammino verso la Gerusalemme Celeste, che è poi un’eredità dei miti pagani dove al termine del percorso si trovava il regno dei morti.

I miti pagani prima ed i cattolici poi videro nel simbolo del labirinto la traduzione migliore dell’idea del cammino che l’Uomo dovrebbe compiere nella propria vita, cammino verso una meta  a cui tendere laboriosamente perseverando.

Questo itinerario è appunto la vita stessa: ai margini la nascita , al centro la morte che per i pagani era la discesa agli inferi, per i cristiani l’ascesa verso la salvezza dell’anima con la Chiesa- e la propria dottrina- detentrice del filo che ne permette l’accesso (simbolo poi trasformato, peraltro, nelle chiavi del Paradiso).

Per il massone il labirinto simboleggia la incessante ricerca della Verità, che preclude un cammino lungo, difficile e generalmente solitario.

Tornando al labirinto di Chartres, è interessante notare che il diametro è un decimo della lunghezza  interna della chiesa.

Inoltre il centro del labirinto è un punto fondamentale per la geometria di tutta l’abbazia; infatti la distanza dal centro del labirinto al transetto è uguale alla lunghezza delle quattro arcate al centro della volta (esclusa la maschetta absidale).

E’ stato anche ipotizzato che la posizione dell’altare maggiore sia determinata dal centro del labirinto, infatti occupavano posizioni simmetriche in rapporto all’asse del transetto.

Questa posizione oggi non è più la stessa a causa di un incendio che nel 1194 danneggiò gravemente la chiesa.

Inoltre il diametro del labirinto( 12,80 m. ) è molto simile a quello del rosone centrale( 11,90 m.).

Anche la distanza tra il centro del labirinto e il muro della facciata è quasi uguale alla distanza tra il centro del rosone ed il suolo.

La linea immaginaria dal centro del labirinto al centro del rosone è l’ipotenusa di un triangolo isoscele, poiché l’angolo tra il pavimento e la facciata non retto, infatti il muro è in pendenza.

Il centro del labirinto è di fronte all’asse dei pilastri che dividono le 7 arcate della navata, armonicamente, in 4 e 3.

Il 3 nella simbologia cattolica è il numero dello Spirito Santo, il 4 è quello della materia.

La loro unione è il connubio necessario per la realizzazione dell’opera.

Nelle 7 arti liberali 4 erano le scienze concernenti la materia e 3 quelle dello spirito.

Quindi il labirinto appare come la chiave numerica e geometrica usata dal Maestro Muratore per fissare il piano della cattedrale, anche ad Amiens vi sono 7 arcate: 4 al centro e 3 per ogni braccio del transetto.

Inoltre 7 sono pure le arcate dell’emiciclo absidale così come le cappelle absidali.

Ad Amiens le arcate determinate dal centro del labirinto sono 3.

A Reims il numero privilegiato è il 5, secondo Pitagora il numero della perfezione.

Assistiamo dunque alla chiave dei grandi principi applicati all’architettura medievale nel proprio apogeo.

I costruttori, erigendo le cattedrali tentarono di rispecchiare perfettamente la Gerusalemme celeste.

Fr:.

Amicizia e massoneria

Amicizia e Massoneria

Quella che gli uomini hanno chiamato amicizia non è altro che un’alleanza, una reciproca cura d’interessi ed uno scambio di servigi: insomma, una relazione in cui l’egoismo si prefigge sempre qualche utile.

(François de la Rochefoucauld, 1613-1680)

Introduzione

Innanzi tutto occorre definire, come sempre, il soggetto del nostro tema e quindi cosa sia quest’amicizia, dando ovviamente per scontato che per noi non sia necessario stabilire il significato da attribuire alla Massoneria. Essa, l’amicizia, può essere considerata, a grandi linee, nel suo significato più corrente – e tanto per mettere un punto fermo – quel sentimento affettivo che unisce reciprocamente una o più persone in modo “disinteressato”. Tra l’altro, sarà da verificare se questa definizione è da considerare proprio esatta nei suoi termini, oppure no.

Stabilita più o meno la definizione del concetto, dobbiamo subito ammettere che, da un punto di vista strettamente operativo, non è facile la realizzazione di un duraturo e stabile rapporto amichevole anche tra due sole persone, un po’ per la vita frenetica o comunque abbastanza dinamica di tutti i giorni, che ci impegna sicuramente più del necessario e poi, diciamolo pure, anche per la pigrizia, il rilassamento e forse l’immobilismo che spesso hanno il sopravvento sulle nostre più buone intenzioni. Da tutte le parti, infatti, siamo continuamente sollecitati da un’infinità di stimoli, ma pochi di essi, in verità, si rivolgono solo alla purezza dei nostri sentimenti in modo definibile “disinteressato”, che non ci coinvolga in qualcosa che si possa considerare comunque materiale.

L’eccezione può essere costituita solo da un’amicizia cresciuta con noi, nata nell’infanzia e proseguita poi nel tempo fino alla maturità.

Questa modalità è certo la più semplice, ovvia nel suo divenire e non ha perciò bisogno di ulteriore indagine.

Nei tempi trascorsi, sicuramente, non possiamo sapere in quale forma il rapporto amichevole sia stato possibile e come potesse differire da quello di oggi: la letteratura, la retorica diffusa da scrittori e poeti (ma anche da regimi), la storia stessa, non sono per noi fonti sicure in quanto sappiamo molto bene che tanti degli atteggiamenti del passato possiamo considerarli “artificiosi” nel senso deteriore del termine, spesso “imposti da tipi di morale corrente, mirata a scopi precisi e non abbiamo appunto la certezza che tutti quei rapporti instauratisi tra gli uomini siano stati effettivamente “liberi”, ma più che altro autentici e disinteressati, secondo la definizione proposta.

