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I Dignitari e gli Ufficiali

I Dignitari e gli Ufficiali

Svolgimento:

Prima di entrare nel merito della Tavola, ritengo opportuno sviluppare una breve premessa in modo da poter capire come, a livello storico, hanno origine le figure dei Dignitari e gli Ufficiali e quale significato hanno, invece, nell’ambito della Massoneria moderna.

Premessa Storica:

Nella Scozia del 1400 la “Loggia” era anzitutto un luogo fisico, nel quale trovavano riparo o sostavano i muratori che appartenevano alla corporazione ed erano impegnati nella costruzione di un castello o di una chiesa.

Con il tempo però la Loggia non rimase più solo uno spazio fisico, ma divenne un luogo ideale, il laboratorio per una nuova forma di sociabilità, per un nuovo linguaggio ed una nuova società europea.

La Massoneria si diffuse a partire dalle isole britanniche ed intercettò, nella sua espansione nel continente, tradizioni ed esperienze religiose e culturali risalenti al mondo medioevale e a quello rinascimentale.

Tutto ha origine dalle Logge medioevali.

Durante questo periodo storico (medioevo) le corporazioni di artigiani muratori godevano, nella struttura sociale dell’Antico regime, di un prestigio superiore a quello di altre associazioni di mestieri.

I mastri muratori riconosciuti ed accettati nella corporazione, entravano in possesso di una serie di tecniche, di conoscenze e di principi che consentivano loro di svolgere un’attività che sconfinava nella progettazione ingegneristica.

Un patrimonio che si rifaceva ai segreti matematici ed architettonici che avevano consentito la costruzione delle grandi cattedrali medioevali, realizzando edifici imponenti per dimensioni e complessità di calcolo.

Quando queste corporazioni si trasformarono in “Logge Massoniche”, non è un dato noto con precisione, ma sicuramente questo fenomeno si può fare risalire intorno alla fine del 1500.

La costituzione delle Logge Massoniche contribuì a rafforzare le corporazioni degli artigiani scozzesi, la consapevolezza che le loro azioni, la conoscenza dei principi di matematica e di architettura, la conservazione e la trasmissione del “Segreto” della loro “Arte” potevano essere utilizzati nella ricerca del modo di conoscere la natura in chiave mistica, di raggiungere la perfezione umana e quella “Universale”, di comprendere i “Segreti dell’Universo”.

All’inizio del 1600 nacque l’interrogativo se le “Logge” potessero essere, oltre che un insieme di uomini di mestiere, anche una struttura politica o “settaria”.

In questo periodo le “Logge” avevano già una propria organizzazione interna che era guidata da un “Guardiano dell’arte muratoria”, carica assegnata dal Re di Scozia nel 1590.

Otto anni più tardi questa carica si chiamava “Guardiano Generale”.

Questa “piccola” organizzazione serviva per mantenere la mente attiva e non schiva del ricordo, un’arte che non poteva essere scritta ma doveva rimanere affidata alla tradizione, per essere custodita e tramandata come un “Segreto” e comunicata attraverso il Rito di Iniziazione solo a coloro che sarebbero stati prescelti.

Dal 1630 iniziarono ad entrare nelle “Logge” persone estranee all’arte muratoria e non è un caso che si trattasse di personalità che avevano interessi ermetici ed alchemici.

Questo fatto va letto come conseguenza di una crisi economica e sociale e dalla necessità di avere fondi finanziari per aiutare i “Fratelli” caduti in rovina e le “Vedove” di quelli deceduti.

Le “Logge”, attraverso questi inserimenti di persone estranee all’arte muratoria, consentivano di fare conoscere i “Segreti” dell’arte muratoria e la partecipazione alle discussioni filosofiche.

A seguito di questa evoluzione di comportamenti, venne l’obbligo di definire regole ben precise per la gestione della “Vita Massonica” e venne introdotto un periodo di preparazione all’ingresso in Loggia, seguito da alcune prove, compreso l’esame del catechismo massonico. Fu stabilito l’obbligo del giuramento, a seguito del quale poteva essere comunicata la “Parola Massonica”, che serviva per riconoscere i “Fratelli” in Loggia.

Si sviluppavano anche nuovi simboli rappresentati da: grembiule, guanti, compasso, squadra, filo a piombo.

Questa è una fase storica dove si realizzò la trasformazione definitiva della corporazione artigiana in “Loggia”, cioè un luogo di sociabilità caratterizzato da una serie di pratiche e di rituali che si estendevano oltre la cerchia originaria degli artigiani.

In una situazione di questo genere fu imperativo sviluppare una perfetta organizzazione di Loggia affinché si potessero realizzare gli obiettivi che ho illustrato in precedenza.

L’inizio dello sviluppo organizzativo, che dal 1700 fu realizzato in Scozia, si portò dietro i linguaggi massonici inglesi e quindi molti termini vennero mutuati dalle procedure parlamentari e municipali.

Anche i regolamenti seguirono questa logica.

Quindi si iniziò a parlare di leggi, maggioranza dei voti, scrutinio segreto, voti, elezioni, unanimità dei voti, ammissione dei fratelli, ecc.

Inoltre, la diffusione del messaggio massonico era legata sin dalle origini, anche ad un preciso codice visivo; all’interno della Loggia tutto il Rito doveva in qualche modo sollecitare i cinque sensi dell’uomo.

I simboli erano poi quelli dell’arte muratoria: Squadra, Compasso, Filo a Piombo, Livella.

Nel linguaggio massonico conservavano grande importanza anche le forme dell’architettura, che rappresentavano certo un ordine ideale, ma si prestavano anche a tradurre in vere e proprie opere edilizie i principi e le regole della muratoria.

A fronte di questa situazione, si presentò la necessità di organizzare le Logge con a capo persone di alto livello morale, etico e con un tasso professionale elevato.

Ricordando che tutto questo avveniva nel periodo del medioevo, diventa facile ricondurre alcune figure organizzative a quelle che venivano utilizzate in quel periodo, in particolare in Francia.

Infatti, in un recente articolo dal titolo “Il giorno dello scandalo” (sezione Cultura “La collana della Regina” di Repubblica), nel quale veniva ricordato l’arresto del Cardinale di Rohan nel giorno di ferragosto del 1785, si fa riferimento a figure presenti alla corte di Versailles e cioè:

-          Dignitari di corte

-          Ministri di corte

-          Elemosiniere

Questa è la dimostrazione di come anche gli attuali regolamenti della “Massoneria Moderna”, siano congruenti con i linguaggi medioevali.

Definizioni di Dignitari ed Ufficiali in ambito profano

DIGNITARI

Detentore di un ufficio o di una carica di rilievo. Specificatamente nell’ambito di un potere o di un apparato regale (di una corte imperiale).

UFFICIALI

Persona “incaricata” a ricoprire un ruolo.

Dignitari ed ufficiali in “LOGGIA”

Rimanendo l’importanza storica ed il linguaggio massonico derivante dal periodo Medioevale, le cariche più importanti sono elette con votazione segreta, mentre quelle a “supporto” dell’organizzazione vengono incaricate a sviluppare un certo ruolo.

Questo metodo, come ho detto in precedenza è derivato da ruoli della politica Inglese, Scozzese e Francese.

Quindi i “DIGNITARI”  di Loggia sono le persone che hanno la maggiore responsabilità e che con la loro onestà, etica, professionalità devono gestire la Loggia.

Vengono quindi eletti con votazione segreta e sono:

   1-Primo Sorvegliante

   2-Secondo Sorvegliante

   3-Oratore

   4-Tesoriere

Si aggiunge il Segretario che viene però eletto dal Maestro Venerabile.

(Non mi dilungo, ma anche questo ha una sua logica che proviene sempre dal Medioevo).

Gli “UFFICIALI” sono incaricati dal Maestro Venerabile e sono a supporto dell’organizzazione:

   1-Esperto

   2-Maestro delle Cerimonie

   3-Primo e Secondo Diacono

   4-Porta Stendardo

   5-Ospedalere

   6-Elemosiniere

   7-Copritore esterno

   8-Copritore interno

   9-Architetto revisore

Fr:.

Il Massone, chi è?

Il Massone, chi è?

Uno degli ultimi libri che ho letto è stato “I Pilastri della terra” di Ken Follet.

La sua lettura è stata accattivante; Follet tocca una dimensione epica, trasportando il lettore nell’Inghilterra medievale, al tempo della costruzione di una cattedrale di stile gotico.

La storia si sviluppa lungo quarant’anni durante i quali l’intreccio di intrighi, tradimenti, guerre civili, carestie, conflitti religiosi, lotte per la successione al trono, segnano i destini e mettono continuamente in discussione la costruzione delle cattedrali.

Questa lettura, coinvolgendomi in un viaggio all’indietro nel tempo, mi ha fatto meditare su come dovesse essere la vita di un uomo in quel tempo lontano.

Già nel ‘500 grandi modificazioni geopolitiche, sociali e scientifiche erano nell’aria ed avrebbero portato, in breve, ad una grande rivoluzione nella conoscenza e nell’uomo.

Qual era il ruolo dell’uomo in quel periodo?

Il mondo, allora, era retto da monarchie assolute, non vi erano che sudditi completamente sottomessi al sovrano, solo i nobili godevano di qualche guarentigia; gli artisti erano ben accetti solo per rallegrarlo; gli uomini di pensiero erano liberi se non ponevano in discussione il potere la cui finalità era il tramandarsi, condiviso tra corona e chiesa.

Nonostante abbia conosciuto poco il mio “Nonno Massone” ricordo una sua frase abbastanza ricorrente: “I popoli sono stati sempre dominati o da guerrieri o da sacerdoti; i primi dominavano con la paura della morte, i secondi con la paura di ciò che c’è dopo”.

Accanto a questa realtà vi erano poi, piccoli gruppi di persone che si muovevano con una certa tranquillità grazie alla loro utilità ed alla scarsa penetrabilità delle loro conoscenze tecniche. Racchiusi in gruppi definiti “corporazioni di mestieri”, avevano regole comportamentali, deontologiche moderate, ma sostanziali ed universali, regole interne primarie ed assolutamente esclusive che consentivano loro di raggiungere risultati magnifici.

Le origini più antiche della Massoneria sono strettamente legate alle corporazioni di mestieri: dai “Collegia Artificum” dell’Antica Roma, ai “Maestri Com’acini” del Medioevo, alla “Accademia del Rinascimento”.

Secondo alcuni studiosi, proprio la Fratellanza dei Comacini, corporazione di famosi costruttori, diffusori dello stile romanico, avrebbe tramandato ai Massoni l’arte di edificare e, al tempo stesso, il vincolo della fratellanza.

L’Europa continentale è cosparsa di cattedrali gotiche, importanti per la loro maestosità e bellezza, chiaro documento della superiorità, in campo conoscitivo, dei loro “costruttori”.

Costruttori, matematici, filosofi che riuscivano ad affinare “l’arte del costruire” operando in un silenzio quasi mistico, sempre sostenuti dalla volontà di tentare maggiori arditezze e di raggiungere altezze più elevate.

Costruttori, matematici, filosofi… uomini veramente speciali!!!

Quindi la Massoneria Operativa fiorì dall’inizio della storia registrata attraverso il Medioevo ed il compimento della costruzione delle grandi cattedrali in Europa.

Alla fine di questa era, uomini che non erano artigiani, ma che avevano gli stessi ideali e le stesse aspirazioni, che avevano desiderio di arrivare alla conoscenza, furono ammessi ugualmente a far parte della Massoneria e, a mano a mano che i massoni non operativi diventavano la maggioranza, la massoneria diventava speculativa ed i suoi insegnamenti venivano indirizzati verso il lato morale ed etico dell’uomo.

Si dedicarono alla costruzione del tempio interiore dell’uomo, dove egli avrebbe dovuto custodire e coltivare tutti i suoi valori di riferimento.

Dai Massoni operatori anzi presero le regole comportamentali: gli “Old Charges”. Statuto corporativo redatto in Inghilterra tra il 1300 ed il 1400. Queste regole si chiamarono “Landmarks” pietre miliari, paletti usati per fissare il centro e gli angoli di un edificio prima della costruzione (fili fissi nella tecnica costruttiva moderna). Si dettero il nome di “moderni speculativi” e nel 1717, il 24 giugno, si codificarono con una precisa entità: “Massoneria Speculativa Moderna”.

Da allora della Massoneria e dei Massoni si è detto tutto e di più.

La Massoneria è atea; la Massoneria è una religione; la Massoneria è una società segreta; la Massoneria è collusa con la mafia.

La Massoneria è atea?

Ed allora, chi è per noi il Grande Architetto? Perché sui nostri altari c’è sempre il libro della Sacra Legge aperto?

Sarà poi bene ricordare che la nostra esperienza umana è fatta di invisibilità non meno che di visibilità e che l’uomo pensa al prima, al dopo, all’oltre la propria vita, al di là di qualsiasi veto ateistico.

Anche il laicismo più convinto sente o pensa “Qualcosa” e lo può sentire o pensare nella forma dell’assenza (assenza di ciò che gli manca), tanto quanto il credente tradizionale lo sente e o lo pensa nella forma della presenza. E scopriamo quindi che il dialogo tra credente e non credente è qualcosa che, al di là delle dottrine e delle ortodossie, può essere realizzato attraverso un linguaggio in parte comune.

La Massoneria è una religione?

Solo perché raccomandiamo ai nostri fratelli di seguire la Chiesa da loro scelta? Tra noi ci sono ministri di molte chiese protestanti ed eminenti cattolici.

Il ruolo di qualsiasi religione, in qualsiasi tempo ed in qualsiasi luogo è sempre il medesimo ed immutabile, in quanto le religioni nascono da una esigenza naturale dell’uomo, che non è altro che la ricerca principale della sua esistenza.

E’ certamente più corretto dire che la Massoneria è religiosa e, principalmente, perché si occupa dell’uomo, dei suoi rapporti con gli altri uomini, degli impulsi che nascono dal più profondo del suo essere. Un uomo esclusivamente razionale è un’astrazione, il senso religioso della vita continuerà a pervadere, magari inconsciamente, l’animo umano.

Quando smarriti osserviamo l’Universo, la sua immensità, bellezza e perfezione, ci domandiamo il perché di tutto ciò. Il senso del divino, quale meraviglia dell’uomo di fronte all’universo, diventa una esperienza spirituale intima alla quale ognuno di noi potrà attingere.

La Massoneria è una società segreta?

Ciò dà adito a sospetti ed assurdità: i nostri insegnamenti sarebbero contrari agli interessi della maggioranza perché i nostri segni, i  nostri simboli, la nostra spiritualità hanno lo scopo di farci riconoscere solo dai Fratelli sparsi in tutto il mondo e di tenere lontano gli “altri”.

Ma la validità del nostro Ordine sta proprio lì: quando riconosciamo un Fratello attraverso i nostri simboli, abbiamo la certezza che è uno che ha i nostri stessi ideali ed i nostri principi.

Noi lavoriamo per le stesse cose per le quali lavora la gente di buona volontà e la nostra ambizione è aiutare il genere umano ad elevarsi a livelli più alti.

Noi promuoviamo la pace, la carità, la libertà, la fratellanza, la tolleranza, l’uguaglianza che sono le cose più preziose della vita.

Forse la reticenza a farci conoscere è stata la nostra debolezza ed il nostro grande errore. La reticenza a parlare di ”noi”, noi come Ordine, come istituzione, ha permesso il rafforzarsi delle accuse più svariate.

Ci hanno avvicinato perfino alla mafia, a causa di voci, favole, invenzioni, di “…si dice…” e, tacendo, abbiamo dato valore alle varie dicerie e malignità.

Non più tardi di quindici o venti giorni addietro, ho partecipato, a Vinci, ad un dibattito, o più precisamente ad un “processo al libro di Dan Brown, “Il Codice da Vinci”.

Nel libro vengono fatte pesanti accuse e considerazioni sull’organizzazione “Opus Dei”. Quanto false o quanto vere esse siano, non so dire e non voglio entrare nel merito, ma ciò che mi ha colpito è stato il fatto che membri, iscritti o associati di tale aggregazione erano lì a confutare le varie accuse ed a spiegare origini e finalità dell’Opus Dei.

Perciò a che non sa, a chi non capisce, a chi non vuol capire, ai non massoni dobbiamo spiegare il perché della nostra esistenza e dire ciò che ci consideriamo: una organizzazione che opera per il bene dell’umanità e per il perfezionamento dell’Uomo.

Abbiamo tutti la stessa natura, veniamo tutti dallo stesso “luogo” e condividiamo tutti le stesse speranze. Siamo figli di un universo così complesso che ci impone di aver paura di un’unica paura: la “solitudine”.

E quindi il Massone chi è?

- E’ un uomo in ascolto. Ascolto di sé, degli altri, di un qualsiasi pensiero e non è mai solo.

- E’ un uomo alla ricerca continua di ciò che essenzialmente è capace di mettere in dubbio qualsiasi dogma che possa offuscare il suo animo.

- E’ un uomo il cui dubbio non sarà mai colpa, ma un sofferto dovere verso se stesso, dovere che gli imporrà di approfondire e provvedere, certo che la sua attività muratoria non sarà mai conclusa, così come non sarà mai ultimata la costruzione del tempio.

- E’ un uomo che per la sua continua ricerca di perfezionamento etico e conoscitivo non può che avere un comportamento guidato da precise norme e doveri morali.

- E’ un uomo che considera l’amore fraterno uno dei primi doveri, seguito sia dal rispetto che porta alla comprensione delle diversità di atteggiamento e di comportamento, sia dalla tolleranza che aiuta ad accettare tale diversità; il che non significa abbandonare il proprio modo di essere, ma, con umiltà, comprendere quello altrui ed usarlo per arricchirsi interiormente.

In conclusione, il Massone è un uomo che, con una ferrea disciplina, con un senso di giustizia ricco di saggezza, con un impeto di carità, esperto ed illuminato, con una forte volontà, che non si piega di fronte a nessun ostacolo, cerca di realizzare se stesso attraverso una lenta e difficile maturazione.

A chi non sa, a chi non capisce, a chi non vuol capire, ai non massoni, diciamo che non esiste alcun “segreto massonico”, nessun mistero attorno alla figura del Massone.

L’unico aspetto misterioso è la guerra che, sia in passato, che nel presente, viene fatta alla Massoneria, senza contare che le guerre lasciano, dietro di sé, rovine, mentre il colloquio e la reciproca conoscenza, anche se non eliminano le divergenze, tuttavia, consentono un confronto dialettico dal quale tutti possono trarre benefici.

Fr:.

Autodeterminazione

AUTODETERMINAZIONE

Descrizione di un percorso che tenta di dimostrare, al di là delle apparenze, un principio, con l’unico strumento prediletto dal Massone: la Ragione

Mi rivolgo in particolare agli Apprendisti ed ai Compagni.

E’ una sequenza di riflessioni questa tavola, e per questo è necessario che io premetta che credo fermamente nel principio della autodeterminazione, e sono contrario ad ammettere l’esistenza di una casualità preordinata, che si svolge segnando gli eventi in modo inevitabile, secondo un rapporto di causa ed effetto, che esula dalla mia scelta consapevole.

Dal momento in cui sono stato Iniziato ho avuto modo di leggere, di respirare intorno a me, attraverso la presenza dei Simboli, che via via divenivano sempre più chiari e legati al contenuto Massonico, un’atmosfera di automatica simbiosi, quasi fosse insito nella nostra essenza il seguire un preordinato percorso costituito di tappe prestabilite per raggiungere uno Scopo Comune, talvolta non sempre comprensibile.

Sensazione veritiera di per sè, e rispondente in modo coerente con una spinta di coesione operativa dei nostri lavori.

Apparentemente avrebbe potuto essere interpretata (questa sensazione) come la percezione di una sorta di annullamento di quei principi di libertà, di dignità umana, per affermare i quali la Massoneria ha sopportato nei secoli ogni sorta di sopruso.

Una volta, alcuni anni fa, mi capitò di conoscere un vecchissimo Maestro, vecchio d’età (quasi centenario) e vecchio di Massoneria, e parlando, appunto, di questi argomenti, domandai a lui una interpretazione, una risposta che definitivamente facesse chiarezza dentro di me.

Non mi rispose, Venturino Venturini, ma mi regalò un foglio su cui c’era scritta una sua riflessione. Eccola:

“RIFLESSIONE

Quella mattina, il Muratore, posava il mattone sul letto di cemento.

Con un gesto preciso della sua cazzuola lo copriva ancora, e senza chiedergli il parere, posava sopra di lui un nuovo mattone.

Lentamente con sicurezza, la casa si elevava alta e dritta sopra le fondamenta.

Ho pensato, FRATELLO, a quel povero mattone, interrato, nella notte, alla base del grande edificio.

Nessuno lo vede, ma lui fa il suo lavoro e gli altri hanno bisogno di lui.

FRATELLO, non conta che io sia in cima alla casa, in bella vista nella sua facciata, o nel buio delle fondamenta, purché io sia sempre sicuro e fedele al mio posto, solo così rimarrà salda la GRANDE COSTRUZIONE.

L’apparente morale che si potrebbe evincere da queste poche righe portava istintivamente  ad una conclusione che appariva contraddittoria.

Si impone ora una breve riflessione su quello strumento che l’uomo, in particolare se è Massone, adotta come unico per la ricerca della verità dentro e fuori di sè.

L’Iniziato, prendendo coscienza di sè, fino a quel momento puramente istintivo, si emancipa: non vuole più obbedire ciecamente; ora è giunto il momento in cui è necessario comprendere, è necessario sapere agire più in un senso che in un altro.

In altre parole è la Ragione che si è fatta sua guida.

Il debole – fanciullo dei nufci – e delle antiche leggende crescerà, ma non sarà senza lottare.

Un uomo non diventa completamente ragionevole subito.

Egli dovrà istruirsi a proprie spese acquistando a caro prezzo un’esperienza che può acquisire solo da sè stesso.

Si accorgerà che riuscirà a distinguere faticosamente il vero soltanto dopo essere caduto nel falso.

Perché? Perché la Ragione è ancora offuscata. Non abbiamo ancora imparato a servircene.

E’ una Luce che, molto spesso, più che illuminare, abbaglia;perchè è ancora sottomessa all’istinto.

E quando questa falsa ragione ci guida, facilmente ci facciamo delle l’idee stravaganti che influiscono negativamente sul nostro modo di agire e in particolare sul nostro modo di trarre conclusioni corrette.

Affermarsi Uomo nell’accezione Iniziatica della parola implica l’assoluta padronanza dello strumento Ragione, e deve essere la Suprema Ambizione del vero Massone.

Essere Massone quindi implica prima di tutto, comprendere il progetto Massonico, trovare in esso una valida ragione per continuare coerentemente a camminare sullo stesso binario, sicuro di essere parte assolutamente indispensabile di un disegno complesso ed articolato, ma con una tesi assolutamente chiara per tutti: Libertà.

Proprio la stratificazione dentro di me, di queste riflessioni, di questi insegnamenti mi dettero la chiave per aprire la porta che il mio istinto aveva, per così dire, chiuso in faccia alla mia ragione.

Compresi che quello che sembrava una contraddizione era un falso: il principio di autodeterminazione, che appariva soffocato, trovò immediatamente la sua concreta realizzazione nella libera scelta, comune a tutti i Massoni, di essere un Mattone del Tempio, una pietra di quella grande costruzione.

In buona sostanza, usando una figura retorica, potremmo parlare di Massoneria come di una sorta di ecosistema nel quale un numero ragguardevole di uomini, accomunati da alcuni principi fondamentali, pur nella loro diversità sociale, culturale ed etica, muovono ed indirizzano il loro lavoro per il perfezionamento di loro stessi e per la creazione di una società

di individui eguali e liberi, dove la parola “eguaglianza”, intesa come uguaglianza di diritti,  rappresenti una sorta di utopia realizzata.

In questo quadro la molteplicità delle culture e le loro differenze sono fattori essenziali per realizzare i contenuti di questa Istituzione.

In un certo senso potremmo coniare emblematicamente il binomio “omogenea autodeterminazione”, assurgendolo ad una sorta di principio inscindibile da cui non distaccarsi.

Quando l’armonia è sovrana, quando lo stare insieme, pur nei distinguo di opinioni e pareri, è contraddistinto da un senso di reciproco rispetto ed affetto, allora il “viaggio” attraverso l’uomo, che è uguale per tutti, come proposito, risulta più semplice e costruttivo.

La coralità è del resto un aspetto essenziale: una coralità, si badi bene, non da intendersi come imposta e voluta, bensì naturalmente conquistata e messa in atto; nel rispetto, mi ripeto, di quel principio di autodeterminazione che è caratteristica di indipendenza intellettuale, di possibilità di scegliere.

Il lavoro delle api, instancabile, ordinato, funzionale, mai caotico, rappresenta simbolicamente il modello che noi dobbiamo perseguire, ma soltanto come una metodologia operativa frutto di una dignitosa, intelligente, libera scelta comune.

La diversità di culture e di condizioni sociali permette di trovare equilibri stabili e duraturi, poiché l’esperienza di ciascuno, unita a quella degli altri, infonde solidità e concretezza al lavoro di ricerca e di sperimentazione.

Ci si riferisce, ovviamente, a tutto quello che è interesse dell’uomo: dalle grandi interpretazioni del tempo e dello spazio, al mistero della vita e della morte, o più banalmente al vivere in Loggia sotto il segno dell’armonia (che non è obbedienza cieca e dogmaticamente ottenuta), gli

uni vicino agli altri, in silenzio, mentre il Maestro Venerabile e i Sorveglianti leggono le frasi dei rituali con mozartiane musiche di sottofondo.

Anche questa apparente monotonia, contraddittorio appiattimento, di rituali ripetuti, produce amore, produce affinità: quando si ama una persona, il solo starle accanto ci gratifica, anche nel silenzio.

In Loggia, il Fratello tra Fratelli, ciascuno nel posto che gli spetta, avverte che è accomunato da una misteriosa atmosfera, mentre quella catena di unioni diviene realtà, e colui che è posto al nostro fianco è la prosecuzione di noi stessi, della stessa fisicità.

Tutto ciò non è assenza di autodeterminazione, ma comunione di intenti liberamente accettati per la realizzazione di un unico progetto.

Fr:.

Massoneria italiana e cremazione

Massoneria italiana e cremazione

Le prime testimonianze certe di questa pratica risalgono al neolitico tra le popolazioni nomadi,

tra i soldati caduti in battaglia o riservata alle donne morte durante il parto.

I Greci e gli Etruschi la consideravano un atto di purificazione e di liberazione dello spirito riservato alle persone illustri.

Nel mondo romano questo rito era esclusivo delle classi nobili; solo i ricchi potevano permettersi le sontuose cerimonie funebri con le pire di legni irrorati di balsami: fu anche per questa ragione che le prime comunità cristiane, pervase da un senso di umiltà ed uguaglianza, preferirono, allo sfarzo tipico di queste cerimonie, la semplicità dell’inumazione.

La stessa cultura ebraica considerava la cremazione un onore straordinario riservato ai Re e agli eroi come Davide, Salomone, Saul.

Dopo qualche secolo dall’instaurazione del Cristianesimo, la cremazione dei cadaveri fu abolita poiché considerata una istituzione pagana.

In età moderna si ricomincia a discutere di cremazione nella Francia rivoluzionaria, alla fine del 1700.

Nell’Italia ottocentesca, caratterizzata dall’allarmante degrado della sanità pubblica, dalle precarie situazioni igieniche, dall’altissimo tasso di mortalità, e dal proliferare di ogni genere di malattia, illustri esponenti della Massoneria, molti dei quali medici, si adoperarono per dare al paese un insieme organico di disposizioni legislative capaci di razionalizzare il settore ed avviare il “risorgimento” sanitario italiano.

Così anche il paradigma cremazionista fu indissolubilmente legato ad un progetto massonico di

modernizzazione della società per questioni non solo igieniche, ma anche morali, religiose ed economiche.

La spinta più convincente in favore dell’ ”incinerazione” veniva, in primo luogo, dall’analisi fatta dalla scienza medica del tempo, che aveva ormai dimostrato come le principali cause di epidemie e affezioni morbose erano da ricercarsi nell’eccessiva vicinanza dei cimiteri alle zone abitate.

Il Professor Ferdinando Coletti, Rettore della Facoltà di Farmacia di Padova, dimostrò come le conseguenze per l’igiene e la salute dei cittadini fossero drammatiche e come le epidemie, che infierivano nelle contrade, fossero la conseguenza di frettolosi e non accurati seppellimenti, per cui tale “propinquità e tale pratica di tumulazione” doveva essere sostituita dalla pratica della cremazione, che preveniva la naturale decomposizione dei corpi, ed offriva la più assoluta garanzia di igienicità.

Coletti si richiamò all’esperienza francese di fine Settecento, allorché, nell’ambito del tentativo rivoluzionario di elaborare un nuovo rito funerario alternativo a quello cattolico, si ebbero le prime cremazioni, avvenute in Europa dopo l’avvento del Cristianesimo, nonché i primi progetti legislativi per dare veste organica e riconoscimento giuridico alla pratica dell’incenerimento.

Egli affrontò anche gli aspetti etico-religiosi della questione, soffermandosi sulla totale inesistenza di precisi vincoli dogmatici, ai quali i cattolici potessero attingere per avversare la cremazione.

Coletti svolse alcune interessanti considerazioni morali sulla questione: sostenne che la morte, ricondotta alle dimensioni di un fenomeno naturale, “svestita d’ogni immagine di ribrezzo, di ogni idea di putredine e vermificazione”, perdesse molti dei suoi aspetti più crudi; si dilungò sul ruolo delle urna, che con la loro presenza materiale all’interno delle case avrebbero svolto una concreta testimonianza di legame fra generazioni, di permanenza e solidità dei vincoli familiari, ma anche di un sentimento di appartenenza alla propria terra.

Come antichi lari, le urna avrebbero esercitato un’influenza salutare sulla morale degli individui, rappresentando una sorta di santuario della famiglia, base eterna dell’ordine sociale.

II 18 Giugno 1867 il Fr Salvatore Morelli, presentò agli uffici della Camera dei Deputati una proposta di Legge per circoscrivere il culto cattolico nella Chiesa e sostituire ai Campisanti il sistema della Cremazione.

Il deputato denunciò “l’abuso del culto praticato dal clero cattolico per spirito di fanatismo e per alimentare la più barbara superstizione fra le poveri plebi”.

In nome di un maggior rispetto per tutti i culti religiosi e per i nuovi principi igienici, Morelli chiedeva di instaurare in Italia il sistema della cremazione.

Il progetto, dal contenuto dirompente, non fu preso in considerazione dagli uffici della Camera, che lo archiviarono.

Per farlo conoscere Morelli lo stampò a sue spese, con una prefazione con cui Giuseppe Garibaldi lodava chi aveva osato, “con audacia senza pari, sfidare i pregiudizi dei secoli”.

Affiliato alla Loggia “LA CISALPINA” di Milano, Gaetano Pini fu uno degli esponenti più attivi del nuovo movimento cremazionista.

Volontario nella guerra del 1866 e nella spedizione garibaldina del 1867, conosce e si appassiona delle iniziative umanitarie e sociali di Domenico De Luca che aveva fondato, nel 1864, una clinica per la cura gratuita dei poveri malati agli occhi, con il sostegno economico della Massoneria.

Diede così vita all’istituzione della scuola per rachitici, e nel 1878 fondò la “REALE SOCIETÀ’ ITALIANA DI IGIENE” e la prima “Società per la Cremazione Italiana”, impegnandosi poi per far nascere molte altre società nel Nord della penisola, riuscendo a collegarle tra loro dopo averle raccolte in una “Lega Italiana delle Società di Cremazione”, tutte presiedute o coordinate da esponenti della Massoneria.

Elaborò gran parte del materiale che a mezzo della Massoneria servi alla preparazione della legge Crispi del 1888, che permise alla pratica della Cremazione di entrare ufficialmente nel nostro Ordinamento.

Il GOI (istituito nel 1861 nello stesso anno in cui nacque lo Stato Italiano), deliberò, il 26 Maggio del 1874, che i fratelli si sarebbero impegnati a promuovere presso i Municipi l’uso della cremazione.

- Questo il testo della proposta:

“La Massoneria Italiana, augurando che i cimiteri divengano esclusivamente civili senza distinzione di credenze e di riti, mentre lascia ai singoli Fratelli ed alle loro famiglie piena libertà di determinare il luogo ed il modo di deposito delle salme dei loro defunti, si propone di promuovere presso i Municipi l’uso della cremazione, da sostituirsi all’interramento.

Raccomanda perciò tale concetto a tutte le Officine e ai singoli Fratelli, lo studio di sistemi atti a raggiungere l’intento in modo cauto, igienico e poco dispendioso.

Le urna contenenti le ceneri dei Massoni e delle loro famiglie potrebbero così essere raccolte nei Templi o nelle loro adiacenze come in un sepolcreto di famiglia.

A Pistoia la “Società per la Cremazione” fu costituita nel Febbraio del 1883 e l’impianto crematorio venne inaugurato nel 1901, grazie all’appoggio delle Logge Massoniche locali ed all’impegno, in seno alla rappresentanza municipale, di due suoi dirigenti: Giuseppe Tesi e Lodovico Canini, ottenendo il concorso del Comune nelle spese per la costruzione del Tempio.

Pochi mesi dopo la Rivista della Massoneria Italiana, organo ufficiale della Comunione, cominciò a trattare il tema della laicizzazione della morte, evidenziando la necessità di rendere assolutamente civili i cimiteri sacri, perché, si scrive, “se il prete ne tiene in mano le chiavi, rifiuterà con cristiano amore, di aprire le porte a coloro che non siano trapassati con tutti i sacramenti della religione ortodossa”.

I Fratelli della Loggia Universo di Roma avevano infatti denunciato che molte volte i Fratelli Massoni non erano stati ricevuti nei pubblici cimiteri laici e la cremazione dei cadaveri fu una delle tematiche trattate in parallelo per alcuni anni, tematiche fatte proprie dalla Massoneria, sino a diventare parte integrante del suo programma, avvicinando all’Istituzione personaggi che ne condividevano le motivazioni ideali.

L’architetto Augusto Guidini concordava con il Fratello medico e scienziato Paolo Gorini nel ritenere che la cremazione non fosse altro che il sistema più decoroso ed innocuo per restituire alla natura gli elementi primi ed indistruttibili che le erano necessari per fabbricare “nuovi viventi. La natura per mettere insieme l’organismo umano trasse dalla terra alcuni principi solidi fissi, e ne compose l’ordito. Poi con sostanze volatili, che tolse dal seno dell’aria atmosferica, ne compose il tessuto. Avvenuta la morte, essa ridomanda la materia per fabbricare nuovi viventi”.

Nella scelta cremazionista dei Massoni del secolo scorso si deve ricercare, oltre alle già accennate motivazioni scientifiche, tecniche ed igieniche, una più profonda concezione della morte della spiritualità iniziatica, che consiste nella consapevolezza nella potenzialità insita in alcuni uomini di potersi reintegrare nell’Essenza Prima.

La morte deve essere intesa come evoluzione, come un momento del processo di mutazione generale, come legge di trasformazione-mutazione: si muore alla vita profana per rinascere alla vita iniziatica, come Hiram che muore e rinasce per richiamare il ruolo centrale della morte come metamorfosi.

Il trapasso non è che l’iniziazione ai misteri di una risurrezione, nel contesto di una metamorfosi della natura di cui il fuoco è principio e simbolo.

In questo rituale processo nulla può essere lasciato alla materialità profana.

Un’ulteriore prolungata fase di decomposizione rallenterebbe o arresterebbe il processo trasmutatorio.

L’opera compiuta nel Tempio è reale, non virtuale, perciò le spoglie mortali devono essere autenticamente purificate, cioè penetrate e consumate dal Fuoco, per essere strutturalmente da esso modificate.

Solo così si realizza il consummatum est, la parte più eterea della materia mortale ed immortale.

Il significato mitico del Fuoco si perde nella notte dei tempi: nel linguaggio alchemico il Fuoco è un sostanza pura, eterna, indispensabile per il compimento della Grande Opera.

Il Fuoco è lo strumento della modificazione degli stati che nella natura appaiono a prima vista stratificati e insuperabili, è il mezzo affinché la vita, trascorrendo dall’una all’altra forma, si riveli.

Attraverso il Fuoco l’uomo dovrebbe bruciare tutte le sue scorie e, divenuto pura scintilla, unirsi alla Fonte da cui si è separato.

Il valore dei riti funebri che fanno ricorso al Fuoco sta nel modificare ciò che è mortale trasformandolo in ciò che non può morire.

E’ interessante notare come la trasmutazione dell’essere fisico e animico che, attraverso il Fuoco, avviene fisicamente sul cadavere che viene sottoposto alla cremazione, si compie anche nell’essere fisico e animico di chi partecipa alla cerimonia funebre rituale nel Tempio Massonico e anche nel Tempio Crematorio.

Sono molti, in questo senso, gli edifici crematori del secolo scorso che ripropongono la simbologia del Tempio: a Milano in stile dorico-greco, il Tempio è sormontato da un Gallo in bronzo, che simboleggia l’annuncio della Luce del giorno, ma anche l’annunciatore esoterico della Luce Massonica; a Torino le urna cinerarie sono sormontate da una Piramide; a Roma, nel cinerario del Verano, vi è una complessa alternanza di simboli politici ed esoterici, dove campeggia l’edera, pianta funebre che rappresenta Dioniso, e che come lui simboleggia la morte rituale e la rinascita, la Luce e l’Oscurità, il calore e la freddezza.

Fr:.

A sè stesso (Pensieri) – Il Trattato di Marco Aurelio

Marco Aurelio

A se stesso

(pensieri)

LIBRO I

1            Da mio nonno Vero: il carattere buono e non irascibile.

2            Dalla fama e dal ricordo che si conservano di mio padre: il comportamento riservato e virile.

3            Da mia madre: la religiosity, la generosity e la ripugnanza non solo a compiere il male, ma anche all’idea di

compierlo; ancora: il tenore di vita semplice e distante dalla condotta dei ricchi.

4            Dal mio bisnonno: non aver frequentato le scuole pubbliche, aver avuto buoni maestri tra le mura di casa, e
aver compreso che per questo genere di cose non si deve risparmiare.

5            Dal mio precettore: non esser stato sostenitore dei Verdi né degli Azzurri né dei gladiatori armati di parma o di
quelli armati di scutum; la resistenza alle fatiche e la sobriety nelle esigenze, contare sulle proprie forze e non immischiarsi; non prestare ascolto alla calunnia.

6            Da Diogneto: l’indifferenza per ciò che è vacuo; non prestar fede alle fole di ciarlatani e imbroglioni su
incantesimi, cacciate di demoni e simili; non perdersi a colpire le quaglie sulla testa o dietro ad inezie del genere; tollerare la franchezza di linguaggio; aver acquisito familiarity con la filosofia; aver ascoltato prima Bacchio, poi Tandaside e Marciano; aver scritto dialoghi quand’ero ragazzo; aver desiderato un lettuccio con una pelle e tutte le altre cose di questo genere connesse con l’educazione greca.

7            Da Rustico: aver capito la necessity di correggere e curare il carattere; non aver deviato verso ambizioni da
sofista, non dedicarsi a scrivere di questioni teoriche o a recitare discorsetti ammonitorî ovvero a impressionare la gente esibendo il modello dell’asceta o del benefattore; essermi allontanato dalla retorica, dalla poesia e dal brillante conversare; non girare per casa in toga e non fare cose analoghe; scrivere le lettere in modo semplice, come quella che egli stesso scrisse a mia madre da Sinuessa; la disponibility a riavvicinarsi e riconciliarsi con chi si è irritato o ha mancato verso di noi, non appena decide di tornare sui suoi passi; leggere con estrema attenzione e non accontentarsi di afferrare il senso generale, e non trovarsi sùbito d’accordo con chi chiacchiera; l’incontro con i commentarî di Epitteto, che mi fornì dalla sua biblioteca.

8            Da Apollonio: l’atteggiamento libero e senza incertezze nel non concedere nulla alla sorte e nel non guardare,
neppure per poco, a nient’altro che alla ragione; restare sempre uguali, nei dolori acuti, nella perdita di un figlio, nelle lunghe malattie; aver visto con chiarezza, in un modello vivo, che la stessa persona può essere molto energica e pacata; non irritarsi mentre si dy una spiegazione; aver visto un uomo che evidentemente considerava come l’ultima delle sue quality l’espenenza e l’ability nell’insegnare i principî teorici; aver imparato come si devono ricevere dagli amici i cosiddetti favori: senza sentirsi inferiori per averli ricevuti e senza respingerli, peccando di tatto.

9            Da Sesto: la benevolenza; il modello di una famiglia patriarcale; il concetto di vita secondo natura; la dignity
autentica; la capacity di cogliere in cosa prendersi cura degli amici; la pazienza verso chi, privo di istruzione, crede anche a ciò che non ha esaminato in termini scientifici; la capacity di trovarsi bene con tutti: cosicché il suo conversare era più accattivante di ogni adulazione, eppure, in quel preciso momento, agli occhi dei suoi stessi interlocutori, egli restava degno del più alto rispetto; l’intelligenza e il metodo nell’individuare e disporre i principî indispensabili per la vita; non aver mai dato segno esterno di ira o di altra passione, essendo invece, nello stesso tempo, assolutamente impassibile e affettuosissimo; la disposizione a elogiare, e senza troppo rumore; un’ampia cultura, senza spazio per l’esibizione.

10          Dal grammatico Alessandro: non censurare e non redarguire in maniera offensiva chi parlando incappa in un
barbarismo o in un solecismo, ma, con il giusto tatto, limitarsi a pronunciare l’espressione corretta, come se si stesse rispondendo o manifestando la propria approvazione o analizzando la sostanza della questione, non il termine usato, oppure attraverso un’altra forma altrettanto garbata di rilievo.

11          Da Frontone: aver valutato il grado di invidia, tortuosity e ipocrisia del potere tirannico, e come in generale
costoro che da noi si chiamano patrizi siano, in certo modo, più insensibili all’affetto.

12          Da Alessandro il Platonico: parlando o scrivendo una lettera a qualcuno, non dire spesso e senza una ragione
stringente «non ho tempo», e non declinare continuamente, in questo modo, i nostri doveri nelle relazioni con chi ci vive accanto, col pretesto degli impegni che ci assediano.

13          Da Catulo: non trascurare un amico che ci accusa di qualcosa, anche se capita che ci accusi senza ragione, ma
cercare di riportarlo al suo rapporto consueto con noi; parlar bene, di cuore, dei propri maestri, come insegna quello che si racconta di Domizio e Atenodoto; l’amore autentico per i figli.

14          Da Severo: l’amore per la famiglia, l’amore per la verity, l’amore per la giustizia; aver conosciuto, grazie a lui,
Trasea, Elvidio, Catone, Dione, Bruto, ed essermi formato l’idea di uno stato con leggi uguali per tutti, governato secondo i principî dell’uguaglianza politica e di uguale diritto di parola, e l’idea di una monarchia che al di sopra di ogni cosa rispetti la liberty dei sudditi; ancora da lui: la giusta misura e la costanza nell’onorare la filosofia; fare del bene ed elargire con generosity; l’ottimismo e la fiducia nell’affetto dagli amici; la schiettezza verso chi meritasse la sua riprovazione; il fatto che i suoi amici non dovevano ricorrere a congetture per capire cosa volesse o non volesse: al contrario, il suo intendimento era chiaro.

15          Da Massimo: governare se stessi e non lasciarsi confondere in nulla; il buon umore in ogni circostanza e in
particolare nelle malattie; il carattere ben temperato: dolcezza e dignity; la capacity di adempiere i propri impegni senza cedere alla sofferenza; il fatto che, quando diceva qualcosa, tutti avevano fiducia che quello fosse davvero il suo

pensiero, e, quando faceva qualcosa, che agisse senza cattive intenzioni; la capacity di non farsi sorprendere o sbalordire, e di non cedere, in nessuna circostanza, alla fretta o all’indugio o alla disperazione, oppure alla depressione o al sarcasmo, o, ancora, alla collera e al sospetto; la propensione a fare del bene, al perdono e alla sincerity; l’impressione che offriva: di chi non si lascia piegare piuttosto che di chi si sta raddrizzando; il fatto che nessuno avrebbe mai pensato di essere disprezzato da lui né avrebbe mai osato di ritenersi superiore a lui; il saper scherzare in modo buono.