Possiamo comunque ritenere, a grandi linee, che in passata la situazione non doveva divergere molto da quella di oggi, visto e considerato quel che succede in altri contesti. Come ormai risaputo e più volte detto, lo sviluppo o la modifica del pensiero e del comportamento umano sono piuttosto lenti, almeno rispetto alla lunghezza della nostra vita ed al trascorrere del tempo così come lo percepisce l’uomo.

Il tema che stiamo affrontando – quello dell’amicizia appunto – può essere considerato da molteplici punti di vista, come del resto qualsiasi altro tema, ma vediamo di esaminare qui quelli che sono più consoni al caso nostro e, visto il contesto nel quale ci troviamo, da un’angolatura ovviamente anche massonica. Certo l’argomento è stato sviscerato a fondo ed esaminato da tutte le prospettive possibili fin dall’antichità ed anche oggi scrittori, psicologi, sociologi, cercano di approfondire lo studio, evidentemente perché l’amicizia, in senso lato, deve essere per forza ritenuta una delle componenti principali ed essenziali del rapporto tra gli uomini e quindi della vita quotidiana di ogni individuo.

Coloro poi che studiano a fondo, anche scientificamente, il comportamento dell’uomo – i cosiddetti etologi umani – vedranno sicuramente nell’amicizia anche un qualcosa che va oltre le apparenze ed ha a che fare con la selezione naturale, portatrice quindi di un valore biologico importante e molto selettivo per tutta la specie umana. Anche qui dovremo verificare se quanto affermato è vero e perché.

Il rapporto di amicizia nella vita dell’uomo

Generalmente, nel linguaggio comune, “un amico” è colui che si conosce anche superficialmente, è un conoscente, una persona che magari abbiamo avuto occasione di incontrare e forse spesso diamo al significato di amicizia solo una conoscenza approssimativa nell’ambito di una cerchia ristretta di persone. Ma l’amicizia, quella che a noi interessa, è qualcosa di più di un rapporto superficiale, anzi è un sentimento molto profondo ed un legame che in teoria – se effettivo – dovrebbe essere inscindibile ed uno dei primi nella scala delle priorità di ognuno di noi, forse contrastato solo dall’amore verso il sesso “opposto” (che certo non ne ha l’esclusiva), valido perciò per coloro che si ritengono e sono eterosessuali e che si autodefiniscono pure “normali”, ma non sono da tralasciare anche gli “altri”.

Un dato di fatto però è alla base e condiziona l’amicizia tra una o più persone ed è il principio, appunto, di apporto “disinteressato, accennato all’inizio come definizione generale da verificare. In tutte le sue manifestazioni la vita ci offre una molteplicità di esempi in questo senso: in genere, niente è casuale, qualunque cosa ha sempre una ragione di esistere ben precisa anche se apparentemente noi non riusciamo a vederla, c’è sempre – in particolare nella vita biologica – scambio d’informazione, di sostanze e prodotti, vantaggio reciproco in qualsiasi contesto, altrimenti, sembrerebbe proprio impossibile possa esistere da parte di due o più contraenti un qualche interesse per l’istaurarsi di un qualsiasi rapporto.

Per esempio, tanto per citare qualcosa di molto semplice, ma potremmo farne molti altri ancora, possiamo osservare cosa succede nell’ambito di alcuni piccoli, ma numerosi animaletti: un gruppo di Vespe definite “sociali”. Come si sa, al momento opportuno le uova sono deposte nelle cellette del nido in precedenza costruito, dove si svilupperanno e daranno vita a larve che si trasformeranno poi in pupe. Da quel momento inizierà quel processo definibile “egoistico-altruistico” tra pupa ed operaia: l’adulto fornirà alla pupa le sostanze nutritive per il suo accrescimento che avrà trovato all’esterno e nello stesso tempo usufruirà dei rifiuti del processo di digestione della pupa, dei quali è ghiottissimo. E’ evidente che questa strategia di sopravvivenza – operata dalla selezione naturale – si è evoluta nel corso di milioni di anni proprio perché è la più vantaggiosa per questa specie di Insetti.

Questo sistema, però, che potremmo definire come minimo, “curioso”, non è unica prerogativa delle Vespe sociali. Tutto ciò – fatte le dovute proporzioni e secondo le più varie modalità – è valido almeno per tutto il mondo animale e quindi anche per l’uomo. L’unica differenza è che l’uomo, almeno teoricamente, dovrebbe essere un animale “superiore” e quindi più “intelligente” di una Vespa o di un insetto comune, avendo non solo la possibilità di essere “guidato” da madre natura, ma anche di poter selezionare e scegliere sempre autonomamente la soluzione migliore per lui come individuo e come specie. Ma non sempre invece è così, anzi questa condizione sembra verificarsi raramente. Nella vita di tutti i giorni, nella società “profana”, ma talvolta anche nel nostro ambito massonico, non sempre la situazione è da considerarsi ottimale.

Indubbiamente, dove finisce l’egoismo ed inizia l’altruismo è un confine non troppo definibile con precisione (come sostiene pure Rochefoucauld, citato all’inizio) anche perché sembra che l’altruismo – e di conseguenza l’amicizia – non sia altro che un meccanismo di “egoismo” mascherato dalla natura che usa spesso la strategia di dare vantaggio apparente al singolo individuo, ma solo in funzione del mantenimento della specie alla quale poi il singolo stesso appartiene.

Sembrerebbe proprio un complicato gioco di parole, se non sapessimo invece che il tutto è vero.

Indubbiamente l’uomo è diverso da una Vespa e da una larva e qualsiasi paragone sarebbe certo improprio, ma è il “sistema” adottato dalla natura che ci interessa, sistema che se abbiamo l’accortezza di osservare è adottato più o meno da tutte le specie animali (vedi per esempio i leoni africani che nella savana si nutrono delle gazzelle più deboli o meno veloci – cioè di quelle più facilmente catturabili – e, contemporaneamente, provocano la selezione dei migliori esemplari; nelle foreste, le scimmie in branco se attaccate da predatori si dispongono in cerchio ed i vecchi ed i malati disponendosi alla periferia si lasciano sopraffare per difendere così gli altri e per mantenere il gruppo integro e sano, e quindi migliorando la specie) e l’uomo, essendo né più, né meno che un animale, obbedisce consapevolmente o no a questo tipo di leggi ed adotta con ogni probabilità identico sistema.

Anche l’amicizia quindi – così a occhio – dovrebbe rientrare, in qualche maniera, in questa categoria di rapporto, ma ricordiamolo, presumibilmente non per vantaggio individuale primario, ma per quello della specie. Come sopra già detto, in ogni caso – ed è anche cosa ovvia – se viene avvantaggiato il singolo ne ha beneficio l’intera specie e viceversa.

In pratica, possiamo ritenere che da un punto di vista strettamente biologico o usando un termine forse più fastidioso – animale – le condizioni dovrebbero essere proprio queste. Un qualsiasi rapporto, amicizia compresa, è solo possibile in presenza di un reciproco vantaggio, sia che si tratti di un qualcosa di materiale e concreto, sia che riguardi esclusivamente la sfera dei sentimenti, cioè di quel benessere interiore che solo la certezza di non essere “soli” può dare.

Questo tipo di sentimento e di sensazione può sembrare a prima vista una cosa molto labile, ma ricordiamoci tutti noi lo smarrimento che in qualche occasione abbiamo provato nel sentirci proprio “soli”, nella sgradevole condizione di non poter interloquire con qualcuno, nella spiacevole e frustrante sensazione di non essere “compresi”, oltre che da coloro che stimiamo o amiamo anche dal prossimo in generale.

Anche ora, in questo momento, io stesso, se ritengo di essere compreso, più o meno approvato, considerato, stimato dagli amici che mi circondano e con i quali ritengo di avere identiche vedute ed aspirazioni, avrò dentro di me un diffuso e piacevole senso di benessere, in sintesi, ho la sensazione di essere effettivamente “ricambiato”. Diversamente se fossi sicuro che ho parlato o scritto a chi non ascolta, a chi non condivide il mio pensiero, in pratica a chi mi è ostile, avrei per certo una sensazione sgradevole e di disagio, cioè non riterrei di avere i miei sentimenti contraccambiati, indispensabili, come accennato in precedenza all’instaurazione di un effettivo rapporto di amicizia.

Ecco, in pratica, come può essere inquadrato il significato della mancanza di “gratuità” in un rapporto amichevole. Tra noi, ora, in questo nostro ambito, non è scorso di certo denaro, ma ritengo e mi auguro che ci sia stato invece uno scambio invisibile, ma reciproco, di stima, forse di approvazione, di amicizia appunto; la creazione cioè di un rapporto più stretto ed efficace di sentimenti, di affinità spirituale, di profonda considerazione reciproca, che forse prima era latente, ma non ancora completamente emersa in noi stessi.

Ripeto, è questo lo “scambio” o la “reciprocità” che può intercorrere anche in un rapporto di amicizia che, se si vuole essere molto precisi, non è proprio “gratuito”, ma è protagonista di un “passaggio” di valori.

Fin qui sembrerebbe tutto chiaro.

L’amicizia in relazione alla Massoneria

All’interno della nostra Istituzione il meccanismo sopra esposto, già osservato nel mondo profano, dovrebbe verificarsi ugualmente e forse lo si verifica effettivamente. Ma questa procedura è da ritenere ancora valida tra Fratelli, oppure dovrebbe esistere qualcosa di leggermente differente? Cerchiamo quindi di dare una risposta esauriente a questi interrogativi, senza retorica, né ipocrisia.

Dobbiamo ritenere che all’interno della nostra Istituzione dovrebbe verificarsi inequivocabilmente quel fenomeno di “scambio” sopra accennato. Siamo uomini comuni inseriti nell’ambito della nostra società e quindi obbedienti a tutte quelle leggi che regolano il mondo biologico ed animale.

Bisognerebbe però,  per differenziarsi dal contesto che noi usiamo definire profano, che il nostro rapporto, almeno tra massoni, avesse delle valenze superiori e ben visibili, ben distinguibili dalle consuetudini della profanità. In sintesi, il “dare gratuitamente” – concetto ritenuto improbabile o impossibile sia da un punto di vista biologico sia filosofico – dovrebbe essere alla base di un rapporto fraterno, che non è detto debba avere per forza una base di “reciprocità”, ma dovrebbe essere invece un qualcosa di offerto proprio “a senso unico”, senza la necessità o la gratificazione di un qualsiasi “ritorno”, come avviene di norma nel mondo estraneo all’atmosfera dei nostri Templi.

Ecco, questo dovrebbe essere il meccanismo dell’amicizia, quella vera, l’unica, quella che il vero massone dovrebbe considerare con molta attenzione e concretamente. Come sempre, sarà molto difficile la realizzazione pratica di un progetto, di un pensiero, di un’intuizione.

Tutto il nostro impegno però dovrebbe essere rivolto in questo senso e forse non solo nell’ambito dei Fratelli, ma proprio come scelta di comportamento civile anche nella società profana. Qesto sistema di gratuità e di “non ritorno” dovrebbe distinguerci effettivamente dagli altri, dovrebbe insomma fare la differenza tra il profano ed il massone. Sarà questo mai possibile? Riusciremo mai ad essere vincitori a livello personale o collettivo in questa impresa? Saremo in grado di dominare questa situazione? Di fare effettivamente questo tipo di scelta?