16           Da mio padre: l’indole mite e la fedelty incrollabile alle decisioni attentamente meditate; il rifiuto di ogni
vanagloria per i cosiddetti onori; l’amore per il lavoro e la tenacia; la disponibility ad ascoltare chi ha da proporre qualcosa di utile alla collettivity; l’atteggiamento inflessibile nell’attribuire a ciascuno secondo il merito; l’esperienza nel vedere dove occorra tirare, dove invece allentare; l’aver posto fine agli amori con i fanciulli; il rispetto per gli altri e l’aver consentito agli amici di non banchettare sempre con lui e di non doverlo per forza seguire nei suoi viaggi: anzi, il farsi sempre ritrovare amico come prima da chi per qualche necessity era rimasto a casa; lo scrupolo e l’insistenza, durante le riunioni di consiglio, nel cercare soluzioni, e non, come si dice, «non ha concluso il suo esame, accontentandosi delle prime impressioni»; il modo di conservare gli amici, senza mai provare fastidio per loro, e neppure un folle attaccamento; l’autosufficienza in tutto e la serenity; la lungimirante preveggenza e il provvedere a ogni minima cosa senza atteggiamenti teatrali; il fatto che, sotto di lui, furono ridotte le acclamazioni e ogni forma di adulazione verso il potere; l’attenzione continua alle necessity dell’impero, la gestione oculata della spesa pubblica e la tolleranza verso le critiche abituali in simili casi; non esser superstizioso per quel che riguarda gli dèi, né demagogo per quel che riguarda gli uomini, in cerca di consenso o di favore tra la massa, ma sobrio in ogni circostanza e saldo, mai volgare o smanioso di novity; saper far uso di ciò che serve a confortare la vita, e che la sorte fornisce in abbondanza, senza boria, e, insieme, senza accampare pretesti, in modo, se c’è, da goderne senza artifici, e da non sentirne il bisogno se manca; il fatto che nessuno lo avrebbe potuto definire un sofista o un buffone o un pedante, ma un uomo maturo, completo, immune alle adulazioni, capace di provvedere agli interessi suoi e altrui; inoltre, l’onore riservato ai cultori autentici della filosofia, senza tuttavia offendere gli altri, e senza neppure, però, farsi fuorviare da loro; ancora: l’affability e la gentilezza, ma senza esagerazione; la cura che aveva della sua persona: nei giusti limiti, e non come chi è troppo attaccato al proprio corpo, senza indulgere al lezioso e neppure cadere nella sciatteria, cosicché grazie alla propria personale attenzione riduceva al minimo la necessity di ricorrere all’arte medica o ai farmaci, e con l’esclusione di ogni impiastro; soprattutto il suo saper cedere il passo, senza invidia, a chi possedeva una certa ability, per esempio nell’eloquenza o nello studio delle leggi o dei costumi o di altre materie, e l’impegno con il quale aiutava ciascuno a divenire famoso nel settore in cui aveva particolare talento – e seguendo sempre nella sua azione le tradizioni avite, non cercava di mettere in luce neppure questa linea di condotta; ancora: la tendenza non a trasferirsi e spostarsi avanti e indietro, ma a restare a lungo negli stessi luoghi e nelle stesse attivity; la capacity, dopo i suoi violenti attacchi di cefalea, di tornare sùbito fresco e pieno di energie al lavoro consueto; il suo non avere molti segreti, ma pochissimi, rarissimi e solo su questioni di Stato; il buon senso e la misura nell’allestimento di spettacoli, nell’edificazione di opere pubbliche, nelle elargizioni al popolo e simili: da uomo che tiene d’occhio quello che si deve fare, non la gloria che può seguire alle sue azioni.

Non prendeva bagni in ore inconsuete, non aveva la fissazione di edificare, non pensava sempre ai cibi, ai ricami e ai colori delle vesti, alla bellezza degli schiavi. La veste che veniva da Lorio, dall’abitazione di campagna di laggiù, e la maggior parte di quel che accadde a Lanuvio; come si comportò con l’esattore che lo implorava a Tuscolo, e ogni analoga occasione. Non ebbe alcun atteggiamento rude, inesorabile, violento, o tale che qualcuno potesse dire: «fino al sudore»; ma ogni cosa veniva da lui valutata analiticamente, come in un momento di riposo, senza turbamenti, con ordine, con fermezza, nell’armonia dei fattori interni. Gli sarebbe adatto quanto si tramanda di Socrate, e cioè che sapeva sia godere sia rinunciare a quelle cose di fronte alle quali i più si mostrano deboli al momento di astenersene e smodati al momento di gustarne. L’esser forte e resistere con tenacia e, in entrambi i casi, mantenere la sobriety sono caratteristiche di un uomo che possiede un animo diritto e invincibile, come ad esempio dimostrò nella malattia di Massimo.

17           Dagli dèi: l’aver avuto buoni nonni, buoni genitori, una buona sorella, buoni maestri, buoni familiari, parenti,
amici, quasi tutti; il fatto che non sono arrivato a commettere una colpa verso nessuno di essi, pur avendo una disposizione tale per cui, se ve ne fosse stata l’occasione, me ne sarei macchiato – ed è un beneficio degli dèi che non si sia verificato nessun concorso di avvenimenti che potesse rivelarmi per quello che sono; non esser cresciuto troppo a lungo presso la concubina di mio nonno; aver conservato intatto il mio vigore e non aver avuto rapporti sessuali prima del tempo, anzi, aver atteso ancora dopo che era giunto il momento; esser stato sottoposto a un sovrano e a un padre che avrebbe eliminato ogni mia alterigia e mi avrebbe condotto a pensare che a corte si può vivere senza bisogno di guardie del corpo o di vesti pregiate, di candelabri o statue di questo genere e di un consimile sfarzo, e che anzi ci si può limitare a un tenore di vita assai vicino a quello di un privato, senza perciò risultare troppo modesti o trasandati di fronte alle incombenze che il sovrano deve affrontare nel pubblico interesse; aver avuto un fratello quale il mio, capace, con il suo carattere, di spronarmi ad aver cura di me stesso, e, insieme di gratificarmi con il suo rispetto e il suo affetto; non aver avuto figli deficienti o deformi; non aver fatto troppi progressi nella retorica, nella poesia e nelle altre discipline, in cui forse sarei rimasto irretito, se mi fossi accorto di procedere con facility; aver prevenuto i miei precettori attribuendo loro la posizione alla quale mi parevano ambire, e non aver rinviato la cosa in attesa, considerata la loro giovane ety, di farlo in séguito; aver conosciuto Apollonio, Rustico, Massimo; essermi spesso e con chiarezza rappresentato quale sia la vita secondo natura: cosicché, per quanto sta agli dèi e alle comunicazioni, agli aiuti, alle ispirazioni che da essi provengono, nulla ormai mi impedisce di vivere secondo natura – che a questo obiettivo manchi ancora qualcosa,

semmai, a colpa mia, perché non osservo i suggerimenti e, diciamo quasi, gli insegnamenti che vengono dagli dai; il fatto che il mio corpo abbia così a lungo resistito in una simile vita; non aver toccato Benedetta né Teodoto, e, anche più tardi, caduto in passioni amorose, esserne guarito; essermi tante volte adirato con Rustico, ma senza mai far nulla di cui poi pentirmi; il fatto che mia madre, pur destinata a morir giovane, abbia egualmente vissuto con me i suoi ultimi anni; il fatto che ogniqualvolta ho voluto soccorrere una persona povera o che aveva altre necessity, non mi sono mai sentito rispondere: «Non ho abbastanza denaro per farlo»; e non essermi trovato in un analogo stato di bisogno, ridotto a dover ottenere da altri; il fatto che mia moglie fosse così, tanto docile, tanto affettuosa e semplice; aver avuto per i miei figli tanti precettori adatti; il soccorso ricevuto attraverso i sogni, in particolare contro gli sbocchi di sangue e le vertigini; e [...] a Gaeta [...] … e, quando desiderai accostarmi alla filosofia, non essere incappato in un sofista e non esser rimasto seduto a leggere gli autori, ad analizzare i sillogismi o ad occuparmi dei fenomeni celesti. Perché tutte queste cose esigono l’aiuto degli dai e il favore della sorte.

Scritto nel territorio dei Quadi presso il Gran: libro I. LIBRO II

1              Al mattino comincia col dire a te stesso: incontrerò un indiscreto, un ingrato, un prepotente, un impostore, un

invidioso, un individualista. Il loro comportamento deriva ogni volta dall’ignoranza di ciò che a bene e ciò che a male. Quanto a me, poiché riflettendo sulla natura del bene e del male ho concluso che si tratta rispettivamente di ciò che a bello o brutto in senso morale, e, riflettendo sulla natura di chi sbaglia, ho concluso che si tratta di un mio parente, non perché derivi dallo stesso sangue o dallo stesso seme, ma in quanto compartecipe dell’intelletto e di una particella divina, ebbene, io non posso ricevere danno da nessuno di essi, perché nessuno potry coinvolgermi in turpitudini, e nemmeno posso adirarmi con un parente né odiarlo. Infatti siamo nati per la collaborazione, come i piedi, le mani, le palpebre, i denti superiori e inferiori. Pertanto agire l’uno contro l’altro a contro natura: e adirarsi e respingere sdegnosamente qualcuno a agire contro di lui.

2              Qualunque cosa sia questo che sono, a infine carne, soffio vitale e principio dirigente. Getta via i libri, non ti
far più distrarre: non a consentito. E invece, come se fossi a un passo dalla morte, disprezza la carne: coagulo di sangue, ossa, ordito intessuto di nervi, vene, intrico di arterie. Poi osserva anche quale sia la natura del tuo soffio vitale: vento, e neppure sempre lo stesso, ma un alito che, a ogni istante, viene emesso e riaspirato. Per terzo viene il principio dirigente. Qui rifletti: sei vecchio; non consentire più che questo principio sia schiavo, che come una marionetta sia manovrato da un impulso individualistico, che recrimini contro il destino presente o guardi con ansia quello futuro.

3              L’operato degli dai a pieno di provvidenza, l’operato della fortuna non a estraneo alla natura oppure a una
connessione e a un intreccio con gli eventi governati dalla provvidenza: tutto deriva di ly. E va aggiunto anche che ogni cosa a necessaria e utile alla totality del cosmo, di cui sei parte. Ma per ogni parte della natura a bene ciò che a prodotto dalla natura universale e ciò che contribuisce alla sua conservazione: e il cosmo a conservato sia dalle trasformazioni degli elementi, sia dalle trasformazioni dei composti. Ti bastino queste considerazioni, dal momento che si tratta di principî fondamentali: respingi invece la sete di libri, per poter morire non mormorando, ma veramente sereno e grato, dal profondo del cuore, agli dai.

4              Ricorda da quanto tempo rinvii queste cose e quante volte, ricevuta una scadenza dagli dai, non la metti a
frutto. Devi finalmente comprendere quale sia il cosmo di cui sei parte, quale sia l’entity al governo del cosmo della quale tu costituisci un’emanazione, e che hai un limite circoscritto di tempo, un tempo che, se non ne approfitti per conquistare la serenity, andry perduto, e andrai perduto anche tu, e non vi sary un’altra possibility.

5              Ad ogni istante pensa con fermezza, da Romano e maschio quale sei, a compiere ciò che hai per le mani con
seriety scrupolosa e non fittizia, con amore, con liberty, con giustizia, e cerca di affrancarti da ogni altro pensiero. Te ne affrancherai compiendo ogni singola azione come fosse l’ultima della tua vita, lontano da ogni superficiality e da ogni avversione passionale alle scelte della ragione e da ogni finzione, egoismo e malcontento per la tua sorte. Vedi come sono poche le condizioni che uno deve assicurarsi per poter vivere una vita che scorra agevolmente e nel rispetto degli dai: perché gli dai non chiederanno nulla di più a chi osserva queste condizioni.

6              Offendi, offendi te stessa, anima mia: ma non avrai più l’occasione di renderti onore; [...] la vita per ciascuno:
ma questa vita tu l’hai quasi portata a termine senza rispettare te stessa, riponendo invece la tua felicity nelle anime altrui.

7              Ti distraggono gli accidenti esterni? Procùrati il tempo di apprendere ancora qualcosa di buono e smetti di
vagare senza meta. Anzi, devi guardarti anche dal secondo genere di smarrimento: infatti vaneggiano anche attraverso le loro azioni gli uomini stanchi della vita e senza un obiettivo al quale indirizzare ogni impulso e, insomma, ogni rappresentazione.

8              Difficilmente si vede qualcuno infelice perché non considera che cosa avvenga nell’anima di un altro; mentre
chi non segue i moti della propria anima fatalmente a infelice.

9              Bisogna sempre tenere a mente questi punti: qual a la natura del tutto e quale la mia; in quale relazione questa
sta con quella e quale parte a di quale intero; che nessuno può impedirti di agire e di esprimerti sempre in conformity alla natura di cui sei parte.

10           Nel valutare comparativamente le varie colpe, come si usa comunemente confrontarle, Teofrasto da vero

filosofo afferma che sono più gravi quelle commesse per concupiscenza di quelle commesse per ira. L’individuo adirato, infatti, sembra voltare le spalle alla ragione in uno stato di sofferenza e di latente contrazione, mentre chi sbaglia per concupiscenza, vinto dal piacere, risulta in un certo senso più intemperante e femmineo nelle proprie mancanze. Quindi a corretta e filosoficamente apprezzabile l’opinione di Teofrasto secondo cui l’errore che si accompagna al piacere a soggetto a imputazione più grave di quello che si accompagna al dolore; in sintesi: nel primo caso l’individuo a assimilabile a chi ha patito un’ingiustizia e dalla sofferenza a stato inevitabilmente spinto all’ira, mentre nel secondo la persona ha tratto da se stessa l’impulso a commettere ingiustizia, lasciandosi trascinare ad agire per concupiscenza.

11           Fare, dire e pensare ogni singola cosa come chi sa che da un momento all’altro può uscire dalla vita. Ma
congedarsi dagli uomini non a nulla di grave, se gli dai esistono: non vorrebbero certo travolgerti nel male; e se, d’altra parte, o non esistono oppure non si curano delle cose umane, che mi importa di vivere in un mondo privo di dai o privo di provvidenza? Ma non a così: esistono e si occupano delle cose umane e hanno attribuito all’uomo il pieno potere di non incorrere in quelli che sono veramente mali; quanto agli altri, se qualcuno di essi fosse davvero un male, gli dai avrebbero anche provveduto a che tutti avessero la facoltà di evitarlo. Ma ciò che non rende peggiore l’uomo come potrebbe rendere peggiore la vita dell’uomo? La natura dell’universo non avrebbe mai trascurato queste cose per ignoranza e neppure perché, pur conoscendole, non potesse prevenirle o correggerle, né avrebbe compiuto, per impotenza o inettitudine, un simile errore, e cioa che bene e male toccassero in egual misura, indistintamente, agli uomini buoni e ai cattivi. La morte, appunto, e la vita, la fama e l’oscurità, il dolore e il piacere, la ricchezza e la povertà, tutte queste cose accadono in egual misura agli uomini buoni e ai cattivi, in quanto non sono moralmente belle né brutte. Non sono, quindi, né beni né mali.

12           Come tutto svanisce rapidamente: nel cosmo i corpi stessi, nell’eternità il loro ricordo; qual a la natura di tutte
le cose sensibili e soprattutto di quelle che adescano con il piacere o spaventano per il dolore o hanno trovato risonanza nella vanità dell’uomo; come sono vili, spregevoli, sordide, corruttibili, morte… – tocca alla facoltà razionale soffermarsi su questi punti; che cosa sono costoro, la cui opinione e la cui voce dispensano fama e infamia; che cos’a la morte, e il fatto che, se uno la osserva in sé e per sé e attraverso un’analisi del concetto dissolve ciò che vi crea l’immaginazione, non la considererà più null’altro che un’opera della natura – e se uno teme un’opera della natura, a un bambino, e d’altronde questa non a solo un’opera della natura, ma anche un’opera utile alla natura stessa; come l’uomo si collega a dio, per quale sua parte e in quale disposizione deve essere questa parte dell’uomo perché giunga tale momento.

13           Nulla di più sventurato di chi percorre tutto in cerchio e, dice il poeta, «indaga le profondità della terra» e cerca
di captare ciò che sta nell’anima del prossimo, senza accorgersi che basta dedicarsi esclusivamente al demone che ha dentro di sé e tributargli un culto sincero. E il culto che gli spetta consiste nel serbano puro dalla passione, dalla leggerezza e dallo scontento per ciò che viene dagli dai e dagli uomini. Le cose che vengono dagli dai, infatti, sono venerabili per la loro virtù, mentre quelle che vengono dagli uomini sono care per il nostro legame di parentela, e qualche volta sono anche, in certo modo, degne di pietà perché nascono dall’ignoranza del bene e del male – cecità, questa, non meno grave di quella che impedisce di distinguere il bianco dal nero.

14           Anche se tu dovessi vivere tremila anni e dieci volte altrettanto, in ogni caso ricorda che nessuno perde altra
vita se non questa che sta vivendo, né vive altra vita se non questa che va perdendo. Pertanto la durata più lunga e la più breve coincidono. Infatti il presente a uguale per tutti e quindi ciò che si consuma a uguale e la perdita risulta, così, insignificante. Perché nessuno può perdere il passato né il futuro: come si può essere privati di quello che non si possiede? Ricordare sempre, quindi, questi due punti: il primo, che tutto, dall’eternità, a della medesima specie e ciclicamente ritorna, e non fa alcuna differenza se si vedranno le stesse cose nello spazio di cento o di duecento anni o nell’infinità del tempo; il secondo, che sia chi vive moltissimi anni sia chi dopo brevissimo tempo a già morto subiscono una perdita uguale. È solo il presente, infatti, ciò di cui possono essere privati, poiché a anche l’unica cosa che possiedono, e uno non perde quello che non ha.

15           Tutto a opinione. Sono evidenti, infatti, le parole rivolte a Monimo il Cinico; ed a evidente anche l’utilità di
quelle parole, se uno ne accetta il succo nei limiti della loro veridicità.

16           L’anima dell’uomo offende se stessa soprattutto quando diviene, per quanto da essa dipende, un ascesso e come
un’escrescenza del cosmo. Perché sentirsi in contrasto con qualcuno degli eventi a una defezione dalla natura, che include le singole nature di ciascuno degli altri esseri. In secondo luogo, l’anima offende se stessa quando respinge una persona o addirittura la contrasta con l’intenzione di danneggiarla, come fa l’anima di chi a in preda all’ira. In terzo luogo: quando si lascia vincere dal piacere o dal dolore. In quarto luogo: quando recita e fa o dice qualcosa fingendo o nascondendo la verità. In quinto luogo: quando non indirizza una sua azione o un suo impulso ad alcun obiettivo, ma fa cose qualsiasi, a caso e senza badarvi: mentre anche il più piccolo gesto deve avvenire in relazione al suo fine; e il fine degli esseri razionali a di seguire la ragione e la legge della città e dello Stato più venerabili.

17           Nella vita umana il tempo a un punto, la sostanza a fluida, la sensazione oscura, il composto dell’intero corpo a
marcescibile, l’anima a un inquieto vagare, la sorte indecifrabile, la fama senza giudizio. Riassumendo: ogni fatto del corpo a un fiume, ogni fatto dell’anima sogno e inanità, la vita a guerra e soggiorno in terra straniera, la fama postuma a oblio. Quale può essere, allora, la nostra scorta? Una sola ed unica cosa: la filosofia. La sua essenza sta nel conservare il demone che a in noi inviolato e integro, superiore ai piaceri e ai dolori, in grado di non compiere nulla a caso né subdolamente e ipocritamente, di non aver bisogno che altri faccia o non faccia alcunché; ancora: disposto ad accettare gli avvenimenti e la sorte che gli tocca in quanto provengono di là (ovunque si trovi poi questo luogo) da dove anch’egli a giunto; soprattutto, pronto ad attendere la morte con mente serena, giudicandola null’altro che il dissolversi degli

elementi di cui ciascun essere vivente a composto. Ora, se per gli elementi stessi non c’a nulla di temibile nel continuo trasformarsi di ciascuno in un altro, perché si dovrebbe temere la trasformazione e il dissolvimento del composto di tutti questi elementi? È conforme a natura, e nulla di quanto a conforme a natura a male.

LIBRO III

Scritto a Carnunto

1              Non bisogna soltanto considerare il fatto che ogni giorno la vita si consuma e ne resta una parte sempre più

piccola, ma anche il fatto che, se uno dovesse vivere più a lungo, rimarrebbe comunque un’incertezza: la sua facolty mentale sarebbe ancora egualmente capace di comprendere le azioni e la teoria che tende alla concreta conoscenza delle cose divine ed umane? Se, infatti, comincery a vaneggiare, non perdery – a vero – la facolty di respirare, nutrirsi, ricevere impressioni, provare impulsi e così via: ma la facolty di disporre di sé, la scrupolosa attenzione a tutti i punti del proprio dovere, l’analisi articolata dei fenomeni che si presentano, la valutazione stessa della necessity di porre ormai fine alla propria vita e quant’altro, analogamente, richiede un raziocinio ben esercitato, tutto ciò si spegne prima del resto. Bisogna quindi affrettarsi, non solo perché la morte si fa ad ogni istante più vicina, ma anche perché la capacity di intendere e di seguire la realty si esaurisce prima della fine.

2              Occorre far tesoro anche di osservazioni come questa: anche gli elementi accessori dei processi naturali
possiedono qualcosa di gradevole e attraente. Per esempio, mentre il pane si cuoce alcune sue parti si screpolano e queste venature che vengono così a prodursi, e che in un certo senso contrastano con il risultato che si prefigge la panificazione, hanno una loro eleganza e un modo particolare di stimolare l’appetito. Ancora: i fichi pienamente maturi si presentano aperti. E nelle olive che dopo la maturazione sono ancora sulla pianta a proprio quell’essere vicine a marcire che aggiunge al frutto una speciale bellezza. E le spighe che si incurvano verso terra e la fronte grinzosa del leone e la bava che cola dalle fauci dei cinghiali e molte altre cose: a osservarle una per una sono lontane da un aspetto gradevole, e tuttavia, per il fatto di essere conseguenze di fatti naturali, contribuiscono ad abbellire e affascinano, al punto che se uno ha una sensibility e una concezione più profonda di ciò che si produce nell’universo, non ci sary quasi nulla, anche tra quanto avviene in subordine ad altri eventi, che non gli risultery avere una sua piacevolezza. Costui, allora, guardery anche le fauci spalancate delle belve in carne ed ossa con non meno piacere di quando guarda l’imitazione che ne presentano pittori e scultori; e con i suoi occhi casti sapry scorgere in una vecchia e in un vecchio una loro forma di florida maturity, e la grazia che seduce nei fanciulli, e gli si presentery l’occasione di compiere molte analoghe osservazioni, non persuasive per chiunque, ma solo per chi abbia raggiunto un’autentica familiarity con la natura e le sue opere.

3              Ippocrate, dopo aver guarito molte malattie, si ammalò a sua volta e morì. I Caldei predissero la morte di molti,
poi il destino assegnato raggiunse anche loro. Alessandro e Pompeo e Caio Cesare, dopo aver tante volte raso al suolo intere citty e massacrato in campo tante migliaia di fanti e di cavalieri, un giorno dovettero anch’essi uscire dalla vita. Eraclito, che nelle sue indagini sulla natura si era tanto occupato della conflagrazione universale, morì con le viscere piene d’acqua, cosparso di sterco bovino. Democrito lo uccisero i pidocchi, Socrate pidocchi di altra specie. Ebbene? Ti sei imbarcato, hai navigato, sei approdato: sbarca. Se la tua destinazione a un’altra vita, nulla a privo di dai, anche ly; se invece la meta a l’insensibility, cesserai di resistere a dolori e piaceri e di far da schiavo a un recipiente tanto più vile della parte che lo serve: perché questa a intelletto e demone, quello terra e sangue corrotto.

4              Non consumare la parte di vita che ti rimane in rappresentazioni che riguardano altri, se non quando tu agisca
in relazione all’utile comune: altrimenti o ti privi di un’altra opera [...] immaginandoti cioa che cosa fa il tale e perché, che cosa dice, cosa pensa e cosa sta escogitando e simili: tutti comportamenti che fuorviano dall’attenzione al proprio principio dirigente. Occorre quindi impedire l’accesso del casuale e del gratuito al concatenarsi delle rappresentazioni, e soprattutto escluderne l’indiscrezione e la cattiveria; e ci si deve abituare esclusivamente a rappresentazioni tali che, se all’improvviso uno ti domandasse: «A cosa stai pensando ora?», potresti sùbito rispondere in tutta franchezza: «A questo e a quest’altro»; sicché dalle tue parole sarebbe immediatamente chiaro che ogni tuo pensiero a semplice, benevolo e degno di un essere destinato a vivere in society e disinteressato a immagini che suscitino piacere o, in una parola, godimento, e indifferente a una qualche forma di rivality o invidia e sospetto o qualsiasi altra passione per cui arrossiresti, se dovessi spiegare che la nutrivi nel tuo intimo. Un uomo simile, infatti, che non rinvia più il suo ingresso tra i migliori in assoluto, a come un sacerdote e un ministro degli dai, in stretto rapporto anche con la divinity che dimora in lui: questo rende l’uomo incontaminato dai piaceri, invulnerabile a ogni dolore, intatto da ogni sopraffazione, insensibile a qualsiasi malvagity, atleta nella competizione più alta – la lotta per non essere abbattuti da alcuna passione -, profondamente permeato di giustizia, pronto ad abbracciare con tutta l’anima tutto ciò che gli accade e gli viene assegnato in sorte, alieno dal pensare spesso, o senza una stretta necessity connessa all’utile comune, che cosa mai un altro dica, faccia o pensi. Quest’uomo, infatti, per il proprio operato tiene soltanto le cose che gli appartengono e pensa continuamente a quelle che, tra gli eventi dell’universo, si intrecciano con lui, e rende belle le prime ed a persuaso che le seconde siano buone. Infatti il destino assegnato a ciascuno a incluso nel tutto e include nel tutto. E ricorda anche, costui, che ogni essere razionale a suo parente, e che prendersi cura di tutti gli uomini a conforme alla natura umana, e tuttavia non bisogna attenersi all’opinione di tutti, ma soltanto a quella di chi vive in conformity alla natura. Quanto poi

a coloro che non vivono così, ha sempre presente quale tipo di persone siano in casa e fuori di casa, quale gente sia e con quale gente si mescoli di giorno e di notte. Non tiene in conto, quindi, neppure la lode che può venirgli da costoro, visto che non piacciono neanche a se stessi.

5              Non agire controvoglia né in modo individualistico o senza un accurato esame o lasciandoti trascinare; non
adornare il tuo pensiero con bei discorsi; non dire troppe parole, non fare troppe cose. Ancora: il dio che a in te sia la guida di un essere virile, maturo, membro della comunity civile, di un Romano, di un governante, di un uomo che si a collocato nella disposizione di chi attende il segnale di ritirata dalla vita, pronto alla soluzione dei vincoli, senza aver bisogno di un giuramento o di qualcuno che faccia da testimone. All’interno, la serenity, e, dall’esterno, nessun bisogno di aiuto, nessuna necessity di una pace fornita da altri. Bisogna essere retti, non raddrizzati.

6              Se nella vita umana trovi qualcosa di superiore alla giustizia, alla verity, alla temperanza, alla fortezza, e, in
una parola, al fatto che alla tua mente basti se stessa, nelle azioni che ti fa compiere secondo la retta ragione, e il destino, nella sorte che ci viene assegnata indipendentemente dalla nostra scelta; se, dico, vedi qualcosa di superiore a questo, rivolgiti a esso con tutta l’anima e godi del bene supremo che vi trovi. Se invece niente ti risulta superiore al demone stesso che dimora in te e che ha sottomesso a sé i tuoi impulsi personali, che vaglia le tue rappresentazioni, che si a sottratto (come diceva Socrate) alle passioni dei sensi, che si a sottomesso agli dai e si cura degli uomini; se rispetto a questo trovi tutto il resto più piccolo e vile, non lasciare spazio a nient’altro: perché una volta che tu abbia preso a inclinare e a gravitare verso qualcos’altro non sarai più in grado di onorare indisturbato, al di sopra di tutto, quel bene che a davvero e solo tuo: al bene della ragione e della society, infatti, non a lecito contrapporre qualsivoglia cosa di altra natura, come gli elogi della gente o le cariche o la ricchezza o il godimento dei piaceri. Tutte cose, queste, che se anche per un po’ sembrano rispondere a un intimo equilibrio, all’improvviso prendono il sopravvento e fuorviano. Tu però, dico; scegli in modo semplice e libero il meglio e attieniti a questo. «Ma il meglio a l’utile». Se intendi l’utile dell’essere razionale, osservalo sempre; se invece intendi l’utile dell’essere animale, dichiaralo e tieni fermo il tuo giudizio, senza vane esibizioni; soltanto, cerca di condurre la tua valutazione con assoluta sicurezza.

7              Non onorare mai come il tuo utile ciò che un giorno ti costringery a tradire la parola data, ad abbandonare il
pudore, a odiare qualcuno, a sospettare, maledire, recitare, desiderare qualcosa che debba esser nascosto da pareti e paraventi. Perché chi in prima istanza ha scelto il proprio intelletto, il proprio demone e il culto che spetta alla virtù di questo demone, non fa tragedie, non rompe in gemiti, non sentiry il bisogno di essere solo o di avere una folla intorno: e, il punto più importante, vivry senza inseguire né fuggire. E di poter usufruire per uno spazio di tempo maggiore o minore dell’anima avviluppata nel suo corpo non gli importa minimamente: infatti, anche se deve andarsene tra un istante, a pronto a staccarsi e a partire come a compiere un’altra qualsiasi delle azioni che si possono compiere senza vergogna e con dignity, badando, per tutta la vita, solo a questo, che la sua mente non si volga a qualcosa di improprio per un essere razionale e sociale.

8              Nella mente di un uomo riportato alla disciplina e alla purezza non puoi trovare nulla di marcio, nulla di
contaminato, nessuna piaga interna. E la sua vita, quando il fato la coglie, non a incompiuta, come invece si direbbe nel caso di un attore tragico che si congedasse prima di aver concluso e recitato l’intero dramma. E ancora: nulla di servile, nulla di specioso, nessun legame eccessivo, nessun distacco reciso, nessun rendiconto a terzi, niente in agguato.

9              Venera la facolty di concepire un’opinione: dipende totalmente da questa che nel tuo principio dirigente non
insorga più un’opinione incorente con la natura e con la costituzione dell’essere razionale. Ed a questa che promette un’attitudine non precipitosa e la familiarity con gli uomini e l’obbedienza agli dai.

10           Getta via tutto, quindi, e tieni ferme solo queste poche cose, e ricorda anche che ciascuno vive solo questo
presente, incommensurabilmente breve: il resto a giy stato vissuto o a avvolto nell’incertezza. È poca cosa, quindi, ciò che vive ciascuno, ed a poca cosa il cantuccio della terra in cui vive; e poca cosa a anche la più duratura fama postuma: questa fama trasmessa da una generazione all’altra di omuncoli che in un attimo sono morti, e che non conoscono neppure se stessi, figurarsi poi chi a giy morto da tanto tempo!

11           Ai fondamenti giy esposti se ne aggiunga ancora uno: provvedere sempre a definire o raffigurare l’oggetto della
rappresentazione, così da vederlo qual a nella sostanza, nudo, nella sua interezza e, distintamente, in tutte le sue parti, e pronunciare tra sé il nome che lo designa e i nomi degli elementi di cui a stato composto e in cui si dissolvery. Nulla, infatti, può elevare il nostro animo quanto il saper vagliare sistematicamente e autenticamente i singoli eventi della vita, e guardare sempre ad essi in maniera da cogliere quale utility il dato evento abbia per quale cosmo, e di conseguenza quale valore abbia in relazione all’universo, e quale in relazione all’uomo cittadino della citty suprema, di cui le altre citty sono come le case; che cosa sia e di cosa sia composto e per quanto tempo, secondo la sua natura, persista questo oggetto che ora produce la mia rappresentazione, e quale virtù si debba usare nei rapporti con esso – per esempio: la mansuetudine, la fortezza, la sincerity, la lealty, la semplicity, l’autosufficienza, eccetera. Perciò in ogni singola circostanza occorre dire: questa cosa viene da dio, quest’altra risulta dal combinarsi di accadimenti, dall’intreccio di connessioni e dalla tale coincidenza fortuita, quest’altra poi viene da un essere che condivide la mia razza, la mia stirpe e la mia comunity, e tuttavia ignora che cosa per lui a secondo natura. Ma non lo ignoro io: perciò lo tratto secondo la legge naturale della comunity, con indulgenza e giustizia; e insieme, però, miro ad attribuire il giusto valore nei campo delle cose intermedie.

12           Se svolgi il cómpito presente seguendo la retta ragione, con impegno, con vigore, benevolmente, e non ti curi
di alcun fatto accessorio, ma di mantenere il tuo demone nella sua purezza, come se da un momento all’altro dovessi restituirlo: se ti attieni a questo principio senza attenderti o rifuggire nulla, pago invece del tuo attuale operato conforme a natura e della romana verity di ciò che dici ed esprimi, vivrai felice. E non c’a nessuno che possa impedirti di farlo.

13           Come i medici hanno sempre sottomano gli strumenti e i ferri per intervenire d’urgenza, così tu tieni sempre

pronti i principî per conoscere l’umano e il divino, e per agire in ogni cosa, anche nella più piccola, come chi ha ben presente il reciproco legame tra l’uno e l’altro. Perché ignorando la correlazione con le cose divine non potrai compiere bene nulla di umano, e viceversa.

14           Non divagare più: non riuscirai a leggere i tuoi appunti, né le imprese degli antichi Greci e degli antichi
Romani e gli estratti delle opere che ti eri messo da parte per la vecchiaia; affréttati alla meta, allora, lascia stare le vane speranze e soccorri te stesso, se ti importa qualcosa di te, finché a possibile.

15           Non sanno quanti significati ha rubare, seminare, comprare, starsene quieti, vedere le cose da farsi (operazione
che non si fa con gli occhi, ma con un’altra vista).

16           Corpo, anima, intelletto. Del corpo: le sensazioni; dell’anima: gli impulsi; dell’intelletto: i principî. Essere
impressionati da una rappresentazione a proprio anche del bestiame, essere mossi come marionette dagli impulsi a proprio anche delle belve, degli androgini, di un Falaride, di un Nerone; avere nella mente una guida a ciò che appare il nostro cómpito a proprio anche di chi non crede negli dei, di chi tradisce la patria e di chi… quali cose non fa, quando ha chiuso la porta! Ora, se il resto a comune ai soggetti menzionati, la peculiarità che rimane propria dell’uomo onesto a amare ed accettare di cuore gli eventi e l’intreccio di fatti che gli toccano; e non macchiare né agitare il demone che risiede nel suo petto con una turba di rappresentazioni, ma conservarlo sereno, disposto a seguire disciplinatamente dio, senza dire nulla di contrario al vero o fare nulla di contrario al giusto. E se anche l’intera umanità non crede che egli viva semplicemente, con discrezione e ottimismo, non si adira con nessuno e non devia dalla strada che conduce al termine della vita, dove bisogna giungere puri, tranquilli, pronti al distacco, in spontanea armonia con il proprio destino.

LIBRO IV

1              Il principio sovrano dentro di noi, quando si trovi conforme a natura, ha verso gli eventi una disposizione tale,

che può sempre facilmente mutarla in relazione a ciò che a possibile e concesso. Infatti non ama alcuna materia definita, ma segue, con riserva, il suo impulso ai fini più alti, e di quello che gli si oppone fa materia per sé, come il fuoco, quando fa suo ciò che vi cade dentro – un lumicino ne sarebbe spento: il fuoco vivo, invece, in un istante si impadronisce di ciò che gli si getta sopra, lo consuma e proprio di qui trae alimento per divampare ancora più alto.

2              Non si compia alcuna azione a caso o in qualsiasi modo non conforme a un principio che contribuisca a
realizzare l’arte del vivere.

3              Si cercano un luogo di ritiro, campagne, lidi marini e monti; e anche tu sei solito desiderare fortemente un
simile isolamento. Ma tutto questo a proprio di chi non ha la minima istruzione filosofica, visto che a possibile, in qualunque momento lo desideri, ritirarti in te stesso; perché un uomo non può ritirarsi in un luogo più quieto o indisturbato della propria anima, soprattutto chi ha, dentro, principî tali che gli basta affondarvi lo sguardo per raggiungere sùbito il pieno benessere: e per benessere non intendo altro che il giusto ordine interiore. Quindi concediti continuamente questo ritiro e rinnova te stesso; e siano brevi ed elementari i principî che, appena incontrati, basteranno a purgarti da ogni nausea e a congedarti senza che tu provi fastidio per le cose a cui ritorni. Che cosa, infatti, ti infastidisce? La cattiveria degli uomini? Considerati i termini del problema – e cioa che gli esseri razionali esistono gli uni per gli altri; che la tolleranza a parte della giustizia; che sbagliano senza volerlo – e considerato quanti già, dopo aver nutrito inimicizia, sospetto, odio, giacciono trafitti, ridotti in cenere, smettila, infine! O forse il tuo fastidio a anche per la sorte che, nell’ordine universale, ti viene assegnata? Ritorna col pensiero all’alternativa: «O provvidenza o atomi», e a tutti gli argomenti con cui fu dimostrato che il cosmo a come una città. O forse ti sentirai toccato dalle cose del corpo? Torna ancora a pensare che la mente non si immischia con i movimenti dolci o aspri del soffio vitale, una volta che abbia isolato se stessa e preso cognizione del proprio potere; e poi pensa a tutto quello che hai ascoltato intorno al dolore e al piacere, e su cui hai espresso il tuo assenso. O sarà forse la preoccupazione di una misera fama a fuorviarti? Guarda la rapidità dell’oblio che investe tutto, l’abisso dell’eternità che si estende infinita in entrambe le direzioni, la vacuità della rinomanza, la volubilità e la sconsideratezza di chi sembra tributare elogi, e l’angustia del luogo in cui la fama a circoscritta. Perché tutta la terra a un punto: e quale minuscolo cantuccio della terra a questa dimora? E, qui, quanti e quali sono gli uomini che ti elogeranno? Ricorda, allora, che puoi ritirarti in questo tuo campicello, e soprattutto non agitarti e non darti troppa pena, ma sii libero e guarda la realtà da uomo, da essere umano, da cittadino, da essere mortale. E tra i principî che più dovranno stare a portata di mano quando ti ripiegherai su di essi, vi siano i due seguenti. Il primo: le cose non toccano l’anima, ma stanno immobili all’esterno, mentre i turbamenti vengono soltanto dall’opinione che si forma all’interno. Il secondo: tutto quanto vedi, tra un istante si trasformerà e non sarà più; e pensa continuamente alla trasformazione di quante cose hai assistito di persona. Il cosmo a mutamento, la vita a opinione.

4              Se l’intelligenza a comune a noi uomini, a comune anche la ragione, in virtù della quale siamo esseri razionali;
se così, a comune anche la ragione che ordina ciò che deve o non deve essere fatto; se così, a comune anche la legge; se così, siamo concittadini; se così, partecipiamo di un organismo politico; se così, il cosmo a come una città. Di quale altro organismo politico comune, infatti, si potrà dire partecipe l’intera umanità? E di qui, da questa città comune, ci viene la nostra stessa intelligenza, ragione, legge; da dove, altrimenti? Infatti, come ciò che in me vi a di terreno a particella ricavata da una qualche terra, l’umido da un altro elemento, il soffio vitale da una sorgente, il calore e il fuoco

da una loro specifica fonte – perché nulla viene dal nulla, come neppure finisce nell’inesistente -, così appunto anche l’intelligenza ha origine da qualcosa.

5              La morte a, tale quale la nascita, un mistero della natura: aggregazione degli stessi elementi agli stessi
elementi; non certo, insomma, qualcosa di cui ci si debba vergognare: infatti non contrasta con la condizione di un essere razionale né contrasta con il criterio della sua costituzione.

6              Questo a il prodotto inevitabile di individui che abbiano una simile natura: chi non lo accetta, non accetta che il
fico abbia il lattice. Insomma, ricòrdati di questo; in men che si dica sarete morti sia tu sia costui, e fra poco di voi non restery neppure il nome.

7              Cancella l’opinione: a cancellato il «sono stato danneggiato». Cancella il «sono stato danneggiato»: a
cancellato il danno.

8              Ciò che non rende un uomo peggiore di quel che a, non rende peggiore neppure la sua vita, e non la danneggia,
né dall’esterno né dall’interno.

9              La natura dell’utile non può produrre che questo.

10           Tutto ciò che avviene avviene giustamente: lo verificherai, se osservi con attenzione. Non dico soltanto nel

senso che avviene in giusta conseguenza, ma nel senso che avviene secondo giustizia e come per opera di qualcuno che assegna quanto spetta secondo il merito. Quindi osserva questo principio, come hai cominciato a fare, e in qualunque azione agisci con il presupposto di essere buono, nel senso in cui a propriamente inteso l’essere «buono». Mantieni questa esigenza in ogni azione.

11           Non formarti opinioni in analogia ai giudizi che il prepotente formula o vorrebbe che tu formulassi, ma guarda
le cose in sé, quali sono in verity.

12           Bisogna tenere sempre pronte queste due regole: la prima, compiere soltanto ciò che la ragione di sovrano e
legislatore suggerisce per il bene degli uomini; la seconda, cambiare parere se accanto c’a qualcuno in grado di correggerti o staccarti da una determinata convinzione. Questa conversione, tuttavia, deve sempre avvenire per verosimili ragioni di giustizia o utility sociale, e ciò che fa mutare strada deve essere solo di questa natura, non qualcosa che sia apparso fonte di piacere o di fama.

13           Hai la ragione? Sì. Allora perché non la usi? Quando essa, infatti, svolge il proprio cómpito, che altro vuoi?

14           Sei venuto al mondo come parte. Scomparirai dentro ciò che ti ha generato, o meglio sarai riassunto, attraverso

trasformazione, nella sua ragione seminale.

15           Molti granelli di incenso sullo stesso altare: uno a caduto prima, l’altro dopo, ma non fa nessuna differenza.

16           Entro dieci giorni sembrerai un dio a quelli stessi a cui ora sembri una belva e una scimmia, se ritorni ai

principî e al culto della ragione.

17           Non vivere come se dovessi vivere migliaia di anni. Il fato incombe: finché vivi, finché a possibile, diventa
virtuoso.

18           … quanto tempo libero guadagna chi non guarda che cosa il prossimo ha detto, fatto o pensato, ma soltanto le
proprie azioni, perché siano giuste e pie, cioa conformi all’uomo virtuoso. Non voltarti intorno a guardare un carattere malvagio, ma corri dritto lungo la linea, senza lasciarti deviare.

19           Chi spasima per la sua gloria postuma nòn pensa che anche ognuno di quelli che lo ricordano al più presto
moriry, e poi sary il turno di chi avry preso il suo posto, finché il ricordo di lui, avvicendandosi tra vite che si accendono e spengono, si estinguery completamente. Ma supponi pure che siano immortali coloro che ricorderanno, e immortale il ricordo: ebbene, che senso ha tutto questo per te? E non dico soltanto che non ha senso per il defunto: ma, anche per chi a vivo, che senso ha la lode? (a prescindere da una sua funzione strumentale). Adesso, infatti, tu trascura pure inopportunamente la dote naturale, dedicandoti a un’altra ragione; poi [...]

20           Tutto quel che per qualsivoglia ragione a bello, a bello di per se stesso e si conclude in se stesso, senza che la
lode ne costituisca una parte. Ciò che a lodato, quindi, non diviene per questo peggiore né migliore. Lo dico anche a proposito delle cose comunemente definite belle, ad esempio gli oggetti materiali e i prodotti artistici. Invece, ciò che a veramente bello di che altro ha bisogno? Di nulla, esattamente come la legge, come la verity, come la benevolenza o il pudore. Quale di queste cose a bella se a lodata o perde valore se a biasimata? Uno smeraldo diventa peggiore di quel che a, se non viene lodato? E l’oro, l’avorio, la porpora, una lira, un pugnale, un fiorellino, un alberello?

21           Se le anime persistono, come può l’aria contenerle tutte dall’eternity? E come può la terra contenere i cadaveri
di chi, da tanto tempo, vi viene sepolto? Infatti, come quaggiù la trasformazione e il dissolvimento di questi, dopo una determinata persistenza, fanno spazio ad altri morti, così le anime che trasmigrano nell’aria, dopo essersi mantenute per un dato periodo di tempo, si trasformano, si effondono e deflagrano venendo riassunte nella ragione seminale dell’universo, e in questo modo procurano spazio alle anime che continuano ad aggiungersi ad esse. Questa può essere la risposta nell’ipotesi che le anime persistano. Non bisogna, però, considerare soltanto la quantity di cadaveri che si seppelliscono in questo modo, ma anche quella degli animali che ogni giorno sono mangiati da noi e da tutti gli altri animali. Quanto a grande, infatti, il numero degli animali che vengono consumati e così, in certo modo, vengono seppelliti nel corpo di chi se ne nutre? Eppure c’a abbastanza spazio per accoglierli, grazie all’assimilazione in sangue, alla trasformazione in elemento aereo o igneo.

In questo caso, qual a la via per raggiungere la verity? La distinzione tra materia e causa.

22           Non vagare a vuoto, ma in ogni impulso rendi ciò che a giusto e in ogni rappresentazione conserva la facolty di
comprendere.

23           È in armonia con me tutto ciò che a in armonia con te, o cosmo; nulla di ciò che per te cade al momento

opportuno a precoce o tardivo per me. È un frutto per me tutto ciò che recano le tue stagioni, o natura: tutto da te, tutto in te, tutto a te. Quel tale dice: «O cara città di Cecrope»; e tu non dirai: «O cara città di Zeus»?

24           «Fai poco» dice «se vuoi esser sempre sereno». Non sarà meglio fare il necessario e quanto prescrive la
ragione di un essere sociale per natura, e nel modo in cui lo prescrive? Questo, infatti, porta non solo la serenità che viene dall’agire secondo virtù, ma anche quella che deriva dall’agire poco. Perché se uno elimina la maggior parte delle nostre parole e azioni, in quanto non necessarie, avrà più tempo libero e una quiete più sicura. Per cui, in ogni singola circostanza, bisogna ricordare a se stessi: «Ma questo non sarà qualcosa di non necessario?». E non si devono eliminare soltanto le azioni non necessarie, ma anche le rappresentazioni non necessarie: perché così non ne seguiranno neppure azioni superflue.

25           Verifica come ti riesce la vita dell’uomo virtuoso, pago di ciò che, entro le cose dell’universo, gli viene
assegnato in sorte, contento del proprio giusto agire e della propria disposizione benevola.

26           Hai visto quelle cose? Guarda anche queste! Non turbare te stesso: semplìficati. Qualcuno sbaglia? Sbaglia a
suo danno. Ti a successo qualcosa? Bene: tutto quel che ti succede, fin dall’inizio, era stato riservato, entro le cose dell’universo, per essere assegnato a te e intrecciato con la tua vita. Insomma: la vita a breve; bisogna sfruttare il presente con oculatezza e nel rispetto della giustizia. Sii sobrio, ma con elasticità.

27           O un cosmo ordinato o un miscuglio raccolto insieme: ma, ancora, un cosmo. Oppure a possibile che in te
esista un ordine e nell’universo il disordine, quando per giunta tutte le cose risultano così distinte, diffuse e solidali?

28           …un carattere malvagio, un carattere femmineo, un carattere duro, feroce, bestiale, puerile, inerte, falso, da
buffone, da mercante, da tiranno.

29           Se a straniero nel cosmo chi non conosce ciò che sta nel cosmo, non meno straniero a chi non conosce ciò che
vi accade. Fuoruscito a chi si allontana dalla ragione su cui si regge la società; cieco chi chiude l’occhio dell’intelletto; mendico chi ha bisogno di un altro e non ricava da sé tutto ciò che serve per la vita; ascesso del cosmo chi recede e si stacca, scontento degli eventi, dalla ragione della natura comune: a quella, infatti, che li produce, la stessa che ha prodotto anche te; scheggia della città chi schianta la propria anima da quella degli esseri razionali, che a una sola.

30           Uno pratica la filosofia senza tunica, un altro senza libro. Quest’altro seminudo dice: «Non ho pane e resto
fedele alla dottrina». Quanto a me, non ho il nutrimento che viene dagli studi, e le resto fedele.

31           Ama l’arte che hai imparato, acquiatati in essa: e trascorri il resto della vita come chi ha rimesso agli dai, con
tutta l’anima, ogni suo bene, senza farsi tiranno o schiavo di nessuno.

32           Pensa, per esempio, ai tempi di Vespasiano, e vedrai le stesse cose: gente che si sposa, tira su i figli, si ammala,
muore, combatte, festeggia, commercia, coltiva, adula, si chiude nel suo orgoglio, sospetta, trama, prega che qualcuno muoia, brontola per la situazione in cui si trova, fa l’amore, accumula tesori, ambisce al consolato, al trono. Ebbene: quella gente non esiste più, in nessun luogo. Passa poi ai tempi di Traiano: vedrai ancora le medesime cose, senza eccezione: anche quella generazione a morta. Allo stesso modo osserva anche gli altri titoli sotto cui si registra la storia di epoche e interi popoli, e guarda quanti, dopo essersi tanto affannati, in breve tempo caddero e furono dissolti negli elementi. Ma soprattutto bisogna richiamare alla mente quelli che tu stesso hai visto stremarsi in vane fatiche, trascurando di compiere quanto era conforme alla propria costituzione, di tenerlo ben stretto e di accontentarsene. Qui, però, a necessario ricordare che anche l’attenzione dedicata a ogni singola azione ha un suo valore e una sua appropriata misura: non ti sentirai avvilito, infatti, solo se non ti applicherai per più tempo del dovuto a cose di minor conto.

33           Le parole che un tempo erano usuali ora sono lemmi in disuso; così pure i nomi di personaggi un tempo
celebrati ora sono, in un certo senso, voci obsolete: Camillo, Cesone, Voleso, Dentato – e tra poco lo diverranno anche Scipione e Catone, poi anche Augusto, e poi anche Adriano e Antonino. Perché tutto presto svanisce e diviene mito: e presto lo seppellisce un totale oblio. E questo dico a proposito di chi visse in un prodigioso alone di gloria: perché gli altri, come esalano l’ultimo respiro, restano ignoti, non lasciano traccia. Del resto cos’a, in sostanza, un ricordo imperituro? Il vuoto totale. Ma cos’a, allora, ciò in cui ci si deve impegnare? Unicamente questo: un pensiero ispirato a giustizia, azioni tese al bene comune, una parola che non inganni mai e una disposizione che di cuore abbracci tutto ciò che avviene, in quanto necessario, già noto, derivante da un tale principio e da una tale sorgente.

34           Conségnati spontaneamente a Cloto, lasciando che ti intrecci con qualsiasi fatto voglia.

35           Tutto effimero, sia il soggetto che ricorda, sia il soggetto ricordato.

36           Osserva continuamente che tutto nasce per trasformazione e abituati a pensare che la natura del tutto nulla ama

come trasformare l’esistente e produrre cose nuove che gli somiglino. Tutto ciò che a, infatti, in un certo modo a seme di quello che ne sarà. Tu invece ti rappresenti come seme soltanto quello che penetra nella terra o nell’utero: ma questo significa proprio non avere istruzione filosofica!

37           Presto sarai morto, e ancora non sei semplice, imperturbabile, certo di non poter subire danno dall’esterno,
benevolo verso tutti; e ancora non riponi la saggezza unicamente nell’agire secondo giustizia.

38           Osserva il loro principio dirigente, e quali cose rifuggono le persone sagge, quali invece inseguono.

39           Il tuo male non può stare nel principio dirigente di un altro, e neppure in qualche mutamento e alterazione di

quel che ti circonda. Dove, allora? Nella parte di te che formula opinioni intorno ai mali. Ebbene, tale parte non formuli opinioni, e tutto andrà bene. Anche se ciò che le sta più vicino, il corpo, viene tagliato, bruciato, anche se va in suppurazione, in cancrena, la parte che formula opinioni su tutto questo resti quieta, cioa non giudichi male né bene nulla che possa indifferentemente accadere a un uomo malvagio e a uno buono. Perché quello che accade parimenti a chi vive contro natura e a chi vive secondo natura non a né secondo né contro natura.

40           Pensa continuamente al cosmo come a un solo essere che racchiude una sola sostanza e una sola anima, e

pensa come tutto pervenga a una sola sensazione, la sua, come quest’essere compia tutto per un solo impulso, come tutte le cose siano concausa di tutti gli eventi, e quale sia il loro fitto intrecciarsi e connettersi.

41           Sei un’animuccia che porta un cadavere, come diceva Epitteto.

42           Per ciò che si trova in corso di trasformazione non può esservi nulla di male, come neppure può esservi nulla di

bene per ciò che sorge da una trasformazione.

43           L’eternity a come un fiume formato dagli eventi e una corrente impetuosa: ogni singola cosa, infatti, appena
cade sott’occhio a giy passata oltre, e ne passa un’altra, che a sua volta sary trascinata via.

44           Tutto ciò che accade a abituale e noto così come la rosa in primavera e la frutta in estate: lo stesso vale, in
effetti, anche per la malattia, la morte, la calunnia, le trame, e quanto rallegra o addolora gli sciocchi.

45           La conseguenza sussegue all’antecedente secondo un vincolo di affinity: perché non si tratta di una serie di fatti
indipendenti, retta solo da una legge di necessity, ma di una stretta connessione razionale; e come la realty a armonicamente coordinata, così gli eventi presentano non una nuda successione, ma una specie di mirabile affinity.

46           Ricorda sempre l’opinione di Eraclito: «morte della terra a divenire acqua e morte dell’acqua divenire aria e
dell’aria divenire fuoco e viceversa». Ricorda anche «chi dimentica dove conduce la via»; e che «gli uomini sono in contrasto proprio con quello con cui sono nel rapporto più assiduo, con la ragione che governa il tutto, e a loro sembrano estranee proprio le cose in cui si imbattono quotidianamente»; e «non si deve agire e parlare come durante il sonno» (anche allora, infatti, ci sembra di agire e di parlare); e non bisogna «quali figli dei genitori…», cioa in base al puro principio del «come abbiamo appreso».

47           Come, se uno degli dai ti dicesse: «Entro domani o al massimo dopodomani sarai morto», non daresti grande
importanza al morire dopodomani invece che domani, a meno di essere meschino fino in fondo (quanto vale, infatti, un simile scarto di tempo?); così pure non credere che sia un grande affare morire tra molti anni invece che domani.

48           Pensa continuamente quanti medici sono morti, dopo aver tante volte aggrottato le sopracciglia sui loro
pazienti; quanti astrologi, dopo aver predetto la morte di altri con l’aria di emettere un’importante previsione; quanti filosofi, dopo mille estenuanti dispute sulla morte o sull’immortality; quanti eroi, dopo aver ucciso tanti uomini; quanti tiranni, dopo aver esercitato il potere di vita e di morte con terribile superbia, quasi fossero immortali; e quante intere citty sono, per così dire, morte: Elice, Pompei, Ercolano e innumerevoli altre. Passa in rassegna anche tutti quelli che conosci, uno dopo l’altro: questo ha seppellito quello, poi a stato disteso sul letto di morte, quest’altro ha fatto lo stesso con quell’altro, e così via: e tutto in breve tempo. Insomma, guarda sempre la realty umana come effimera e vile – ieri un po’ di muco, domani mummia o cenere. Questo infinitesimale frammento di tempo, quindi, trascorrilo secondo natura e concludilo in serenity, come l’oliva che, ormai matura, cadesse lodando la terra che l’ha prodotta e ringraziando l’albero che l’ha generata.

49           Sii come il promontorio, contro cui si infrangono incessantemente i flutti: resta immobile, e intorno ad esso si
placa il ribollire delle acque.

«Me sventurato, mi a capitato questo». Niente affatto! Semmai: «Me fortunato, perché anche se mi a capitato questo resisto senza provar dolore, senza farmi spezzare dal presente e senza temere il futuro». Infatti una cosa simile sarebbe potuta accadere a tutti, ma non tutti avrebbero saputo resistere senza cedere al dolore. Allora perché vedere in quello una sfortuna anziché in questo una fortuna? Insomma, chiami sfortuna per un uomo ciò che non a un insuccesso della natura umana? E ti pare un insuccesso della natura umana ciò che non va contro il volere di tale natura? E allora? Hai appreso qual a il suo volere: sary forse quel che ti a capitato a impedirti di essere giusto, magnanimo, temperante, assennato, non precipitoso, sincero, riservato, libero, dotato di tutte le altre quality che, quando sono insieme presenti, consentono alla natura dell’uomo di possedere ciò che le a proprio? Ricorda poi, ad ogni evento che ti induca a soffrire, di far uso del seguente principio: «questo fatto non a una sfortuna, mentre a una fortuna sopportarlo nobilmente».

50           Aiuto non filosofico, ma comunque produttivo per il disprezzo della morte, a richiamare alla mente coloro che
si sono tenacemente aggrappati alla vita. Ebbene, che hanno avuto di più rispetto a chi ha avuto una fine prematura? Giacciono pur sempre, da qualche parte, Cediciano, Fabio, Giuliano, Lepido e gli altri come loro, che ne avevano seppelliti tanti, e poi sono stati seppelliti! Insomma, la differenza di tempo a piccola, e, per giunta, da scontare con quante sofferenze, con quale compagnia e in quale corpo! Quindi non considerarla un affare. Guarda dietro di te l’abisso dell’eternity, e, davanti a te, un altro infinito. In questa dimensione che differenza c’a tra vivere tre giorni o tre volte gli anni di Nestore?

51           Corri sempre per la via più breve – la via più breve a quella secondo natura – così da parlare e agire sempre nel
modo più valido. Un simile proposito, infatti, libera dalle fatiche di una campagna militare, di ogni incombenza di governo, dell’eccessiva raffinatezza.

LIBRO V

1              All’alba, quando ti svegli di malavoglia, tieni sottomano questo pensiero: «Mi sveglio per svolgere il mio

compito di uomo; e ancora protesto per avviarmi a fare quello per cui sono nato e per cui sono stato introdotto nel cosmo? O forse sono stato fatto per restare a letto a scaldarmi sotto le coperte?». «Questo, però, a più piacevole». Sei nato, allora, per godere? Il che, insomma, non significa forse: per essere passivo? O, invece, sei nato per essere attivo?

Non vedi che le piante, i passeri, le formiche, i ragni, le api svolgono il proprio cómpito, collaborando per la loro parte alla vita dell’universo? E tu, allora, non vuoi fare ciò che a proprio dell’uomo, non corri verso ciò che a secondo la tua natura? «Ma a necessario anche riposarsi». È necessario, lo dico anch’io: la natura, però, ha posto una misura anche per questo, ne ha posto una anche per il mangiare e il bere; e tu, ciò non ostante, vai al di ly della misura, al di ly di quel che a sufficiente? Non lo fai più, però, quando si tratta di agire: allora ti tieni «nei limiti del possibile»! Non ami te stesso: perché in tal caso ameresti anche la tua natura e la sua volonty. Altri, che amano il proprio lavoro, vi consumano ogni energia, saltando il bagno, saltando i pasti: tu onori la tua natura meno di quanto il cesellatore onori il cesello o il danzatore la danza o l’avaro il denaro o il vanaglorioso la sua misera gloria? Eppure costoro, quando si appassionano, sono disposti a non mangiare e a non dormire pur di veder crescere l’opera in cui sono impegnati: a te invece le azioni ispirate al bene della comunity sembrano di minor valore, meno degne di attenzione?

2              Come a facile respingere e cancellare ogni rappresentazione molesta o impropria, e trovarsi sùbito in una calma
assoluta.

3              Ritieniti degno di ogni parola e azione che siano conformi a natura; e non cedere al pensiero che ne possano
conseguire le critiche o le chiacchiere di alcuni, ma, se a bene che una cosa sia fatta o detta, non giudicartene indegno. Quelli, infatti, hanno un proprio principio dirigente e seguono un proprio impulso: tu non tenerne conto, ma raggiungi la meta per la via dritta, seguendo la tua natura personale e quella comune: una sola, per entrambe, a la strada.

4              Procedo attraverso ciò che a secondo natura, finché, caduto, riposerò, esalando l’ultimo respiro in ciò da cui
ogni giorno traggo respiro, cadendo su ciò da cui mio padre raccolse lo sperma, mia madre il sangue e la mia nutrice il latte, ciò da cui ogni giorno, da tanti anni, traggo cibo e bevanda, ciò che mi sostiene mentre lo calpesto e lo sfrutto per tante cose.

5              Non possono ammirare il tuo acume. D’accordo, ma possono ammirare molte altre doti, per le quali non puoi
dire: «La natura non mi ha dato questa quality». Metti in campo, quindi, quelle che dipendono interamente da te: la genuinity, la seriety, la resistenza a fatiche e dolori, l’indifferenza al piacere, la piena accettazione della sorte, la sobriety nelle esigenze, la benevolenza, la liberty, la semplicity, l’avversione per le chiacchiere, la magnanimity. Non ti accorgi quante doti – per le quali non puoi assolutamente accampare di non aver disposizione naturale o attitudine – sei giy in grado di mettere in atto e, ciò non ostante, continui volontariamente a restare al di sotto dei tuoi mezzi? O a forse la scarsa disposizione naturale che ti costringe a mormorare, a esser gretto, adulare, lagnarti del tuo povero corpo, mostrarti compiacente, millantare, ondeggiare tanto nell’anima? No, per gli dai: anzi, di tali atteggiamenti ti saresti potuto liberare da tempo, o, semmai, avresti potuto essere giudicato solo poco pronto e poco dotato d’ingegno. Ma anche in questo bisogna esercitarsi, invece di trascurare il problema e crogiolarsi nel torpore.

6              Ci sono persone pronte, quando hanno conseguito un merito presso qualcuno, a mettergli in conto il favore. C’a
chi a questo non arriva, e tuttavia dentro di sé considera l’altro un debitore ed a ben consapevole di ciò che ha fatto. Ci sono poi altri che, in certo modo, non sono neppure consapevoli di quello che hanno fatto, ma assomigliano alla vite che produce il grappolo e, una volta che ha prodotto il proprio frutto, non cerca altro – come pure il cavallo che compiuto la sua corsa, il segugio che ha lavorato sulle peste, l’ape che ha fatto il miele. E un uomo che ha agito bene non si mette a gridarlo, ma passa a un’altra azione, come la vite passa a produrre ancora, quando a stagione, il grappolo. Ora, bisogna appartenere al novero di queste persone che agiscono così: in certo modo, senza rendersene conto. «Sì – diry qualcuno – eppure proprio di questo occorrerebbe rendersi conto, perché a caratteristica dell’essere sociale comprendere di agire per la society, e, per Zeus, esigere che lo comprendano anche gli altri componenti della society». Quello che dici a vero, ma fraintendi ciò di cui si sta parlando ora; perciò sarai uno di quelli che ho ricordato prima: anche loro, infatti, si lasciano fuorviare da una parvenza di logica. Se però vorrai comprendere di cosa mai si stia parlando, non temere di dover per questo trascurare alcuna azione utile alla comunity.

7              Preghiera degli Ateniesi: «Piovi, piovi, o caro Zeus, sui campi e sulla piana degli Ateniesi». O non si deve
pregare, o si deve farlo così, semplicemente e schiettamente.

8              Come si dice: «Asclepio ha ordinato al tale di cavalcare, o di lavarsi con l’acqua fredda o di camminare
scalzo», così pure si può dire: «la natura universale ha ordinato al tale una malattia o una menomazione o una perdita o simili». Infatti nel primo caso «ha ordinato» significa all’incirca «ha disposto per lui questa cura, in quanto idonea alla sua salute»; e anche nel secondo caso ciò che accade a ciascuno a stato in certo modo disposto in quanto idoneo al suo destino. Così pure diciamo che le cose «avvengono» come gli architetti dicono che le pietre squadrate «convengono», nelle mura o nelle piramidi, perché si adattano l’una all’altra in un determinato assetto. Nell’insieme, infatti, l’armonia a una sola, e come dal complesso di tutti i corpi si realizza un simile corpo – il cosmo -, così dal complesso di tutte le cause si realizza una simile causa: il destino. E anche coloro che sono completamente sprovvisti di istruzione filosofica capiscono di cosa parlo; dicono infatti: «il destino gli ha portato questo». Quindi: questo a stato portato a lui, questo a stato disposto per lui. Allora accettiamo queste prescrizioni come quelle di Asclepio. Anche tra esse ve ne sono molte pesanti, ma noi le accettiamo volentieri nella speranza di ottenere la salute. Considera la compiuta realizzazione di ciò che pare bene alla natura comune come la tua salute. E così accetta di cuore tutto ciò che avviene, anche se ti risulta alquanto aspro, perché conduce ly, alla salute del cosmo, al pieno e felice successo di Zeus. Egli, infatti, non avrebbe mai portato questo evento a qualcuno, se questo evento non avesse comportato un vantaggio per l’universo: né una qualsivoglia natura arreca qualcosa che non sia adatto a ciò che a governato da essa. Perciò devi amare quel che ti accade per due ragioni: la prima, perché a per te che doveva avvenire, per te a stato disposto e con te stava in un determinato rapporto, intessuto, indietro nel tempo, con i fili delle cause più antiche; la seconda, perché per colui che governa il tutto anche ciò che tocca singolarmente a ciascuno a fattore che contribuisce alla prosperity, alla compiutezza

e, per Zeus, alla sussistenza stessa. L’intero viene mutilato, infatti, se dal complesso e dalla compagine tu amputi anche solo una delle parti e così pure delle cause; e, per quanto sta in te, quando ti senti in contrasto con il tutto tu amputi e in certo modo sottrai.

9              Non disgustarti, non scoraggiarti, e non avvillrti se non ti riesce stabilmente di compiere ogni singola azione
secondo retti principî, ma, dopo un insuccesso, ripercorri di nuovo i tuoi passi e sii già contento, se le tue azioni sono per la maggior parte più degne di un uomo, e ama ciò a cui ritorni, e non ritornare alla filosofia come a un pedagogo, ma come i malati agli occhi ritornano alla spugnetta e all’uovo, come altri all’impiastro, al fomento. In questo modo, infatti, non ostenterai per nulla la tua obbedienza alla ragione, ma troverai quiete in essa. Ricorda, però, che la filosofia vuole unicamente ciò che vuole la tua natura, mentre tu volevi altro, non conforme a natura. Del resto, cosa c’a di più attraente di ciò che a conforme a natura? Il piacere non inganna forse proprio perché attrae? Ma allora osserva se non seduca di più la magnanimità, la libertà, la semplicità, la mitezza, la devozione agli dai. E cosa attrae più della saggezza stessa, quando consideri che la facoltà di comprendere e conoscere con esattezza assicurano un cammino esente da errori e sicuro in ogni circostanza?

10           La realtà, in certo modo, a avvolta in un tale viluppo da essere apparsa assolutamente inafferrabile a non pochi
filosofi, e non a filosofi qualsiasi (per non dire che agli stoici stessi appare difficilmente afferrabile). E ogni nostro assenso a mutevole: dov’a, infatti, l’uomo che non muta mai? Passa quindi a considerare direttamente gli oggetti, come abbiano breve durata e scarso valore e possano appartenere a un invertito o a una prostituta o a un brigante. Dopo di che passa a considerare il carattere di coloro che ti vivono accanto: si fa fatica a sopportare anche il più amabile di loro, per non dire che uno fatica a tollerare anche se stesso. Ora, in una simile oscurità, in una simile lordura, in tanto fluire della sostanza, del tempo e del movimento e di ciò che a in moto, non riesco a vedere cosa possa mai esserci che meriti il nostro apprezzamento o, in ogni caso, il nostro impegno. Al contrario: bisogna confortare se stessi e attendere la soluzione naturale, e non spazientirsi per l’attesa, ma trovar quiete in queste sole considerazioni: la prima, che non mi succederà nulla che non sia conforme alla natura universale; la seconda, che non mi a consentito fare nulla contro il mio dio e demone. Non c’a nessuno, infatti, che possa costringermi a trasgredire il suo volere.

11           Per quale scopo debbo usare ora la mia anima? In ogni singola circostanza poniti questa domanda e verifica:
«Cosa c’a, ora, in questa parte di me che chiamano principio dirigente, e di chi, ora, ho l’anima: di un bambino? di un ragazzino? di una donnetta? di un tiranno? di un animale da allevamento? di un animale selvatico?».

12           Quale sia la natura delle cose che ai più sembrano beni, puoi capirlo anche da questo ragionamento. Se uno
considera come veri beni taluni che effettivamente lo sono, come la saggezza, la temperanza, la giustizia, la fortezza, dopo averli così concepiti non può più stare ad ascoltare quel verso: «per i beni…», perché non risponde alla sua situazione. Mentre chi valuta come beni quelli che ai più sembrano tali ascolterà fino in fondo la frase del poeta comico e non avrà difficoltà ad accettarla, giudicandola appropriata. Così anche i più hanno idea della differenza: altrimenti non succederebbe che, nel primo caso, l’espressione urti e venga respinta, nel secondo, invece, accettiamo come conveniente e spiritosa la battuta sulla ricchezza e sui colpi di fortuna che portano lusso o gloria. Prosegui, allora, e chiediti se si debbano onorare e ritenere beni cose tali che, dopo averle così valutate, pare appropriato aggiungere che chi le possiede «non ha più», per la sua ricchezza, «dove poter cacare».

13           Sono composto di elemento causale ed elemento materiale; nessuno dei due si perderà nel nulla, come neppure
a sorto dal nulla. Pertanto ogni mia parte, attraverso trasformazione, sarà ricondotta a una parte del cosmo, e a sua volta quella si trasformerà in un’altra parte del cosmo e così via all’infinito. Anch’io esisto come prodotto di tale trasformazione, e così i miei genitori, e così via, procedendo a ritroso, ancora all’infinito. Nulla, infatti, impedisce di esprimersi in questo modo, anche nell’eventualità che il cosmo sia governato per cicli definiti.

14           La ragione e l’arte di ragionare sono facoltà sufficienti a se stesse e al loro operato. Muovono, quindi, da un
proprio principio, e procedono verso il fine proposto; di conseguenza, simili azioni vengono chiamate «azioni rette», a indicare il loro percorso rettilineo.

15           L’uomo non deve occuparsi di nessuna delle cose che non convengono all’uomo in quanto tale. Non sono
esigenze dell’uomo, non le ripromette la natura umana, non danno compiutezza alla natura umana. Quindi in esse non si trova neppure il fine posto all’uomo né ciò che realizza compiutamente tale fine, il bene. Ancora: se una di queste cose convenisse all’uomo, non sarebbe conveniente disprezzarle e combatterle, e non sarebbe degno di lode chi mostrasse di saperne fare a meno, né, se davvero queste cose fossero beni, sarebbe virtuoso chi si pone dei limiti in alcuna di esse. Ora, invece, uno a tanto più virtuoso quanto più accetta di privarsi di queste e altre simili cose, o di esserne privato da altri.

16           Quali saranno le tue rappresentazioni ricorrenti, tale sarà la tua mente: le rappresentazioni, infatti, impregnano
l’anima con il proprio colore. Pertanto impregnala continuamente con rappresentazioni quali, per esempio: «dove si può vivere, si può anche vivere bene; a corte si può vivere; quindi a corte si può anche vivere bene». E, ancora: «ogni singolo essere muove verso ciò per cui a stato prodotto; il suo fine sta in ciò verso cui muove; dove sta il fine, là sta anche l’utile e il bene di ciascun essere; il bene dell’essere razionale, quindi, a vivere in società». Infatti a da tempo dimostrato che siamo nati per la vita in società. O non era evidente che gli esseri inferiori esistono per quelli superiori, e quelli superiori esistono gli uni per gli altri? E gli esseri animati sono superiori agli esseri inanimati, gli esseri razionali agli esseri semplicemente animati.

17           Inseguire l’impossibile a da folli: ed a impossibile che i malvagi non facciano cose del genere.

18           A nessuno accade nulla che egli non possa per natura sopportare. A un altro accadono le stesse cose e questi, o

perché ignora che gli sono accadute, o perché vuole esibire grandezza d’animo, resta ben saldo e ne esce senza danno. È grave, quindi, che ignoranza e compiacimento siano più forti della saggezza.

19           Le cose di per sé non sfiorano in alcun modo l’anima, né hanno accesso alcuno all’anima, né possono
modificare o muovere l’anima; essa soltanto modifica e muove se stessa, e rende per sé le cose che la raggiungono dall’esterno tali quali sono i giudizi che su di esse si ritiene degna di esprimere.

20           Per un verso abbiamo il più stretto legame con gli uomini, in quanto dobbiamo far loro del bene e sopportarli;
per l’altro, invece, in quanto certuni mi ostacolano nello svolgimento del mio specifico operato, gli uomini divengono per me una delle cose indifferenti, non meno del sole o del vento o di una belva. Ora, questi possono sì intralciare un’attivity, ma l’impulso e la disposizione non hanno ostacoli, poiché ricorrendo alla riserva li abbattono. Il pensiero, infatti, travolge e trasforma ogni ostacolo alla sua attivity nel vero valore che la guida, e così ciò che frenava quella data azione diviene utile all’azione e ciò che sbarrava quella data via aiuta a percorrerla.

21           Degli esseri che si trovano nel cosmo onora il migliore: a quello che di tutto dispone e tutto governa. Allo
stesso modo, anche di quanto si trova in te onora il meglio: a ciò che condivide la natura di quell’essere supremo; anche in te, infatti, a quello che dispone di tutto il resto, e la tua vita a sotto il suo governo.

22           Ciò che non a dannoso alla citty, non danneggia neppure il cittadino. Ad ogni rappresentazione di un danno
subito, applica questa regola: se la citty non a danneggiata da questo, non risulto danneggiato neppure io. E se la citty non riceve danno, non ci si deve adirare con l’autore dell’azione dannosa, ma mostrargli qual a la sua mancanza.

23           Considera spesso la rapidity del passaggio e della scomparsa degli esseri e degli avvenimenti. La sostanza,
infatti, a come un fiume che scorre ininterrottamente, le attivity soggiacciono a continue trasformazioni, le cause a migliaia di modificazioni e non c’a pressoché nulla di stabile; e considera, proprio qui accanto, questo infinito abisso del passato e del futuro, in cui tutto scompare. Come può, dunque, non essere folle chi in questa situazione a tanto pieno di sé o spasima o si lamenta come se il suo tormento dovesse durare a lungo?

24           Ricorda l’intera sostanza, della quale partecipi in entity minima; l’intera eternity, di cui ti a stato assegnato un
breve, infinitesimale intervallo; e il destino, di cui tu quale minuscola parte sei?

25           Un altro commette una colpa nei miei confronti? Se la vedry lui: ha una propria disposizione interna, una
propria attivity. Io ora ho ciò che la natura comune vuole che io ora abbia, e faccio ciò che la mia natura vuole che io ora faccia.

26           Il principio dirigente e sovrano della tua anima sia una parte immodificabile dai movimenti dolci o aspri che si
verificano nella carne, e non vi si mescoli, ma circoscriva se stesso e confini quelle passioni nei loro organi. Qualora invece si propaghino fino alla mente attraverso l’altro genere di simpatia – come cioa avviene nell’ymbito di un corpo che a unico -, allora non si deve tentare di contrastare il passo alla sensazione, che a naturale, ma il principio dirigente non aggiunga di suo l’opinione che si tratti di bene o di male.

27           Vivere con gli dai. Vive con gli dai chi continuamente mostra loro la propria anima soddisfatta di ciò che gli
viene assegnato in sorte, e in atto di compiere quanto vuole il demone che Zeus, quale frammento di sé, ha dato a ciascuno perché lo guidi e lo diriga. Questo demone a l’intelletto e la ragione di ciascuno.

28           Ti adiri forse con chi puzza di caprone? Ti adiri forse con chi ha l’alito pesante? E che ti fary mai? Ha la bocca
che si ritrova, ha le ascelle che si ritrova: a inevitabile che dalla condizione in cui si trova derivino simili effluvi. «Ma l’uomo – si obietta – possiede la ragione e può comprendere, riflettendo, in che cosa sbaglia». Benissimo! Quindi anche tu possiedi la ragione: con la tua disposizione razionale smuovi la sua disposizione razionale, indicagli, richiamagli l’errore. Se ti ascolta, lo curerai e non ci sary bisogno di adirarsi.

Né attore tragico né prostituta.

29           Qui a possibile vivere nello stesso modo in cui pensi di vivere una volta uscito di qui. E se non te lo dovessero
permettere, allora esci anche dalla vita: come chi, però, non patisce per questo nulla di male. C’a fumo, e quindi me ne vado: perché credi che sia un fatto importante? Finché, però, nulla di simile mi spinge a uscire, rimango libero e nessuno mi potry impedire di fare quello che voglio; e il mio volere a conforme alla natura dell’essere razionale e sociale.

30           La mente dell’universo a favorevole al vincolo sociale. Quindi ha prodotto gli esseri inferiori per quelli
superiori, e ha posto gli esseri superiori in reciproca connessione. Vedi come ha subordinato, coordinato e assegnato a ciascuno secondo il merito, e come ha condotto gli esseri eminenti a reciproca concordia.

31           …come ti sei comportato fino ad ora verso gli dai, i genitori, i fratelli, la moglie, i figli, i maestri, gli istitutori,
gli amici, i parenti, gli schiavi; se fino ad ora per te a valso, nei confronti di tutti, il principio di «non fare né dire ad alcuno nulla di ingiusto». Ricorda anche attraverso quali esperienze sei passato e quali sei riuscito a sopportare. E ricorda che ormai la storia della tua vita a compiuta e il tuo servizio a alla fine, e quante cose belle hai visto e quanti piaceri e dolori hai disprezzato, e quante occasioni di gloria hai trascurato, e con quanti ingrati sei stato benevolo.

32           Perché anime senz’arte e ignoranti confondono un’anima che ha arte e scienza? Ma qual a, allora, l’anima che
ha arte e scienza? Quella che conosce l’inizio e la fine e la ragione che attraversa l’intera sostanza e che lungo tutta l’eternity governa il tutto per periodi definiti.

33           In men che si dica, cenere o scheletro e semplice nome o neppure più nome; e il nome a solo rumore e voce che
risuona. Le cose che nella vita si considerano tanto preziose sono vuote, marce, piccole, botoli che si azzannano, bambini rissosi che ridono, e un attimo dopo piangono. La lealty, invece, il pudore, la giustizia e la verity «dalla terra dalle ampie strade» [sono volate] «sull’Olimpo». Allora che cos’a che ancora ti trattiene qui, visto che gli oggetti della

sensazione sono quanto mai mutevoli e instabili, gli organi della sensazione ottusi e corrivi a impressioni illusorie, la stessa povera anima a alito che evapora dal sangue, e aver buona fama presso gente come questa a cosa vacua? E allora? Attenderai sereno di estinguerti o trasmigrare? E finché non sarà giunto quel momento, che cosa basta fare? Che altro se non venerare e benedire gli dai, far del bene agli uomini e sopportarli, e astenersi, e ricordare che quanto cade fuori dei limiti della tua misera carne e del tuo misero soffio vitale non a tuo né in tuo potere?

34           Hai sempre la possibilità di fare un viaggio felice, poiché hai anche la possibilità di procedere per la retta via, e
conformare ad essa le tue opinioni e azioni. All’anima del dio e a quella dell’uomo e di ogni essere razionale sono comuni queste due facoltà: non essere impediti da altri e riporre il bene nella disposizione interna e nell’azione conformi a giustizia, portando ad esaurirsi qui ogni desiderio.

35           Se questa non a cattiveria mia né azione che avvenga per mia cattiveria, e se la comunità non ne viene
danneggiata, che interesse posso avere alla cosa? Quale danno ne viene alla società?

36           Non lasciarti trascinare totalmente dalla rappresentazione, ma presta il tuo aiuto agli altri secondo le tue
possibilità e secondo il loro merito, anche se il danno che lamentano riguarda le cose intermedie (ma, allora, non rappresentartelo come un danno: a una cattiva abitudine). Invece, come faceva quel vecchio che, al momento di andarsene, chiedeva la trottola del suo pupillo, ben ricordando che si trattava di una trottola, così appunto fai anche tu, qui [...]. Uomo, ti sei dimenticato di cosa si trattava? «Sì, lo ricordo bene: ma per costoro hanno grande importanza». E per questo, quindi, dovresti diventar pazzo anche tu?

37           Un tempo ero, in qualunque situazione fossi colto, un uomo fortunato; ma «fortunato» significa: che ha
assegnato a se stesso una buona sorte; e una buona sorte significa: buone inclinazioni dell’anima, buoni impulsi, buone azioni.

LIBRO VI

1              La sostanza dell’universo a docile e duttile; e la ragione che la governa non ha in sé nessuna causa per cui

debba produrre il male: perché in sé non ha male, a nulla fa del male e non c’a nulla che ne venga danneggiato. Tutto, invece, avviene e si compie secondo la ragione dell’universo.

2              Non far differenza se per svolgere il tuo cómpito tu debba soffrire il freddo o il caldo, ciondolare per il sonno o
esser ben riposato, ricevere critiche o elogi, morire o fare qualcos’altro. Anche questa, che compiamo nel morire, a una delle azioni della vita: a sufficiente quindi, anche in questa occasione, provvedere bene al fatto presente.

3              Guarda dentro: di nessuna cosa ti sfugga la qualità che le a propria e il valore.

4              Tutti gli oggetti molto presto si trasformeranno e dilegueranno in vapore, se davvero la sostanza a una;

altrimenti si disperderanno.

5              La ragione che governa sa con quale disposizione e che cosa compie, e nell’àmbito di quale materia.

6              Il modo migliore di difendersi a non assimilarsi.

7              Trova gioia e quiete in una sola cosa: nel passare da un’azione utile alla comunità a un’altra azione utile alla

comunità, memore di dio.

8              Il principio dirigente a quello che desta se stesso, orienta, rende se stesso quale vuole essere, e a se stesso fa
apparire ogni evento quale vuole che sia.

9              Ogni singola cosa si compie secondo la natura universale: non certo secondo un’altra natura che la includa
dall’esterno o che sia inclusa al suo interno o che sia esterna e indipendente.

10           O miscuglio, groviglio e dispersione, ovvero unità, ordine e provvidenza. Nel primo caso: perché dovrei
desiderare di trattenermi oltre in una congerie casuale e in una confusione come questa? Di che altro mi importa, se non del modo in cui, un giorno, «diventerò terra»? E perché farmi turbare? La dispersione, infatti, mi raggiungerà qualunque cosa io faccia. Nel secondo caso: esprimo venerazione, saldezza, fiducia verso colui che governa.

11           Quando sei costretto dalle circostanze a subire come un turbamento, torna rapidamente a te stesso e non
estraniarti dal ritmo oltre l’indispensabile: tornando continuamente all’armonia crescerà il tuo dominio su di essa.

12           Se tu insieme avessi una matrigna e una madre, della prima avresti certamente cura, e tuttavia torneresti
continuamente da tua madre. Questo, matrigna e madre, sono ora per te la corte e la filosofia: qui, alla filosofia, ritorna spesso, e trova pace in colei grazie alla quale quell’ambiente ti risulta sopportabile e tu risulti sopportabile in quell’ambiente.

13           Quanto vale, di fronte alle leccornie e ai cibi di questo genere, accogliere la rappresentazione: «questo a il
cadavere di un pesce, quest’altro il cadavere di un uccello o di un maiale», e, ancora, «il Falerno a il succo di un grappolo d’uva», e «il laticlavio sono peli di pecora intrisi del sangue di una conchiglia»; e, a proposito dell’unione sessuale: «a sfregamento di un viscere e secrezione di muco accompagnata da spasmo»! Quanto valgono queste rappresentazioni che raggiungono le cose in sé e le penetrano totalmente, fino scorgere quale sia la loro vera natura. Così bisogna fare per tutta la vita, e, quando le cose ci si presentano troppo persuasive, bisogna denudarle e osservare a fondo la loro pochezza e sopprimere la ricerca per la quale acquisiscono tanta importanza. Perché la vanità a una terribile dispensatrice di falsi ragionamenti, e ti lasci più incantare proprio quando più ti pare di impegnarti in cose di valore. Vedi, quindi, cosa dice Cratete a proposito dello stesso Senocrate.

14           La maggior parte delle cose che la moltitudine ammira risalgono alle specie più comuni, costituite da un

determinato stato o da una determinata natura: pietre, legna, fichi, viti, olivi; le cose che invece incontrano l’apprezzamento di persone un po’ più vicine alla giusta misura si riconducono a esseri animati, come greggi, mandrie; l’apprezzamento di persone ancora più raffinate va a specie dotate di un’anima razionale, non però in quanto puramente razionale, ma in quanto capace di un’arte o abile in qualche altra cosa, o, semplicemente, al possesso di una quantity di schiavi. Chi invece onora un’anima razionale e sociale, non si rivolge più a nessuna delle altre cose, ma al di sopra di tutto conserva la propria anima nel suo stato e moto razionale e sociale, e collabora a questo fine con quanti appartengono alla sua stirpe.

15           Vi sono esseri rapidi nel pervenire all’esistenza, altri nell’averla giy compiuta; e anche in ciò che nasce qualcosa
a giy estinto; flussi e alterazioni rinnovano continuamente il cosmo, come l’ininterrotto moto del tempo rende sempre nuova l’infinita eternity. E in questo fiume, tra queste cose che scorrono via a quale si può mai dare un valore, se su di essa a impossibile trovare un punto d’appoggio? Come se uno cominciasse ad amare qualcuno di quei passerotti che in un attimo volano via: ecco, a giy scomparso alla vista. E la vita di ciascuno a qualcosa come l’evaporazione del sangue e l’inspirazione dell’aria. Quale, infatti, a il singolo atto, che continuamente ripetiamo, dell’inspirare e rimettere l’aria, tale a anche il restituire l’intera facolty di respirare, che hai acquistato ieri o l’altro ieri al momento di nascere, ly da dove l’hai attinta all’inizio.

16           Non ha grande valore né traspirare come le piante, né respirare come gli animali domestici e selvatici, né essere
impressionati da una rappresentazione, né esser mossi come marionette da impulsi, né far parte di un gregge né nutrirsi (che a come evacuare i residui del cibo). Cos’ha valore, allora? Essere applauditi? No. Quindi neppure essere applauditi con la lingua: gli elogi della gente, infatti, sono un applauso tributato con la lingua. Bene, hai rifiutato anche la gloria: che cosa ti resta che abbia valore? La capacity, credo, di muoversi e di trattenersi secondo la propria costituzione, il che a anche il fine cui puntano le varie attivity e arti. Ogni arte, infatti, mira a questo scopo, che il suo prodotto sia adatto a ciò per cui a stato prodotto: l’agricoltore che si cura della vite, il domatore di cavalli e l’allevatore di cani inseguono questo risultato. E l’opera del pedagogo, l’opera del maestro quale risultato inseguono? È qui, dunque, ciò che vale. E se va bene così, non dovrai conseguire nient’altro. Non vuoi smettere di apprezzare anche tante altre cose? Ebbene, non sarai libero né autosufficiente né esente da passioni. È inevitabile infatti che tu debba provare invidia, gelosia, sospetto verso chi può toglierti quelle cose, che tu debba insidiare chi possiede quello cui attribuisci valore; insomma, chi si sente privo di una di quelle cose inevitabilmente resta turbato, e per di più ha molto da rimproverare agli dai; mentre il rispetto e l’onore per la tua intelligenza ti renderanno soddisfatto di te stesso, in armonia con gli uomini e in intimo accordo con gli dai: pronto a lodare, cioa, quanto essi distribuiscono e hanno disposto.