Infine, un’altra marginale considerazione c’è da fare e che non è possibile prendere qui in seria considerazione, ma che è doveroso citare comunque per opportuna riflessione dato che, nell’ambito del Grande Oriente d’Italia-Palazzo Giustiniani, essa assume una veste precisa ed un significato che esulano però da questo contesto. Specialmente nel mondo maschile, si ritiene che l’amicizia tra un uomo ed una donna sia una cosa praticamente impossibile, vista l’abitudine e la componente sessuale che si ritiene abbia priorità assoluta nel rapporto uomo-donna e che sembra quindi impegnare l’attenzione dei due partner da tutto il resto del mondo circostante.

Conclusioni

Proviamo a formulare qualche suggerimento operativo, il progetto per una nuova strategia, un tentativo. Può darsi che noi non si riesca a realizzare nel mondo profano la procedura sopra suggerita, ma almeno all’interno della nostra Istituzione – tanto per cominciare e per “costringerci” a fare qualcosa di più concreto in questo senso – bisognerebbe sforzarsi almeno un po’.

Dato per scontato l’estremo interesse di ognuno di noi per tutte le questioni definibili “spirituali”, che coinvolgono comunque la cultura ed i rapporti umani, per prima cosa sarebbe necessario effettuare regolarmente qualche incontro in più ed al di fuori anche della routine delle nostre Tornate di Loggia, anzi bisognerebbe insistere maggiormente in questa direzione e ritrovarci più spesso anche in altri ambienti, in altre città, con i Fratelli in altri Orienti, anche in modo informale. C’è la inderogabile necessità di conoscerci meglio e ricordiamoci che solo questa reciproca conoscenza potrà “salvarci”.

Solo conoscendoci meglio avremo la possibilità di apprezzarci, di aumentare le nostre esperienze, insomma di progredire. Non diamo ascolto ad Oscar Wilde (mi sembra proprio che fosse lui), il quale sosteneva di non dover approfondire le varie situazioni, ma più che altro l’animo umano, perché diceva “Lo fai a tuo rischio e pericolo”.

(Proprio tra parentesi, ma dovrebbe essere già dato per scontato, abbiamo anche il dovere di non essere supercritici nei confronti degli altri, specialmente se Fratelli. Ricordiamoci che tutti, che più chi meno, siamo sottoposti a sbagliare ed abbiamo quindi il dovere di essere “generosi” con coloro che riteniamo siano nell’errore, a prescindere dal fatto che è piuttosto complicato e difficile poter stabilire chi ha “ragione” e chi “torto”, mancando al riguardo parametri sicuri: tra l’altro non è stata inventata ancora una unità di misura in questo senso. Dobbiamo anche tener presente e dare per scontato che, almeno tra noi, dovrebbe esistere la “buona fede”, e colui che nel caso dovesse proprio sbagliare, si ritiene lo abbia fatto nella stessa identica maniera che avremmo potuto fare noi. Non dimentichiamo mai questo, come non dobbiamo mai dimenticare di essere particolarmente generosi con coloro che riteniamo amici).

Tra le nostre attività massoniche, ancora, la Gran Loggia annuale, anche se assolve in parte a questa funzione di reciproca conoscenza e forse anche di coesione, è pur sempre troppo formale e densa di avvenimenti più o meno interessanti e poco spazio è lasciato proprio allo scambio di idee ed all’amicizia, quella vera, anzi. I Convegni poi, che per fortuna sono spesso organizzati, sono sempre mirati a qualcosa di preciso e la “fuga” verso casa alla loro conclusione è sempre cosa un po’ squallida, condizione che tra l’altro si verifica spesso anche alla fine delle nostre riunioni regolari di Loggia.

Bisognerebbe proprio alzarsi la mattina con l’inderogabile volontà, non di fare quattrini o di imbrogliare il prossimo (qualcuno – non certo tra noi massoni – sembra abbia incubi notturni se nel corso della giornata non è riuscito a fregare qualcuno o qualcosa), ma  proprio di riuscire a dare “gratuitamente” agli altri tutto ciò che abbiamo acquisito, sia che si tratti di conquiste genericamente spirituali o culturali, sia di altro.

E ricordiamo ancora che questa strategia non ripaga subito, forse non ripagherà mai, ma è solo l’indice di un comportamento socialmente civile, al quale l’uomo ha sempre aspirato, forse anche come semplice utopia, visto che raramente è riuscito a realizzarlo.

Il mondo cristiano – quello filosofico s’intende e non quello delle madonne piangenti o dei giubilei – al quale tutti noi più o meno apparteniamo, almeno come cultura, sembra che in origine fosse orientato proprio in questo senso, ma fino ad oggi, cioè dopo circa duemila anni di tentativi, non c’è ancora riuscito e sembra che la metà sia ancora molto, troppo lontana. In fondo, anche le utopie fanno parte dell’animo e dei sentimenti umani e quindi accogliamo nel nostro intimo anche questa, sarà una compagna sempre presente in noi, un po’ come la nostra coscienza, che ci ricorderà sempre la migliore e la più civile strada da percorrere, per noi stessi e di conseguenza per la specie umana, ma direi anzi per tutto il mondo che ci circonda ed a qualsiasi “regno” appartenga.

Fr:.

Costretto al silenzio, oppure, costretto al silenzio?

Costretto al Silenzio, oppure, costretto al Silenzio?