17           I moti degli elementi: verso l’alto, verso il basso, in circolo. Il movimento della virtù, invece, non rientra in
nessuno di questi, ma a qualcosa di più divino, e compie felicemente il suo corso procedendo per una via difficile da concepire.

18           Che tipo di comportamento, il loro! Non vogliono elogiare gli uomini che vivono negli stessi anni e accanto a
loro, ma considerano molto ricevere l’elogio dei posteri, che non hanno mai visto e non vedranno mai. Il che a all’incirca come se tu soffrissi perché non hanno avuto parole di elogio per te anche gli antenati.

19           Se qualcosa ti si presenta difficile da realizzare, non pensare che sia impossibile per l’uomo; piuttosto, se
qualcosa a possibile e appropriato all’uomo, consideralo raggiungibile anche per te.

20           Durante gli esercizi in palestra uno ci ha graffiato con le unghie e lanciandosi di testa ci ha ferito: eppure non
usciamo in espressioni di riprovazione, non ci offendiamo, né, in futuro, lo sospettiamo di tenderci insidie; ce ne guardiamo, sì, ma non come da un nemico, né con sospetto, bensì evitandolo, senza rancore. Analogo comportamento si tenga anche negli altri settori della vita: non diamo peso a tante azioni di chi, per così dire, si allena misurandosi con noi! Perché, come ho detto, a possibile evitarli senza nutrire sospetti né ostility.

21           Se qualcuno può contestarmi e dimostrare che le mie opinioni o le mie azioni non sono rette, sarò felice di
mutare atteggiamento. Perché io cerco la verity, che non ha mai fatto danno a nessuno; mentre infligge un danno a se stesso chi persiste nel proprio inganno e nella propria ignoranza.

22           Io faccio il mio dovere, senza lasciarmi distrarre da tutto il resto: esseri inanimati, o irrazionali, o che si sono
smarriti e non conoscono la strada.

23           Con gli animali sprovvisti di ragione e, in generale, con le cose e gli oggetti sensibili abbi un atteggiamento
magnanimo e libero, come deve avere chi possiede la ragione con quanto ne a privo; con gli uomini, invece, abbi l’atteggiamento che conviene avere con chi possiede la ragione e che risponde ai principî della society. A ogni circostanza invoca gli dai e non porti il problema: «per quanto tempo potrò agire in questo modo?», perché sono sufficienti anche tre ore vissute così.

24           Alessandro il Macedone e il suo mulattiere morendo passarono alla medesima condizione: infatti o furono
riassunti nelle medesime ragioni seminali del cosmo o furono dispersi, allo stesso modo, negli atomi.

25           Considera quante cose in uno stesso infinitesimale spazio di tempo avvengono, contemporaneamente, in
ciascuno di noi, nel corpo e insieme nell’anima: e così non ti stupirai se un numero molto maggiore di fatti, anzi, tutto quanto avviene in quell’unico insieme di ogni cosa, che chiamiamo cosmo, si realizza contemporaneamente.

26           Se uno ti domandasse come si scrive il nome di Antonino, perderesti forse la pazienza mentre scandisci le
lettere una per una? E se, dall’altra parte, dovessero adirarsi? Ti adireresti a tua volta? Non ti metterai invece a enumerare pacatamente ogni singola lettera? Allo stesso modo, anche qui, ricorda che ogni dovere si compone di un

certo numero di fasi. Bisogna osservarle, senza perdere la calma e inquietarsi con chi si inquieta, e così realizzare con metodo l’obiettivo.

27           Com’a crudele non permettere agli uomini di seguire l’impulso verso ciò che pare loro appropriato e
conveniente; eppure in certo modo tu non consenti loro di farlo quando ti indigni perché sbagliano: perché, in ogni caso, sono convinti di muoversi verso ciò che a loro appropriato e conveniente. «Ma non a così». Allora porgi loro gli insegnamenti e le indicazioni del caso, senza indignarti.

28           La morte a quiete dall’impressione dei sensi, dagli impulsi che ci muovono come marionette, dalle deviazioni
del pensiero, dal servizio che prestiamo alla carne.

29           In quella vita in cui il tuo corpo non si arrende a vergognoso che sia l’anima ad arrendersi per prima.

30           Bada di non cesarizzarti, di non impregnarti con la porpora: succede, infatti. Mantieniti quindi semplice,

buono, integro, serio, alieno da orpelli, amico del giusto, devoto, benevolo, affettuoso, forte nell’adempimento del tuo dovere. Lotta per rimanere tale quale ha voluto renderti la filosofia. Venera gli dai, soccorri gli uomini. La vita a breve: unico frutto dell’esistenza terrena sono una disposizione pia e azioni ispirate al bene comune. Compòrtati, in tutto, da allievo di Antonino: ti sia di modello la sua energia nelle azioni conformi a ragione, la sua condotta uguale in ogni circostanza, la sua devozione, la serenity del suo volto, la sua dolcezza, il suo rifiuto della vanagloria, il suo desiderio di comprendere le cose; e il fatto che mai, a nessun costo, avrebbe accantonato una questione prima di averla esaminata a fondo e compresa con chiarezza; che sopportava chi lo criticava ingiustamente, senza replicare con altre critiche; che non faceva nulla di fretta e non prestava orecchio alle calunnie; e l’acutezza con cui indagava caratteri e azioni, senza insultare, senza allarmarsi al minimo rumore, senza vivere nel sospetto, senza sofisticare; il suo accontentarsi di poco, per quanto ad esempio riguardava l’abitazione, il letto, il vestiario, il cibo, il servizio domestico; la sua laboriosity e magnanimity; la sua capacity di [...] fino a sera, per la sua semplicity di vita, senza neppure aver bisogno di evacuare al di fuori dell’ora consueta; la solidity e la costanza che mostrava nelle sue amicizie; la sua tolleranza verso chi con franchezza si esprimeva contro le sue idee, e la gioia che provava se qualcuno indicava una via migliore; la sua religiosity, aliena da timori superstiziosi; perché, quando sopraggiungery la tua ultima ora, la tua coscienza sia tranquilla come la sua.

31           Riacquista i sensi, riprenditi, e, una volta che ti sarai liberato dal sonno e ti sarai reso conto che quelli che ti
turbavano erano solo sogni, allora, di nuovo sveglio, guarda queste cose come guardavi quelle.

32           Sono fatto di corpo e di anima. Per il corpo ogni cosa a indifferente: perché il corpo non può se non essere
indifferente verso le cose. Per la mente, invece, a indifferente quanto non a prodotto della sua attivity; mentre tutto ciò che a prodotto della sua attivity ricade in suo potere. In quest’ymbito, tuttavia, la mente si occupa soltanto del presente: perché di attimo in attimo la sua attivity futura e passata le rimane, anch’essa, indifferente.

33           Né la mano né il piede compiono un lavoro contrario a natura, finché il piede esegue il cómpito del piede e la
mano i cómpiti delle mani. Così pure, quindi, per l’uomo in quanto uomo il lavoro non a contrario a natura, finché egli svolge le funzioni proprie dell’uomo. E se non a per lui contrario a natura, non a neppure male per lui.

34           …quali piaceri hanno goduto briganti, invertiti, parricidi, tiranni.

35           Non vedi quanti, nell’esercizio del loro mestiere, si sforzano entro certi limiti di adeguarsi alle idee dei profani,

e ciò non ostante si attengono alla ragione della loro arte e non accettano di staccarsene? Non a grave che l’architetto e il medico abbiano per la ragione del loro mestiere un rispetto maggiore di quello che l’uomo nutre per la propria ragione, che egli possiede in comune con gli dai?

36           L’Asia, l’Europa sono cantucci del cosmo; ogni mare a una goccia del cosmo; l’Athos a una piccola zolla del
cosmo; l’intero tempo presente a un punto dell’eternity: tutto a piccolo, instabile, in atto di scomparire. Tutto viene di ly, da quello che a il principio dirigente comune, per impulso diretto o per conseguenza. E, allora, le fauci spalancate del leone, il veleno e quanto provoca danno, come le spine, come il fango, sono accessori di ciò che a venerabile e bello. Non rappresentartelo, quindi, come estraneo a ciò che veneri, ma considera quella che a la fonte di tutto.

37           Chi ha visto la realty presente ha visto tutto, sia ciò che a stato dall’eternita sia cio che sary fino all’infinito:
perché tutto ha uguale origine e uguale aspetto.

38           Medita spesso sul vincolo che unisce tutte le cose nel cosmo e sul loro reciproco rapporto. In un certo modo,
infatti, si intrecciano tutte tra loro e perciò sono tutte amiche l’una all’altra; infatti a una cosa consegue quest’altra, in forza del movimento di tensione, dell’intimo accordo e dell’unity della sostanza.

39           Adyttati alla realty alla quale sei stato abbinato dalla sorte; e le persone con le quali per tua sorte ti trovi a stare,
amale, ma sinceramente.

40           Ogni strumento, arnese, utensile, se compie quello per cui a stato prodotto, va bene. Eppure, in questo caso, il
loro produttore a lontano; mentre nel caso di ciò che a costituito da una sua natura, la forza che lo ha prodotto a e permane all’interno: tanto più, quindi, devi venerarla e, se la tua disposizione interiore e la tua condotta sono conformi al suo volere, ritenere che tutto sia conforme al tuo intendimento. Così pure per l’universo: ciò che gli appartiene a conforme al suo intendimento.

41           Qualunque cosa, tra quante non sono soggette alla tua scelta etica, tu ti ponga innanzi come bene o male, a
inevitabile che, per essere incorso in quel determinato male o aver mancato quel determinato bene, tu debba lamentarti degli dai e odiare gli uomini che sono o, tu sospetti, saranno responsabili dell’insuccesso o dell’incidente; e sono molte le ingiustizie che commettiamo perché non restiamo indifferenti a questo genere di cose. Se invece giudichiamo beni e mali solo le cose che sono in nostro potere, non rimane più ragione alcuna né di accusare dio né di assumere atteggiamento ostile verso un uomo.

42           Tutti collaboriamo a un solo risultato finale, alcuni con lucida consapevolezza, gli altri senza saperlo – nel

modo in cui anche chi dorme, mi pare che dica Eraclito, lavora e collabora agli eventi del cosmo. Chi collabora in un modo, chi in un altro, e per giunta collabora anche chi critica e tenta di contrastare e cancellare gli avvenimenti: evidentemente il cosmo aveva bisogno anche di individui come lui. Vedi, quindi, di capire tra chi vuoi schierarti: egli, infatti, colui che governa l’universo, fary in ogni caso buon uso di te e ti accogliery, in questo o in quell’altro ruolo, tra i suoi collaboratori e cooperatori. Ma tu non assumere un ruolo come quello che ha nel dramma il verso inutile e ridicolo di cui parla Crisippo.

43           Il sole pretende forse di svolgere il cómpito della pioggia? Asclepio pretende forse le prerogative della
Carpofora? E i singoli astri? Non sono forse entity diverse, ma cooperanti al medesimo fine?

44           Se gli dai hanno deliberato riguardo a me e a quanto mi deve avvenire, hanno deliberato bene (quanto a un dio
che non decida, non a facile neppure immaginarlo). Per quale ragione avrebbero dovuto cercare di farmi del male? Che ne sarebbe venuto a loro o al complesso dell’universo, che a il primo dei loro pensieri? Se invece non hanno deliberato al mio personale riguardo, hanno in ogni caso deliberato sul complesso dell’universo: devo allora accogliere di buon grado anche questi eventi che conseguono alla loro deliberazione. E se proprio non deliberano riguardo a nulla – ma non a pio crederlo: altrimenti smettiamo di sacrificare, pregare, giurare, fare le altre cose che, ogni volta, facciamo rivolgendoci agli dai come presenti e accanto a noi -, se proprio non deliberano circa nessuna delle cose che ci riguardano, mi rimane sempre la facolty di deliberare su me stesso, e di cercare quel che conviene. Ma a ciascuno conviene quel che a conforme alla sua costituzione e natura: e la mia natura a razionale e sociale. Per me, in quanto Antonino, citty e patria a Roma; in quanto uomo, il cosmo. Per me, quindi, a bene solo ciò che giova a queste citty.

45           Quanto avviene a ciascuno conviene all’universo. Sarebbe giy sufficiente questo; ma in generale, osservando
con attenzione, noterai ancora che quanto avviene a un uomo, conviene anche agli altri uomini. Questa volta si prenda «ciò che conviene» nel senso comune dell’espressione, con riferimento alle cose intermedie.

46           Come ti infastidiscono i giochi dell’anfiteatro e di simili luoghi, perché vedi sempre le stesse cose e la
monotonia dello spettacolo sazia fino alla nausea, provi lo stesso fastidio anche per l’intera esistenza: tutto, infatti, nel suo su e giù, a la medesima cosa e ha la medesima origine. Fino a quando, dunque?

47           Pensa continuamente agli uomini (di ogni genere, di ogni professione, delle più varie classi sociali) che sono
morti, fino ad arrivare, seguendo questo filo, a Filistione, Febo e Origanione. Passa ora alle altre stirpi. La nostra trasformazione ci condurry proprio ly dove sono finiti tanti abili retori, e tanti autorevoli filosofi – Eraclito, Pitagora, Socrate – e, prima di loro, tanti eroi, poi tanti generali, tanti tiranni; e, ancora, Eudosso, Ipparco, Archirnede, altri personaggi acuti, magnanimi, laboriosi, attivi in ogni campo, orgogliosi, canzonatori di questa stessa vita umana, mortale ed effimera, quali Menippo e gli altri come lui. Pensa che tutti costoro giacciono morti da tempo. E in questo cosa c’a di terribile per loro? E che cosa, poi, per coloro di cui non rimane neppure il nome? Una sola cosa, qui, ha davvero valore: vivere sempre nella verity e nella giustizia, ma indulgenti con i bugiardi e gli ingiusti.

48           Quando vuoi rallegrarti, considera i pregi di chi ti vive accanto: il carattere energico di uno, per esempio, la
riservatezza di un altro, la generosity di un altro ancora, e così via. Nulla, infatti, rallegra come le sembianze delle virtù che traspaiono nel carattere di chi ci vive accanto e tutte insieme, per quanto a possibile, balzano ai nostri occhi. Perciò bisogna anche tenerle a portata di mano.

49           Ti inquieti forse perché pesi un dato numero di libbre e non 300? Così pure non inquietarti perché devi vivere
un dato numero di anni e non oltre: infatti, come sei pago della quantity di sostanza che ti a stata assegnata, così devi esserlo anche per il tempo.

50           Cerca di convincerli, ma agisci anche contro il loro volere, quando la ragione della giustizia lo esiga. Se
tuttavia qualcuno ricorre alla forza per sbarrarti la strada, assumi uno stato d’animo ugualmente soddisfatto, senza cedere al dolore, e approfitta di quell’impedimento per esercitare un’altra virtù, e ricorda che sul tuo impulso gravava una riserva, e che non puntavi all’impossibile. A cosa, allora? A seguire, appunto, un impulso di quel determinato genere. Una meta che raggiungi: quello per cui siamo stati prodotti si realizza.

51           Chi cerca la fama ripone il proprio bene in un’attivity altrui, chi cerca il piacere nella propria passivity: chi ha
senno, nella propria azione.

52           Su questo punto a possibile non formarsi alcuna opinione e, quindi, non turbare la propria anima – di per sé,
infatti, le cose non hanno natura atta a produrre i nostri giudizi.

53           Abìtuati a considerare con estrema attenzione le parole degli altri, e per quanto puoi entra nell’anima di chi sta
parlando.

54           Quel che non a utile allo sciame non a utile neppure all’ape.

55           Se i marinai criticassero il timoniere, o i malati il medico, a che altro penserebbero se non a come uno agisce

per l’incolumity dell’equipaggio o per la salute dei pazienti?

56           …quanti, con cui sono entrato nel cosmo, se ne sono giy andati.

57           Agli itterici il miele sembra amaro, agli idrofobi l’acqua fa paura e ai bambini piace la palla. Perché mi adiro,

allora? Ti pare forse che l’errore abbia meno effetto di quanto ne ha la bile sull’itterico e il virus sull’idrofobo?

58           Nessuno ti impediry di vivere conforme alla ragione della tua natura; non ti succedery nulla di contrario alla
ragione della natura comune.

59           …che genere di persone sono quelle cui gli uomini vogliono piacere, e per quali profitti e con quali attivity;
come, ben presto, l’eternity copriry tutte le cose e quante ne ha giy coperte.

LIBRO VII

1          Cos’a la malvagità? È quello che hai visto tante volte. E per ogni avvenimento tieni sottomano la

considerazione: «È quello che hai visto tante volte». Insomma, troverai il perenne andirivieni delle stesse cose, di cui sono piene le storie delle epoche antiche, delle età di mezzo, dei tempi recenti, di cui sono piene le città e le case. Nulla di nuovo: tutto a consueto e dura poco.

2              In che altro modo possono morire i principî, se non per l’estinguersi delle rappresentazioni ad essi
corrispondenti, che sta a te ravvivare continuamente? Su questo punto posso nutrire l’opinione dovuta: e se posso, perché turbarmi? Ciò che a fuori della mia mente non a assolutamente nulla per la mia mente: imparalo, e sei un uomo retto. Puoi rivivere; torna a vedere le cose come le vedevi: questo significa rivivere.

3              Futilità di un corteo trionfale, drammi in scena, greggi, mandrie, combattimenti con la lancia, un osso gettato a
dei botoli, un boccone di pane nelle vasche dei pesci, affannarsi di formiche sotto il carico, topolini impauriti che corrono qua e là, marionette mosse con i fili. In queste situazioni bisogna mantenere un atteggiamento benevolo, senza ombra di alterigia, pur osservando che ciascuno vale tanto quanto valgono le cose cui ha rivolto il suo impegno.

4              Bisogna seguire con attenzione, parola per parola, quello che si dice e, impulso per impulso, quello che
avviene, e, in quest’ultimo caso, vedere sùbito con quale scopo a in relazione l’impulso, nel primo, osservare bene qual a il significato.

5              La mia mente arriva a questo oppure no? Se vi arriva, me ne servo come di uno strumento fornitomi per questo
cómpito dalla natura universale; altrimenti, o cedo il cómpito a chi può svolgerlo meglio, oppure, se tale cómpito non può toccare ad altri, lo svolgo come posso, prendendo al mio fianco chi sia in grado, collaborando con il mio principio dirigente, di fare quel che ora a opportuno e utile alla comunità. Qualunque cosa, infatti, io faccia, con le mie forze o con l’aiuto di altri, occorre tendere a questa sola meta, a ciò che a utile e appropriato alla comunità.

6              …quanti, già celebratissimi, sono ormai consegnati all’oblio; e quanti, che li avevano celebrati, da tempo sono
scomparsi.

7              Non vergognarti di ricevere aiuto: il cómpito che ti attende, infatti, a di fare il tuo dovere come un soldato che
combatte sulle mura. E allora? E se tu, azzoppato, non fossi in grado di salire da solo sugli spalti, e ci riuscissi invece con l’aiuto di un altro?

8              Non lasciarti turbare dal futuro: ci arriverai, se dovrai arrivarci, con la stessa ragione che ora usi per il presente.

9              Tutte le cose si intrecciano tra loro e il loro legame a sacro, e si può dire che non ci sia cosa estranea alle altre,

perché tutte sono coordinate e concorrono all’ordine del medesimo cosmo. Unico, infatti, a il cosmo formato da tutte le cose, unico il dio che pervade ogni cosa, unica la sostanza, unica la legge, comune la ragione di tutti gli esseri provvisti di intelligenza, unica la verità, poiché unica a pure la compiutezza degli esseri che hanno la stessa origine e partecipano della stessa ragione.

10           Ogni cosa materiale in un istante scompare nella sostanza dell’universo, ogni causa in un istante viene riassunta
nella ragione universale, e in un istante il ricordo di ogni cosa sprofonda sepolto nell’eternità.

11           Per l’essere razionale la medesima azione che a conforme a natura a anche conforme a ragione.

12           Diritto o raddrizzato.

13           Lo stesso rapporto che in un singolo organismo intercorre tra le membra del corpo, collega, in esseri distinti, le

capacità razionali, che sono state costituite per collaborare tra loro ad un’unica attività. Il concetto ti diverrà più evidente se ripeterai più volte a te stesso: «Sono un membro [mélos] del sistema formato dagli esseri razionali». Se invece dirai, con la lettera rho, di esserne solo una parte [méros], significa che non ami ancora gli uomini dal profondo del cuore, che il far del bene non ti allieta ancora con la piena consapevolezza della tua condotta, che continui a farlo come un semplice dovere, non ancora persuaso di fare del bene, così, anche a te stesso.

14           Ciò che vuole colpire, colpisca pure dall’esterno le cose che possono soffrirne. Queste, infatti, se vorranno,
potranno lamentarsi delle proprie sofferenze, mentre io, se non ritengo che l’accaduto sia male, non ho ancora ricevuto danno. E ho la possibilità di non ritenere che si tratti di un male.

15           Qualunque cosa uno faccia o dica, devo essere un uomo virtuoso; come se l’oro o lo smeraldo o la porpora
ripetessero sempre: «Qualunque cosa uno faccia o dica, devo essere uno smeraldo e mantenere il mio colore».

16           Il principio dirigente non provoca turbamenti a se stesso: intendo dire, per esempio, che non spaventa, non fa
soffrire se stesso, non si induce a desiderare. Se un altro a in grado di spaventarlo o farlo soffrire, lo faccia: perché il principio dirigente, per la facoltà che ha di formarsi un’opinione, non si piegherà a simili alterazioni. Il corpo pensi, dal canto suo, a non patire nulla, se ne a capace, e, se patisce qualcosa, lo dica; ma l’anima, in quanto può formarsi un’opinione di ciò che prova paura, di ciò che sente dolore, insomma di tutta la situazione, non c’a rischio che patisca nulla: perché non ha cedimenti verso un simile giudizio. Il principio dirigente, per quanto da esso dipende, non ha bisogno di nulla, a meno di crearsi da sé una necessità, e analogamente a anche immune da turbamenti e ostacoli, a meno che non turbi o ostacoli se stesso.

17           Felicità a un demone buono o [...] buono. Allora che fai qui, rappresentazione? Vattene, in nome degli dai,
come sei venuta: non ho bisogno di te. Sei qui secondo la tua vecchia abitudine; non mi adiro con te: solo, vattene!

18           C’a qualcuno che teme la trasformazione? E cosa può avvenire senza trasformazione? E che cosa vi a di più
caro o familiare alla natura dell’universo? Tu stesso puoi forse prendere un bagno caldo se la legna non si trasforma in

calore? Puoi nutrirti, se il cibo non si trasforma? E che altro, tra le cose utili, può realizzarsi senza trasformazione? Non vedi, quindi, che anche la tua trasformazione a uguale a queste e ugualmente necessaria alla natura dell’universo?

19           Attraverso la sostanza universale passano, come attraverso un torrente, tutti i corpi, i quali condividono la
natura dell’universo e con essa collaborano, come le nostre membra fanno tra loro. …quanti Crisippi, quanti Socrati, quanti Epitteti ha giy ingoiato l’eternity. La stessa considerazione ti si presenti a proposito di qualsiasi uomo e qualsiasi cosa.

20           Di un’unica cosa mi preoccupo: di non trovarmi a fare ciò che la costituzione dell’uomo non vuole, o ad agire
come non vuole o a compiere ciò che al momento non vuole.

21           È prossimo, per te, l’oblio di tutto; prossimo, per tutti, l’oblio di te.

22           Prerogativa propria dell’uomo a amare anche chi sbaglia. E questo si verifica, se ti si presenta il pensiero che si

tratta di parenti e che sbagliano per ignoranza e senza volerlo, e che tra poco entrambi, tu e chi ha sbagliato, sarete morti, e, soprattutto, che costui non ti ha danneggiato, perché non ha reso il tuo principio dirigente peggiore di prima.

23           La natura universale dalla sostanza universale, come dalla cera, ora ha plasmato un cavallo, poi lo ha fuso e ha
usato la sua materia per un albero, poi per un uomo, poi per qualcos’altro; e ciascuno di questi esseri a sorto per durare brevissimo tempo. Ma per un cofanetto non c’a nulla di terribile nell’essere distrutto come neppure nell’essere costruito.

24           Un volto oscurato dall’ira a decisamente contrario a natura: quando più volte [...] alla fine si estingue, così da
non poter più, in alcun modo, essere acceso. Cerca di afferrare bene almeno questo principio, cioa che si tratta di cosa contraria alla ragione. Perché se svaniry anche la percezione dell’errore, quale ragione di vivere restery più?

25           La natura che governa l’universo tra un istante trasformery tutte le cose che vedi, e dalla loro sostanza ne
produrry altre e dalla sostanza di queste altre ancora, perché il cosmo resti sempre giovane.

26           Quando uno sbaglia nei tuoi confronti, considera sùbito quale opinione sul bene o sul male lo ha spinto
all’errore: se riuscirai a capirlo proverai compassione per lui e non sarai più sorpreso né adirato. Infatti, se hai ancora, anche tu, la sua stessa opinione del bene, o ne hai una simile, devi scusarlo; se invece la tua opinione del bene e del male non a più di questo genere, ti sary più facile essere indulgente con chi sbaglia.

27           Non pensare alle cose assenti come se fossero presenti, ma, tra quelle presenti, valuta le più favorevoli e
ricorda, in proposito, come le cercheresti, se non le avessi a disposizione. Ma contemporaneamente bada di non abituarti, essendone così soddisfatto, ad apprezzarle al punto da turbarti se un giorno non ci fossero più.

28           Raccogliti in te stesso. Il principio razionale che ti dirige a per natura autosufficiente, quando agisce secondo
giustizia, e proprio nell’agire così trova pace.

29           Cancella la rappresentazione. Ferma i fili che muovono la marionetta. Circoscrivi l’istante presente del tempo.
Prendi cognizione di ciò che avviene a te o ad altri. Separa e suddividi l’oggetto in fattore causale e fattore materiale. Pensa all’ora estrema. Lascia l’errore di quell’uomo ly dove l’errore a sorto.

30           Applica il pensiero a quanto si dice. Penetra con la mente negli avvenimenti e nei loro fattori.

31           Ilumina te stesso con la semplicity, il pudore e l’indifferenza per ciò che sta a mety tra la virtù e il vizio. Ama il

genere umano. Segui dio. Quello dice: «Tutto a per convenzione, solo gli elementi esistono realmente». È sufficiente ricordare che tutto a per convenzione: a questo punto da ricordare c’a davvero poco.

32           [Sulla morte] O dispersione (nel caso la realty sia costituita da atomi), o altrimenti (nel caso sia un’unity
compatta) estinzione o trasmigrazione.

33           [Sul dolore] Ciò che a insopportabile uccide, ciò che invece perdura a sopportabile; la mente, ritirandosi in se
stessa, mantiene la propria quiete, e il principio dirigente non riceve danno. Quanto alle parti danneggiate dal dolore, dichiarino, se sono in grado, la loro sofferenza.

34           [Sulla fama] Osserva la loro mente, quale natura abbia, quali cose eviti, quali insegua. E osserva che, come gli
strati di sabbia depositandosi gli uni sugli altri nascondono quel che precede, così nella vita i fatti precedenti in un attimo sono nascosti dai fatti che vi si depositano sopra.

35           «A chi dunque ha una mente magnanima e l’attitudine ad abbracciare col pensiero la totality del tempo e
dell’essere, davvero tu credi che la vita umana possa sembrare una cosa molto importante? – Impossibile – disse quello. – E quindi un uomo di questo genere giudichery forse la morte qualcosa di terribile? – No, affatto».

36           «È condizione di un re agire bene ed esser criticato».

37           È vergognoso che il volto si lasci docilmente atteggiare e comporre come ordina la mente, e la mente invece

non sappia atteggiare e comporre se stessa.

38           «Non ci si deve adirare con le cose:
a queste, infatti, non importa nulla».

39           «Agli dai immortali e a noi concedi motivi di gioia».

40           «…mietere la vita come una spiga matura,

e che uno viva, l’altro no».

41           «E se dagli dai siamo stati trascurati io e i miei due figli,
anche questo ha la sua ragione».

42           «Il bene e il giusto sono con me».

43           Non unirsi alle lamentazioni, non sussultare.

44           «A questo potrei giustamente ribattere: hai torto, amico mio, se credi che un uomo di un qualche minimo

valore debba calcolare il rischio di vita e di morte e invece non considerare soltanto se, quando agisce, agisce giustamente o ingiustamente, e da uomo virtuoso o da malvagio».

45           «Perché, Ateniesi, la verità a questa: nel posto dove uno si schiera, perché lo ha giudicato il migliore o perché

gli a stato assegnato dal comandante, in quel posto, a mio parere, deve rimanere e sfidare il pericolo senza dar peso alla morte e a nient’altro più che al disonore».

46           «Mio caro, guarda se la nobiltà d’animo e il bene non siano qualcosa di diverso dal salvare gli altri e se stessi;
se chi a davvero un uomo non debba trascurare la durata della vita e, invece di attaccarvisi tanto, non debba piuttosto rimettere la questione al dio e, credendo a quello che dicono le donne – cioa che nessuno può sfuggire al suo destino -, pensare a vivere nel modo migliore per il tempo che deve vivere».

47           Osserva il corso degli astri, come ruotando insieme con essi, e considera continuamente il reciproco
trasformarsi di un elemento nell’altro: la rappresentazione di queste cose purifica dalla lordura della vita su questa terra.

48           [Bello il pensiero di Platone!] E parlando degli uomini occorre anche osservare le cose terrene come da un
luogo elevato si guarda verso il basso: mandrie, eserciti, campi coltivati, matrimoni, divorzi, nascite, morti, clamore di tribunali, terre deserte, popolazioni barbariche varie, feste, lamentazioni, mercati, tutto questo gran miscuglio e l’armonioso ordine che nasce dagli opposti.

49           Ripercorri nella mente il passato, tanti mutamenti di imperi e dominazioni; si può anche prevedere il futuro:
sarà del tutto simile; e non a possibile uscire dal ritmo degli eventi attuali, per cui indagare la vita umana per quaranta anni o per diecimila a esattamente la stessa cosa. Infatti, cosa potrai vedere di più?

50           E:

ciò che a nato dalla terra torna

alla terra, e le stirpi germogliate dall’etere

tornano alla volta eterea;

in altri termini: dissolvimento dei reciproci legami degli atomi e una consimile dispersione degli elementi non passibili.

51           E:

cercando con cibi, bevande e incantesimi

di deviare il corso del destino, per non dover morire.

Il vento che spira dagli dai a necessario

sopportare, soffrendo senza lamenti.

52           Più abile nella lotta, non però più incline al bene comune, né più pudico, né più disciplinato verso gli
avvenimenti, né più indulgente verso gli errori del prossimo.

53           Là dove un’azione può essere compiuta secondo la ragione comune agli dai e agli uomini, non vi a nulla da
temere: perché là dove si può conseguire un vantaggio tramite un’attività che avanzi per la retta via e proceda conforme alla costituzione del soggetto, non si deve temere nessun danno.

54           Ovunque e continuamente a in tuo potere, esprimendo devozione agli dai, sentirti appagato dalla situazione
presente, comportarti secondo giustizia con gli uomini presenti e applicarti scrupolosamente alla rappresentazione presente, perché non vi si insinui nulla che non sia stato compreso a fondo.

55           Non volgerti intorno a guardare i principî dirigenti degli altri, ma guarda dritto a quale meta ti guidi la natura -
sia la natura universale, per mezzo degli avvenimenti che ti toccano, sia la tua, per mezzo dei doveri che ti attendono. Il dovere di ciascuno, d’altronde, a di fare quel che consegue alla sua costituzione; ora, mentre gli altri esseri sono stati costituiti per gli esseri razionali – e, del resto, in ogni altra situazione gli esseri inferiori sono costituiti per quelli superiori -, gli esseri razionali sono stati costituiti gli uni per gli altri. Quindi il valore eminente nella costituzione dell’uomo a l’inclinazione a vivere in società; al secondo posto viene la facoltà di non cedere alle passioni del corpo; infatti a proprio del movimento della ragione e dell’intelletto circoscrivere se stesso e non risultare mai inferiore al movimento dei sensi e a quello degli impulsi, poiché questi ultimi sono entrambi movimenti animali, mentre il movimento dell’intelletto vuole avere il primato e non essere dominato da quelli. Giustamente, senza dubbio, perché a nella sua natura disporre e servirsi di tutti quelli. La terza caratteristica, nella costituzione dell’essere razionale, a non esser precipitoso nei giudizi e non lasciarsi ingannare. Attenendosi a queste peculiarità, quindi, il principio dirigente percorra la retta via: e avrà ciò che a suo.

56           Fa conto di esser morto, di aver concluso ora la tua esistenza: devi vivere il resto dei tuoi giorni come un di
più, secondo natura.

57           Ama unicamente quello che ti accade e viene intrecciato nella tua vita. Che può esservi di più appropriato?

58           Ad ogni singolo accadimento tieni davanti agli occhi coloro cui accadevano le stesse cose, dopodiché

soffrivano, si stupivano, si lamentavano: e adesso quelli dove sono? In nessun luogo. E allora? Vuoi comportarti anche tu allo stesso modo? Non preferisci invece lasciare i turbamenti a te estranei a chi turba e a chi si lascia turbare, e dedicarti per intero a capire quale uso fare degli eventi? Infatti potrai farne buon uso e ne avrai materia per agire, purché tu presti attenzione e desideri essere virtuoso in tutto ciò che fai; e purché ti ricordi di ambedue le cose, che [...] e importante ciò su cui verte l’azione.

59           Scava dentro di te. Dentro a la fonte del bene, e può sgorgare perenne, se perenne a il tuo scavo.

60           Bisogna anche che il corpo sia saldo e non venga agitato, né in movimento né in quiete. Bisogna esigere anche

per l’intero corpo un risultato analogo a quello che la mente ottiene nel caso del volto, che essa sa conservare composto e decoroso. Ma a tutto questo si deve provvedere senza affettazione.

61           L’arte di vivere a più simile all’arte della lotta che a quella della danza, in quanto ci si deve sempre tener pronti
e ben saldi contro gli accidenti imprevisti.

62           Esamina continuamente chi siano costoro che tu vuoi ti facciano da testimoni, e quali principî dirigenti

abbiano. Guardando alle fonti della loro opinione e del loro impulso, infatti, non dovrai lamentarti di chi sbaglia involontariamente e non avrai bisogno della loro testimonianza.

63           «Ogni anima – dice – viene privata della verità contro il suo volere»; e così pure a privata della giustizia, della
temperanza, della benevolenza e di ogni consimile virtù. Ricordarsi continuamente di questo a quanto di più necessario: così sarai più indulgente con tutti.

64           Ad ogni dolore, sia a portata di mano la considerazione: «Non si tratta di cosa turpe e non rende peggiore la
mente che sta al timone: infatti non la danneggia né in quanto essa a razionale, né in quanto a disposta alla vita sociale». Ma nella maggior parte dei dolori ti soccorra anche la massima di Epicuro, cioa che il dolore non a insopportabile né eterno, se ricordi i suoi limiti e nel giudicarlo non aggiungi fantasie. E ricorda anche questo: molte sensazioni fastidiose sono uguali, benché non ce ne accorgiamo, al dolore: il torpore della sonnolenza, per esempio, il caldo soffocante, l’inappetenza. Perciò, ogni volta che ti senti afflitto da una di queste sensazioni, di’ a te stesso: «Stai cedendo al dolore».

65           Vedi di non provare mai per le persone disumane quello che gli uomini provano per gli uomini.

66           Da dove possiamo sapere se Telauge non avesse una disposizione morale superiore a quella di Socrate? Non

basta, infatti, che Socrate abbia avuto una morte più gloriosa, che disputasse più abilmente con i sofisti, che abbia rivelato la sua straordinaria resistenza fisica nel passare la notte al gelo, che, ricevuto l’ordine di arrestare quell’uomo di Salamina, abbia così nobilmente ritenuto di trasgredirlo, e che per la strada camminasse con aria spavalda – fatto, questo, su cui bisognerebbe soffermarsi con molta attenzione, se fosse vero. Occorre invece esaminare questo: quale anima avesse Socrate, se sapesse accontentarsi di essere giusto nei rapporti con gli uomini e pio nei rapporti con gli dai, senza irritarsi gratuitamente contro la malvagità, senza esser schiavo dell’ignoranza di alcuno, senza ricevere come estraneo e subire come intollerabile nulla di ciò che, entro l’ordine universale, gli veniva assegnato, e senza permettere all’intelletto di partecipare alle passioni della carne.

67           La natura non ti ha mescolato nel composto universale in modo tale da non permetterti di circoscrivere te
stesso e sottoporre al tuo dominio le cose che sono davvero tue; a più che possibile, infatti, diventare un uomo divino e non essere riconosciuto come tale da alcuno. Ricordatene sempre, e ricorda anche che la vita felice si basa su pochissime cose; e, se hai perso la speranza di poter diventare un dialettico o un fisico, non disperare per questo di poter diventare libero, pudico, atto alla vita sociale e obbediente a dio.

68           Trascorri la vita senza costrizione, nella più profonda gioia dell’anima, anche se tutti ti ingiuriano gridandoti
tutto quello che vogliono, anche se le belve lacerano le misere membra di questo impasto che ti a cresciuto intorno. Cosa impedisce, infatti, che in mezzo a tutto questo la mente conservi la propria calma, il giudizio veritiero sulle circostanze e il pronto uso degli oggetti ad essa sottoposti? In maniera tale che il giudizio dica a ciò che gli si presenta; «Nella sostanza sei questo, anche se all’opinione sembri diverso», e l’uso dica a ciò che ricade nel suo àmbito: «Sei proprio tu quello che cercavo: perché per me quanto di volta in volta a presente a sempre materia per la virtù razionale e sociale e, in breve, per l’arte dell’uomo o del dio». Infatti ogni evento diviene familiare a dio o all’uomo e non a nuovo né difficile da maneggiare; anzi, a ben noto e facile all’impiego.

69           La completa realizzazione etica include questo: trascorrere ogni giorno come l’ultimo, senza sussulti, senza
torpore, senza recite.

70           Gli dai pur essendo immortali non si indignano di esser destinati a sopportare perennemente, in una così vasta
eternità, tanti e tali esseri meschini: anzi, si prendono cura di essi in ogni modo possibile. E tu, che tra un istante finirai, ti arrendi? Tu che oltre tutto sei uno di quegli esseri meschini?

71           È ridicolo non cercare di sottrarsi alla propria malvagità, come sarebbe possibile, e cercare di sottrarsi a quella
degli altri, cosa impossibile.

72           La facoltà razionale e sociale giudica legittimamente inferiore a sé tutto ciò che le risulti sprovvisto di intelletto
e di inclinazione alla società.

73           Quando tu hai fatto del bene e un altro lo ha ricevuto, qual a il terzo risultato che insegui, come gli sciocchi,
oltre a questi due? La fama di benefattore? O il contraccambio?

74           Nessuno si stanca di ricevere benefici. I benefici sono azioni secondo natura: quindi non stancarti di riceverne,
nel momento in cui ne fai.

75           La natura dell’universo seguì l’impulso di costruire il cosmo. Ora, o tutto ciò che avviene avviene in
conseguenza di quell’atto, oppure sono irrazionali anche le cose più importanti, verso le quali il principio dirigente del cosmo orienta un particolare impulso. Questo principio, richiamato alla memoria, ti renderà più sereno verso molte cose.

LIBRO VIII

1              Anche questa constatazione porta a sopprimere ogni vanità: non puoi più cogliere l’obiettivo di un’intera

esistenza – o almeno dell’età seguita alla giovinezza -, vissuta da filosofo; anzi, a ormai chiaro a molti, e anche a te stesso, che resti lontano dalla filosofia. La confusione in cui sei caduto a tale che non ti a più facile acquisire la fama di filosofo; e vi si oppongono i presupposti della tua vita. Allora, se hai veramente visto dove sta il punto fondamentale, lascia perdere cosa si penserà di te: e accontantati se potrai vivere il resto della vita, quanto mai possa essere, come

vuole la tua natura. Rifletti, quindi, su cosa essa vuole, e non lasciarti distrarre da nient’altro, perché hai già sperimentato per quante vie hai dovuto vagare senza trovare in nessun luogo la vita felice – non nei sillogismi, non nella ricchezza, non nella fama, non nel godimento: in nessun luogo. Dov’a, allora? Nel fare ciò che esige la natura dell’uomo. E l’uomo come potrà farlo? Se avrà dei principî all’origine dei suoi impulsi e delle sue azioni. Quali principî? Quelli intorno al bene e al male: cioa che nulla a bene per l’uomo se non lo rende giusto, temperante, forte, liberale, e nulla a male, se non produce in lui i vizi opposti.

2              Ad ogni singola azione interroga te stesso: «Cosa significa quest’azione per me? Non dovrò poi pentirmene?».
Tra un attimo sono morto e tutto a sparito. Se l’azione presente a quella di un essere dotato di intelletto, incline al vivere sociale, che ha le stesse leggi di dio, che cosa cerco di più?

3              Alessandro, Caio e Pompeo che cosa sono di fronte a Diogene ed Eraclito e Socrate? Questi ultimi, infatti,
videro la realtà, le cause e le materie, e i loro principî dirigenti erano autonomi: là, invece, di quante cose preoccuparsi, e di quante essere schiavi!

4              Faranno non di meno le medesime cose, anche se crepi.

5              Per prima cosa non turbarti: tutto, infatti, a secondo la natura dell’universo e tra breve non sarai più nessuno, in

nessun luogo, come Adriano, come Augusto. Poi concentra il tuo sguardo sulla cosa in sé e, ricordando che devi essere un uomo virtuoso e che cosa esige la natura dell’uomo, fallo senza voltarti indietro e parla nel modo che ti sembra più giusto: ma con benevolenza, con discrezione, e senza ipocrisia.

6              La natura dell’universo si occupa di questo: trasportare là le cose che sono qui, trasformarle, prenderle da una
parte e portarle dall’altra. Tutto a mutamento, senza che con ciò si debba temere qualcosa di nuovo: tutto a consueto. E, analogamente, le attribuzioni della sorte sono sempre uguali.

7              Ogni natura a paga di procedere felicemente per la propria via; e una natura razionale procede felicemente se,
tra le rappresentazioni, non dà l’assenso a una che sia falsa o oscura; se indirizza gli impulsi esclusivamente alle azioni utili alla comunità; quanto agli appetiti e alle avversioni, se ne limita il regime alle cose che dipendono da noi, e abbraccia di cuore tutto ciò che le viene attribuito dalla natura comune. Infatti a parte di essa, come la natura della foglia a parte della natura della pianta; tranne che, in questo caso, la natura della foglia a parte di una natura insensibile, irrazionale e assoggettabile a impedimento, mentre la natura dell’uomo a parte di una natura non assoggettabile a impedimento, dotata di intelletto e giusta, considerato che a ciascuno assegna porzioni di tempo, sostanza, causa, attività, ed evento che sono equivalenti e rispondono al merito. Non verificare, però, l’equivalenza del singolo fattore con il singolo fattore in ogni essere, ma l’equivalenza complessiva tra tutti i fattori di una cosa e tutti i fattori dell’altra.

8              Non a possibile leggere. Ma a possibile respingere la prepotenza; a possibile dominare piaceri e dolori; a
possibile sollevarsi al di sopra della fama; a possibile non adirarsi con gli insensibili e gli ingrati, e, in più, prendersi cura di loro.

9              Che nessuno, neppure tu stesso, debba più sentirti criticare la vita di corte.

10           Il pentimento a una sorta di rimprovero che uno fa a se stesso per aver tralasciato qualcosa di utile; ma a il bene

che deve costituire qualcosa di utile, e l’uomo moralmente superiore deve praticarlo; nessun uomo moralmente superiore, però, potrebbe mai pentirsi di aver tralasciato qualche piacere: pertanto il piacere non a una cosa utile né un bene.

11           Cos’a, questo, in sé e per sé, nella propria particolare costituzione? Qual a la sua componente sostanziale e
materiale? Quale la sua componente causale? Cosa fa nel cosmo? Per quanto tempo sussiste?

12           Quando ti pesa svegliarti, ricorda che produrre azioni rivolte al bene comune a conforme alla tua costituzione e
alla natura umana, mentre dormire a comune anche agli esseri irrazionali; e ciò che per ciascuno a conforme a natura gli a più appropriato e congeniale, e anche più gradito.

13           Continuamente e, se possibile, ad ogni rappresentazione, applica la scienza della natura, la scienza delle
passioni, la dialettica.

14           Chiunque tu incontri, comincia sùbito col dire a te stesso: «Quest’uomo quali principî ha sul bene e sul male?».
Perché se ha principî di un certo genere sul piacere e sul dolore e sui fattori dell’uno e dell’altro, sulla notorietà e l’oscurità, sulla morte e la vita, non mi risulterà affatto strano o sorprendente che possa agire in un certo modo, e ricorderò che a inevitabile che agisca così.

15           Ricorda che, come non fa onore stupirsi che un fico produca dei fichi, così non fa onore stupirsi che il cosmo
produca questo genere di cose, di cui a produttore; ed al medico e al timoniere non fa onore stupirsi, il primo, che il tale abbia preso la febbre, il secondo, che si sia levato un vento contrario.

16           Ricorda che mutare opinione e seguire chi ti corregge a egualmente segno di libertà. Infatti a attività tua, che si
compie secondo il tuo impulso e giudizio e, in particolare, secondo il tuo intelletto.

17           Se dipende da te, perché lo fai? Se dipende da altri, con chi te la prendi? Con gli atomi o con gli dai? In
entrambi i casi a da folli. Non bisogna prendersela con nessuno. Infatti: se puoi, correggi la persona; se non puoi, correggi almeno quello che ha fatto; se non puoi fare neppure questo, a che ti giova prendertela? Non bisogna fare nulla che non abbia senso.

18           Ciò che a morto non cade fuori del cosmo. Se rimane qui, qui anche si trasforma e si dissolve nei propri
elementi, che sono gli elementi del cosmo e i tuoi. Anch’essi si trasformano, e non mormorano.

19           Ogni singolo essere esiste per uno scopo: il cavallo, la vite… Perché ti stupisci? Anche il sole dirà: «Esisto per
un determinato cómpito», e così pure gli altri dai. E tu, allora, per quale scopo esisti? Per godere? Vedi tu se il concetto sia ammissibile.

20           Per ciascun essere la natura ha avuto di mira la fine dell’esistenza, non meno che il suo inizio e il suo corso,

proprio come chi lancia la palla: ora, quale bene ha mai la palla nel salire, quale male nello scendere o nell’essere giy caduta a terra? E quale bene ha la bolla intatta, quale male la bolla scoppiata? Lo stesso dicasi anche per una lucerna…

21           Rivoltalo e guarda com’a, come diventa nella vecchiaia, nella malattia, nella lussuria.

Ha vita breve chi loda e chi a lodato, chi ricorda e chi a ricordato, per di più nel cantuccio di questa zona del mondo, dove non sono neppure tutti d’accordo tra loro: anzi, neppure ciascuno con se stesso. E la terra intera a un punto.

22           Fai attenzione all’oggetto o all’attivity o al principio o al significato.

È quello che ti meriti! Tu preferisci diventare virtuoso domani invece che esserlo oggi.

23           Faccio qualcosa? Lo faccio riferendolo a un beneficio per gli uomini. Mi succede qualcosa? Lo accetto
riferendolo agli dai e alla fonte di tutto, da cui provengono, in stretta connessione, tutti gli eventi.

24           Come ti si presenta il bagno – olio, sudore, sporco, acqua unta, tutte cose ripugnanti -, così a ogni parte della
vita e ogni oggetto.

25           Lucilla ha seppellito Vero, poi a morta Lucilla; Seconda ha seppellito Massimo, poi Seconda a morta;
Epitincano ha seppellito Diotimo, poi a morto Epitincano; Antonino ha seppellito Faustina, poi a morto Antonino. È sempre così: Celere ha seppellito Adriano, poi a morto Celere. E quegli uomini d’ingegno, o preveggenti, o boriosi, dove sono? Ad esempio, tra gli uomini d’ingegno, Carace, Demetrio il Platonico e Eudemone e tutti gli altri come loro? Tutto effimero, morto da tempo: alcuni non sono stati ricordati neppure per poco, altri si sono trasformati in personaggi leggendari, altri ancora, ormai, sono cancellati anche dalla leggenda. Ricorda questo, dunque: necessariamente il tuo aggregato verry disperso ovvero il tuo soffio vitale si estinguery o trasmigrery e sary disposto altrove.

26           La gioia per l’uomo a fare ciò che a proprio dell’uomo. E proprio dell’uomo a la benevolenza verso i propri
simili, il disprezzo dei movimenti dei sensi, il vaglio delle rappresentazioni verosimili, la contemplazione della natura universale e di ciò che avviene in conformity ad essa.

27           Tre rapporti: uno con il recipiente che ci contiene, un altro con la causa divina dalla quale deriva tutto ciò che
accade a tutti, il terzo con chi ci vive accanto.

28           O il dolore a male per il corpo – e allora sia il corpo a dichiararlo -, o per l’anima; ma all’anima a consentito
mantenere la propria serenity e la propria calma e non formarsi l’opinione che si tratti di un male. Infatti ogni giudizio, ogni impulso, ogni appetito e avversione a dentro di noi, e nessun male penetra fino a qui.

29           Cancella le rappresentazioni dicendo continuamente a te stesso: «Ora dipende da me che in quest’anima non vi
sia alcuna malvagity, alcun desiderio, in breve: alcun turbamento; invece, osservando ogni cosa quale davvero a, mi servo di ciascuna secondo il suo valore». Ricorda questa facolty.

30           Parla conforme a natura, in senato e con chiunque: con decoro, senza affettazione; usa un linguaggio sincero.

31           La corte di Augusto: moglie, figlia, nipoti, figliastri, sorella, Agrippa, parenti, familiari, amici, Ario, Mecenate,

medici, sacrificanti: tutti morti, la corte intera. Poi passa alle altre [...] non la morte di un solo uomo, per esempio dei Pompei. E considera anche l’espressione che si incide sulle lapidi tombali: «ultimo della propria gente», pensa quanta pena si sono dati i suoi avi per lasciare un successore, mentre poi, inevitabilmente, arriva uno che a l’ultimo. Nuovamente tutti morti: anche qui, un’intera famiglia.

32           Bisogna comporre la vita un’azione per volta, e accontentarsi che ogni singola azione ottenga il suo risultato
nei limiti del possibile: nessuno può impedirti che lo ottenga. «Ma sorgery qualche ostacolo esterno». Non sary, comunque, nulla che possa impedire una condotta giusta, temperante e razionale; forse ne verry ostacolata qualche altra attivity, ma accettando serenamente l’impedimento stesso e accingendosi di buon grado a compiere ciò che a consentito subentra immediatamente un’altra azione che si accordery con la costruzione di cui stiamo parlando.

33           Prendi senza ostentare, lascia senza fare resistenza.

34           Se ti a mai capitato di vedere una mano troncata via, o un piede, oppure una testa spiccata che giace da qualche

parte, lontano dal resto del corpo – ebbene, tale si rende, per quanto dipende da lui, chi non vuole ciò che accade e si recide dall’universo, o chi compie un’azione contraria al bene comune. Ti sei sbalzato via, in un qualche angolo, isolandoti da quell’unione che a conforme a natura: eri nato come parte, e ora ti sei scisso. Ma a qui che sta il fatto grandioso: puoi di nuovo tornare a quell’unione. Il dio non ha consentito a nessun’altra parte, una volta che si sia separata e recisa, di tornare ad unirsi. Ma osserva la bonty con cui ha voluto onorare l’uomo: gli ha dato il potere, all’inizio, di non separarsi dal tutto, e, quando proprio se ne sia separato, di ritornarvi, di aderire un’altra volta allo stesso organismo e di riprendere il suo posto di parte.

35           Come la natura degli esseri razionali [...] le altre facolty a ciascuno degli esseri razionali, così abbiamo preso da
essa anche questa: nello stesso modo in cui essa ribalta tutto ciò che la ostacola e la contrasta, e lo dispone nell’ordine del destino e ne fa una parte di se stessa, così anche l’essere razionale può fare di ogni impedimento materia di se stesso, e può usarlo per il fine – qualunque esso sia – a cui lo dirigeva l’impulso.

36           Non ti deve confondere la rappresentazione della vita intera. Non abbracciare col pensiero quali e quante
sofferenze, alla fine, a probabile che avrai dovuto sopportare, ma, nel momento in cui ciascuna si presenta, chiedi a te stesso cosa vi sia in questo fatto di insopportabile, di insostenibile. Avrai vergogna di ammettere che possa esservi qualcosa di simile. E poi ricorda a te stesso che non a il futuro né il passato ad opprimerti, ma sempre il presente. Questo, però, si riduce di molto, se lo isoli nei suoi confini, e se metti sotto accusa la tua mente quando essa non sia capace di resistere a un presente così inerme.

37           Pantea o Pergamo siedono forse ancora presso la tomba di Vero? E Cabria o Diotimo presso quella di Adriano?
Che ridicolaggine! E se fossero seduti lì, Vero e Adriano potrebbero mai accorgersene? E se se ne accorgessero,

potrebbero mai gioirne? E se ne gioissero, i loro liberti diventerebbero immortali? Non era forse destino che anche costoro prima invecchiassero, poi morissero? E poi, quando costoro fossero morti, cosa avrebbero dovuto fare i loro signori?

38           Tutto questo a fetore e sangue corrotto in un sacco: se hai la vista acuta, usala.

39           «Giudicando – come dice – con i più sapienti…», non vedo nella costituzione dell’essere razionale una virtù che

insorga contro la giustizia: contro il piacere, invece, vedo insorgere la continenza.

40           Se sopprimi la tua opinione circa quello che pare affliggerti, ti sei collocato tu stesso nella posizione più sicura.
«Tu stesso: chi?». La ragione. «Ma io non sono la ragione». D’accordo: allora a la ragione che non deve affliggere se stessa. E se a un’altra parte di te che patisce, sta a questa formulare un’opinione su di sé.

41           L’impedimento della sensazione a un male della natura animale; l’impedimento dell’impulso a, ancora, un male,
della natura animale. Analogamente, c’a qualcos’altro che impedisce e danneggia la costituzione vegetale. Così, dunque, l’impedimento dell’intelletto a un male della natura intellettiva. Trasferisci tutto ciò a te stesso. Il dolore, il piacere ti toccano? Se la vedrà la sensazione. È sorto un ostacolo al tuo impulso? Se il tuo impulso a senza riserva, a questo punto si tratta già di un male che ti colpisce in quanto essere razionale; ma se afferri il concetto generale non sei ancora stato danneggiato né impedito. Nessun altro, però, suole impedire le attività proprie dell’intelletto, poiché questo non può essere sfiorato dal fuoco, dal ferro, dal tiranno, dalla calunnia, da qualsivoglia cosa: quando diviene «una sfera perfettamente tonda», tale rimane.

42           Non a giusto che io affligga me stesso: infatti non ho mai afflitto, volontariamente, nessun altro.

43           Chi si rallegra di questo, chi di quello: io mi rallegro se il mio principio dirigente a sano, se non prova

avversione per nessun essere umano e per nulla di ciò che avviene agli esseri umani, ma guarda tutto con occhi benevoli, accetta tutto, e di ogni singola cosa fa uso secondo il suo valore.

44           Questo tempo presente concedilo a te stesso. Chi preferisce inseguire una fama presso i posteri non calcola che
i posteri saranno altri uomini dello stesso stampo di quelli attuali, che egli non regge; e anche i posteri saranno mortali. Insomma, che ti importa che un domani quelli accompagnino il tuo nome con determinate espressioni o abbiano una determinata opinione su di te?

45           Prendimi e gettami dove vuoi. Là, infatti, manterrò il mio demone sereno, cioa pago di avere una disposizione
e un’attività conformi a ciò che risponde alla sua costituzione.

Il valore di questa cosa a forse tale che per essa la mia anima debba subire un turbamento e divenire peggiore, avvilendosi, bramando, facendosi anch’essa sommergere, spaventandosi? E cosa troverai che abbia tanto valore?

46           A nessun uomo può accadere qualcosa che non sia un’evenienza connessa con la condizione dell’uomo, né al
bue qualcosa che non sia connesso con la condizione del bue, né alla vite ciò che non sia connesso con quella della vite, né alla pietra ciò che non sia proprio della pietra. Se dunque a ciascun essere accade ciò che a abituale e naturale, perché dovresti irritarti? La natura comune, infatti, non ti ha portato nulla di insopportabile.

47           Se soffri per una cosa esterna, non a quella che ti disturba, ma il tuo giudizio su di essa. Ma a in tuo potere
cancellare sùbito questo giudizio. Se invece soffri per qualcosa che rientra nella tua disposizione interiore, chi potrà impedirti di correggere il tuo parere? E così pure, se soffri a non fare questa determinata cosa che ti pare valida, perché non la fai, invece di soffrire? «Ma c’a un ostacolo più forte di me». Allora non soffrire: non a in te la causa del tuo mancato agire. «Ma non vale la pena di vivere se non posso compiere questa azione». Esci dalla vita, allora, con animo ben disposto, così come muore chi quest’azione può compierla, e insieme sereno verso ciò che ti ostacola.

48           Ricorda che il principio dirigente diviene invincibile quando, raccoltosi in sé, a pago di non fare ciò che non
vuole, anche se non ha ragione di opporsi. Che dire poi, quando giudica di qualcosa con scrupoloso raziocinio? Per questo la mente libera da passioni e un’acropoli: l’uomo, infatti, non ha nulla di più saldo in cui possa rifugiarsi per divenire per sempre imprendibile. Ora, chi non ha visto questo baluardo a un ignorante; chi lo ha visto e non vi si rifugia a uno sventurato.

49           Non dire a te stesso niente di più di quello che ti annunciano le rappresentazioni immediate. Ti a stato riferito
che il tale parla male di te. Ti a stato riferito questo, non che ne hai subito un danno. Vedo che il bambino a malato. Vedo questo, non vedo che il bambino a in pericolo. Così rimani sempre alle prime rappresentazioni, senza aggiungere nulla di tuo dall’interno, e non ti succederà niente; meglio: aggiungi pure, ma come chi sa riconoscere ogni singolo evento nel cosmo.

50           Un cetriolo amaro? Gettalo via. Rovi sulla strada? Scòstati. Basta questo, non aggiungere: «Ma perché nel
cosmo esistono queste cose?», altrimenti ti farai deridere da chi a esperto nella scienza della natura, come riderebbero di te un falegname e un calzolaio se tu avessi da ridire perché nel loro laboratorio vedi trucioli e ritagli di quello che stanno fabbricando. Eppure essi hanno almeno dove gettarli: mentre la natura dell’universo non ha nulla all’esterno, e il fatto prodigioso della sua arte a che, dopo essersi circoscritta trasforma in sé tutto ciò che al suo interno appare corrompersi, invecchiare e divenire inutile, e da questo stesso materiale ricava nuovi prodotti, in modo da non aver bisogno di sostanza da prelevare dall’esterno e da non richiedere un luogo dove espellere la materia deperita. Le basta, quindi, il suo spazio, la sua materia e l’arte che le a propria.

51           Non essere trascurato nelle tue azioni né confuso nel parlare, non vagare tra le rappresentazioni; con l’anima
non ritrarti completamente, o, all’estremo opposto, non sbalzarti fuori; nella vita non privarti di ogni tempo libero. Uccidono, squartano, inveiscono con maledizioni: ma tutto questo in che cosa impedisce alla mente di restare pura, lucida, saggia, giusta? Sarebbe come se uno si fermasse ad una fonte d’acqua limpida e dolce e la insultasse: la fonte, naturalmente, non smette di far sgorgare la sua acqua pura; e anche se quello vi getta dentro del fango o dello sterco, la

sorgente in un momento lo disperderà e lo porterà via, e non ne resterà minimamente inquinata. Come potrai, dunque, avere in te una sorgente perenne? Se in ogni istante ti manterrai libero, con benevolenza, semplicità e discrezione.

52           Chi non sa che c’a un cosmo, non sa dove egli stesso si trovi. E chi non sa per quale scopo il cosmo esista, non
sa chi sia egli stesso, né cosa sia il cosmo. Chi ha tralasciato uno solo di questi punti non può neppure dire per quale scopo egli stesso esista. Chi ti sembra, dunque, colui che [...] la lode di quelli che applaudono, i quali non sanno né dove siano, né chi siano?

53           Vuoi essere lodato da un uomo che maledice se stesso tre volte all’ora? Vuoi piacere a un uomo che non piace a
se stesso? Piace a se stesso chi si pente di quasi tutto quello che fa?

54           Non limitarti più a respirare insieme con l’aria che ci circonda: ormai devi anche pensare insieme con
l’intelletto che comprende e circonda ogni cosa. La facoltà razionale, infatti, a diffusa ovunque e permea chi a capace di attingere da essa, non meno di quanto l’aria permei chi può respirarla.

55           Parlando in generale, la malvagità non danneggia affatto il cosmo, e la malvagità individuale non danneggia
assolutamente gli altri, ma a dannosa soltanto per colui che ha anche il potere di liberarsene, non appena lo voglia.

56           Per la mia facoltà di esprimere la scelta etica primaria l’analoga facoltà del prossimo a altrettanto indifferente
quanto il suo povero soffio vitale e la sua povera carne. Infatti, anche se esistiamo, quanto più a possibile, gli uni per gli altri, tuttavia i nostri principî dirigenti hanno ciascuno la propria sovranità: poiché altrimenti la malvagità del prossimo finirebbe per essere il mio male, ciò che dio non ha voluto, per evitare che altri avessero il potere di rendermi infelice.

57           La luce del sole sembra essere diffusa – e in effetti a diffusa ovunque -, e tuttavia non a effusa: questo
diffondersi, infatti, a un estendersi. I suoi fulgori, pertanto, ricevono il nome di raggi per il fatto che si irradiano. E puoi vedere di che natura sia un raggio se osservi la luce del sole penetrare in una camera buia attraverso una stretta fessura: si estende dritta avanti a sé e in certo modo si appoggia su qualunque oggetto solido le si opponga precludendole l’aria che si trova al di là dell’oggetto stesso; qui il raggio si ferma e non scivola né cade. Ebbene, così deve scorrere e diffondersi il pensiero: non effondersi, ma distendersi, e non giungere a un impatto violento e dirompente con gli ostacoli che incontra, e neppure cadere, ma arrestarsi e illuminare l’oggetto che lo riceve. Sarà l’oggetto che non riflette la sua luce a privarsene.

58           Chi teme la morte, teme o l’insensibilità o una diversa sensibilità. Ma se non avrai più sensibilità, non sentirai
neppure alcun male; se avrai una sensibilità diversa, sarai un essere diverso e non cesserai di vivere.

59           Gli uomini esistono gli uni per gli altri: quindi insegna loro o sopportali.

60           Altro a il moto della freccia, altro il moto dell’intelletto; eppure l’intelletto, quando procede con cautela e

quando si concentra nel suo esame, si muove diritto e verso l’obiettivo non meno della freccia.

61           Penetra nel principio dirigente di ciascuno, ma permetti anche a chiunque altro di penetrare nel tuo.

LIBRO IX

1              Chi commette ingiustizia commette empietà: infatti, poiché la natura universale ha prodotto gli esseri razionali

gli uni per gli altri, così che si aiutino reciprocamente secondo il merito di ciascuno, e non si danneggino in modo alcuno, chi trasgredisce il suo volere a, evidentemente, empio verso la più venerabile delle divinità. Anche chi mentisce commette empietà verso la stessa dea: perché la natura universale a la natura degli esseri, e gli esseri sono intimamente legati con le cose che esistono. Per di più, essa viene anche chiamata verità ed a la causa prima di ogni verità: quindi chi mentisce volontariamente commette empietà in quanto ingannando commette ingiustizia; chi invece lo fa involontariamente, commette ingiustizia in quanto entra in dissidio con la natura universale e ne turba l’ordine combattendo contro la natura del cosmo. Impugna le armi, infatti, chi di propria iniziativa muove verso il contrario della verità: dalla natura aveva inizialmente ricevuto i fondamenti necessari, ma li ha abbandonati e non a più in grado di discernere il falso dal vero. E ancora: commette empietà anche chi insegue il piacere come bene e fugge il dolore come male; a inevitabile che una persona del genere critichi spesso la natura comune, convinto che essa agisca contro il giusto merito nell’assegnare qualcosa alle persone dappoco e agli uomini di valore, dato che sovente i primi vivono nei piaceri e conseguono ciò che produce piacere, mentre i secondi incorrono nel dolore e in quello che lo causa. Inoltre: chi teme i dolori prima o poi avrà timore anche di ciò che avverrà nel cosmo, e già questo a un’empietà. E chi insegue i piaceri non si asterrà dal commettere ingiustizia: e questo a palesemente empio. Mentre chi vuole seguire la natura deve essere parimenti concorde verso ciò che la natura comune include in pari misura – non avrebbe prodotto entrambe le cose, infatti, se non avesse pari rapporto con entrambe -: pertanto chi non ha pari rapporto con il dolore e il piacere, o la morte e la vita, o la fama e l’oscurità, di cui la natura universale fa pari uso, commette evidentemente empietà. Dico che la natura universale fa uso indifferente di queste cose nel senso che accadono indifferentemente, in conformità agli eventi e alle loro conseguenze, per un impulso originario della provvidenza, in virtù del quale la provvidenza procedendo da un’origine ha dato impulso a questo ordinamento cosmico, avendo concepito determinate ragioni delle cose future e definito forze atte a generare sostanze, trasformazioni e consimili successioni.

2              Una persona di animo elevato dovrebbe uscire dalla vita senza conoscere il sapore della menzogna, di qualsiasi
forma di ipocrisia, mollezza e vanità. Spirare, per lo meno, provando nausea per queste cose a, in mancanza di altro, la seconda navigazione da scegliere. Oppure la tua scelta era proprio di restare ancorato al male, e neppure l’esperienza ti persuade ancora a fuggire dalla peste? Perché a veramente peste la corruttela della mente, molto più di quella perniciosa

alterazione dell’aria che ci circonda: questa, infatti, a la peste degli esseri viventi in quanto tali, mentre quella a la peste degli uomini in quanto uomini.

3              Non disprezzare la morte, ma accettala di buon grado, in quanto anche questa a una delle cose volute dalla
natura. Come il compimento della giovinezza e della vecchiaia, lo sviluppo e il pieno rigoglio, la dentizione, lo spuntare della barba, l’incanutire, e l’ingravidare, la gravidanza, il parto e tutte le altre attivity naturali che giungono con le stagioni della vita, così a anche il dissolvimento stesso. Questa, quindi, a la condotta dell’uomo che ragiona: non porsi, di fronte alla morte in termini troppo generici, oppure di rifiuto o sdegno, ma attenderla come una delle operazioni naturali. E come ora attendi il momento in cui dal ventre di tua moglie usciry un bimbo, così aspetta il momento in cui la tua anima si sfilery da questo involucro. E – se vuoi anche una regola che non a filosofica, ma sa arrivare al cuore – ti rendery ben disposto alla morte soprattutto considerare gli oggetti da cui stai per staccarti, e con quali caratteri la tua anima non dovry più essere mescolata. Perché, anche se non bisogna assolutamente porsi in urto con essi, ed anzi bisogna prendersene cura e sopportarli con pazienza, non devi tuttavia dimenticare che il tuo non sary un distacco da uomini che condividano i tuoi stessi principî. Questa sarebbe, se mai, l’unica ragione a far da contrappeso e a tenerti attaccato alla vita: la possibility, cioa, di convivere con persone che si sono dotate dei tuoi stessi principî. E invece tu vedi bene, adesso, quanto sia logorante il dissenso con chi ci vive accanto, al punto che uno dice: «Vieni presto, morte, perché anch’io non debba arrivare a dimenticare me stesso».

4              Chi sbaglia, sbaglia contro di sé; chi commette ingiustizia fa del male a se stesso perché si rende malvagio.

5              Molte volte commette ingiustizia non solo chi fa, ma anche chi non fa qualcosa.

6              Bastano: l’opinione capace di afferrare la realty nel momento attuale; l’azione utile alla comunity nel momento

attuale; la disposizione pronta ad accettare tutto ciò che, nel momento attuale, proviene dalla causa esterna.

7              Cancella la rappresentazione; arresta l’impulso; spegni l’appetito; mantieni in tuo potere il principio dirigente.

8              Una sola a l’anima suddivisa tra gli esseri privi di ragione, e una sola a l’anima razionale ripartita tra gli esseri

provvisti di ragione. Come anche unica a la terra che costituisce tutto ciò che a terroso, una sola la luce con cui vediamo, una sola l’aria che respiriamo noi tutti esseri dotati di vista e di vita.

9              Tutto ciò che partecipa di un elemento comune tende a quello che ha eguale natura. Tutto ciò che a terroso
inclina alla terra, ogni liquido tende a confluire con gli altri, e così pure l’aeriforme, tanto che per impedirlo si deve ricorrere a uno sbarramento forzato. Il fuoco, per via dell’elemento igneo, tende verso l’alto, e quaggiù a così pronto ad unirsi con ogni fuoco, che qualunque materiale solo un po’ più secco a facilmente infiammabile per la minor presenza, in ciò che lo compone, di fattori che ostacolino la combustione. E quindi ogni essere partecipe della comune natura razionale tende, allo stesso modo o anche più, a ciò che ha la stessa natura; infatti quanto più emerge sul resto, tanto più a pronto a mescolarsi e fondersi con ciò che appartiene alla sua specie. Tra gli esseri irrazionali si giunse sùbito a sciami, mandrie, nidiate, a forme d’amore: infatti qui giy vi erano delle anime e giy si trovava la spinta – intensa perché attiva in un essere superiore – all’aggregazione, quale non si ritrova in piante, pietre o legna. Tra gli esseri razionali si giunse ad organismi politici, amicizie, famiglie, riunioni, e, in guerra, a trattati e tregue. E tra gli esseri ancora superiori, benché distanti tra loro, venne in certo modo a formarsi un’unione, quale vi a tra gli astri. Così la spinta a elevarsi verso ciò che a superiore può produrre una simpatia anche tra esseri separati. Osserva, dunque, ciò che accade ora: solo gli esseri razionali, ora, hanno dimenticato l’inclinazione e la convergenza reciproca, e solo qui non si vede più il confluire in un unico corso. E tuttavia, sebbene fuggano l’uno dall’altro, vengono presi e accerchiati: la natura a più forte. E se presti attenzione capirai quello che intendo dire: si farebbe prima a trovare qualcosa di terroso senza collegamento con nulla di terroso piuttosto che un uomo del tutto avulso da un altro uomo.

10           Danno frutto anche l’uomo, dio, il cosmo: nelle stagioni appropriate ogni singola cosa dy frutto: E se l’uso
applica il termine «frutto» in senso proprio soltanto alla vite e alle altre piante, non significa niente. La ragione ha un frutto che a sia comune sia individuale, e da essa nascono altri frutti di natura analoga alla sua.

11           Se puoi, correggili con il tuo insegnamento; altrimenti, ricorda che proprio per queste situazioni ti a stata data
la benevolenza. Anche gli dai sono benevoli verso questo genere di persone; e per certe cose – per la salute, per la ricchezza, per la fama – addirittura li aiutano, tanto sono buoni! Puoi farlo anche tu: in caso contrario, di’ chi te lo impedisce.

12           Lavora: ma non con l’aria della vittima né per farti compatire o ammirare; desidera, invece, una cosa soltanto:
muoverti e trattenerti come richiede la ragione della sociality.

13           Oggi mi sono allontanato da ogni fastidio; o meglio, ho gettato via ogni fastidio: perché non era fuori, ma
dentro, nelle mie opinioni.

14           Tutto questo a consueto per l’esperienza, effimero per il tempo, sudicio per la materia. Tutto, ora, a come al
tempo di coloro che abbiamo sepolto.

15           Le cose stanno fuori della porta, isolate in se stesse, e di se stesse non sanno e non esprimono nulla. Cos’a,
quindi, che si esprime su di esse? Il principio dirigente.

16           Il bene e il male dell’essere razionale e sociale non sono nella passivity, ma nell’attivity, come pure la sua vlrtù
o il suo vizio non sono nella passivity, ma nell’attivity.

17           Per la pietra scagliata verso l’alto non c’a nulla di male nel ricadere come non c’a nulla di bene nel salire.

18           Penetra all’interno dei loro principî dirigenti e vedrai quali giudici tu temi e quali giudici sono di se stessi.

19           Tutto a trasformazione. Tu stesso sei soggetto a un processo continuo di alterazione e, in certo modo,

distruzione, e così il cosmo intero.

20           L’errore di un altro bisogna lasciarlo dov’a.

21           Cessazione di un’attività, di un impulso; pausa e, diciamo, morte di un’opinione: nulla di male. Passa ora alle

varie età della vita: l’infanzia, l’adolescenza, la giovinezza, la vecchiaia; anche per esse, infatti, ogni trasformazione a una morte. C’a forse qualcosa da temere? Passa ora alla vita che hai trascorso sotto tuo nonno, poi alla vita trascorsa sotto tua madre, poi alla vita trascorsa sotto tuo padre; e di fronte a tante altre distruzioni, trasformazioni, cessazioni, chiedi a te stesso: «c’a qualcosa da temere?». Così non a da temere neppure la cessazione, la fine, la trasformazione della tua intera vita.

22           Corri al tuo principio dirigente, a quello dell’universo e a quello di quest’uomo. Al tuo, per farne un intelletto
giusto; a quello dell’universo, per ricordare di cosa sei parte; a quello di costui, per renderti conto se dietro la sua azione vi sia ignoranza o consapevolezza, e, insieme, per considerare che quel principio dirigente a parente del tuo.

23           Come tu stesso sei parte nel realizzare una compagine sociale, così pure ogni tua azione sia parte nel realizzare
la vita sociale. Qualunque tua azione non sia in riferimento diretto o lontano con il fine collettivo, lacera la vita comune, ne impedisce l’intrinseca unità ed a fonte di dissidî, come lo a chi, in democrazia, si allontana per parte sua da un tale regime di concordia.

24           Collere e giochi di bambini e «povere anime che reggono cadaveri»: diventa più evidente lo scenario della
Nékuia!

25           Rivolgiti ora alla qualità della causa e osservala in sé, dopo averla isolata dalla materia; poi definisci anche il
tempo massimo per il quale questa particolare qualità può sussistere.

26           Hai già sofferto mille volte per non volerti accontentare che il tuo principio dirigente facesse quel genere di
cose che rientrano nella sua costituzione: ora basta, però!

27           Quando un altro ti biasima o ti odia, o quando la gente si esprime sul tuo conto in questi termini, volgiti alle
loro anime, penetra all’interno di esse e guarda che genere di uomini sono. Vedrai che non devi darti pena perché abbiano di te una determinata opinione. Tuttavia bisogna essere benevoli con loro: per natura sono amici. Anche gli dai li aiutano nei modi più diversi, attraverso sogni, attraverso oracoli, e proprio nelle cose che interessano a loro.

28           Questi sono i cicli del cosmo: su e giù, di eterno in eterno. O la mente universale esercita il suo impulso per
ogni singola cosa – e se a così, accogli il suo impulso -, oppure lo ha esercitato una volta per tutte, e il resto avviene per conseguenza. E perché ti affanni? In un certo senso, infatti, o vi sono gli atomi o il destino. Insomma: se c’a dio, va tutto bene; se domina il caso, non agire anche tu a caso.

Presto la terra ci coprirà tutti, poi anch’essa si trasformerà e quel nuovo assetto si trasformerà all’infinito e quell’altro a sua volta all’infinito. Se uno pensa alle ondate delle trasformazioni e delle alterazioni, e alla loro rapidità, disprezzerà tutto ciò che a mortale.

29           La causa dell’universo a un torrente: trascina tutto con sé. Quanto poco valgono questi omuncoli dediti alla
politica e – sono convinti – alla pratica della filosofia: mocciosi! E tu, uomo, che fai? Fa’ quello che la natura ora esige. Esercita l’impulso, se ti a dato, e non voltarti intorno a guardare che ci sia chi lo venga a sapere. Non sperare nella repubblica di Platone, ma accontantati del minimo passo avanti e non considerare un’inezia anche questo modesto risultato. Chi riuscirà, infatti, a trasformare i loro principî? E senza la trasformazione dei principî che cosa rimane se non la schiavitù di chi geme e finge di obbedire? Avanti, ora, citami Alessandro, Filippo, Demetrio Falereo. Guarderò se abbiano visto cosa vuole la natura comune, e se abbiano educato se stessi; ma se hanno recitato come personaggi di tragedia, nessuno mi ha condannato a imitarli. Il cómpito della filosofia a semplice e modesto: non spingermi a pose altere e solenni.

30           Osserva, dall’alto: mandrie innumerevoli, innumerevoli cerimonie, varia navigazione tra tempeste e bonacce,
molteplice diversità di esseri che nascono, convivono, scompaiono. Considera anche la vita vissuta in passato da altri, quella che verrà vissuta dopo di te e quella che ora si vive tra i popoli barbari; considera quanti non conoscono neppure il tuo nome, quanti ben presto lo dimenticheranno, quanti che forse ora ti lodano ben presto ti biasimeranno; considera come il ricordo che lasciamo ai posteri non abbia valore, e non lo abbiano né la gloria né, in assoluto, altro.

31           Imperturbabilità circa le cose che provengono dalla causa esterna, giustizia nelle cose che si producono per la
causa che deriva da te; ossia impulso e azione che si esauriscono proprio nell’agire in vista del bene comune, poiché questo a per te secondo natura.

32           Puoi eliminare molte cose superflue tra quelle che ti disturbano, in quanto risiedono completamente nella tua
opinione: e ti ricaverai sùbito un ampio spazio. Abbraccia col pensiero l’intero universo, comprendi nella mente l’eternità infinita e considera la rapida trasformazione delle parti di ciascuna cosa: come sia breve il tempo che scorre dalla nascita fino al dissolvimento, immenso quello che precede la nascita, e, ugualmente, infinito quello che segue al dissolvimento.

33           Tutto quanto vedi ben presto perirà, e ben presto periranno anche quegli stessi che l’hanno visto perire. E chi
muore nella vecchiaia estrema passerà alla medesima condizione di chi a morto prima del tempo.

34           Chiediti quali siano i principî dirigenti di costoro, in quale genere di cose si siano impegnati, per quali ragioni
provino amore e rispetto verso gli altri. Immagina di vedere nuda la loro povera anima. Pensa a quanta presunzione dimostrino, quando credono di danneggiare con le loro critiche o di giovare con le loro glorificazioni.

35           La perdita altro non a che trasformazione. Ne gode la natura universale: in conformità al suo volere a tutto bene
ciò che accade, dall’eternità a sempre avvenuto nello stesso modo e sarà ancora così, all’infinito. E allora? Tu dici che tutto quanto a avvenuto a male e che tutto sarà sempre male, e che tra tanti dai non si a mai trovata una forza che potesse raddrizzare questa situazione, ma il cosmo a condannato a restare in una morsa di mali senza tregua?

36           Il marcio della materia che sta alla base di ciascun essere a acqua, polvere, ossa, fetore; o ancora: i marmi sono

placche della terra e l’oro, l’argento sono sedimenti, le vesti sono peli, la porpora a sangue, e così via tutto il resto. E il soffio vitale a qualcos’altro del genere e passa in continuazione da un essere all’altro.

37           Basta con la vita infelice, con questo mormorare, con questo comportamento scimmiesco! Perché ti turbi? Cosa
c’a di nuovo in tutto questo? Cos’a che ti fa uscire da te stesso? La causa? Osservala bene. O invece la materia? Osservala bene. Al di fuori di queste due cose non c’a nulla. Ma diventa infine più semplice e più buono anche verso gli dai!

Indagare queste cose per cento o per tre anni a lo stesso.

38           Se ha sbagliato, il male a lì; ma forse non ha sbagliato.

39           O tutto confluisce da una sola fonte razionale come in un solo corpo, e allora la parte non deve lamentarsi di

ciò che avviene nell’interesse del tutto; oppure ci sono gli atomi e nient’altro che miscuglio e dispersione. Perché ti lasci turbare, allora? Tu dici al principio dirigente: «sei morto, corrotto, imbestiato; fingi, vivi nel gregge, pascoli».

40           O gli dai o non hanno alcun potere o lo hanno. Ora, se non hanno potere, perché preghi? Se invece lo hanno,
perché non preghi che ti concedano di non temere nessuna di queste cose, di non desiderarne nessuna, di non soffrire per nessuna di esse, invece di pregarli perché ti evitino oppure ti concedano una di queste cose? Certamente gli dai, se possono aiutare gli uomini, possono aiutarli anche in questo. Ma forse dirai: «Gli dai hanno posto queste cose in mio potere». Allora non a meglio usare, in liberty, ciò che a in tuo potere piuttosto che lasciarti coinvolgere, tra schiavitù e umiliazione, dall’interesse per ciò che non lo a? Chi ti ha detto, poi, che gli dai non ci aiutano in quello che dipende da noi? Comincia dunque a pregare per questo, e poi vedrai. Uno prega: «che io possa andare a letto con la tale!»; tu: «che io non desideri di andare a letto con la tale!». Un altro: «che io possa esser liberato da questo!»; tu: «che io non senta il bisogno di esserne liberato!». Un altro ancora: «che io non debba perdere mio figlio!»; tu: «che io non tema di perderlo!». Insomma, modifica così le tue preghiere e osserva che cosa succede.

41           Dice Epicuro: «durante la malattia la mia conversazione non toccava le sofferenze del corpo, né – aggiunge -
parlavo di questi argomenti con chi veniva a trovarmi; ma continuavo a discutere dei valori più alti nei termini della scienza della natura, applicandomi in particolare a questo problema: come la mente, pur partecipando di tali moti della carne, rimanga imperturbata conservando il proprio bene; e ai medici – continua – non consentivo di inorgoglirsi come se riuscissero a concludere qualcosa, ma la mia vita procedeva bene e felicemente». Abbi il suo stesso atteggiamento nella malattia, se ti ammali, e in altre circostanze! Perché non staccarsi dalla filosofia, qualunque cosa ti accada, e non chiacchierare con chi a profano e digiuno di scienza della natura a regola comune a ogni scuola di pensiero.

Dadicati esclusivamente a ciò che stai facendo nel momento presente e allo strumento con cui lo fai.

42           Quando urti nell’impudenza di qualcuno domyndati sùbito: nell’universo potrebbero non esserci impudenti?
No. E allora non pretendere l’impossibile: anche costui, infatti, a uno di quegli impudenti che a inevitabile esistano nell’universo. Lo stesso ragionamento tieni a portata di mano per il furfante, per l’infido e per chiunque commetta una qualsivoglia colpa: appena richiamerai alla mente che a impossibile non esista una simile categoria di individui, sarai più indulgente con i singoli. È anche utile pensare sùbito a quale virtù la natura abbia dato all’uomo per affrontare questo difetto. Come antidoto, infatti, essa ha dato, contro l’insensibile la dolcezza, e contro ogni altro singolo vizio una particolare facolty. Insomma, hai la possibility di correggere la persona che si a smarrita: e chiunque sbaglia fallisce il suo proposito e si trova smarrito. E in cosa, poi, sei stato danneggiato? Non troverai nessuno, tra coloro contro cui ti adiri, che abbia fatto qualcosa di tale che la tua mente dovesse uscirne peggiore: e solo in questo può consistere ogni tuo male e ogni danno. Cosa ci sary poi di male o di strano, se l’ignorante agisce da ignorante? Vedi, piuttosto, di non dover accusare te stesso per non aver previsto che la persona avrebbe commesso questa mancanza: perché dalla ragione avevi anche i mezzi per pensare che la persona verosimilmente avrebbe commesso questa mancanza, eppure te ne sei dimenticato e ti sorprende che l’abbia commessa. E soprattutto, quando ti lamenti del comportamento infido o ingrato di qualcuno, rivolgiti a te stesso: perché, evidentemente, a colpa tua se ti sei fidato di chi ha una simile disposizione d’animo, convinto che avrebbe mantenuto la parola, o se, concedendogli un favore, non hai voluto farlo con un gesto fine a se stesso o in modo da ricavare sùbito il frutto della tua azione dal solo fatto di compierla. Quando hai fatto del bene a un uomo, infatti, cosa vuoi di più? Non ti basta aver compiuto un’azione conforme alla tua natura? Vuoi un compenso? Come se l’occhio pretendesse un compenso perché vede, o i piedi perché camminano! Come questi organi, infatti, esistono per questo dato fine e, attuandolo secondo la propria costituzione, hanno giy quanto spetta loro, così pure l’uomo, che per natura a portato a fare il bene, quando compie un beneficio o anche aiuta a raggiungere cose intermedie, ha realizzato l’obiettivo della sua costituzione e ha ciò che gli spetta.

LIBRO X

1              Sarai un giorno, anima mia, buona, semplice, una, nuda, più manifesta del corpo che ti avvolge? Conoscerai,

un giorno, quale sapore abbia la disposizione ad amare e accontentarsi? Sarai, un giorno, compiutamente soddisfatta e priva di bisogni, capace di non rimpiangere nulla, di non desiderare nulla di animato o inanimato per trarne piacere, di non desiderare tempo per godere più a lungo, né un luogo o una regione o un clima favorevole, né gente con cui andare d’accordo? Ti accontenterai della disposizione del momento, godrai di tutto ciò che avrai al momento, ti convincerai che hai tutto da parte degli dai e che a e sary bene per te tutto ciò che a loro piace e che intendono dare per la salvezza

dell’essere perfetto, dell’essere buono, giusto, bello, che genera tutte le cose, le tiene insieme, le circonda e le abbraccia quando si dissolvono per generare altre cose simili? Sarai, un giorno, capace di vivere nello Stato degli dai e degli uomini, senza muovere loro alcuna critica e senza riceverne accuse?

2              Osserva attentamente che cosa richiede la tua natura, in quanto essere governato soltanto da una natura fisica;
poi fallo e accettalo, sempre che non vada a discapito della tua natura di essere animato. Successivamente devi osservare che cosa richieda la tua natura di essere animato, e accettarlo completamente, sempre che non vada a discapito della tua natura di essere razionale. Ma l’essere razionale a immediatamente anche sociale. Usa queste regole e non perderti in ragionamenti inutili.

3              Ogni avvenimento o a avvenuto in modo tale che sei per natura in grado di sopportarlo, oppure a tale che non
sei in grado di sopportarlo. Ora, se l’avvenimento a per te sopportabile, non crucciartene, ma sopportalo come a nelle tue possibilità; se invece non a sopportabile, non crucciartene, perché in quel momento ti avrà già annientato. Ricorda d’altra parte che per natura sei in grado di sopportare tutto: dipende dalla tua opinione renderlo sopportabile e tollerabile attraverso una rappresentazione del carattere vantaggioso o doveroso che quest’azione riveste per te.