Il doppio titolo indica chiaramente lo stato in cui mi sono trovato in questi anni da   apprendista   non   si  è trattato  di  una  coercizione  ma  di  un   passaggio dovuto in cui l’Uomo deve trasformarsi e dedicarsi, in quanto  il silenzio è un’arte da apprendere.

Da  fratello apprendista quante volte ho visto il primo sorvegliante aprire la Bibbia al Vangelo di San Giovanni dove è scritto l’incipit “In principio era il Verbo.”.

Ecco, il potere creativo della parola è stato subito esaltato. Del resto nelle prime pagine del “libro della legge sacra” viene descritta la creazione del mondo evocando il mistero della parola : fiat lux, e la luce fu.

Anche il rito di iniziazione dell’ apprendista non si può dire compiuto fino a quando il maestro venerabile non pronuncia alcune parole precise : “Ti inizio, nomino e proclamo, fratello apprendista libero muratore”.

Con la parola si esprime pienamente un pensiero, un desiderio, un’accettazione, un comando. Con la parola si entra rapidamente in relazione con gli altri, ottenendo subito risposta positiva o negativa.

Disponiamo anche di un linguaggio non verbale : il sorriso, la smorfia, tutte le gamme della mimica facciale e corporale. Ma la parola è lo strumento sovrano delle relazioni umane, dello scambio di informazioni.

Allora il silenzio si tratta davvero di una costrizione imposta oppure è una libertà concessa ?

Rappresentiamoci la condizione dell’apprendista : egli è libero di ascoltare senza dover mai contribuire con le sue argomentazioni. Può ascoltare in pace, lasciar risuonare in se stesso le parole che gli giovano, per la sua formazione di vero fratello massone.

L’apprendista ha diritto al silenzio e quindi gli viene accordato tale privilegio.

 ”Il silenzio è una grande cerimonia”, dicevano i monaci dei primi secoli cristiani. E Gandhi notava che “il silenzio apre una via”.

Qui, è chiaro, non si tratta più del banale silenzio che consiste soltanto nel tacere. Lo diceva bene San Basilio il grande : “La vera ricerca del silenzio è l’inizio del cambiamento dell’anima”.

Possiamo dire che il silenzio scava. Il silenzio prende le distanze dal chiacchiericcio inconcludente. Per i Massoni il silenzio è una pausa fra due catene di pensieri e la  mente corre incessante.

È per tutto  quanto  sopra  citato   che  nella  Massoneria la  parola  Silenzio assume un valore   ed  un  significato  diverso  da  quelli conosciuti nel mondo profano,chi troppo tace viene poco considerato,rimane anonimo  nel  gruppo e spesso ritenuto incapace di dire qualcosa e di dare qualcosa agli altri.
La  persona  silenziosa  che   ascolta   non   emerge   e   viene   vista   come   introversa;
spesso     viene   persino  emarginata  da  una  compagnia,  da  un  partito  politico o da
qualsiasi associazione  dove l’estroverso e’ colui che prevarica con la propria voce e con i propri  discorsi,  qualunque   essi siano, gli  altri,  si  mette  in  mostra   dando   prova della propria superiorità.

In Massoneria non e’ così.

La   Massoneria  deve essere considerata come una grande scuola che ha come obiettivo la   formazione  ed  il  perfezionamento dell’ essere  umano;  la  sua  trasformazione  da profano a Fratello Massone.
La cosa che per  i profani  può sembrare un obiettivo semplice da raggiungere,nella sua concretezza non risulta poi essere così. Chi  crede  che  il  rito  di iniziazione sia l’unico momento di metamorfosi sbaglia, quello e’ come dice la parola stessa solo l’inizio.
Nel primo grado, quello di Apprendista,  al  nuovo Fratello viene accordato il privilegio del “Silenzio”.
Da notare che viene definito privilegio perchè tale è.
Il  silenzio  va  considerato  non  come solo un   semplice   dovere  dell’Apprendista ma
come la possibilità di entrare   in   simbiosi   con   l’armonia  che regna all’interno della propria Loggia e la possibilità di entrare in  contatto visivamente con   quei simboli che sono  propri,  comprendendo  gradualmente  la  perfezione  e  la regolarità dei rituali,si ottiene nel primo grado solo con il silenzio.

Con il tempo mi sono accorto che le abitudini profane scomparivano e  ho imparato   a parlare riflettendo e meditando su quello  da dire ovvero valutare con il dubbio ed agire con certezze.

Emergono  sentimenti sopiti e forse inusuali nel mondo profano quali la Tolleranza verso gli altri rispettando il silenzio degli altri Fratelli e rispettando le loro opinioni che mi sono presto abituato ad    ascoltare. Presto    sarò integrato nella vita di Loggia e forse solo quando comprenderò la Sua vera Armonia sarò pronto ad essere sciolto dal silenzio e pronto al grado successivo.

Il Massone, ed io in particolare ho preso coscienza  del fatto che è   una ricerca prettamente spirituale, si pone  quale  discepolo che  apprende  un’arte,  come  colui che  ascolta  una  lezione  e che   immagazzina,  nel  silenzio,  le nozioni  acquisite  dell’insegnamento  del  Maestro che esercita la sua docenza in Loggia.

Chi impara  con  impegno gli   insegnamenti ha innanzi a sé un bivio ed una scelta che

potrà cambiare radicalmente la sua vita.

Con il Silenzio si ascolta, si medita, si impara  dagli  altri  Fratelli e come una spugna si assorbe tutto quello che gli altri con abnegazione sono sempre disposti a donarci per la nostra crescita all’interno della Loggia.

Fr:.

 

Il pensiero simbolico

Il pensiero simbolico

Carissimi Fratelli,

l’idea su cui poggia la Tavola che sto per presentarvi non è ovviamente originale; ho cercato di “mettere insieme” concetti ed idee che spesso nell’uso comune vengono tenuti separati o utilizzati in ambienti e contesti diversi.