4              Se sbaglia, insegnagli con benevolenza e indicagli la mancanza. Se non sei capace di farlo, accusa te stesso, o
neppure te stesso.

5              Qualunque cosa ti succeda, era predisposto per te dall’eternità; e dall’eternità l’intreccio delle cause aveva
tessuto insieme la tua sostanza e questo evento.

6              Valga la dottrina degli atomi o quella della natura, il punto primo dev’essere che io sono parte dell’universo
governato dalla natura; il secondo, che sono in un qualche rapporto di parentela con le parti della mia stessa specie. Ricordando questi punti, non sarò in dissidio – in quanto sono una parte – con nulla di ciò che mi viene assegnato entro l’ordine universale: nulla che rechi vantaggio al tutto a dannoso per la parte. Il tutto, infatti, non contiene nulla che non gli rechi vantaggio. E poiché tutte le nature hanno in comune questa proprietà, ma la natura dell’universo ha in più la caratteristica di non essere costretta da alcuna causa esterna a generare qualcosa che le rechi danno, ricordandomi di essere una parte di un tutto così connaturato accoglierò con favore ogni evento; e, in quanto sono in un qualche rapporto di parentela con le parti della mia stessa specie, non farò nulla di contrario all’interesse sociale, anzi avrò come obiettivo gli esseri della mia specie e guiderò ogni mio impulso verso l’utile comune e lo allontanerò dalla direzione contraria. Se si verificano pienamente queste condizioni, la vita non può che scorrere felice, così come puoi immaginare che scorra felice la vita di un cittadino sempre impegnato in azioni vantaggiose per i concittadini e pronto ad abbracciare qualunque cosa gli sia assegnata dalla città.

7              Il destino delle parti del tutto – quante, dico, sono contenute dal cosmo – a di perire: quest’ultimo termine va
preso nel significato di «trasformarsi». Se però, dico, questo a un male per loro, ed a un male inevitabile, non può essere che l’universo proceda bene, visto che le sue parti sono avviate a trasformazione e costituite allo scopo di finire, in modi differenti, distrutte. La natura stessa, allora, si sarebbe adoperata a danneggiare le proprie parti, a renderle esposte al male e inevitabilmente destinate al male? Oppure le a sfuggito che andava creandosi una situazione di questo genere? Entrambe le supposizioni sono inverosimili. E se qualcuno, prescindendo dall’intervento della natura, spiegasse la situazione come un semplice fenomeno fisico, anche così sarebbe ridicolo da un lato dire che le parti del tutto si trasformano per un processo fisico, dall’altro stupirsene come di un evento contro natura oppure non accettarlo, tanto più considerato che l’esito del dissolvimento a la liberazione dei componenti di cui a costituito ogni singolo essere. Infatti, o a dispersione degli elementi che formavano il composto, o a mutamento del solido in terra, dell’aeriforme in aria, onde tali elementi vengono riassunti nella ragione dell’universo, sia che esso proceda per periodiche conflagrazioni sia che si rinnovi mediante perenni scambi interni. E il solido e l’aeriforme non immaginare siano ancora quelli del primo momento di vita: tutto questo a affluito ieri o l’altro ieri, attraverso il cibo e l’aria inspirata. Si trasforma questo che a stato preso successivamente, non quello che la madre ha generato. Ammetti pure, invece, che quello ti leghi strettamente alla tua qualità individuale: essa non ha niente a che vedere, mi pare, con ciò di cui stiamo parlando adesso.

8              Se questi sono i termini con cui indichi te stesso – buono, discreto, sincero, d’animo prudente, concorde, nobile
- stai attento a non cambiarli e a non perderli, e, se dovessi perderli, torna presto ad essi. Ricorda che «d’animo prudente» intendeva significare per te la valutazione analitica e attenta di ciascuna cosa; «d’animo concorde» significava la spontanea accettazione di ciò che viene assegnato dalla natura comune; «d’animo nobile» significava la capacità di elevare la parte razionale al di sopra del movimento dolce o aspro della carne, al di sopra della fama, della morte e di tutte le altre cose di questo genere. Se ti conserverai all’altezza di questi termini senza spasimare perché altri li usino per definirti, sarai un altro uomo e entrerai in un’altra vita. Perché essere ancora così come sei stato fino ad ora, e dibatterti e insudiciarti in una simile vita va proprio bene per uno stordito, per uno attaccato alla vita come quei bestiarii che, mezzi divorati, pieni di ferite, lordi di sangue e polvere, chiedono egualmente di essere risparmiati per l’indomani, per finire preda, in quelle condizioni, degli stessi artigli e delle stesse fauci. Perciò occupa questi pochi termini e, se puoi restare su di essi, restaci come fossi emigrato in qualche isola dei beati; se però ti accorgi che stai cadendo e non riesci a tenerli stretti, va’ fiducioso a cercare un cantuccio, dove tu possa conservarne il possesso, oppure esci addirittura dalla vita, non adirato, ma con semplicità, libertà e discrezione, realizzando almeno questo risultato nella vita: di uscirtene così. Ma a non dimenticare questi termini contribuirà grandemente ricordarsi degli dai, rammentare che essi non vogliono essere adulati, vogliono invece che tutti gli esseri razionali si rendano eguali a loro, e che sia il fico a svolgere la parte del fico, il cane quella del cane, l’ape quella dell’ape, l’uomo quella dell’uomo.

9              Mimo, guerra, eccitazione, torpore, schiavitù giorno dopo giorno cancelleranno tutti quei tuoi sacri principî che
ti rappresenti al di fuori della scienza della natura, e che poi abbandoni. Ma bisogna guardare e fare ogni cosa in modo

che, su un versante, sia realizzato quel che a richiesto dalle circostanze, e, sull’altro, sia esplicata l’osservazione teorica e sia salvaguardata quella sicurezza di sé che deriva dalla conoscenza rigorosa delle singole cose – salvaguardata nella discrezione più assoluta, ma senza arrivare a nasconderla. Quando potrai godere della semplicità? Quando della serietà? Quando della conoscenza di ogni singola cosa – quale sia cioa la sua sostanza, quale posto occupi nel cosmo, quanto tempo la natura assegni alla sua esistenza, di quali elementi sia composta, a chi possa appartenere, chi possa darla e toglierla?

10           Un ragno a orgoglioso di aver catturato una mosca; qualcuno a orgoglioso di aver catturato un leprotto, altri di
aver preso un’acciuga nella rete, chi di aver preso dei cinghiali, chi degli orsi, chi dei Sarmati. Del resto non sono forse briganti, se esamini i loro principî?

11           …come ogni cosa si trasforma in un’altra: acquisisci un metodo di osservazione del fenomeno, applicalo
continuamente ed esarcitati in quest’àmbito, perché nulla contribuisce in tale misura alla nobiltà d’animo. Si a spogliato del corpo e, pensando che tra un attimo dovrà abbandonare tutto questo congedandosi dal mondo degli uomini, ha consacrato tutto se stesso alla giustizia – per ciò che rientra nel suo operato -, e alla natura universale – per gli eventi che non ne dipendono. E non prende neppure in considerazione che cosa si dirà o si penserà di lui, o che cosa si farà contro di lui, pago di queste due attività: compiere secondo giustizia ciò che al momento va compiendo e amare quanto al momento gli viene assegnato; ha accantonato ogni altra occupazione e impegno, e non vuole nient’altro se non percorrere fino in fondo, attraverso la legge, la retta via, e seguire dio che percorre la retta via fino in fondo.

12           Che bisogno c’a di ipotesi, quando a possibile osservare che cosa si deve fare, e, se lo scorgi, procedere
serenamente in quella direzione, senza voltarti indietro, se non lo scorgi, sospendere il giudizio e ricorrere ai consiglieri migliori; e, se sul tuo cammino ci sono altri ostacoli, avanzare secondo le possibilità del momento, attenendoti, dopo rigoroso esame, a ciò che pare giusto? La cosa migliore, infatti, a cogliere questo obiettivo, poiché mancarlo significa il fallimento. Chi segue in tutto la ragione a un essere quieto e, nel contempo, pronto ad agire; ha nel volto la gioia e, nel contempo, la serietà.

13           Appena sveglio chiediti: «Farà forse differenza per te, che un altro biasimi ciò che a giusto e ben disposto?».
No. Ti sei forse dimenticato che questi individui, che si impancano a elogiare e biasimare gli altri, hanno quella certa condotta a letto, a tavola? Hai dimenticato quali cose fanno, quali rifuggono, quali inseguono, quali rubano, quali razziano, non con mani e piedi, ma con la loro parte più preziosa, che può nutrire, quando lo voglia, lealtà, pudore, amore della verità, rispetto per legge, un demone buono?

14           Alla natura che dà e riprende ogni cosa l’uomo istruito e rispettoso dice: «dammi ciò che vuoi, riprenditi ciò
che vuoi». E non lo dice con aria di sfida, ma soltanto perché a docile e ben disposto verso la natura.

15           È poco il tempo che ti resta da vivere. Vivi come sulla cima di una montagna: perché non c’a nessuna
differenza tra vivere là o qua, se si vive ovunque nell’universo come in una città. Gli uomini vedano, osservino a fondo un uomo vero che vive secondo natura. Se non lo sopportano, lo uccidano: a meglio morire che vivere come loro.

16           Insomma: non devi più discutere su come debba essere un uomo virtuoso, ma esserlo.

17           Ricorri continuamente alla rappresentazione dell’intera eternità e dell’intera sostanza, e del fatto che ogni

singola parte a, di fronte alla sostanza, un granello di fico, di fronte al tempo, un giro di trapano.

18           Nel valutare ciascun oggetto consideralo come già in via di dissolvimento, in atto di trasformarsi e quasi di
marcire o disperdersi, ovvero considera che ciascuna cosa a nata quasi per morire.

19           …come sono quando mangiano, dormono, si accoppiano, evacuano, e in tutto il resto. Poi, come sono quando
impersonano la legge, spandono orgoglio o cedono alla collera e rimproverano dall’alto della loro superiorità. Poco prima, invece, a quanti facevano da schiavi e per quali motivi! E tra poco saranno di nuovo in tale condizione.

20           A ciascuno reca vantaggio quel che a ciascuno la natura universale arreca, e reca vantaggio nel preciso
momento in cui la natura lo arreca.

21           «La terra ama la pioggia, e la ama anche il venerabile etere»; e il cosmo ama fare tutto ciò che deve accadere.
Ora, al cosmo dico: «Amo con te». Non si dice anche, comunemente, che una data cosa «ama accadere»?

22           O vivi qui – e ormai ci sei abituato -, o te ne tiri fuori – e sarebbe quello che volevi -, o muori – e hai compiuto il
tuo servizio -: al di là di queste possibilità non ce ne sono altre. Nessun malumore, quindi!

23           Sia sempre ben chiaro che laggiù, in campagna, a all’incirca come qui, e come tutto, qui, sia lo stesso che in
cima a un monte o in riva al mare o dove credi. Troverai proprio quello che dice Platone: «chiudendosi – dice – nel suo stabbio in montagna», e ancora: «mungere pecore belanti».

24           Cos’a per me il mio principio dirigente e quale lo sto rendendo, ora, e per che cosa, ora, me ne servo? È forse
privo di intelletto, sciolto e staccato dalla società, infuso e mescolato nella carne al punto da restar coinvolto nei suoi movimenti?

25           Chi fugge dal suo padrone a uno schiavo fuggitivo; il nostro padrone a la legge, e chi la trasgredisce a un
fuggitivo. Analogamente: chi soffre o si adira o teme, non vuole che sia avvenuto, che stia avvenendo o che debba avvenire qualcosa di quanto a stato disposto da colui che governa il tutto, cioa la legge che legifera quanto tocca a ciascuno. Chi teme, quindi, o soffre o si adira, a uno schiavo fuggitivo.

26           Dopo aver gettato il seme nell’utero, l’uomo si ritira e da quel momento il seme passa sotto un’altra causa, che
lo elabora e realizza un bimbo compiuto: quale esito, da quale inizio! Ancora: l’uomo lascia il cibo nella bocca del bambino, e da quel momento il cibo passa sotto un’altra causa, che ne produce sensazione, impulso, insomma vita e forza, e quanti e quali altri risultati. Osserva, quindi, questi processi che avvengono in un così profondo mistero, e

guarda la forza che li produce così come guardiamo anche la forza che trascina i corpi verso il basso e quella che li spinge verso l’alto: non con gli occhi, ma non per questo meno perspicuamente.

27           Considera continuamente come anche prima tutto avvenisse tale quale avviene ora; e considera che avverrà
anche in futuro. E poniti dinanzi agli occhi interi drammi e scene del medesimo tenore, quanti ne conosci per tua esperienza personale o dalla storia precedente, ad esempio tutta la corte di Adriano, tutta la corte di Antonino, di Filippo, di Alessandro, di Creso: era tutto come adesso, solo con altri personaggi.

28           Rappresantati ogni uomo che soffra o si lamenti per qualsivoglia motivo simile a un porcellino sacrificato che
recalcitra e strilla; simile a anche chi, steso sul suo lettuccio, da solo e in silenzio piange la catena che ci vincola all’universo. Considera che solo all’essere razionale a concesso di seguire volontariamente gli eventi, mentre il semplice seguirli a inevitabile per tutti.

29           Punto per punto, ad ogni singola cosa che fai, sofférmati a riflettere e domandati se la morte sia temibile perché
ti priva di quella cosa.

30           Quando urti nella colpa di qualcuno, passa sùbito a considerare quale colpa simile stai commettendo; ad
esempio, giudicando un bene il piacere oppure la fama e cose di questa specie. Riflettendo su questo punto, infatti, dimenticherai presto la tua ira, tanto più se ti verrà in mente il fatto che quel tale agisce per costrizione: cosa dovrebbe fare? Oppure, se sei in grado, liberalo dal suo stato di costrizione.

31           Vedendo Satirone, immàginati un Socratico o Eutiche o Imene; vedendo Eufrate immàginati Eutichione o
Silvano, vedendo Alcifrone immàginati Tropeoforo; vedendo Senofonte immàginati Critone o Severo; e volgendoti a guardare te stesso immàginati uno dei Cesari e così, analogamente, fai per ciascuno degli altri. Poi la tua mente si chieda: dove sono costoro? In nessun luogo o chissà dove. Così, infatti, vedrai continuamente che la realtà umana a fumo ed a niente, soprattutto se ricorderai che qualunque cosa, una volta trasformata, non sarà più per l’infinità del tempo. Allora perché ti dài tanta pena? Perché non ti accontenti di portare a compimento come si conviene questo breve tragitto? Da quale materia e da quale proposito tenti di fuggire? Cos’altro sono tutte queste cose, se non esercizi per la ragione che abbia scorto nitidamente e nei termini della scienza della natura i fatti della vita? Insisti, quindi, finché non avrai assimilato anche questi concetti, come lo stomaco robusto assimila ogni cibo, come il fuoco vivo trasforma in fiamma e luce qualunque cosa vi getti.

32           Nessuno deve poter dire di te, parlando sinceramente, che non sei semplice o che non sei virtuoso: chi avrà
un’opinione del genere a tuo riguardo dovrà mentire. Il che dipende completamente da te: chi, infatti, ti impedisce di essere virtuoso e semplice? Hai soltanto da decidere di non vivere più, se non sarai così. Neppure la ragione, infatti, sceglie che tu viva, se non sei così.

33           In questa materia cosa si può fare o dire nel modo più valido? Di qualunque cosa si tratti, a lecito farla o dirla;
e non accampare la scusa di un impedimento.

Non potrai smettere di lamentarti prima di aver provato nella tua persona che per te fare quanto a proprio alla costituzione dell’uomo in ogni materia che ti si sottoponga e ti si presenti equivale alla voluttà che gli uomini sensibili ai piaceri trovano nelle mollezze; bisogna infatti concepire come godimento ogni azione che sia lecito compiere secondo la propria natura; e agire in questo modo a lecito dovunque. Certo, al cilindro non a dato di poter compiere dovunque il proprio particolare movimento, e neppure all’acqua, né al fuoco, né a tutto quanto a governato da una natura o da un’anima irrazionale, perché vi sono molte barriere e ostacoli. Invece l’intelletto e la ragione possono procedere attraverso qualunque ostacolo, come a nella loro natura e come vogliono. Ponendoti davanti agli occhi questa facoltà, in virtù della quale la ragione muoverà attraverso ogni cosa, come il fuoco verso l’alto, la pietra verso il basso, il cilindro lungo un piano inclinato, non cercar più nient’altro: gli altri impedimenti, infatti, o riguardano questo misero corpo, che a solo un cadavere, oppure, senza la concomitanza di un’opinione che li riconosca tali e di un cedimento della ragione stessa, non incidono e non producono il benché minimo male, poiché altrimenti anche chi li subisce diverrebbe sùbito peggiore. Per quanto riguarda, quindi, tutti gli altri esseri, qualunque cosa di male avvenga a uno di essi, a lo stesso essere colpito che ne esce peggiore; qui invece l’uomo, se così si può dire, ne esce addirittura migliore e più encomiabile, se sa fare il giusto uso di ciò che gli accade. Insomma, ricorda che a chi per natura a cittadino non può recare danno ciò che non reca danno alla città, e non può recare danno alla città ciò che non reca danno alla legge. Ora, nessuna di queste cosiddette sventure danneggia la legge; quindi, ciò che non danneggia la legge, non danneggia né la città né il cittadino.

34           Se uno ha sentito il morso dei veri principî gli basta anche il minimo cenno, la frase che tutti conoscono, per
ricordare di essere estraneo al dolore e alla paura. Per esempio

foglie, alcune il vento ne sparge per terra…

così la stirpe degli uomini…

E foglioline sono anche i tuoi figli, foglioline anche questi che con un’espressione tanto convinta acclamano e glorificano o, al contrario, maledicono, o nell’intimo criticano e dileggiano; e foglioline, ugualmente, quelli a cui sarà affidata la nostra fama postuma. Tutti questi esseri, infatti,

nascono nella stagione di primavera…

poi il vento li abbatte; e poi al loro posto la selva ne genera altri. Un’esistenza breve a la comune condizione di ogni cosa; tu invece eviti e insegui ogni cosa come fosse destinata a durare in eterno. Ancora un poco, e chiuderai gli occhi; e sùbito un altro piangerà colui che ti ha seppellito.

35           L’occhio sano deve vedere tutto ciò che si può vedere, e non dire: «voglio vedere il verde»: così fa chi ha gli
occhi malati; e l’udito e l’olfatto sani devono essere pronti a tutto ciò che si può udire o odorare; e lo stomaco sano deve

avere la stessa reazione verso ogni cibo, come la macina deve macinare tutto ciò per cui e stata costruita. E quindi la mente sana deve essere pronta verso ogni evento; mentre quella che dice: «i miei figli si salvino!» e «tutti lodino qualunque cosa io faccia!», a un occhio che cerca il verde oppure denti che cercano il tenero.

36           Non c’a nessuno così fortunato da non aver accanto, al momento della sua morte, chi saluti con piacere l’evento
luttuoso. Era un uomo serio e saggio? Quando verrà la sua ultima ora ci sarà qualcuno che tra sé dirà: «Finalmente avremo respiro da questo pedante; non che fosse duro con nessuno di noi, ma sentivo che nel suo intimo ci condannava». Questo per l’uomo serio: ma nel nostro caso quante altre ragioni vi sono perché molti non aspettino che di liberarsi di noi! A questo, quindi, penserai morendo, e te ne andrai più serenamente, ragionando così: «esco da una simile vita, in cui proprio i miei compagni, per i quali ho tanto lottato, ho tanto pregato, ho avuto tante preoccupazioni, proprio loro vogliono che io me ne vada, sperando forse di averne qualche altro vantaggio». Perché, allora, tenere tanto a un soggiorno più lungo quaggiù? Tuttavia non andartene nutrendo, per questo, sentimenti meno benevoli verso di loro, ma conservando il tuo carattere di sempre, restando amico, affettuoso e ben disposto verso di loro; e non andartene neppure come se ti si strappasse a loro: devi invece allontanarti da essi nel modo sereno in cui l’anima di chi ha una buona morte si svincola dal corpo. La natura, infatti, ti ha unito e mescolato con essi: ora, però, te ne separa. Me ne separo come da parenti, senza tuttavia far resistenza, anzi senza neppure sentirmi costretto: anche questo a un comportamento secondo natura.

37           Ad ogni cosa che qualcuno fa abìtuati, per quanto possibile, a indagare dentro di te: «A cosa mira costui con
quest’azione?». Ma comincia da te e esamina per primo te stesso.

38           Ricorda che a muovere i fili della marionetta a quello che sta nascosto all’interno: quello a [...], quello a vita,
quello, se dobbiamo dire, a l’uomo. Non associargli mai, nella tua rappresentazione, il recipiente che lo contiene e questi organi che gli si sono formati intorno: sono come un’ascia, con l’unica differenza che sono uniti al nostro organismo. Perché senza la causa che le muove e le arresta queste membra non hanno maggiore utilità della spola per la tessitrice, della penna per chi scrive e della sferza per l’auriga.

LIBRO XI

1              Le proprietà dell’anima razionale: vede se stessa, articola se stessa, rende se stessa quale vuole, raccoglie essa

stessa il frutto che produce (i frutti delle piante e i prodotti degli animali, infatti, li raccolgono altri), raggiunge il proprio fine, ovunque cada il termine della vita. Diversamente da quanto avviene nella danza, nelle rappresentazioni teatrali e in analoghe situazioni – dove l’intera azione rimane incompiuta se qualcosa la interrompe -, in qualunque parte, in qualunque circostanza l’anima venga colta, realizza pienamente e senza lacune il suo proposito, sì da poter dire: «Ho avuto ciò che a mio». Ancora: spazia per il cosmo intero, per il vuoto che lo circonda e per la struttura che conforma il cosmo, si protende verso l’infinito dell’eternità, abbraccia e comprende col pensiero la periodica rigenerazione dell’universo, e osserva che chi verrà dopo di noi non vedrà nulla di nuovo, e che nulla di più ha visto chi a venuto prima di noi, ma in certo qual modo chi ha superato la soglia dei quarant’anni, se ha un minimo di intelligenza, ha visto, in virtù dell’analogia che li lega, tutto il passato e tutto il futuro. Proprio dell’anima razionale a, inoltre, amare il prossimo, coltivare la verità e il pudore, non onorare nulla più di se stessa – il che a proprio anche della legge. Così, appunto, non c’a nessuna differenza tra ragione retta e ragione della giustizia.

2              Riuscirai a disprezzare un canto dolcissimo, e ancora la danza e il pancrazio. Potrai disprezzare la voce
melodiosa se la suddividerai nei singoli suoni e, prendendone uno alla volta, ti domanderai se ne sei sopraffatto: ti vergognerai, infatti, di doverlo ammettere. Quanto alla danza, giungerai a disprezzarla attraverso un analogo comportamento, suddividendola in singoli movimenti e posizioni, e lo stesso dicasi per il pancrazio. Insomma, eccezion fatta per la virtù e i suoi effetti, ricorda di puntare sùbito alle singole parti, e, attraverso quest’analisi, di arrivare a disprezzarle, e applica la stessa operazione alla vita nel suo complesso.

3              Quale spettacolo a l’anima che si mostra pronta, quando deve ormai staccarsi dal corpo ed estinguersi, o
disperdersi, o persistere! Ma questa prontezza deve venire da un proprio giudizio individuale, e non basarsi su una pura e semplice opposizione, come avviene tra i cristiani: deve risultare meditata, seria, in grado di persuadere anche altri, lontana da ogni teatralità.

4              Ho fatto qualcosa nell’interesse della comunità: quindi ho raggiunto un utile. Che questa considerazione ti sia
sempre a portata di mano, e non smettere mai di agire in questo senso.

5              Qual a la tua arte? Essere virtuoso. E questo in che altro modo può realizzarsi se non sulla base di principî
relativi, da un lato, alla natura universale, dall’altro, alla particolare costituzione dell’uomo?

6              Dapprima furono introdotte le tragedie, con la funzione di ricordare gli avvenimenti, e di rammentare che per
natura questo a lo svolgimento dei fatti, e che quanto affascina sulla scena del teatro non deve poi crucciare su una scena più grande. Si constata, infatti, che questo deve essere l’esito degli avvenimenti e che li sopporta anche chi grida: «Ah, Citerone!». E gli autori di tragedie hanno anche espressioni utili; per esempio:

se io e i miei due figli siamo stati trascurati dagli dai,

anche questo ha una sua ragione;

e ancora:

non adirarsi con la realtà,

e:

mietere la vita come una spiga matura;

e le altre analoghe. Dopo la tragedia fu introdotta la commedia antica, che aveva una educativa liberts di parola e che proprio attraverso il suo linguaggio diretto richiamava, non inutilmente, alla semplicits dei modi; a questi mezzi attinse anche Diogene, con uno scopo analogo. E considera attentamente cosa sia stata, poi, la commedia di mezzo, e, infine, con quale obiettivo sia stata introdotta la commedia nuova, che poco a poco scivolò verso il virtuosismo imitativo; che, infatti, anche i poeti della media e della nuova dicano qualcosa di utile, a ben noto; ma l’intento complessivo di questa produzione poetica e drammatica a quale scopo mirava?

7              Come balza evidente il fatto che non vi a altra condizione di vita altrettanto adatta all’esercizio della filosofia
quanto questa in cui ora ti trovi.

8              Un ramo reciso dal ramo cui era unito non può non restare reciso anche dall’intera pianta; così pure un essere
umano staccato da uno solo dei suoi simili rimane avulso dall’intera comunits. Ora, un ramo lo recide un altro, mentre a l’uomo, quando prova odio e avversione per il prossimo, che divide se stesso da lui: senza sapere, però, che nel contempo si a reciso da tutto l’organismo sociale. Ma qui a il privilegio di cui ci ha fatto dono Zeus, che instaurò il vincolo sociale: abbiamo la possibilits di tornare in coesione con il prossimo e di concorrere, ancora, a realizzare il tutto. Una simile separazione, tuttavia, se si ripete troppe volte, rende l’elemento che si distacca difficilmente riconducibile all’units e alla condizione precedente. Insomma, il ramo che dal primo germoglio a cresciuto insieme con l’albero e con esso ha sempre respirato non a uguale al ramo reinnestato dopo essere stato reciso, checché ne dicano i giardinieri.

Condividere la stessa pianta, non gli stessi principî.

9              Chi ti si oppone mentre procedi secondo la retta ragione, come non potrs sviarti dall’agire bene, così non deve
neppure allontanarti dalla benevolenza nei suoi confronti; al contrario, devi attenerti in modo eguale a entrambe le cose: non solo a saldezza di giudizio e di azione, ma anche a comprensione verso coloro che tentano di ostacolarti o ti creano qualche altra difficolts. Anche questo, infatti – adirarsi con loro -, a una forma di debolezza, come abbandonare quel che si sta facendo e cedere per paura; perché sono entrambi, in pari misura, disertori: colui che si a fatto prendere dalla paura e colui che si a estraniato da chi, per natura, a suo parente e amico.

10           Non vi a nessuna natura che sia inferiore all’arte: le arti, infatti, imitano le nature. Se questo a vero, la natura tra
tutte più compiuta e più inclusiva non può essere inferiore all’abilits dell’arte. Ogni arte, però, realizza i prodotti inferiori per quelli superiori: anche la natura comune, quindi. E proprio di qui ha origine la giustizia, e dalla giustizia sorgono le altre virtù. Infatti la giustizia non potrs essere salvaguardata se avremo interesse per le cose intermedie o saremo troppo facilmente ingannabili, troppo precipitosi nel formarci un giudizio e troppo pronti a cambiarlo.

11           Le cose che insegui o fuggi, e che così provocano il tuo turbamento, non si muovono verso di te: semmai, in un
certo senso, sei tu che ti muovi verso di loro; si acquieti, quindi, il tuo giudizio su di esse, ed esse resteranno immobili, e non ti si vedrs né inseguirle né fuggirle.

12           La sfera dell’anima conserva inalterata la sua forma quando non si protende verso qualcosa, né si ripiega al suo
interno, né si disperde, né si adagia, ma risplende della luce con cui vede la verits di ogni cosa e la verits che ha in sé.

13           Qualcuno mi disprezzers? Se la vedrs lui. Quanto a me, vedrò di non farmi cogliere a fare o dire nulla che
meriti disprezzo. Mi odiers? Se la vedrs lui; io, invece, resterò benevolo e ben disposto verso chiunque, e a lui in particolare mostrerò prontamente la sua mancanza, senza atteggiamento di biasimo, e neppure per ostentare la mia tolleranza, ma con genuina bonts, come il famoso Focione (posto che non fingesse). Tale deve essere, infatti, la nostra intima disposizione, e gli dai devono guardare un uomo che non reagisce con sdegno o insofferenza davanti a nulla. Che male te ne può venire, infatti, se ora fai quello che a proprio della tua natura e accetti quanto ora a opportuno alla natura universale, da uomo proteso a realizzare per ogni via possibile ciò che a utile alla comunits?

14           Si disprezzano l’un l’altro, eppure cercano di compiacersi l’un l’altro, e mentre tentano di sovrastarsi si
inchinano l’uno all’altro.

15           Com’a marcio e falso chi dice: «Mi sono proposto di essere franco con te». Che fai, amico? Non c’a bisogno di
una simile premessa. Questo risulters da sé: deve star scritto in fronte, deve risuonare sùbito nella voce, deve affiorare sùbito nello sguardo, come nello sguardo degli amanti tutto a immediatamente chiaro per l’amato. L’uomo franco e onesto, insomma, dev’essere come la persona che puzza di capra, perché chi gli a vicino se ne accorga, lo voglia o no, appena gli si accosta. La franchezza affettata a un pugnale. Nulla a più turpe dell’amicizia del lupo: rifuggila più di ogni altra cosa. L’uomo onesto, franco e benevolo ha queste qualits negli occhi, e non passano inosservate.

16           Trascorrere la vita nel modo migliore: questa a una facolts insita nell’anima, quando si resti indifferenti alle
cose indifferenti. E resters indifferente chi osservers ciascuna di esse nelle singole componenti e nell’insieme, senza dimenticare che nessuna produce in noi un’opinione al suo riguardo e nessuna muove verso di noi, ma rimangono immobili, e siamo invece noi a produrre giudizi su di esse e, in certo modo, a scrivere questi giudizi in noi stessi, benché sia possibile tanto non scriverli, quanto, se inavvertitamente a gis successo, cancellarli sùbito; e senza dimenticare che tale attenzione durers poco, e poi la vita sars finita. Che difficolts fa che queste cose non stiano come vorresti? Se sono secondo natura, sii felice di esse, e ti saranno facili; se sono contrarie a natura, cerca cosa sia per te conforme alla tua natura, e impégnati in questa direzione, anche se non te ne viene gloria; a chiunque spetta comprensione, quando cerca il proprio vero bene.

17           …da dove a venuta ogni singola cosa, di quali elementi a costituita, in che cosa si trasforma, quale sars una
volta trasformata, e che non subirs nulla di male.

18           Punto primo: quale rapporto esiste tra me e loro? Bisogna tener presente che siamo nati l’uno per l’altro, e che,

sotto un altro aspetto, io sono nato per guidarli, come l’ariete guida il gregge o il toro la mandria. Risali però a monte, partendo da questa constatazione: se non vi sono gli atomi, a la natura che governa l’universo; se a così, gli esseri inferiori esistono per i superiori, e gli esseri superiori esistono gli uni per gli altri. Punto secondo: quale genere di persone sono a tavola, a letto, in tutto il resto; e, soprattutto, a quali necessity soggiacciono in conseguenza dei loro principî, e con quale vanity le assolvono. Terzo: se in questo agiscono rettamente, non bisogna esser maldisposti verso di loro, mentre se non agiscono rettamente, a chiaro che lo fanno senza volerlo e senza saperlo. È contro il proprio volere, infatti, che ogni anima si priva tanto della verity, quanto della facolty di comportarsi con ciascuno secondo il suo merito. Di qui il loro sdegno, quando si sentono chiamare ingiusti, ingrati, avidi e, in una parola, colpevoli di qualche mancanza verso il prossimo. Quarto: anche tu commetti molte colpe e non sei che un altro individuo di questa specie; e se ti astieni da certe colpe, hai comunque la tendenza a commetterle, benché appunto – per vilty o sete di prestigio personale o per un analogo ignobile motivo – tu ti astenga da colpe come quelle. Quinto: non hai neppure raggiunto la certezza che sbaglino; sono molte, infatti, le cose che avvengono in conseguenza di una determinata linea di condotta e, in generale, bisognerebbe prima assumere molte informazioni per esprimersi con piena cognizione su quello che fanno gli altri. Sesto (per quando proprio non reggi all’ira o all’amarezza): la vita umana dura meno di un istante, dopo di che siamo tutti stesi nella tomba. Settimo: non sono le loro azioni a infastidirci, in quanto esse stanno nei loro principî dirigenti, ma le nostre opinioni in merito. Sopprimi, quindi, e abbandona decisamente il giudizio che il loro comportamento sia qualcosa di terribile, e l’ira a svanita. Come potrai sopprimerlo? Considerando che quel comportamento non a turpe. Infatti, se non fosse male solo ciò che a turpe, inevitabilmente anche tu commetteresti molte colpe e diventeresti un brigante, un uomo capace di tutto. Ottavo: quanto l’ira e il dolore che proviamo di fronte a simili cose ci infliggano un danno più grave dei fatti stessi per cui ci adiriamo e addoloriamo. Nono: la benevolenza a invincibile, se a benevolenza autentica, senza sarcasmo, senza recita. Cosa potry mai farti, infatti, l’uomo più prepotente, se rimani benevolo verso di lui e, presentandosi l’eventuality, lo ammonisci con indulgenza e lo correggi pacatamente proprio nel momento in cui cerca di farti del male: «No, figliolo: la nostra natura ha un altro fine. Dal tuo comportamento io non posso subire danno, ma tu, figliolo, lo subisci». E mostragli, con tatto e riferendoti al problema generale, che le cose stanno così, che né le api tengono il suo comportameno, né alcun animale destinato dalla natura a vivere in gruppo. Non devi farlo, però, con atteggiamento ironico o di riprovazione: semmai con affetto, senza rancore nell’animo; e non come a scuola, né per destare ammirazione in chi assiste: al contrario, con la discrezione di un discorso in privato, anche se ci sono altri intorno. Ricorda queste nove regole capitali come se le avessi avute in dono dalle Muse, e comincia una buona volta a essere uomo, finché sei vivo. Ma, come va evitata l’ira nei loro confronti, così, con pari impegno, ci si deve guardare dall’adularli: sono due atteggiamenti che vanno contro il vincolo sociale e conducono al danno. Negli accessi d’ira tieni a portata di mano la considerazione che montare in collera non a virile, mentre un atteggiamento di mite pazienza come a più umano, così pure a più degno di un maschio, e chi lo pratica possiede vigore, nervi saldi e virility, al contrario di chi si indigna ed a insofferente. Infatti quanto più un atteggiamento paziente a prossimo all’impassibility, tanto più lo a alla forza. E come il dolore a segno di debolezza, così lo a l’ira: in entrambi i casi la persona a ferita e ha ceduto. E, se vuoi, ricevi anche un decimo dono dal Musagete: ritenere che i meschini possano non sbagliare a da folli, perché significa postulare l’impossibile. Mentre concedere ad altri di essere così, ma pretendere che non sbaglino nei tuoi confronti a un’idea assurda e da vero tiranno.

19           Devi continuamente guardarti da quattro turbamenti del principio dirigente, e, quando li cogli in atto, devi
cancellarli e, ogni volta, aggiungere: «Quest’immagine non a necessaria. Questo dissolve il vincolo sociale. Questo che stai per dire non viene dal profondo del tuo cuore» – e dire cose che non vengano dal fondo del cuore devi considerarla tra le peggiori assurdity. Il quarto rimprovero che dovrai muovere a te stesso a il seguente: «Questo a segno che la parte più divina in te a sopraffatta e si sta inchinando alla parte più vile e mortale, al corpo e ai suoi crassi piaceri».

20           Tutto l’elemento aeriforme e l’elemento igneo che sono mescolati in te, benché per natura si muovano verso
l’alto, tuttavia obbedendo all’ordinamento dell’universo si trattengono a forza qui, entro il loro composto. E tutto l’elemento terroso e l’elemento liquido che stanno in te, sebbene inclini a muovere verso il basso, restano nondimeno sollevati e conservano una posizione eretta che non a la loro posizione naturale. Così appunto anche gli elementi obbediscono al tutto e, quando sono stati assegnati a una determinata posizione, vi rimangono finché di ly non giunge di nuovo il segnale del dissolvimento. Non a grave, allora, che solo la tua parte intellettiva disobbedisca e protesti per il posto che deve occupare? Eppure non le viene davvero ordinato nulla di coercitivo, ma solo quanto a conforme alla sua natura: e tuttavia non lo accetta, e va in direzione opposta. Infatti il movimento che conduce all’ingiustizia, alla sfrenatezza, all’ira, al dolore e alla paura altro non a che il movimento di chi diserta dalla natura. E quando il principio dirigente a insoddisfatto degli eventi, anche allora abbandona il suo posto: perché la sua costituzione lo dispone alla devozione e al culto degli dai non meno che alla giustizia. E questa religiosity rientra nelle forme di una buona integrazione sociale, anzi, a valore ancora più alto del semplice agire secondo giustizia.

21           «Chi non ha un unico e sempre uguale scopo di vita non può essere unico e uguale a se stesso lungo tutta la
vita». Questa frase non basta, se non aggiungi anche quale deve essere questo scopo. Infatti, come non c’a identity di opinione su tutti quelli che, per un verso o per l’altro, ai più sembrano beni, ma solo su taluni determinati beni, cioa su quelli comuni, così pure lo scopo da proporsi deve rispondere all’interesse comune e al bene della society. Perché chi indirizza a questo tutti i propri impulsi rendery simili tutte le proprie azioni e in questo senso sary sempre il medesimo.

22           …il topo di campagna e il topo di citty, lo spavento di quest’ultimo e la sua fuga precipitosa.

23           Socrate chiamava Lamie, spauracchi per i bambini, anche i principî della gente comune.

24           Gli Spartani in occasione delle feste ponevano all’ombra i sedili per gli stranieri, mentre essi si sedevano dove

capitava.

25           A Perdicca Socrate, spiegando perché non si recava da lui, disse: «Per non fare la fine peggiore», vale a dire:
«Per evitare di ricevere un beneficio e non poter ricambiare».

26           Negli scritti degli epicurei si trovava il monito a ricordare continuamente un personaggio antico che avesse
agito secondo virtù.

27           I pitagorici prescrivevano di levare all’alba lo sguardo verso il cielo, per ricordarsi di coloro che compiono
sempre la propria opera secondo le stesse leggi e nello stesso modo, del loro ordinamento, della loro purezza e della loro nudità: gli astri non hanno alcun velo.

28           …come si presentò Socrate cinto di pelle di pecora, la volta che Santippe era uscita con il suo mantello; e cosa
disse Socrate ai discepoli che per pudore, quando lo videro conciato così, si ritirarono.

29           Nello scrivere e nel leggere non potrai esser maestro prima di esser stato allievo: a maggior ragione nella vita.

30           Sei nato schiavo, non hai diritto di parola.

31           E il mio cuore rise.

32           Biasimeranno la virtù, mormorando dure parole.

33           Cercare un fico in inverno a da folli; folle a chi cerca il figlioletto, quando non gli a più concesso.

34           Diceva Epitteto che baciando il figlioletto bisogna aggiungere tra sé: «Domani forse morirai». «Ma sono parole

di cattivo augurio». «Nessun cattivo augurio – diceva Epitteto -: indicano invece un fatto naturale; altrimenti anche la mietitura delle spighe diventa un cattivo augurio».

35           Uva acerba, uva matura, uva passa, tutto a trasformazione, non verso ciò che non a, ma verso ciò che ora non a.

36           «Non c’a ladro della scelta etica fondamentale»: sono parole di Epitteto.

37           «Si deve trovare un’arte che regoli l’assenso – diceva – e, nel campo degli impulsi, prestare sempre attenzione a

che siano impulsi con riserva, rispondenti al bene collettivo, commisurati al valore dell’oggetto; e ci si deve assolutamente astenere sia dal desiderio sia dall’uso dell’avversione per tutto ciò che non dipende da noi».

38           «Non a per un premio qualunque che lottiamo – diceva -, ma per essere folli o savî».

39           Diceva Socrate: «Cosa volete? Avere l’anima di esseri razionali o irrazionali?». «Di esseri razionali». «Quali

esseri razionali: sani o perversi?». «Sani». «Perché, allora, non cercate di averla?». «Perché già l’abbiamo». «Perché, allora, state a combattere e a questionare?».

LIBRO XII

1              Tutto quello a cui preghi di arrivare attraverso un lungo giro, puoi già averlo ora, se non decidi di negartelo.

Vale a dire: se accantoni il passato, se affidi il futuro alla provvidenza e ti occupi solo del presente, con lo sguardo rivolto alla devozione e alla giustizia. Alla devozione, per amare ciò che ti a assegnato: perché la natura ha assegnato quello a te e te a quello. Alla giustizia, per dire la verità liberamente e senza perifrasi, e per agire in conformità alla legge e ai singoli valori in questione; non lasciarti impedire dalla malvagità, dall’opinione, dalla voce degli altri, e neppure dalla sensazione della carne che ti a cresciuta intorno: se la dovrà vedere la parte soggetta a patire. Ora, in qualunque momento tu debba uscire dalla vita, se, abbandonato tutto il resto onorerai soltanto il tuo principio dirigente e il divino che a dentro di te, se avrai paura non di dover da ultimo smettere di vivere, ma piuttosto di non aver mai cominciato a vivere secondo natura, sarai un uomo degno del cosmo che ti ha generato e cesserai di essere straniero in patria e di meravigliarti degli avvenimenti quotidiani come di fatti inattesi, e di restare sospeso a questo e a quest’altro.

2              Dio vede tutti i principî dirigenti spogli dei loro recipienti materiali, delle loro cortecce e impurità; infatti
giunge a toccare, e con la sola sua parte intellettiva, solo quanto da lui a defluito e derivato a questi principî dirigenti. Se anche tu ti abituerai a farlo, sopprimerai i numerosi fattori che ti distraggono da te stesso. E infatti colui che neppure vede le misere carni che lo racchiudono dedicherà forse il suo tempo al vestiario, alla casa, alla fama, a questo vario apparato e a tutta una consimile scenografia?

3              Tre sono gli elementi di cui sei composto: il corpo, il soffio vitale, l’intelletto. Di questi i primi due sono tuoi
nei limiti in cui te ne devi curare; solo il terzo a propriamente tuo. Perciò se separi da te stesso, cioa dalla tua mente, quanto gli altri fanno o dicono, o quanto tu hai fatto o detto, quanto ti turba per il futuro, quanto del corpo in cui sei racchiuso o del soffio vitale a te congenito ti a connesso indipendentemente dalla tua scelta etica, quanto il vortice esterno ci mulina tutto attorno, in modo che la facoltà intellettiva, liberata dalle conseguenze esterne del suo destino, pura, possa vivere senza vincoli, in assoluta autonomia, compiendo il giusto, accettando volontariamente gli avvenimenti e dicendo il vero; se, dico, separi da questo principio dirigente ciò che vi si a depositato per effetto delle passioni, nonché ogni cura del tempo di là da venire o già passato, se ti rendi come l’empedoclea

sfera perfettamente tonda, che esulta nella sua circolata solitudine,

se ti impegni a vivere soltanto ciò che stai vivendo, ossia il presente, potrai trascorrere senza turbamenti, serenamente e in dolce pace con il tuo demone, quel che ti resta fino alla morte.

4              Mi sono già chiesto tante volte con stupore come mai ciascuno ami se stesso più di tutti gli altri, eppure nel
giudicare se stesso dia meno peso alla propria opinione che a quella degli altri. In effetti, se a uno comparisse un dio o un saggio maestro per ordinargli di non considerare e pensare dentro di sé nulla che non possa anche esprimere ad alta

voce, non resisterebbe neppure un giorno. A tal punto rispettiamo quello che potry pensare di noi il prossimo più di noi stessi.

5              Come mai gli dai, che pure hanno disposto ogni cosa in modo saggio e favorevole all’uomo, hanno trascurato
solo questo punto, che alcuni uomini – fior di persone, che hanno saputo instaurare, per così dire, moltissime relazioni con la divinity, e con essa sono stati, tramite opere devote e azioni sante, nella familiarity più stretta – una volta morti, non rinascono, ma sono definitivamente estinti? Posto che le cose stiano davvero così, sappi bene che gli dai, se fossero dovute andare diversamente, avrebbero provveduto. Se infatti fosse giusto, sarebbe anche possibile, e se fosse secondo natura, la natura lo avrebbe prodotto. Proprio dal fatto che non sia così – visto che così non a – convinciti che non doveva essere così. Anche tu vedi, infatti, che con questo tipo di indagine finisci per mettere dio sul banco degli avversari; d’altra parte, però, non potremmo discutere in questo modo con gli dai, se essi non fossero davvero infinitamente buoni e giusti. Ora, se a così, non possono per negligenza aver lasciato nulla di ingiusto e di irrazionale nell’ordinamento del cosmo.

6              Esarcitati anche nelle cose in cui sei convinto di non riuscire: la mano sinistra, inetta nel resto per mancanza di
esercizio, tiene le briglie con più forza della destra, perché vi a esercitata.

7              …quale debba essere la disposizione del corpo e dell’anima nel momento in cui si a colti dalla morte; la brevity
della vita, il baratro del tempo che si apre alle nostre spalle e di fronte a noi, la fragility di ogni materia.

8              Osserva gli elementi causali spogli della loro corteccia; il fine delle azioni; cos’a il dolore; cos’a il piacere; cos’a
la morte; cos’a la gloria; chi a il responsabile della propria inquietudine; come nessuno possa essere impedito da altri; che tutto a opinione.

9              Nell’uso dei principî bisogna assomigliare al pancraziaste, non al gladiatore: questi, infatti, depone e riprende la
spada che usa, mentre il primo la sua mano l’ha sempre e non deve far altro che serrarla.

10           Guarda cose di questo genere analizzandole secondo materia, causa, scopo.

11           …quale facolty abbia l’uomo di non fare altro se non quello che il dio lodery, e di accettare tutto ciò che il dio

gli assegna come conseguente alla natura.

12           Non si devono criticare gli dai: non commettono alcun errore, né volontario né involontario; e neppure gli
uomini: errano solo involontariamente. Sicché non bisogna criticare nessuno.

13           Com’a ridicolo e straniero chi si meraviglia di qualunque cosa succeda nella vita!

14           O la morsa del destino e un ordinamento inviolabile, o una provvidenza misericordiosa, o la confusione di una

casuality senza governo. Ora, se vi a una necessity inviolabile, perché ti opponi? Se invece vi a una provvidenza che accoglie le suppliche, renditi degno dell’aiuto che viene dalla divinity. Se, infine, vi a una confusione anarchica, rallégrati che in un simile vortice tu possa avere in te un intelletto che ti dirige. E se il vortice ti travolge, travolga pure la carne, il soffio vitale, il resto: non travolgery l’intelletto. (15) Oppure la luce della lucerna, finché non si spegne, risplende e non perde chiarore, mentre la verity, la giustizia, la temperanza che sono in te si spegneranno prima del tempo?

16           Se qualcuno ti dy motivo di rappresentarti una sua colpa, ragiona: «E che ne so, se questa a una colpa?»; e, se a
effettivamente colpevole, pensa che si a condannato da sé, e questo suo comportamento somiglia al gesto di chi si graffia il viso con le proprie mani.

Chi pretende che il malvagio non sbagli a come chi pretende che il fico non produca lattice nei suoi frutti, che i neonati non piangano, che il cavallo non nitrisca, e così via, per tutti questi fenomeni necessari. In effetti, che cosa dovrebbe fare chi ha una simile disposizione? Se sei tanto irritato, curala.

17           Se non a conveniente, non farlo; se non a vero, non dirlo. Il tuo impulso sia [...].

18           Vedi sempre cosa effettivamente sia quello che produce la tua rappresentazione, e spiegalo suddividendolo in

elemento causale, elemento materiale, fine, tempo entro cui dovry aver cessato di essere.

19           Randiti conto una buona volta di avere in te stesso qualcosa di superiore e più divino di ciò che produce le tue
passioni e che, in conclusione, ti muove come una marionetta.

Cos’a ora la mia mente? Non a forse paura? Non a sospetto? Non desiderio? Non qualcos’altro di questo genere?

20           Punto primo: non agire casualmente né senza uno scopo. Punto secondo: non riferirsi ad altro se non al fine
della comunity.

21           …tra non molto non sarai nessuno, in nessun luogo, né sary alcuna delle cose che ora vedi, né alcuno di coloro
che vivono ora. È nella natura di tutte le cose, infatti, trasformarsi, mutare e perire, perché, senza soluzione di continuity, ne nascano altre.

22           …tutto a opinione, e questa dipende da te. Quando vuoi, quindi, sopprimi l’opinione e, come chi ha doppiato il
promontorio, troverai bonaccia, calma degli elementi e un golfo al riparo dei flutti.

23           Una singola attivity, qualunque sia, se finisce al momento giusto, non subisce nulla di male per il fatto di esser
finita; e chi ha compiuto quest’azione non ha subito nulla di male per il fatto che essa sia finita. Allo stesso modo, quindi, il sistema complessivo delle azioni, che a la vita, se finisce al momento opportuno, non subisce alcun male per il fatto di essere finito, e chi ha posto fine a tempo debito a questa catena di azioni non ne ha ricavato danno. Il momento opportuno e il limite sono dati dalla natura, talvolta anche dalla natura individuale (così nella vecchiaia), ma in ogni caso sempre dalla natura universale: attraverso la trasformazione delle sue parti il cosmo intero rimane sempre giovane e rigoglioso. Ora, bello e tempestivo a sempre tutto ciò che a utile all’universo. Per l’individuo, quindi, la fine della vita non a un male, poiché non a neppure cosa turpe, dato che non dipende dalla scelta etica e non a contrario all’interesse

della collettività; anzi, a un bene, dato che a opportuno all’universo, gli arreca e ne trae vantaggio. Così risulta mosso anche da dio chi muove nella stessa direzione di dio e col pensiero muove verso il suo stesso fine.

24           Bisogna tenere a portata di mano queste tre considerazioni. La prima: a proposito di quello che fai, valutare se
non sia fatto a caso o diversamente da come avrebbe agito la giustizia in persona; a proposito degli avvenimenti esterni, ricordare che alla loro origine o c’a il caso o c’a la provvidenza: e non bisogna lamentarsi del caso né accusare la provvidenza. La seconda considerazione: esaminare quale sia ogni singolo essere da quando viene concepito a quando in lui si anima la vita, e dal momento in cui riceve la vita fino al momento in cui la restituisce, e da quali elementi tragga origine il composto e quali elementi liberi il suo dissolvimento. Terza considerazione: se tu, improvvisamente librato in cielo, osservassi dall’alto la realtà umana e la sua varietà, la disprezzeresti scorgendo nello stesso tempo quanto sia vasto lo spazio che la avvolge, popolato di esseri aerei ed eterei; e ogniqualvolta ti librassi in alto, vedresti sempre le medesime cose, il loro aspetto sempre uguale, la brevità della loro esistenza. E sono queste cose l’oggetto della vanità umana!

25           Getta via l’opinione che hai in te, e sei salvo. Ebbene, chi ti impedisce di gettarla?

26           Quando ti inquieti per qualcosa, ti sei dimenticato che tutto avviene secondo la natura dell’universo, che l’errore

a altrui e, inoltre, che ogni avvenimento a sempre avvenuto così, così avverrà e così ora avviene ovunque; ti sei dimenticato quanto sia stretta la parentela dell’uomo con l’intero genere umano: non a, infatti, comunanza di sangue o di seme, ma di intelletto. E ti sei anche dimenticato che l’intelletto di ciascuno a un dio ed a derivato di là; che nulla appartiene a nessuno, ma anche il figlioletto, il suo povero corpo e la sua stessa povera anima sono venuti di là; che tutto a opinione; che ciascuno vive solo il presente e perde solo questo.

27           Richiama in continuazione alla mente chi arse di sdegno per una qualche ragione, chi visse al colmo degli
onori o delle sventure o delle inimicizie o di qualsiasi sorte; poi considera dove sia adesso tutto quanto: fumo, cenere, leggenda – o neppure leggenda! Ti si presentino alla mente anche tutti i casi analoghi – per esempio Fabio Catullino nella sua tenuta di campagna, Lusio Lupo nei suoi giardini, Stertinio a Baia, Tiberio a Capri, Velio Rufo – e, insomma, tutte le situazioni in cui si accende un conflitto di interessi, qualunque sia la posta, combattuto con tanta presunzione; e considera quanto poco valga sempre l’obiettivo di questi sforzi e quanto più conforme ai dettami della filosofia sia, nella materia che ci a stata data, mostrarsi giusto, temperante, pronto a obbedire agli dai, e con semplicità, perché la vanità che cova sotto un’apparente modestia a la peggiore di tutte.

28           A chi chiede: «Dove hai visto gli dai, e da dove hai desunto che esistono, per venerarli in questo modo?»
rispondi: «Prima di tutto sono anche visibili ai nostri occhi; poi, nemmeno la mia anima ho visto, eppure la venero. Lo stesso vale per gli dai: desumo che esistono dal fatto che ogni volta sperimento la loro potenza, e dunque li venero».

29           La salvezza della nostra vita: esaminare a fondo in che consista, in sé, ciascuna cosa, quale sia il suo elemento
materiale, quale il suo elemento causale; fare il giusto e dire il vero con tutta l’anima; che altro, infine, se non godere di vivere legando ad ogni azione virtuosa un’altra azione virtuosa, così da non lasciare neppure il minimo intervallo?

30           Una sola a la luce del sole, anche se viene divisa da muri, montagne, da innumerevoli altri ostacoli. Una sola la
sostanza comune, anche se viene divisa tra innumerevoli corpi individuati da specifiche qualità. Una sola a l’anima, anche se viene divisa tra innumerevoli nature e circoscritte individualità. Una sola l’anima razionale, anche se pare frammentata. Ora, le altre parti degli esseri menzionati, quali i singoli soffi vitali e i singoli corpi materiali, sono insensibili ed estranee l’una all’altra; eppure anch’esse sono tenute insieme dal fattore unitario e dal peso che le spinge nella stessa direzione. La mente, invece, ha la caratteristica di tendere a ciò che a della sua specie e di unirsi ad esso, e questo intimo senso di comunanza non conosce ostacoli.

31           Cosa cerchi? Di protrarre la tua esistenza? Di avere sensazioni, provare impulsi, crescere, poi declinare, usare
la voce, pensare? Quale di queste cose ti sembra degna di essere desiderata? E se ciascuna di queste cose a facilmente disprezzabile, spingiti fino all’ultima che rimane: seguire la ragione e il dio. Ma con questa scelta si scontra l’onore che riserviamo alle cose sopra elencate, il cruccio di esserne privati con la morte.

32           Quale minuscola parte dell’infinito abisso del tempo a stata assegnata a ciascuno? In men che si dica svanisce
nell’eternità. Quale minuscola parte dell’intera sostanza? Quale dell’intera anima? In quale minuscola zolla della terra intera cammini? Considerando tutto ciò non immaginare che esista nulla di grande all’infuori dell’agire come ti induce la tua natura e del subire quello che reca la natura comune.

33           Quale uso fa di sé il principio dirigente? Il problema a tutto qui. Il resto o a frutto della scelta di fondo, o
estraneo a questa – cadavere, fumo.

34           Il maggior incentivo al disprezzo della morte a che anche chi giudica il piacere un bene e il dolore un male l’ha
disprezzata.

35           Se per un uomo a bene solo quel che cade al momento opportuno, se per lui ha lo stesso valore compiere un
numero maggiore o minore di azioni conformi alla retta ragione, se per lui a indifferente osservare l’universo per più o meno tempo, a costui neppure la morte fa paura.

36           Uomo, sei stato cittadino in questa grande città: che ti importa, se per cinque anni o per cento? Quel che a
secondo le leggi ha per ognuno pari valore. Che c’a di grave, allora, se dalla città ti espelle non un tiranno o un giudice ingiusto, ma la natura che ti ci aveva introdotto? È come quando il pretore che aveva assunto un attore lo congeda dalla scena, «Ma non ho recitato i cinque atti, ne ho recitato solo tre». Giusto! Ma nella vita tre atti sono un dramma intero. A stabilire che il dramma a completo, infatti, a chi allora fu responsabile della composizione, ora del dissolvimento; tu invece non sei responsabile né dell’una né dell’altro. Quindi parti sereno: chi ti congeda a sereno.

Pensieri a sè stesso, una meditazione ispirata al trattato di Marco Aurelio “Ricordi”

Pensieri a  se stesso, una meditazione ispirata al trattato di Marco Aurelio ‘Ricordi’

I “pensieri a se stesso” o “Ricordi” sono una raccolta di scritti di Marco Aurelio Annio Vero, un imperatore romano della dinastia degli Antonini che regnò a Roma nel secondo secolo D.C.. Marco Aurelio fu imperatore dal 161 al 180 D.C., succedendo ad Antonio Pio, che lo aveva adottato su indicazione del suo predecessore Publio Elio Adriano.

Si tratta di testi scritti in più periodi e raccolti in libri, frutto di una meditazione legata alla pratica della vita filosofica stoica; furono composti durante le campagne militari che Marco condusse alle frontiere della Germania tra il 170 e il 180 D.C.

Inizia infatti così il secondo libro: “Scritto nel territorio dei Quadi presso il fiume Granua”.

Nel mondo antico la meditazione è pratica collettiva, o anche individuale, ma sempre connessa ad una sorta di dialogicità implicita (ne vediamo traccia in certi testi di Seneca sulla felicità, sulla vecchiaia o sulla morte).

Essa assume molti volti, a seconda delle scuole, ma ha una caratteristica comune: non è un percorso di ricerca, ma di applicazione della ricerca alla vita.

I “pensieri” di Marco Aurelio richiamano i principi della scuola stoica e sono il frutto di una meditazione su di essi operata mediante il legame con l’esperienza vissuta, interiore ed esteriore.

L’uomo è stato considerato da sempre l’imperatore-filosofo: il punto di arrivo della scuola stoica.

Voglio evitare di impegnarmi in un’esposizione di quella corrente filosofica (la stoica appunto)  nell’ambito della quale il Marco Aurelio dei “pensieri” viene solitamente ascritto dalla critica moderna; non ho le conoscenze approfondite per farlo.

L’idea di questa tavola è, piuttosto, quella di cogliere il senso profondo della figura di un’uomo del passato che, da una posizione di assoluto privilegio, sente il bisogno di parlare con se stesso e tocca aspetti essenziali dell’esistenza.

Del resto alcune delle tematiche fissate nell’opera che ci è stata tramandata sono le basi di alcuni principi del pensiero massonico moderno.

Perché è interessante  la  figura di quest’uomo vissuto tanti secoli fa?

Non è per il libro in se stesso -  per quanto nell’antichità lo scrivere fosse una cosa assai rara e non consueta, se non per i filosofi di professione, ma non certo per uomini “d’azione” (a parte Cesare e Cicerone, nell’antichità pochissimi statisti hanno lasciato tracce scritte compiute delle loro gesta) – e non certo per lo stile dello scritto: un po’ lezioso e pesante.

E’ interessante, secondo me, perché il Marco Aurelio dei “pensieri” anticipa i tempi: per arrivare a vedere un’opera simile occorre che passino molti secoli e arrivare a Montaigne con i suoi “Saggi”.

Ma egli, a differenza di Montaigne (che scriverà ben al chiuso del suo castello di campagna) è un uomo di azione calato in un contesto di un’epoca storica che vede per il mondo classico l’inizio della disgregazione.

Nel libro è difficile non cogliere l’idea che ci troviamo di fronte ad un grande dignitosissimo, attore – perdente della storia; è paradossale che egli, l’uomo più potente del mondo, si renda conto che le vittorie conseguite non potranno fermare il corso della storia; avverte chiaramente che la fame dei barbari avrà la meglio sulla forza dei romani; sente che è già in atto la crisi irreversibile dell’Impero Romano.

Come tutti i grandi perdenti finisce però per suscitare nei posteri un grande affetto ,poiché la sconfitta ha una dignità che la vittoria non merita.

Vengono in mente la parole che farà dire la Yourcenar nelle “Memorie di Adriano” all’Imperatore Adriano nella lunga lettera immaginaria al piccolo Marco Aurelio, quando, troppo severo con se stesso, non si concedeva nulla dei frutti e degli svaghi che la vita poteva offrirgli nella Villa Adriana di Tivoli; dice più o meno: “mi chiedo a che ti serva tanta virtù, su quale scoglio ti infrangerai poiché è certo che ciò accadrà”.

Venendo alla poetica del libro.

Nel libro Marco tenta di spiegarci la nostra esistenza puntando sulla forza del cuore filtrata dalla dura disciplina del dovere.

La forte spinta emotiva del libro è dovuta al tentativo di allargare la coscienza fino ad abbracciare l’umanità.

La massima che ispira il libro è questa: non perder mai di vista il grafico di una esistenza umana, che non si compone mai, checché si dica, d’una orizzontale e due perpendicolari, ma piuttosto di tre linee sinuose, prolungate all’infinito, ravvicinate e divergenti senza posa: che corrispondono a ciò che un uomo ha creduto di essere, a ciò che ha voluto essere, a ciò che è stato; tutto ciò non è sotto il nostro controllo: quello che noi possiamo fare è operare per il bene, rifuggire il male, curarsi dell’essenziale.

“Corri sempre per la via più breve – la via più breve è quella secondo natura – così da parlare e agire sempre nel modo più valido. Un simile proposito, infatti, libera dalle fatiche di una campagna militare, di ogni incombenza di governo, dell’eccessiva raffinatezza”.

Non si deve mai perdere di vista l’essenza.

Ricordati che sta nascosto dentro di te ciò che muove i fili della tua esistenza, ed è attività, è vita, è l’uomo, se così si può dire. Non confonderlo mai, quando te lo immagini, con l’involucro che lo avvolge, né con gli organi che gli sono stati modellati intorno …”.

E quanto più ti senti coinvolto tanto più  devi essere distaccato.

“Quanto vale, di fronte alle leccornie e ai cibi di questo genere, accogliere la rappresentazione: «questo è il cadavere di un pesce, quest’altro il cadavere di un uccello o di un maiale», e, ancora, «il Falerno è il succo di un grappolo d’uva», e «il laticlavio sono peli di pecora intrisi del sangue di una conchiglia»; e, a proposito dell’unione sessuale: «è sfregamento di un viscere e secrezione di muco accompagnata da spasmo»! Quanto valgono queste rappresentazioni che raggiungono le cose in sé e le penetrano totalmente, fino scorgere quale sia la loro vera natura. Così bisogna fare per tutta la vita, e, quando le cose ci si presentano troppo persuasive, bisogna denudarle e osservare a fondo la loro pochezza e sopprimere la ricerca per la quale acquisiscono tanta importanza. Perché la vanità è una terribile dispensatrice di falsi ragionamenti, e ti lasci più incantare proprio quando più ti pare di impegnarti in cose di valore”.

Marco Aurelio fa propria una coscienza lucida e forte di avvertire la prossima fine dell’Impero, quale lui lo presiede, ed elabora in ciò una saggezza profonda, quasi non toccata dal divenire. Perché in fondo al saggio stoico nulla importa se non questo: vivere con onestà ogni minuto.

Il Marco Aurelio che ci piace vede davanti a sé il mutare del destino e, dalla posizione privilegiata che ricopre (di capo della superpotenza del mondo antico), accetta di prendere parte al gioco vestendo i panni di chi deve resistervi.

E che per far ciò usa le armi di cui dispone: una buona dose di filosofia per sé – per rendere sopportabile ciò che altrimenti sarebbe intollerabile – e una buona dose di cinica violenza per gli altri: possedeva le più potenti forze armate di tutti i tempi e le usò – si dice – senza risparmio: nel libro non sono riportati gli eccidi – che pure vi furono – di intere popolazioni barbariche.

Un (breve) inquadramento storico.

Era nato a Roma nel 121 D.C., da una nobile famiglia equestre di origine spagnola.

Fu designato ancora giovane da Adriano a succedere ad Antonino Pio, purtroppo per lui, Marco maritò la figlia di Antonino Pio, tale Faustina.

Non ebbe fortuna coi figli né con Faustina: tra un amante e l’altro ebbe, sì, il tempo di dargli quattro figli: due femmine e due gemelli.

Di questi però uno morì precocemente mentre l’altro, Commodo, che sarà suo successore, si rivelerà  un pessimo reggitore di Roma.

Veniva dalla famiglia d’origine spagnola degli Aureli, una “Gens” che si era guadagnata il soprannome di “Veri” per la loro onestà nell’amministrazione della cosa pubblica (una rarità all’epoca).

Era rimasto orfano a pochi mesi e della sua educazione si occupò il nonno (Adriano) che gli dette ben 17 precettori di cui 4 in grammatica, uno in matematica e sei in filosofia.

Si appassionò alla filosofia stoica che non solo volle studiare a fondo, ma anche praticare.

A 12 anni cominciò a dormire nudo sul letto ed iniziò una dieta ed un’astinenza (anche sessuale) tanto severe che la sua salute alla fine si dice ne risentì.

Ma questo non gli impedì poi di essere soldato fra i soldati e di condividerne fatiche e disagi nei lunghi anni di direzione della guerra alla frontiera germanica.

Antonino Pio lo aveva designato, seguendo i dictat del suo mèntore, come suo Cesare quando era ancora adolescente ed associato al suo governo quando era ancora giovanissimo.

Quando salì al trono aveva 40 anni.

Probabilmente non aveva né inclinazione per le armi, né esperienza di esse, visto che non riportò mai decisive vittorie ma trascinò una guerra avanti per anni e anni.

Fu costretto a combattere contro nemici interni ed esterni per quasi tutta la durata del suo regno.

E tanto fece con  coscienziosa determinazione.

Durante il Regno di Marco Aurelio si cominciano ad evidenziare i segni dell’incipiente declino: i  tentativi di invasione dei barbari nelle frontiere danubiane e la fragilità delle strutture sociali ed economiche del mondo antico tipiche di una società chiusa.

Per capire il senso dei dialoghi, che sono effettivamente intrisi da una profonda tristezza, non si può non riflettere sul fatto che ci fu durante quei tempi una escalation di guerre ai confini (guerre, che gli faranno passare almeno vent’anni in accampamenti militari; prima in oriente, poi sul confine danubiano).

Quelle guerre orientali, si portarono dietro una tremenda conseguenza: la peste; infatti terminate le operazioni di guerra ad Oriente (anni 161 – 166 D.C.) alcune Legioni tornarono in Italia e portarono con sé il contagio.

La peste giunse a Roma spargendo lutti e desolazione lungo il suo cammino; imperversò per anni nei quartieri di moltissime città dell’Italia centrale; Roma ebbe interi isolati che furono interdetti dai soldati a titolo sanitario (si dice, ma è un dato esagerato, che perirono di peste almeno 200.000 persone solo nell’Urbe).

Dietro l’epidemia arrivò la carestia secondo un rituale che era consueto nel mondo antico, poiché quel mondo era basato su di una economia per lo più di sussistenza.

Mentre la peste infuriava nella stessa Roma, giunse un’altra grave crisi esterna.

Cominciò la serie di dure guerre sul Danubio, che doveva occupare, con brevi interruzioni, i rimanenti anni del regno di Marco (167 – 180).

La causa: un grande movimento migratorio iniziato dai Germani del Baltico, a loro volta premuti da famelici popoli scandinavi che si riversarono a sud in cerca di cibo e pascoli stanziali.

I confini lasciati da Traiano al nord  erano troppo vicino all’Italia per non suscitare apprensioni in chi governava.

La prova fu data dall’invasione improvvisa di un’orda di Marcomanni che distrusse parte del nord-est del Veneto, penetrando in profondità fino ad Oderzo e che furono a stento ricacciati al di là delle Alpi con un esercito raccogliticcio fatto di schiavi e avanzi di galera.

I rimedi dell’epoca che si poterono escogitare furono i seguenti: l’annessione del territorio dei Marcomanni (area fra l’Elba e l’Oder) e successivamente di quello dei Quadi (tribù stanziate nell’odierna Moravia), la Boemia e la Moravia sarebbero diventati il baluardo settentrionale dell’Impero.

Durante queste campagne di contenimento e rafforzamento il nostro Marco scriverà i pensieri a se stesso.

Non vedrà il compimento del suo disegno strategico: morirà a Vienna (all’epoca chiamata Vindobona) poco prima di porvi termine; chi gli succederà  (il figlio Commodo) amava troppo la bella vita romana per cimentarsi nell’ambiziosa impresa: in breve, rinunciò ad annettersi il nord e ripiegò a Roma dopo aver stipulato, in tutta fretta, un trattato, giusto salvando le apparenze, e lasciando le frontiere immutate.

Ebbe una fortuna da morto, smentendo alcuni suoi scritti: quella di non essere dimenticato; sia per l’opera letteraria che per la sue effige.

I Cristiani non gli distrussero la statua equestre eretta in suo onore avendola scambiata per quella del loro “protettore” Costantino che, a conti fatti, fu un uomo assai peggiore di lui.

La statua equestre e dorata di Marco che troneggia in Piazza del Campidoglio, innalzatagli postuma dal figlio in un momento di rimorso – l’originale è nei musei capitolini – ce lo raffigura in un incedere solenne: ha le sembianze del guerriero, ma lo sguardo è quello del filosofo che vede la fine di una fase storica.

Ci piace pensare  – dato che la statua è, per la verità, poco espressiva mancando degli occhi – che da quello sguardo dal Campidoglio sgorghi tutta la contraddizione fra un dettato morale teso alla libertà ed alla eguaglianza ed una necessità di real-politik che tende a conservare e consolidare l’imperialismo in atto.

Quando gli si richiese per l’ultima volta la parola d’ordine, la risposta, si dice, di Marco Aurelio fu: “andate verso il sole nascente, il mio sole tramonta”.

E con lui tramontava anche il mondo antico.

Da allora in poi la crisi assumerà proporzioni vastissime; nel secolo III, sarà temporaneamente arrestata da Diocleziano e Costantino, fino alla rovinosa caduta finale del V secolo.

Anche per questo, forse, fu l’ultimo dei grandi Imperatori romani.

Quali sono le idee che Marco ci tramanda dal suo lontanissimo passato? Sono idee attualissime e certo apprezzabili dai liberi Muratori.

  • Il destino dell’uomo è fissato nella natura; la natura ha dato all’uomo uno spirito; segue che il destino dell’uomo non è nel soddisfare i sensi – che ci accomunano con gli altri animali – ma nel pensare e nell’agire conformemente alla sua natura razionale cioè alla parte divina di sé.
  • Il successo delle nostre azioni non dipende solo da noi; alcune cose sono in nostro potere altre no; il successo esterno non è sicuro; può anche venire a mancare: non si deve averne angustia, il vero successo è la cura della salvezza dell’anima; lo scopo della vita è perfezionare il proprio essere. Nell’anima ogni uomo è libero quanto Dio.
  • L’uomo deve impiegare tutte le sue forze in un lavoro positivo: non nella passività, ma nell’azione si trovano il bene e la virtù dell’essere razionale.
  • Il bene è ciò che ci migliora, il male è ciò che ci peggiora interiormente.
  • La morte non deve spaventarci perché in essa c’è un processo naturale che secondo l’ordine cosmico porta al dissolvimento dell’individuo e al trapasso delle parti che lo compongono in altre forme di essere.
  • Gli affetti rappresentano per l’uomo morale il pericolo più insidioso perché limitano la libertà dello spirito.

Morirà a Vienna di malattia, forse di peste, impegnato nella guerra contro i Quadi: aveva fatto promettere al figlio che la sua opera sarebbe stata conclusa e i confini rassicurati e ristabiliti; il figlio, come ho detto, non lo ascoltò nemmeno; ma così aveva parlato Marco:

“Prerogativa propria dell’uomo è amare anche chi sbaglia. E questo si verifica, se ti si presenta il pensiero che si tratta di parenti e che sbagliano per ignoranza e senza volerlo, e che tra poco entrambi, tu e chi ha sbagliato, sarete morti..”.

Fr:.

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Notre Dame de Chartres: l’enigma del suo labirinto

Notre Dame de Chartres: l’enigma del suo labirinto

Il labirinto è una delle allegorie più complesse e dense di significati del simbolismo.

E’ un simbolo fondamentale e prezioso per la ricerca dell’uomo dentro di sé, sia per il cedente che per l’agnostico.

Uno dei maggiori esempi è, notoriamente, quello nell’abbazia di Chartres.

Il breve saggio che riportiamo è il frutto di una complessa ricerca e di un viaggio che alcuni anni addietro un Fratello vi compì.

 

 

Chi non ha visto nella cattedrale di Chartres il labirinto circolare che occupa la navata per tutta la sua larghezza?

Quello di Chartres è il solo labirinto che si è conservato, raro e prezioso testimone medioevale, di molti altri labirinti.

La circonferenza di quasi 13 metri (12,89) di diametro è pressoché tangente alla base delle colonne laterali a distanza di 16,40 m.  da un asse all’altro di pilastri.

Labirinti simili a questo esistevano nelle cattedrali di Sens, Arras, Amiens, Reims e Auxerre.Altri ancora più grandi di quello di Chartres, erano a Strabourg, Beauvais, Bourges ed anche in Notre Dame a Parigi.Labirinti minori esistono tutt’oggi a Saint-Quentain, Bayeaux, Toulouse e Poitiers.

L’epoca classica non dette troppa importanza ai labirinti, tantoché molti di essi vennero distrutti, con la scusa che i fedeli, percorrendoli durante le funzioni, disturbassero le stesse.

Ad esempio il labirinto di Auxerre venne distrutto nel 1690, quello di Sens nel 1768 e così via per molti altri.

Fortunatamente quello di Chartres è scampato alla distruzione poiché è incastonato nella pavimentazione ed è realizzato in pietra di Berchères, pietra locale particolarmente resistente.

Il canonico Souchet (morto nel 1654), lo considerava “… un divertimento per gli stupidi che nient’altro hanno da fare che perdere il loro tempo a percorrerlo e a girarci intorno.”

D’altronde anche nelle fila degli illuministi si levarono critiche al labirinto se Molière scrive ne L’Avaro “… giuoco dell’oca buono per passare il tempo quando non si ha nulla da fare.” (atto II, scena seconda).

Tuttavia nonostante la trascuratezza  il labirinto è anche stato oggetto di numerosi studi, a dimostrazione del fascino insito in  questo simbolo.

Secondo Charles Challine il labirinto di Chartres è incompleto, nella parte centrale rimangono i rivetti di acciaio che mantenevano in posizione una lastra di rame raffigurante il combattimento tra Teseo e il Minotauro (Challine, Recherches sur Chartres), la piastra fu probabilmente fusa assieme al bronzo delle campane per costruire cannoni nel 1792.

Di molti labirinti scomparsi non restano che i disegni, preziosi per classificare i vari tipi di labirinti.

Quelli di Chartres e Sens erano circolari, mentre quelli di Reims ed  Amiens erano ottagonali, ma la caratteristica che li accomunava, o meglio il principio a cui obbedivano, era lo stesso: portare dall’esterno verso il centro con un percorso unico.

Quello di Chartres ha un percorso di 261,50 metri, formato da lastre di calcare di Berchères e di lastre di marmo blu-nero della Valle delle Muse.

È diviso in sei lobi simmetrici, percorrendolo si attraversano gli anelli interni di sinistra, poi quelli esterni di sinistra ed ancora quelli di destra.

Il numero delle strisce parallele è 11, che è ricorrente anche in altri labirinti e l’ingresso è all’altezza della quinta striscia.

Le testimonianze storiche dei labirinti sono molte.

Già alcune illustrazioni delle Metamorfosi di Ovidio avevano la stesa rappresentazione geometrica di Chartres. Al Louvre un dipinto italiano del XV sec. intitolato “Teseo e Arianna” mostra il combattimento tra Teseo ed il Minotauro al centro di un labirinto uguale a quello di Chartes.

Lo stesso vale per le incisioni di Hieronymus Cook, nel XVI secolo.

Una mappa del mondo del XIII secolo attribuita a Richard Hallington raffigura Creta come il labirinto di Chartres, con incisa la frase “Laborintus id est domus  dealli”.

Lo stesso motivo è inciso  sulla chiave di volta  della Chiesa di Saint Mary Reatcliffe a Bristol.

Sul portale del Duomo di Lucca è inciso un piccolo labirinto identico a quello di Chartres.

Moltissimi altri sono gli esempi che si possono riportare, tra di essi citiamo il labirinto inciso dalla mano di un bambino a Pompei recante la scritta “labyrinthus hic habitat Minotaurus”

Il più vecchio labirinto cristiano si trova in Algeria ad El- Asman  nella basilica di Reparatus, risale al 328 D.C., è quadrato ed ha al centro una chiesa con la scritta Santa Ecclesia.

Il labirinto di Chartes era noto anche con altri appellativi.

Il Dedalo, con una chiara allusione al labirinto di Cnosso.

La Lega, che corrisponde a circa 4 Km, e si riferisce, secondo la tradizione orale, ad un percorso lungo un’ora – e della distanza di una lega- da fare in ginocchio recitando il Miserere.

E’ naturalmente un riferimento evidente al significato del viaggio, tantoché questo viaggio fittizio corrispondeva ad un pellegrinaggio in Terra Santa.

Questi nomi si applicavano solamente ai labirinti da pavimento ed un’altra spiegazione plausibile è che si riferissero al cammino verso la Gerusalemme Celeste, che è poi un’eredità dei miti pagani dove al termine del percorso si trovava il regno dei morti.

I miti pagani prima ed i cattolici poi videro nel simbolo del labirinto la traduzione migliore dell’idea del cammino che l’Uomo dovrebbe compiere nella propria vita, cammino verso una meta  a cui tendere laboriosamente perseverando.

Questo itinerario è appunto la vita stessa: ai margini la nascita , al centro la morte che per i pagani era la discesa agli inferi, per i cristiani l’ascesa verso la salvezza dell’anima con la Chiesa- e la propria dottrina- detentrice del filo che ne permette l’accesso (simbolo poi trasformato, peraltro, nelle chiavi del Paradiso).

Per il massone il labirinto simboleggia la incessante ricerca della Verità, che preclude un cammino lungo, difficile e generalmente solitario.

Tornando al labirinto di Chartres, è interessante notare che il diametro è un decimo della lunghezza  interna della chiesa.

Inoltre il centro del labirinto è un punto fondamentale per la geometria di tutta l’abbazia; infatti la distanza dal centro del labirinto al transetto è uguale alla lunghezza delle quattro arcate al centro della volta (esclusa la maschetta absidale).

E’ stato anche ipotizzato che la posizione dell’altare maggiore sia determinata dal centro del labirinto, infatti occupavano posizioni simmetriche in rapporto all’asse del transetto.

Questa posizione oggi non è più la stessa a causa di un incendio che nel 1194 danneggiò gravemente la chiesa.

Inoltre il diametro del labirinto( 12,80 m. ) è molto simile a quello del rosone centrale( 11,90 m.).

Anche la distanza tra il centro del labirinto e il muro della facciata è quasi uguale alla distanza tra il centro del rosone ed il suolo.

La linea immaginaria dal centro del labirinto al centro del rosone è l’ipotenusa di un triangolo isoscele, poiché l’angolo tra il pavimento e la facciata non retto, infatti il muro è in pendenza.

Il centro del labirinto è di fronte all’asse dei pilastri che dividono le 7 arcate della navata, armonicamente, in 4 e 3.

Il 3 nella simbologia cattolica è il numero dello Spirito Santo, il 4 è quello della materia.

La loro unione è il connubio necessario per la realizzazione dell’opera.

Nelle 7 arti liberali 4 erano le scienze concernenti la materia e 3 quelle dello spirito.

Quindi il labirinto appare come la chiave numerica e geometrica usata dal Maestro Muratore per fissare il piano della cattedrale, anche ad Amiens vi sono 7 arcate: 4 al centro e 3 per ogni braccio del transetto.

Inoltre 7 sono pure le arcate dell’emiciclo absidale così come le cappelle absidali.

Ad Amiens le arcate determinate dal centro del labirinto sono 3.

A Reims il numero privilegiato è il 5, secondo Pitagora il numero della perfezione.

Assistiamo dunque alla chiave dei grandi principi applicati all’architettura medievale nel proprio apogeo.

I costruttori, erigendo le cattedrali tentarono di rispecchiare perfettamente la Gerusalemme celeste.

Fr:.

Quaderni di simbologia muratoria

Il Tempio come rappresentazione del Cosmo

I Lavori Muratori svolti nel Tempio presuppongono un particolare stato di coscienza da parte di tutti i Fratelli partecipanti.

Si tratta cioè di quello “stato interiore” a cui fa riferimento io Rituale con l’abbandono fuori del Tempio dei metalli da parte dell’iniziando per significare il distacco dal mondo profano.

Siamo nel punto geografico, geometrico o geodetico, rispettivamente in grado di Apprendista, Compagno e Maestro, noto ai soli Figli della Vedova, cioè siamo:

- in una situazione interiore particolare;

- soggetti alle energie interagenti nel cosmo, nell’ambito della Legge del Grande Architetto dell’Universo.

La comprensione e la padronanza di quanto sopra accennato diventeranno sempre più accessibili a mano a mano che si analizzando i riferimenti e i simboli presenti nel Tempio e giunti fino a noi nell’alveo della Tradizione Iniziatica, di cui l’Istituzione Muratoria rappresenta il filone occidentale più valido e attivo.

Il Tempio stesso (fig. 1) è un simbolo o, meglio, il più complesso e importante tra i simboli muratori.

E, pertanto, racchiude tutta una serie di significati operativi e sperimentabili, riferiti all’Uomo come ci ricorda l’imperativo apposto sul suo frontone:

CONOSCI TE STESSO

Fig. 1 – Il Tempio

Il Tempio, inoltre, in quanto luogo reso sacro dalla volontà e dall’operatività dei Fratelli, è la rappresentazione microcosmica del cosmo.

Nel richiamarci all’attribuzione dei quattro punti cardinali ai lati del Tempio, vediamo di ripercorrerne le fasi di costruzione (fig. 2):

Fig. 2 – Punto d’osservazione reale

- l’asse che suddivide longitudinalmente il Tempio, identificando – come vedremo – le zone di “luce” e di “tenebre”, corrisponde al parallelo di una data località.

La linea Est-Ovest (M:.V:. – 1° Sorv:.) è l’orizzonte osservabile da chi si ponga con le spalle al Nord[1];

- l’altro asse, quello Sud-Nord, o Mezzogiorno-Settentrione (2° Sorv\ – centro della Colonna degli Apprendisti), corrisponde al meridiano terrestre della località.

L’intersezione degli assi Est-Ovest e Sud-Nord rappresenta il centro del Tempio ed è il punto della nostra collocazione interiore simbolica, equilibrata ed equilibrante, in cui tracciare o porre il Quadro di Loggia dopo l’apertura dei Lavori e l’approvazione della Tavola architettonica tracciata nella precedente tornata.

Tale “punto geografico” è inoltre il nostro punto di osservazione da cui seguiamo il moto diurno, apparente, destrorso del Sole (in realtà, è la Terra che ruota sul proprio asse in senso sinistrorso):

-      al suo sorgere a Oriente (fig. 3);

-      al suo raggiungere lo Zenit o Mezzogiorno (fig. 4);

-      al suo tramontare a Occidente (fig. 5);

-      al suo raggiungere il Nadir o Mezzanotte (fig. 6).



[1] Questa disposizione dei punti cardinali è diversa rispetto a quella consueta delle carte geografiche, che pongono il Nord in alto, l’Est a destra, ecc., perché intende rappresentare la realtà della quale partecipa l’uomo che si ponga con le spalle al Nord per osservare tutti i giorni il moto apparente del Sole, della Luna e degli altri corpi celesti intorno alla Terra, rendendo così più agevole la constatazione di una serie di fenomeni legati a tale moto apparente.

Fig. 3 – Il sorgere del sole

Fig. 4 Il Mezzogiorno

Fig. 5 Il Tramonto

Fig. 6 La Mezzanotte

Ovviamente, è impossibile “vedere il Sole” a Mezzanotte, poiché, a quell’ora, l’astro brilla su altre contrade.

Ma, al centro della Colonna di Settentrione, nel Silenzio e nel compimento del proprio Lavoro, l’Apprendista è predisposto a percepire e ad attivare il proprio “Sole di Mezzanotte”.

A effettuare, cioè, una conquista interiore e simbolica che qui è sufficiente avere solo sfiorato e che gli servirà per perimetrarsi il “passaggio dall’una all’altra Colonna”.

Fatta luce nelle proprie tenebre, conquistata la vera LIBERTA’ dai propri condizionamenti, il Fratello divenuto Compagno si colloca nella Colonna di Meridione, dove, nella piena luce del Sole allo Zenit, si riflette con il “lavoro a specchio” (“speculare”) negli altri Fratelli, negli altri uomini, di cui riconosce la essenziale UGUAGLIANZA.

Ciò fatto, si adopererà nel raggiungimento dell’equilibrio del Maestro Libero Muratore, capace in ogni occasione di trovare il “posto che gli compete” nell’una e nello’altra Colonna, come pure nel mondo di relazione, per stabilire con l’esempio la vera FRATELLANZA.

Se si raggruppano la quattro illustrazioni precedenti in un unico schema (fig. 7), si hanno:

Fig. 7 Il moto diurno apparente del Sole con la divisione delle ore di Luce e di Tenebre

- le 4 principali posizioni solari ai punti cardinali che, agli equinozi (cioè quando la durata del giorno e della notte è uguale), coincidono con le ore 6, 12, 18 e 24. Ciò assumerà particolare importanza nell’indagare il significato profondo delle ore di apertura e chiusura dei nostri architettonici Lavori;

- la suddivisione del Tempio in una metà “sempre” in luce e una metà “sempre” nelle tenebre, i cui significati analogici possono già intravedersi nell’ambito della Legge Binaria, cioè del principio di dualità.

La medesima rappresentazione microcosmica del Tempio serve anche ad individuare gli equinozi ed i solstizi (fig. 8), ponendo:

- a Est, l’equinozio di primavera (21 marzo, Sole nel punto gamma, cioè a 0° nel segno di Ariete);

- a Nord, il solstizio d’estate (22 giugno, Sole a 0° nel segno del Cancro);

- a Ovest, l’equinozio d’autunno (23 settembre, Sole a 0° nel segno della Bilancia);

- a Sud, il solstizio d’inverno (22 dicembre, Sole a 0° nel segno del Capricorno).

Fig. 8 Gli equinozi e i solstizi

Anche in questa illustrazione si è seguito il moto apparente del Sole, non più diurno, ma annuo, poiché “sembra” (per effetto del moto di rivoluzione terrestre) che la volta celeste, alla quale ci si riferisce per localizzare la posizione del Sole rispetto alla fascia zodiacale, ruoti in senso destrorso attorno alla Terra. Questo spostamento, e, più esattamente, il percorso apparente del Sole sull’eclittica e di 1° al giorno circa e, quindi, di 30° al mese. Il Sole sembra così attraversare tutti e 12 i segni zodiacali nell’arco dell’anno, nell’alternarsi della quattro stagioni (fig. 9).