In qualche modo, questa procedura ha generato un’idea che potrebbe essere nuova; forse nessun altro finora l’ha pensata.

Tranquilli, non sono impazzito, né penso di essere diventato chissà quanto geniale; possiamo dare per certo che saranno stati in tanti ad averla pensata.

Sto cercando di dirvi che, senza nessun altro strumento che il pensiero, ognuno di noi può creare concetti, idee, astrazioni che un momento prima potrebbero non essere esistiti.

Non abbiamo bisogno neanche che siano concrete; è sufficiente che noi le pensiamo per avere la sensazione che siano vere al punto tale che possiamo dedicare ad essere ore del nostro tempo.

Alla fine può emergere una conclusione che può dare origine a nuovi processi di pensiero.

Per esempio, dall’osservazione che nell’arco dell’anno le stagioni si susseguono ininterrottamente in accordo con quanto ci è stato tramandato dai nostri predecessori, e dal fatto che a fine dicembre le ore di luce iniziano ad aumentare e più avanti le giornate incominceranno ad esser meno fredde, abbiamo dedotto varie cose.

Nel tempo, non solo abbiamo capito che dovevano incominciare ad organizzarci per seminare con lo scopo di avere raccolti fruttuosi in estate, ma anche abbiamo introgresso questo fenomeno naturale e abbiamo pensato che possiamo vivere questo evento di rinnovamento della natura dentro di noi.

“Indossiamo le armi della Luce” ci scrisse il nostro Maestro venerabile nel giorno del Solstizio d’inverno qualche settimana fa nell’invitarci a gettare via le opere delle tenebre.

Anche il fenomeno biologico più naturale e ineluttabile, cioè il ciclo della vita e della morte, noi possiamo trasfigurarlo fino a “vivere la morte”.

Nel gabinetto di riflessione abbiamo lasciato, insieme con i metalli, la nostra vita così come fino ad allora l’abbiamo vissuta con le sue debolezze profane per poter viverne una nuova rinascendo nella vita iniziatica.

Questo modo di fare, cioè che noi possiamo trasfigurare eventi e fatti naturali, è talmente comune da apparire addirittura ovvio; eppure non lo è.

E’ comune solo per noi umani; non c’è altro essere vivente che possa farlo.

“Mettere insieme” è una locuzione verbale che in greco antico si tradurrebbe con il verbo “sumballein”, da cui il sostantivo “sunbalon”, e da qui la parola “simbolo”.

Sappiamo che il “sunbalon” serviva per fare riconoscere due persone che ne avevano un pezzo ciascuno, che facevano combaciare per riconoscersi.

Noi oggi usiamo questa parola fondamentalmente per “mettere insieme” un oggetto concreto e un’idea astratta.

Infatti sul nostro sito si definisce SIMBOLO un oggetto, individuo o altra cosa concreta che può sintetizzare ed evocare una realtà più vasta o un’entità astratta, un emblema.

Ma un simbolo può derivare anche dal mettere insieme due diversi simboli; per esempio la squadra che il M.V. porta come gioiello è l’unione del filo a piombo con la livella: il cercare dentro noi stessi in profondità equilibrio e stabilità (il filo a piombo) e il trovare la misura del quotidiano e l’appianamento degli ostacoli derivati dal nostro ego (la livella) fanno si che l’iniziato possa realizzare la sua opera nel Tempio del suo cuore (la squadra).

L’insieme di questi simboli con molti altri costruiscono la struttura figlia del pensiero tramandatoci dai Fratelli  che ci hanno preceduti.

Tale è la Libera Massoneria moderna.

E’ definita anche come Massoneria simbolica, perché noi Massoni consideriamo i nostri templi pieni di simboli come luoghi privilegiati di riflessione e ci sforziamo di vivere intensamente dentro di noi la tradizione costruita da un insieme di mezzi simbolici consacrati che ci facilitano nella presa di coscienza di principi universali.

Prima dicevo che solo noi umani siamo capaci di avere pensieri simbolici.

Qui bisogna essere chiari: dobbiamo distinguere le manifestazioni a carattere culturale e tecnologico (per esempio le pietre scheggiate, la cupola di Michelangelo, i grattacieli di Manatthan, la caccia organizzata), che vengano fatte risalire a Homo Abilis e che sono diffuse nel mondo animale (si pensi alle dighe nei corsi d’acqua costruite dai castori, ai nidi delle termiti, delle api e della vespe, ai sistemi di caccia dei leoni e dei lupi, non diversi da quelli utilizzati dai nostri) dal pensare per simboli che si è sempre ritenuto che nasca con Homo Sapiens moderno.

E la mia sensazione è che l’uomo moderno deve essersi reso conto di avere questa capacità molto tempo prima dell’inizio dell’era tecnologica (che potremmo far risalire alla nascita dell’agricoltura, circa 10.000 anni fa); si sentì diverso dagli altri animali e proiettò questa diversità come dono divino.

Da sempre sono convinto che questa nostra capacità discenda dall’evoluzione biologica della nostra specie.

Niente di più, purtroppo.

Siamo soli con la consapevolezza delle nostre peculiarità.

A dire il vero è stato proposto, e c’è chi pensa che sia stato dimostrato, che anche l’uomo di Neanderthal fosse capace di pensiero simbolico: usava collane di conchiglie e si colorava il corpo con sostanze di colore giallo, rosso e viola ottenute da minerali di varie tonalità cromatiche, e prima di incontrare Homo Sapiens.

Il pensiero simbolico è la punta avanzata dell’evoluzione umana.

Ecco perché noi Massoni dobbiamo essere fieri di lavorare sui simboli che la Tradizione ci ha consegnato e ci chiede di conservare come patrimonio di uomini liberi e di buoni costumi.

Fr:.

La Via iniziatica: un percorso a due sensi

La Via iniziatica: un percorso a due sensi

Luogo, anno, mese, giorno.

Volutamente non indico le coordinate geografiche e temporali, perché lo spazio ed il tempo sono una convenzione, ed un Iniziato non può e non deve avere steccati convenzionali, qualunque essi siano.

In questo Tempio i miei Fratelli mi hanno concesso la possibilità di tracciare, di scolpire, la mia prima Tavola Architettonica, che non vuole essere un architettonico lavoro, ma un piccolo approvvigionamento di materiale da costruzione.

Fratelli, provo una grande emozione.

Sino all’esposizione di questa Tavola, qualche attimo fa, con il mio grado di Apprendista Libero  Muratore, non avevo diritto di parola.

Stavo per scrivere: “con il mio grado di Apprendista Libero Muratore, non avevo voce in capitolo”, ma ho ritenuto di correggermi in quanto, pur senza parola, sono sicuro, con il mio Silenzio, con l’eloquenza del Silenzio, di aver contribuito a portare, nella ritualità simbolica di quanto viene compiuto all’interno di questo Luogo Sacro, un piccolissimo mattone per la costruzione del Tempio, del mio Tempio e forse, e qui me lo auguro, del Tempio interiore di qualche Fratello.

In questo istante ho facoltà di parola.

In questo momento, che sono convinto mi segnerà per la seconda volta nella mia vita carnale, ho perso un obbligo ed ho acquisito un diritto.

Non sono sicuro di esserne entusiasta.

Vorrei tanto avere, almeno per i prossimi istanti, le capacità retoriche di voi Fratelli, che con la vostra preparazione storica, culturale, filosofica, eclettica, su ogni intervento, per ogni Tavola, su qualsiasi argomento, con grande maestria, mi avete ammaliato e trascinato sui sentieri della conoscenza, facendomi percorrere itinerari suggestivi ed indimenticabili: per i prossimi convenzionali minuti vorrei avere tali qualità, principalmente per il vostro Giubilo.

Per ora non posso che sperare che accettiate quanto nelle mie possibilità e nella mia capacità di sintesi.

La via iniziatica, cos’è?

Avevo appena cominciato a comprendere, anzi meglio, ad intuire, cosa fosse l’Iniziazione, che ecco che il progetto di questo Lavoro mi porta a riflettere, prima della tracciatura di qualunque segno, su cosa sia la “via iniziatica”.

Ritengo che la risposta sia strettamente ed indissolubilmente collegata a quello che ho intuito essere Iniziazione.

In un primo momento, stando al significato proprio del termine, ho creduto che Iniziazione fosse solo l’avviamento ad una disciplina, ad una attività; poi nel crogiuolo del Tempio, sorretto dai Fratelli che ho incontrato lungo il mio sentiero, anche nella cosiddetta vita profana (anche se un Libero Muratore, un Massone, un Iniziato, non ha più una vita profana) ho sperimentato che l’Iniziazione è l’ingresso ad una iniziativa, l’iniziativa di una “realizzazione”, che possiamo sperimentare solo grazie e per merito di questa “seconda nascita”.

Con l’Iniziazione viene solo data la possibilità di intravedere che esiste un percorso, un sentiero, una via.

Al profano, con l’Iniziazione, viene data la possibilità di svegliarsi da una sorta di sonno dove gli aspetti illusori del sogno vengono scambiati per la realtà: l’Iniziato, in quanto tale, dovrebbe poi avere la forza di cominciare a percorrere l’infinito sentiero che consente di poter vedere la realtà non come appare in sogno, ma per come essa è.

Questa via, che altri non è che la via di liberazione spirituale, è una strada irta di ostacoli e difficoltà, così come si presenta agli occhi del “risvegliato”, o meglio ancora, dello “svegliato”, perché davanti ai propri occhi vede, e porto la mia esperienza, una temibile entità mostruosa: l’ambiente, con le sue condizioni di vita materiale.

L’ambiente impone i propri condizionamenti, attraverso il suo potere di suggestione e di illusione, vero e proprio potere ipnotico, che fa apparire accettabile e persino fortemente desiderabile ciò che in realtà non lo è affatto: da tutto questo a pochi è dato di sfuggire.

L’iniziazione ti sveglia e con l’apertura degli occhi, ancora annebbiati dal lungo sonno, ti consente di vedere un sentiero, ti consente di intuire che esiste una via.

L’Iniziazione è il punto di partenza della strada verso la realizzazione.

La realizzazione non può che consistere nel ristabilire la nostra relazione con il GADU.

Con l’Iniziazione credo ci venga data la possibilità di comprendere la nostra posizione originale e quindi agire di conseguenza.

Con l’Iniziazione entriamo a far parte dell’Eggregoro dell’Ordine Iniziatico, diveniamo cellule integrate nella natura stessa ed energetica dell’Eggregoro.

A voi Fratelli non sarà certo sfuggito che parlando di Iniziazione implicitamente ho tentato di svelare quello che dinanzi agli occhi ancora appannati del primo risveglio mi si profilava davanti: il Percorso, la Via.

La Tavola a cui sto lavorando reca il seguente titolo: “La via iniziatica: un percorso a due sensi”.

In un primo momento, da una prima lettura, quel “un percorso a due sensi” mi ha fatto pensare ad una sorta di reciprocità, al famoso do ut des, ovvero: cosa posso fare io per i miei Fratelli e cosa loro possono fare per me?

Poi mi sono detto: siamo Massoni, siamo degli Iniziati, ciò che sto pensando è ancora il frutto del sonno profano.

Questo mio iniziale pensiero era troppo carico di possibili fraintesi: credo di aver capito che in Massoneria non ci sono parole e/o simboli destinati ad essere anche fraintesi, ci sono parole e/o simboli che possono avere diversi soggettivi significati, ma certamente non travisabili e comunque tutti proiettati verso la Realizzazione.

Ogni parola, ogni simbolo, in Massoneria, per un Iniziato, ha un preciso significato, niente viene detto o fatto a caso.

Secondo il mio punto di vista, lo scopo di una “via iniziatica” è sviluppare la consapevolezza dell’uomo e, conseguentemente, delle sue potenzialità più elevate.

Il concetto di via si riferisce al fatto che per realizzare i frutti delle conoscenze tramandate ogni Iniziato deve seguire un lungo ed impegnativo percorso di apprendimento e di pratica.

Ciò che viene realizzato, ovviamente, non è semplicemente l’acquisizione di un insieme di nozioni teoriche; la portata delle conoscenze e della loro pratica è tale da poter trasformare ed evolvere colui che ne prenda parte.

La trasformazione è un fatto interiore ed energetico.

Trasformarsi, evolvere, hanno una sola direzione.

Forse manca un punto interrogativo; a mio avviso la centralità del tracciato poteva essere: “…un percorso a due sensi?”.

Così lo percepisco: la via iniziatica, che cominciamo a percorrere con il risveglio dell’Iniziazione, non può essere a due sensi, ma a senso unico; su questa via, priva di scorciatoie, troviamo Fratelli che tendono a quella realizzazione spirituale di cui scrivevo sopra.

La via iniziatica che percorriamo, o meglio, che io sto percorrendo, mi fa percepire un senso all’esistenza, è un tonico per la psiche, consente una mentale ed emotiva elaborazione.

L’Iniziazione non è un traguardo, ma il punto di partenza per altri traguardi che troviamo lungo il percorso iniziatico, percorso che non è una via ma la “Via”, che ha un valore ultraculturale, ultratemporale, ultraspaziale, è la vera via della vita umana, che deve consentire di “ri-essere” con l’Essere, da cui ci siamo separati con la nascita carnale.

Ecco perché la via iniziatica non può essere a due sensi: tutti noi cerchiamo di fare ritorno a “Casa”, nessuno torna indietro, possiamo trovare qualcuno, qualche Fratello, che si ferma; nostro dovere è sorreggerlo nella stanchezza del suo personale percorso lungo la medesima via, che è questo nostro percorso spirituale, che è, per dirla con un simbolismo, quel nostro incessante levigare la pietra grezza.

L’Iniziazione è un’acquisizione permanente, per questo la via iniziatica non può essere a due sensi: l’Iniziato non sarà mai più un profano, l’Iniziato, in quanto dotato di forze spirituali di ordine superiore, che il rito iniziatorio porta alla superficie, non può avere alcun interesse a tornare indietro; potrà forse fermarsi, ma non tornare indietro: ciò che comunque ha raggiunto con l’Iniziazione è sempre qualcosa in più e sicuramente di gran lunga migliore di ciò che aveva vissuto nella vita profana.

Nel corso della mia tegolatura un perfetto sconosciuto, che ora chiamo ed abbraccio come Fratello (felice di farlo, peraltro, nonostante la mia personale ritrosia), mi disse: “sei convinto? Guarda che non si torna indietro!” – più o meno testualmente.

Poi mi sono ritrovato all’interno di un “Rito di Iniziazione”.

Un Rito. Ho partecipato, come attore/spettatore, ad un Rito, il cui senso, le parole profuse, non avevano alcun significato per me.

Quella sera, tanto era il pathos, nemmeno cercai di penetrare il senso di quanto stava accadendo.

Ma non per questo, non solo per il fatto che non capivo niente di quanto mi stava circondando, di quanto mi stavano dicendo dei perfetti sconosciuti, quel Rito, in sé, non ha avuto il suo significato ed effetto.

Quel Rito, considerando quanto mi venne detto (Guarda non si torna indietro), necessariamente portava in sé la sua forza, prescindendo dalla consapevolezza o meno di chi vi stava partecipando: il mio spirito.

La morte è una condizione permanente dell’essere umano: l’uomo deceduto non torna indietro.

Poco prima del Rito di Iniziazione facciamo un testamento, che simbolicamente rappresenta l’ultimo atto di una vita da profano … poi il buio, la morte … la rinascita … la Luce.

Non torniamo profani.

Stiamo percorrendo la Via della Realizzazione, una Via che non permette un ritorno al passato, un passato vissuto nell’ombra ed ormai definitivamente morto.

Sono entrato nella Via, adesso spetta a me e solo a me seguire, percorrere tale Via.

Devo seguire ed eseguire un lavoro interiore, devo operare su me stesso, sulla pietra grezza, quel lavoro di sgrossamento prima e di levigatura poi che mi consentirà di ottenere la pietra cubica.

Questa considerazione ha inizialmente sortito un effetto negativo o almeno apparentemente tale, in quanto mi solo sentito solo in questo arduo compito nel percorrere la Via, ma questo effetto negativo si è risolto.

Se è vero che il cammino a senso unico verso la Realizzazione dipende solo da noi stessi, non è vero che siamo soli in questa impresa, perché facendo parte di una catena iniziatica, ciascuno di noi, ciascuno di voi, è un anello che costituisce con tutti gli altri un tutt’uno.

Possiamo addirittura giungere a dire e sostenere che tutti noi siamo la Via, tutti noi, concatenati nell’Eggregoro, costituiamo, indissolubilmente inanellati, la Via.

Ho detto.

Fr:.