Fig. 9 – Le quattro stagioni e i dodici segni zodiacali

Per meglio chiarire i concetti di moto apparente dl Sole e moto reale della Terra nel corso dell’anno, occorre fare riferimento ad alcune nozioni di geografia astronomica, illustrabili come segue (fig. 10).

Quando il Sole, al 21 marzo, sembra entrare nel punto gamma, o equinozio di primavera (laddove si intersecano – nello zodiaco classico – i cerchi dell’equatore celeste e dell’eclettica, od orbita descritta dalla Terra), è la Terra che materialmente si trova nel punto opposto. E così, all’incirca de mese in mese, il Sole sembra entrare nel segno del Toro, dei Gemelli, del Cancro, ecc., mentre è la Terra che si sposta nei segni opposto dello Scorpione, Sagittario, Capricorno e così via[1].



[1] L’effetto del lento spostamento conico dell’asse terrestre, detto “di nutazione” (la Terra ruota su sé stessa con movimenti combinati come quelli di una trottola) genera il fenomeno noto come “precessione degli equinozi”. Conseguentemente, l’intersezione del piano dell’eclittica con il piano dell’equatore celeste si sposta di un grado circa ogni 72 anni e di un intero segno ogni 2.160 anni, per poi tornare al punto di partenza dopo 25.920 anni. Tuttavia, non si sposta il riferimento ai segni zodiacali per il posizionamento del moto apparente del Sole. Oggi, come 20 secoli fa quando fu fissato la schema dello zodiaco classico, il Sole entra in ariete al 21 marzo, data di inizio della primavera e della uguale durata del giorno e della notte.

Fig. 10 – Moto annuo apparente del Sole e moto reale della Terra sull’eclittica

Per tornare al Tempio, come rappresentazione microcosmica del cosmo, vediamo come tutti i riferimenti sopra esposti possano essere raggruppati in un’unica illustrazione (fig. 11), i cui contenuti allegorici, simbolici ed esoterici vanno presi in considerazione per ulteriori speculazioni.

Fig. 11 – I quattro elementi e le dodici colonne

Ad esempio, è analogamente rilevabile che le 12 Colonne del Tempio e le 12 “fatiche” del mitico Ercole corrispondono ai 12 segni dello zodiaco, di cui l’Iniziato può e deve percorrere il senso reale e velato, attraverso la sperimentazione su sé stesso, per divenire a sua volta un “Sole” e lavorare “al bene e al progresso dell’Umanità e alla gloria del Grande Architetto dell’Universo”.

Inoltre, poiché è possibile stabilire anche le seguenti corrispondenze:

Le prove dei 4 elementi, a cui si sottopone l’iniziando, possono illuminarsi di molteplici significati interpretativi e operativi.

Gli elementi della Tradizione Iniziatica rappresentano i quattro tipi primordiali della manifestazione cosmica, nonché il ciclo delle manifestazioni naturali e il ciclo biologico della vita dell’uomo, in particolare:

- il FUOCO designa l’energia creatrice e impulsastrice;

- l’ACQUA designa l’energia di gestazione;

- l’ARIA designa l’energia equilibrante e combinatoria delle prime due, che sono equipotenziali di seno opposto;

- la TERRA designa l’energia di cristallizzazione e di fusione delle tre precedenti, nella quale i nostri sensi possono constatare l’evoluzione.

I quattro elementi, con le loro attribuzioni energetiche-simboliche, costituiscono il QUATERNARIO, cioè la realtà manifestata (e, quindi, l’Universo, l’Uomo) che ne contiene tutte le potenzialità e le leggi.

Delle constatazioni sopra esposte e, tenuto anche conto del fatto che nel Tempio sono rappresentati il Sole, come astro diurno, e la Luna, come astro notturno, nonché il pavimento a scacchi bianchi e neri, possiamo trarre le seguenti analogie in quanto espressioni del principio di dualità (polarità positiva e negativa, opposte e complementari):

Contrapposizioni tutte risolvibili nel punto di equilibrio al centro del Tempio in cui simbolicamente ci collochiamo.

Come ulteriori constatazioni, vediamo che la collocazione delle 12 Colonne e, quindi, dei 12 segni zodiacali comporta le seguenti corrispondenze esoteriche tradizionali:

Da tutto ciò è possibile rilevare[1]:

- l’alternanza delle polarità positiva e negativa, che non è una distinzione quali quelle del mondo profano, ma una differenza qualitativa e simbolica come nei binomi: giorno – notte, vita – morte, esteriore – interiore, ecc.;

- l’alternanza dei 4 Elementi in triplicità di diverse caratteristiche che identificano tre modalità di esplicazione della medesima energia;

- l’alternanza dei 12 segni (e dei 4 elementi) in: CARDINALI, che rappresentano il CAMBIAMENTO; FISSI, la PERSEVERANZA; MUTEVOLI, la MEDIAZIONE EQUILIBRANTE dei primi due.

Al termine di questi cenni di analisi del “Tempio come rappresentazione del cosmo” è possibile concludere con alcuni enunciati a livello di ipotesi per ulteriori lavori e speculazioni, ad esempio:

- il Tempio è un simbolo complesso, la punta di un “iceberg”, il contenitore di numerosi altri contenitori, il “labirinto” all’interno del quale è sempre ritrovabile l’Universo, l’Uomo, la sua Storia, la sua Intelligenza, la sua Essenza;

- il luogo fisico delle nostre riunioni, consacrato dalla presenza, dalla volontà unisona e dal lavoro corale dei Fratelli, diventa “LOGGIA”, cioè un’unità dell’Egregoro (Idea – Forza) della Libera Universale Massoneria. E può diventare “OFFICINA”, cioè laboratorio, fucina di idee e di uomini, non disgiunti dalla memoria degli ideali della Tradizione, ma proiettati nel presente e formatori del futuro, al di là del mutevole e del contingente;

- i 4 elementi, i 12 segni zodiacali, il Sole, la Luna e gli altri simboli presenti nel Tempio, servono da supporto a uno o a più dei possibili schemi interpretativi, analogici, della realtà che è sempre “UNA” e “UNIVERSA”, ed è resa più accessibile dall’intenso Lavoro Muratorio.



[1] Le considerazioni esposte non implicano assolutamente accettazione di impalcature teorico dogmatiche di alcun genere. In particolare, il punto di osservazione geocentrica, da cui siamo partiti, non è una contraddizione della visione eliocentrica, copernicana, scientificamente corretta. Ci atteniamo a quanto astronomicamente e fisicamente è verosimile nel modello scientifico del mondo in quanto siamo collocati sul pianeta Terra (soggetti all’alternanza del giorno e della notte, dei ritmi delle stagioni, delle fasi lunari, ecc.) e, pertanto, tutto l’universo per gli uomini e “relativizzato” a tale punto di osservazione. La sequenza dei 12 segni zodiacali, inoltre, non ha niente a che vedere con la cosiddetta “astrologia giudiziaria” sempre in voga negli ambienti in cui domina l’occultismo e l’irrazionale. Quest’ultima, com’è noto, semplifica le distinzioni tra gli uomini in 12 “tipi zodiacali”, il cui destino sarebbe prevedibile mediante il tracciamento di “oroscopi”. Infine, lo schema dei 4 Elementi della Tradizione è simbolico e sottende gli insegnamenti presenti in tutte le Scuole Iniziatiche degne di questo nome e, pertanto, non ha niente a che fare con la “tavole periodica degli elementi” attinenti al campo scientifico profano.

De Praescriptione Haereticorum

TERTULLIANO

DE PRAESCRIPTIONE HAERETICORUM
(La prescrizione contro gli eretici)

Traduzione a cura di Gino MAZZONI (1929)

INDICE DELLE OPERE

PUBBLICATE NELL’ANNO 1928

1. TERTULLIANO – APOLOGETICO
a cura di G. Mazzoni

2 ATTI DEI MARTIRI – Vol. I.
a cura di V. Corrente

3. ERMA – IL PASTORE
a cura di R. Marzini

4. CLEMENTE A. – IL PEDAGOGO – Lib. II.
a cura di E. Neri

  1. S. CRISOSTOMO – ELOGI DEI MARTIRI – Vol.I.
    a cura del Sac. G. Del Ton
  2. S. CRISOSTOMO – ELOGI DEI MARTIRI – Vol.II.
    a cura del Sac. G. Del Ton

1. – I “Classici Cristiani„ sono divisi in tre serie: Antichi, Medievali, Moderni.

2. – La pubblicazione dei “Classici Cristiani„ è bimestrale ; ogni anno cioè escono sei volumi.
3. – Ogni volume è compilato da fedeli alla causa della Chiesa Cattolica.

4. – L’abbonamento ai “Classici Cristiani„ è annuale: ha inizio sempre col mese di gennaio.

5. – Il prezzo dell’abbonamento annuo ai “Classici Cristiani„ in Italia, e nelle Colonie, è di L.
36 ; estero L. 45 e deve essere rimesso a EZIO CANTAGALLI, EDITORE – SIENA.

6. – L’abbonamento all’opera completa costa L. 500.

7. – La quota annuale dell’abbonamento ai “Classici Cristiani” può essere versata anche in rate.

PROPRIETÀ LETTERARIA DELL’EDITORE
TIP. EX-COMBATTENTI – SIENA

 

CLASSICI CRISTIANI

ALTO ASSISTENTE: CARD. PIETRO MAFFI

TERTULLIANO

DE PRAESCRIPTIONE HAERETICORUM

—-

a cura di Gino Mazzoni

ANNO DOMINI MCMXXIX
EZIO CANTAGALLI – SIENA

APPROVAZIONE ECCLESIASTICA

Nihii obstat quominus imprimatur. Can. Aemilius Giorgi, Cens. Eccles. Senis, die 7 Januarii a.

1929.

IMPRIMATUR

Senis, ex Curia Arch. die 9 Jan. 1929. C. Barbieri, Vic. Gen.

In ogni lavoro che il tuo babbo modestamente porta a termine, non può non segnare il tuo nome, piccola Maria Grazia, che sei il suo bene, e il più grande conforto della sua vita.

A SUA
EMINENZA REVERENDISSIMA IL SIGNOR CARDINALE
GAETANO BISLETI
PREFETTO DELLA SACRA CONGREGAZIONE
DEI SEMINARI E DELLE UNIVERSITÀ CATTOLICHE

TERTULLIANO

DE PRAESCRIPTIONE HAERETICORUM

 

 

PREFAZIONE

 

viene fuori a circa un anno di distanza dalla prima opera Tertullianea da me tradotta:
l’Apologetico. È lo stesso spirito di fede, il medesimo amore che mi hanno indotto a continuare,
in tutta modestia, l’opera intrapresa, alla quale ho dato tutta quella diligenza che tale lavoro,
non scevro di difficoltà, richiedeva e quella buona volontà che m’ha guidato sempre in tutto ciò
che ho impreso a fare. Non so se sarò riuscito ad assolvere bene il mio compito, ma sono
sicuro di aver fatto opera buona e utile, se, anche non perfettamente, ho reso accessibile, in
una forma piana e facile un altro capolavoro quasi ignorato dai piò, fin’ora, della letteratura
Cristiana. La traduzione è rispondente più che sia possibile al testo, ma non ho esitanza alcuna
ad affermare che da esso mi è piaciuto talvolta allontanarmi, parafrasando, magari, ogni qual
volta si correva rischio, per stare troppo attaccati alla lettera dell’originale, di cadere in qualche
oscurità d’intelligenza del testo stesso, cosa in qualunque caso da evitarsi: ma specialmente in
una collezione che ha sopratutto lo scopo di divulgare i tesori tramandatici da chi ha potuto
abbeverarsi alle sorgenti più pure della fede nostra, di chi ha seguito, ha vissuto della nostra
religione, i contrasti, i tormenti, i pericoli, i dolori, di chi in essa e per essa ha sofferto, ha
combattuto, |xiv ha cantato la luce inestinguibile che ne doveva scaturire, la fermezza, la
saldezza della sua dottrina, le lotte terribili, ma vittoriose e magnifiche. L’opera Tertullianea
che presento, è ardita, acuta, e stringente nelle sue argomentazioni: non ha però l’impeto e il
fremito di passione dell’Apologetico: alla mia modesta fatica di traduttore ho chiesto solo quella
intima soddisfazione che può dare la coscienza di un tempo bene speso, e la gioia di avere
serenamente, nobilmente lavorato in un ideale di bontà e di pace.

GINO MAZZONI

INTRODUZIONE

L’opera presente si riattacca a quel movimento complesso di speculazione filosofica e
religiosa che va sotto il nome di Gnosticismo dalla parola
gnw~sij, conoscenza: nei primi tempi
del Cristianesimo si cercò di giungere da ciò che fosse fede vera e fervente alla conoscenza
perfetta di Dio e si pretese di arrivare a questo grado, mediante lo studio delle diverse religioni
e col confronto di religioni diverse col Cristianesimo, onde è stato giustamente affermato che
Gnosticismo significa “una corrente strana di pensiero che fra il primo e il terzo secolo del
Cristianesimo insidiò la tradizione evangelica e, attingendo elementi dalle tarie e molteplici
manifestazioni della cultura contemporanea, cercò,
|xvi mediante complicate e a prima vista
inatectfrabili interpretazioni razionali della predicazione cristiana, di soddisfare così alle
tendenze sincretistiche di quel perìodo storico, come al desiderio di portare il Cristianesimo ad
una più alta ed organica sistemazione teoretica e rituale, finché morì sopraffatta dalla corrente
meno affinata, ma democratica e sana del Cattolicismo,,. Ma questa tendenza gnostico fu di
sollevare il Cristianesimo da quello che a loro pareva carattere di troppa semplicity e
frammentariety, per crearne una vera e propria filosofia religiosa ed avvolgerlo, come gli altri
sistemi, in una inafferrabile astrusity di concetti, invece che sentirlo e comprenderlo nel pieno
fulgore della sua luce. Ed ecco nelle loro dottrine riapparire e confondersi le credenze della
filosofia pagana; in special modo gli Gnostici attinsero dalle teorie Platoniche, dalle dottrine dei
sistemi religiosi dell’Orientet in una strana mescolanza di riti, di cerimonie diversissime. Solo la

Redenzione fu conservata come idea cristiana, ma, dice il Moricca “del tutto guasta e
contraffatta, e le Sante Scritture divennero un largo campo di arditissime interpretazioni
allegoriche…
|xvii

Qual’è il punto fondamentale della dottrina gnostica? quale il problema di cui essi cercano
affannosamente, attraverso ogni maggiore astruseria e complicata costruzione di sistemi, la
risoluzione
? Il problema dell’esistenza del male nel mondo: com’è possibile che da un essere
perfettissimo, infinito ed indescrivibile che domina su tutto, ma assolutamente trascendente e
separato dal mondo, sia scaturito il male
? e giy Filone, rappresentante della filosofia greco-
ebraica, pensery a potenze interposte fra Dio, nella Sua assoluta trascendenza, e il mondo
finito delle cose: queste forze intermediarie si chiameranno nel loro complesso
lo&goj e sono
esse che hanno dato forma e costituzione al mondo; e in esse non v’è perfezione assoluta, non
mancano elementi d’impurity, onde anche l’uomo è, creato dalle potenze inferiori a Dio,
sensibile, materiale, soggetto a morte, capace del bene e del male; mentre l’uomo, poi, ha
inoltre un elemento puramente intelligibile, non soggetto quindi a impurity alcuna o a

 

corruttibility, che può rimanere chiuso e impedito dall’involucro corporeo, dai quali legami
potry pur liberarsi e giungere, per mezzo del soccorso divino, a una specie
|xviii di estasi, di
rapimento, che gli concedery di riposare in Dio
e0n mo&nw| qew|~ sth~nai. Da tale dottrina si
passa facilmente alla concezione gnostica “bastery che l’antagonismo fra Dio e la materia sia
trasportato nelle stesse personality divine, bastery intessere nella trama di quelle speculazioni
metafisiche la persona di Gesù e la Sua opera di redenzione, perché si abbia la tesi eretica e
l’errore: accanto a Dio infinito e purissimo, principio indeterminato ed astratto, sta la materia
nella quale risiede il principio di ogni impurity e dalla quale procedono tutte le cose sensibili; il
mondo a l’opera di un Demiurgo e in esso esistono elementi spirituali e materiali, ma quello
che nel corpo a spirito, tende naturalmente ad affrancarsi da ogni vincolo corporeo ed impuro:
e a questo s’arriva colla
gnw~sij o conoscenza dei mezzi di purificazione, i quali sarebbero
rivelati da una dottrina profonda, astrusa, complessa, che si allontana e svisa e tradisce il
senso dei Sacri Libri, ai quali talvolta s’appoggia. Lo Gnosticismo, che vede la sua luce col
diffondersi del Cristianesimo fuori di Gerusalemme, riconosce come suoi primi centri la
Palestina e la Siria e ricorda i nomi di un Simone Mago, di un
|xix Menandro, Cerinto,
Saturnino d’Antiochia, e si estende in Alessandria dove trova uno dei centri più favorevoli al
suo sviluppo, ed ecco i nomi di Basilide, Carpocrate, Valentino, Apelle, Cerdone, Marcione: e le
eresie dilagarono, mentre in ogni dove, per merito di vescovi insigni, a Roma, per l’azione di S.
Giustino, nella Gallia, di S. Ireneo, tonava la voce ardita contro l’eresia; ma nessuno, come
Tertulliano, aveva ancora innalzato il suo grido contro tutti quei procedimenti eretici, che
dovevano pur, naturalmente, suscitare il dubbio in anime tepide ed incerte per far poi
risplendere la purity della fede di un bagliore sempre più fulgido: egli scese in campo, ardito e
sicuro di sa, armato dell’oratoria più travolgente, della dialettica più sottile, dell’ironia magari
più caustica, e scrisse una serie di opere destinate a difendere la sua fede contro le alterazioni
tentate da tante altre parti: le opere che risalgono a tale periodo sono:
Adversus Iudaeos; De
praescriptione Haereticorum, che io penso appartenga al periodo cattolico di Tertulliano, contro
chi crede che si debba ascrivere a un primo periodo montanista;
Adversus Marcionem;
Adversus Hermogenem: risalgono a circa l’anno 200, e quella che presenta interesse maggiore
a il
De Praescriptione Haereticorum: la credenza vera, indiscutibilmente, a la Cristiana, non vi
devono esistere sottigliezze di sorta che possano annebbiare il suo splendore: non a il caso di
venire a discussione cogli eretici: qualunque contrasto con essi, potrebbe ingenerare
stanchezza o dubbio: essi non possono, na debbono in modo alcuno essere ammessi a
discutere sulla Sacra Scrittura. Il titolo dell’opera “
La prescrizione contro gli eretici„ a di per sa
stesso un cartello di sfida, l’ordine tassativo che essi non potranno più entrare in discussione
su materia di fede: nel diritto Romano vigeva la
praescriptio, cioa chi aveva l’uso da tempo di
un possesso, lo poteva considerare come suo legittimamente e respingere senz’altro ogni
pretesa da parte di altri. Ora a chi mai appartengono le Sacre Scritture? ai Cristiani: a nessun
altro a aperto questo immenso patrimonio di luce e di verity, che gli eretici falsano,
annebbiano, confondono, distruggono in quello che a il fondamento suo più saldo: essi non
hanno diritto alcuno d’intervenire nelle Sacre Scritture e chiamarle in loro aiuto mediante false
|xx interpretazioni: le Scritture sono possesso e-sclusivo dei Cristiani e ogni altro ne deve
esser tenuto lontano. Il trattato, che a costruito con molta solidity e forza dialettica, ha quindi
efficacia non scarsa e, per quanto non possa mettersi a confronto coir
Apologetico, pure
possiede parti interessanti, ed a voce alta e nobile in difesa di quella fede che, attraverso il
sangue di tanti Martiri, rifulge di pura luce ed a amore e conforto grande e dolcissimo per tutti
coloro che a lei si volgono e per lei sanno combattere e soffrire.

Vi sono l’eresie e numerose: percha spaventarsi del loro sorgere e del loro progredire? così
ha voluto la Provvidenza: come la verity potrebbe risplendere di sua luce più pura, se non
diradando le tenebre dell’errore? e non c’a neppure da meravigliarsi di coloro che s’allontanano
da noi per seguire dottrine eretiche: a una prova a cui gli uomini sono sottoposti; chi sa
opporre una resistenza fiera ed ardita, indice di un’anima sicura e ferma, e chi invece cede alle
lusinghe di una
|xxi nuova dottrina. L’eresia deve compiere la sua opera: tutto quello che
esiste ha una sua forza attiva; anche la febbre agisce sugli organismi con un processo
deleterio: ebbene, percha meravigliarsi? essa esiste per quello scopo: ed a lo stesso
dell’eresia: questa vuole scuotere i cardini della credenza vera e vuole seminare la discordia
nel campo cristiano: il nostro dovere a quello di sapercene guardare e lottare contro tali false
credenze, che insidiano la purity delle fede e il cuore nostro di credenti.
Sicuro! ci potrebbe
esser qualcuno che venisse fuori con questa osservazione: oh, ma un vescovo, un dottore
hanno abbracciato una credenza eretica; dunque… a forse co-desto un segno della verity di

 

quella dottrina? Si giudicano gli uomini dalle dottrine, non le dottrine dagli uomini: se uno non
a cristiano, possiamo asserire che costui non a saggio, fedele, grande: ma se uno dei nostri
passa al campo eretico, non possiamo dire che qui sia la verità. L’eresia non a dunque da
condannarsi, percha allontana qualcuno da noi: anzi: la sua azione a utilissima al
Cristianesimo: per mezzo suo siamo in grado di distinguere chi si possa veramente o no
|xxii
dire cristiano,, percha, chi a tale, rimane fermo e costante fino all’ultimo giorno della sua vita
nella fede incrollabile. L’eretico sceglie a suo modo una dottrinai eresia significa appunto
scelta
(ai3reaij); ma il Cristiano a seguace scrupoloso degli Apostoli, che furono coloro che ebbero in
eredità la verace dottrina del Cristo, percha la diffondessero nella sua grande parola alle genti:
le dottrine ere-tiche trovano toro sostegno nella filosofia pagana e in tutto quel complesso
sistema di sottigliezze, di astruserie, di contradizioni delle antiche dottrine e che convergono
tutte a nascondere, a tradire la luce della verità: percha i Cristiani dovrebbero ricercare
ancora, quasi che essi non abbiano già in loro possesso la dottrina purissima ed infallibile:
eppure gli eretici, nelle loro continue ricerche di sapere, portano a sostegno queste parole dei
Libri Sacri “cercate e troverete,, ma Gesù pronunziò queste parole, quando, al principio del
Suo insegnamento, non si sapeva ancora se Egli fosse realmente il Cristo, ma una volta che
abbiamo trovato Lui e fissato il principio invariabile della Sua dottrina, a che ricercare ancora?
non a possibile ricercare ancora, quando si conosce ormai quello
|xxiii che a perfezione e
parità massima. Volete pure ammettere che la ricerca debba procedere instancabilmente, e,
per modo di dire, all’infinito? ebbene, si segua questa linea, ma non si esca dal seno della
Chiesa nostra “dove la dottrina cristiana poggia sul fondamento d’una testimonianza autentica
e d’una autorità legittima, al sicuro dalle fluttuazioni e dai capricci del libero esame; rimaniamo
nella nostra Chiesa, che ha il deposito della verità e che questa conserva riassunta in un
simbolo di fede”. Si cerchi, se si vuole, nel campo cristiano illuminato sempre dalla maggiore
fede, che pure può non escludere un certo moderato spirito di curiosità, ma rimanga il
principio essenziale, e ricordiamo che piuttosto che conoscere ciò che non dobbiamo, a meglio
ignorare, dal momento che già siamo giunti alla conoscenza di quello che ci a lecito sapere.

Cogli eretici noi non possiamo na dobbiamo entrare in rapporto alcuno: essi brancolano nel
buio, fra l’incertezza, la stranezza delle loro dottrine e non sono stati affatto capaci di fissare
alcun principio di fede: e il bello a che nelle alterazioni e nelle correzioni che apportano alla
sacra dottrina, essi hanno il
|xxiv coraggio di portare, come sostegno, la testimonianza dei
Sacri Libri: oh, ma a loro non a lecito servirsene per scopi particolari di interpretazione e di
falsificazione: nessun diritto possono avere sui Libri Sacri, che sono possesso e vanto
unicamente della Chiesa Cattolica. Cristo ha predicato una Sua dottrina e gli Apostoli ne sono
siati i depositarî: sono essi che hanno fondato le prime Chiese e da queste, in una fioritura
magnifica, si a andata formando la grande Famiglia Cristiana: e si dicono Chiese Apostoliche,
percha dagli Apostoli traggono direttamente la loro origine o ad essi indirettamente si
ricongiungono: e sono queste le depositane della dottrina vera, che a la rivelazione fatta agli
Apostoli da Gesù Cristo: interroghiamo dunque la vera tradizione ecclesiastica, che riporta la
dottrina di Cristo per bocca degli Apostoli e saremo nella verità: il resto a falso: “La nostra
credenza a quella stessa della primitiva Chiesa Apostolica, matrice e sorgente della fede: ecco
la testimonianza della verità,,. Dicono gli eretici che non a integra la conoscenza che ebbero gli
Apostolì della dottrina, del Cristo, o se questa pure sia completa, che essi non hanno
tramandato ai posteri per intero
|xxv quanto era a conoscenza loro; ciò a falso; l’unità,
l’armonia assoluta di tutte le comunità ecclesiastiche su un medesimo simbolo di fede,
dimostra la luce della verità: nel campo dell’errore esiste differenza e scisma; la verità rifulge
sempre nella piena, organicità assoluta della sua dottrina: la verità evangelica, secondo la
dottrina tramandata dagli Apostoli, a stata poi guastata dalle dottrine eretìche che sono
seguite e su di essa si sono innestate, falsificandola poi e adulterandola in ogni modo. Eppoi,
hanno forse l’eresie la pretesa di vantare una tradizione apostolica? di risalire fino ad essa?
ebbene, ci dicano il nome dei loro vescovi e provino come il primo di essi si ricongiunga alla
luce Apostolica direttamente: siamo noi, non loro, che possiamo far ciò: Giovanni prepose; ad
esempio, come vescovo alla Chiesa di Smirne, Policarpo; e Pietro elevò al seggio episcopale di
Roma, Clemente: gli eretici può essere pur vero che possano vantare precursori che risalgano
all’epoca Apostolica, ma furono proprio coloro che cominciarono a spacciare dottrine che gli
stessi Apostoli condannarono. Così noi possiamo, lungi da ogni dubbio d’errore, stabilire che
l’eresie non
|xxvi possono risalire all’età Apostolica, ma sono ad essa posteriori; oppure che,
se risalgono fin là, esse ebbero dagli Apostoli stessi la loro condanna, per le aberrazioni cui si
abbandonavano, nei rispetti della più perfetta dottrina.

 

Dunque, solo la Chiesa ha l’assoluto possesso delle Scritture, alle quali gli eretici non
possono in alcun modo ricorrere o attingere.

Passiamo poi a considerare tutto il modo di vivere e di procedere degli eretici, e scorgeremo
facilmente che, mentre fra i Cristiani tutto è ordine, è armonia, è concordia, è unità, dall’altra
parte regnano la discordia più assoluta, la contradizione, il capriccio, il dissenso; tutto nel
campo loro è falsità e alterazione d’ogni più sano, più puro, più saldo principio di fede. Manca
fra loro ogni disciplina, ogni spirito di organizzazione; ogni regola circa le diverse cariche e
attribuzioni. Il punto più strano degli eretici è il sistema che costoro seguono nella
predicazione, colla quale, invece di perseguire lo scopo di convertire i pagani, cercano di
deviare dalla retta via i seguaci della vera fede: è un’opera negativa, deleteria che essi
compiono,
|xxvii propria, appunto di chi, non adendo nulla di proprio da potere saldamente
affermare, tutto poi fa consistere nello scalzare il fondamento della credenza vera.

Scismi presso gli eretici si può dire che non esistano, perchè il carattere della loro dottrina è
lo scisma di per sè stesso, in quanto, nella mancanza assoluta di unità, è un dissenso
continuo; ciascuno pensa a capriccio suo, modificando la credenza di colui che ha tramandato
quella medesima: tutto dunque è arbitrio e licenza presso gli eretici, dai quali si deve star
lontani e seguire, nella purità dell’animo nostro, il più saldo, severo principio di fede, avendo
rocchio a quel momento nel quale, dinanzi alla figura di Cristo giudicante, dovremo dar conto
della fede nostra e di come abbiamo saputo serbare nell’anima la fiamma vivificatrice e
animatrice d’ogni migliore energia.

G. MAZZONI

Siena, decembre 1928.

Ricordo & titolo d’onore, fra i lavori dei quali mi sono servito, riassumendo e riportando in
parte: |xxviii “La Storia della Letteratura Cristiana„ di U. MORICCA. Torino, Soc. Edit. Int.
-”Tertulliano„ a cura di F. RAMORINO. Milano, Vita e Pensiero. – ENRICO MEYNIER; “Storia del
Cristianesimo dalle origini ai nostri giorni,, Firenze, Casa Editrice Claudiana. – PETTAZZONI: I
Misteri„ Bologna, Zanichelli. – MELLI: La filosofia Greca da Epicuro ai Neoplatonici„ Firenze,
Sansoni. – WINDELDAND; “Storia della filosofia,, Palermo, Sandron.

  1. Non si può negare che le eresie esistano e che abbiano una forza.

¶ Lo stato attuale dei nostri tempi fa sì, che noi dobbiamo ben fermare questo punto: ed è
quello di consigliarvi, di esortarvi a che voi non vi facciate meraviglia alcuna di queste eresie:

esse di fatto esistono ed era infatti già stato preannunziato che esse sarebbero sorte (1);
eppoi, perchè meravigliarsi per la ragione che scalzano e infirmano la saldezza di credenza in
taluni spiriti? esse sono sorte appunto per questo scopo: perche la fede, col dover sopportare

violenza di attacchi, ne acquistasse poi fulgore di conferma e |2 sicurezza maggiore (2). Non
c’è dunque ragione ed è perfettamente inutile e sciocco che la maggior parte dei fedeli si
scandalizzino perche l’eresie abbiano preso tanto piede. Quanta azione, potrebbero esse
esercitare, se non esistessero? [nessuna]; ma dal momento che vi sono…; quando una data
cosa dalla natura ha avuto in sorte un modo qualsiasi di vita, come trova una ragione in essa
che giustifichi la sua origine, così acquista quel vigore che la rende attiva e vivace, e non è più
possibile allora, per lei, la non esistenza.

  1. II.

In che cosa possa consistere ìa forza delle eresie, e su chi esse possano eventualmente avere

la loro influenza

¶ Fra tutti gli altri modi per i quali la vita dell’uomo è tormentata e magari trova la sua fine,
non manca, dopo tutto, la febbre: ebbene noi non proviamo doloroso stupore per nessuno di
questi due fatti: nè che essa esista, dal momento che esiste realmente, e neppure che essa
conduca l’uomo al disfacimento del suo organismo: è proprio per questo che essa ha una

 

esistenza. Cosi è riguardo |3 all’eresie, le quali sono sorte per affievolire e per spengere,
magari, calore e fulgore di fede; noi, anzi che meravigliarci e provare un certo senso di
sgomento chè esse abbiano un tale potere, dovremmo riportare questa nostra impressione di
timore, al principio della loro esistenza: finchè esse siano, è in loro anche tale potenza; è
proprio in quanto che esse hanno tale potenza, che possono esistere.

¶ Ma avviene che dinanzi al fatto della febbre, come ognuno sa, non è in noi tanto un senso di
stupore e di meraviglia, quanto un’impressione di ostility, di repug’nanza, per le cause che la
possono produrre e per gli effetti che quella può avere sul nostro corpo, e non possedendo in
noi la facolty di poterla allontanare, almeno ce ne guardiamo e cerchiamo di evitarla, per
quanto è possibile. Per l’eresie, invece, si nota che, sebbene esse portino la la morte nell’anima
e un ardore di un fuoco molto più vorace [della febbre], pur tuttavia vi sono alcuni che
preferiscono d’indugiarsi in un certo senso di ammirazione per la potenza che esse sono capaci
di sviluppare, piuttosto che cercare di sfuggirle, per tentare di paralizzare la loro capacity
penetrativa; e tutto |4 ciò lo fanno, avendo pure la facolty di sottrarsi alla loro influenza.

¶ Se smetteranno costoro di meravigliarsi tanto per la potenza delle eresie, finiry che esse
verranno a perderla del tutto. Una delle due: o è il fatto della meraviglia che essi provano, che
fa scendere appunto certe persone allo scandalo, o è il fatto di provare scandalo che quasi
provoca in loro un senso di stupore e di acciecamento tale, da far loro credere che, dal
momento che le eresie abbiano in sè tanta potenza e ardire, significhi che esse non possano
provenire che da un qualche principio di verity. Cosa da meravigliare davvero, che quel che è
male possieda in se stesso una sua propria forza. Se non che le eresie, un forte ascendente

hanno su coloro che posseggono scarso ardore di fede (3). È precisamente quel che succede, la
maggior parte delle volte, nei combattimenti dei gladiatori, nelle gare di lotta: taluno vince,
non perchè dotato assolutamente di forza superiore che lo renda veramente invincibile, ma
perche il suo competitore è stato privo di qualunque energia e capacity di resistenza: cosi che
anche quello che è riuscito una volta |5 vincitore, se dopo viene messo in gara con chi ha
robustezza e gagliardia di membra, anche lui sary costretto a ritirarsi in condizioni di
inferiority: non succede mica diversamente nel campo della eresia: dalla debolezza e dal
tepore religioso di alcuni, prendono esse forza e consistenza, ma perdono poi qualunque vigore
e ogni fiamma di vita si spenge in loro, se s’imbattono in chi ha nell’animo ben saldo il principio
della fede più pura.

III.

Le eresie non fanno che provare costanza e saldezza, di fede, la quale non può, nè deve essere abbandonata per alcuni che si allontanano dalla credenza vera cristiana

¶ Bastano alcuni individui, che siano rimasti presi dall’eresia, perche, con gran facility, si
abbandonino alla rovina di una credenza falsa questi ingenui creduloni. Perchè quella donna,
queir uomo dalla fede cosi salda, persone dotate di tanta saggezza e che alla Chiesa avevano
dato opera di tanto amore e di tanto zelo, passarono dalla parte degli eretici? Chi è che,
ponendosi tale quistione, non rispondery a sè stesso che quelli che le eresie hanno |6 potuto
far deviare dalla retta via, vuoi dire, che non erano da considerarsi veramente ne saggi, nè
stretti da saldezza di fede, nè dediti con tutto l’animo loro alla Chiesa? Ma è proprio una cosa
da far molta meraviglia, penso, che da uno, che per il passato sia stato riconosciuto uomo al di
sopra di ogni dubbio e di fede saldissima, dopo ne venga ad uscir fuori uno diverso? Saul,
sopra tutti gli altri eccellente, finisce poi colf essere turbato e sconvolto dal sentimento della

gelosia; David, la bonty del quale era secondo quanto il cuore del Signore desiderava (4), si
rese colpevole di omicidio e di adulterio (5); Salomone ebbe pure da Dio ogni più grande dono
di grazia e di sapienza: ebbene: da donne venne spinto all’idolatria (6). Soltanto al Figlio di Dio

fu riservato di rimanere sempre senza colpa (7). Eppoi… anche se un vescovo, se un diacono,
se una vedova, se una fanciulla, se un dottore, se perfino un martire si allontanano,
ammettiamo, dalia regola di fede, bastery forse questo fatto perche l’eresie debbano
acquistare carattere di verity? Dobbiamo noi dunque riconoscere il valore della fede dalle
persone o le persone dalla fede che |7 esse professano? Non v’ è nessuno che sia sapiente
veramente, nessuno che possa dir di possedere purity di fede; nessuno si chiamery grande, se
non il Cristiano; ma nessuno potry chiamarsi cosi, se non chi abbia perseverato in questo lume

di fede fino agli ultimi giorni della sua vita (8). Tu, data la tua natura di uomo, conosci
ciascuno, ma soltanto dalla esteriority: credi ciò che vedi, ma vedi solo dove il tuo occhio

 

giunge; lungi invece penetra lo sguardo del Signore: dicono i Sacri Libri (9): l’uomo guarda
nella faccia del suo simile; è Iddio che penetra e intende l’intimo del cuore umano (10). Ed è
così che il Signore conosce quelli che sono Suoi (11), e sradica la pianta che non ha piantato
(12), e ci fa vedere come gli ultimi divengono i primi, e tiene in mano un ventilabro, perchè
vuole che il terreno intorno a Lui sia lindo e puro (13). Prendano pure il volo e se ne vadano
lontano, quanto lor piaccia, le pagliuzze di una fede inferma e leggera, appena che esse
avranno sentito l’afflato caldo delle tentazioni; tanto più pulita e sana la massa del frumento
s’accumulery allora nel granaio del Signore (14). Non è pur vero che alcuni dei Discepoli dallo |
8 stesso Signore si allontanarono quasi di Lui stesso turbati? (15). Ma non per questo gli altri
pure crederono di doversi staccare dall’orme Sue: quelli che riconobbero che Costui era il
Verbo delia vita e che da Dio Egli traeva l’origine Sua, Lo seguirono fedelmente, fino al termine
della Sua vita, sebbene il Signore avesse loro offerto il modo di allontanarsi im-punemente da
Lui, qualora essi l’avessero voluto (16). Non ha valore alcuno, se un Figello, un Ermogene (17),
un Fileto, un Imeneo abbandonarono il loro Apostolo (18): appartenne proprio alla schiera degli
Apostoli colui che si rese colpevole di tradimento verso il Signore. Ci meravigliamo noi, se da
taluni vengono disertate le Sue Chiese, ma dobbiamo sapere che quello che ci fa veramente,
chiaramente Cristiani, è appunto la capacity di perseverare e di soffrire secondo l’esempio che
Cristo ci ha lasciato (19). Egli dice: Essi si sono allontanati da noi, ma non furono dei nostri; se
alle nostre file avessero veramente appartenuto, costoro sarebbero rimasti fedelmente con noi
(20). |9

  1. Le eresie sono state preannunziate e siamo stati esortati a sapercene guardare

¶ Siamo piuttosto ricordevoli delle parole del Signore e delle Lettere Apostoliche, le quali ci
hanno pur messo in avviso che l’eresie sarebbero nate, e ci dissero pure che avrebbero dovuto
esser sfuggite da noi. E come per noi non costituisce ragione di timore alcuno la loro esistenza,
così non dobbiamo affatto stupirci della forza che esse posseggono, a causa della quale siamo
stati avvertiti di dovercene guardare. Molti lupi rapaci verranno sotto le spoglie di pecore miti e
innocenti, ha detto il Signore (21). E che s’intende mai per l’espressione “sotto le spoglie di
pecore
„ se non la esterna e superficiale professione di fede del nome cristiano? E chi sono “i
lupi rapaci
„ se non i sostenitori di certe interpetrazioni subdole e capziose, che ìntimamente si
nascondono e tentano di disgregare la compattezza della comunity cristiana? Chi sono gli
pseudo profeti, se non i predicatori di una dottrina non rispondente a verity (22)? Chi sono gli
pseudo apostoli se |10 non coloro che adulterano l’Evangelo? Chi sono gli Anticristi (23) se non
gli spiriti ribelli, che così nell’ ety nostra, come in qualsiasi altro tempo, si schierano contro
Gesù? E le eresie faranno proprio questo: con la falsity delle loro dottrine dilanieranno la
Chiesa non meno di quanto l’Anticristo la sconvolgery e la straziery colla fierezza delle
persecuzioni crudeli (24): ma pure una differenza esiste: la persecuzione almeno sa far
sbocciare dal suo seno, dei Martiri; l’eresia crea soltanto degli apostati. Proprio per questo
anche l’eresie erano necessarie dunque, perchè i giusti, i saldi, i costanti venissero in luce,
tanto coloro che nel terrore delle persecuzioni hanno saputo tenere fermo e sicuro il loro
spirito, quanto quelli che hanno offerto resistenza alle dottrine dell’eresia. E l’Apostolo non
vuole che si consideri come gente ormai di fede provata e schietta chi s’è allontanato dalla
retta fede, per seguire l’eresia, come invece i nostri avversarî vorrebbero, interpetrando a
modo loro, falsamente, una espressione di lui: Portate il vostro esame su ogni cosa e ritenete
ciò che è buono (25) „. Ma io osservo: e non è forse possibile ad |11 ognuno, che proceda
erroneamente in questo esame, abbandonarsi, per sbaglio, proprio alla scelta di quello che è
appunto male?

V.
Le eresie vengono a minare la compattezza e l’unity della Chiesa

¶ L’Apostolo, poi, ha parole di rimprovero per le discussioni e gli scismi (26), i quali, senza
dubbio, son mali; ma nello stesso ymbito fa rientrare anche le eresie. Il fatto che le unisce a
principi cattivi, dimostra all’evidenza che le considera un male e senza dubbio di maggiore
entity. Dicendo S. Paolo che egli ha sempre creduto alla possibile esistenza di scismi e di
dissensi, perchè sapeva pur che dopo sarebbero necessariamente sorte le eresie, dimostra che

 

di fronte ad un male maggiore aveva facilmente creduto alla realty di un male minore; e non
tutto ciò significava, certamente, che egli, rilevando certi mali, avesse voluto affermare che
contenessero alcuncha di buono nei loro principi; ma, colla prospettiva di tentazioni e di
attacchi ancor più gravi, voleva ammonirci come non |12 bisognasse meravigliarci di quelle
scissioni, che tendevano a far riconoscere le anime ormai salde e costanti in un principio di
fede, cioa coloro che nessuno era riuscito a far deviare dalla retta strada. Se tutto il capitolo
mira nel suo spirito a mantenere l’unity della credenza cristiana e a rafforzarla, reprimendo e
distruggendo le differenze e i contrasti, dal momento che l’eresie tendono, non in minor misura
certamente, a spezzare quella che sia l’unity della fede, come perfettamente gli scismi e gli
altri dissensi nel seno di lei, non vi a dubbio che l’Apostolo abbraccia in un medesimo concetto
di condanna tanto gli scismi e le discordie, come f eresie. E come egli non approvi affatto
coloro che si siano piegati verso principi eretici, lo prova ogni sua parola di esortazione più
vivace a che noi li fuggiamo, e l’insegnamento più reciso a che noi, tutti concordemente,
affermiamo e sentiamo unity di fede: il che appunto a ciò che l’eresia impedisce.

  1.  Le eresie sono da fuggire in ogni modo

¶ Non a il caso d’insistere più lungamente |13 su tale argomento; sappiamo infatti che a lo stesso Paolo che, scrivendo ai Galati, enumera le eresie tra i peccati carnali (27), e suggerisce

poi a Tito (28) di allontanare, di considerare come un reietto, chi sia eretico, e ciò dopo averlo
una prima volta avvertito e ammonito, percha un uomo che segue l’eresia a così fuori dalla
retta strada, ed a così profondamente guasto, che egli stesso pronunzia da sa la sua condanna
irrevocabile. Ma in quasi tutto il restante della lettera, parlando dell’opera da compiersi con
ogni diligenza, per sfuggire le dottrine false e bugiarde, viene implicitamente a colpire le

eresie: la falsity delle dottrine non scaturisce infatti direttamente dall’opera loro? Eresie (29),
sono chiamate con parola greca che vuoi dire scelta; scelta che taluno fa allorcha o si volge a
dar lor vita, oppure a seguirle. Ed a appunto per questo che Paolo disse che l’eretico trova la
condanna in sa stesso, percha egli stesso s’a scelto quel principio che poi a causa della sua
condanna. A noi Cristiani non a concesso affatto, invece, di intromettere, di nostra testa,
nessun altro principio ai fondamenti della nostra fede, e neppure seguire o indulgere quello che
eventualmente taluno |14 potesse, di proprio arbitrio, avere escogitato nella mente sua. Noi
invece abbiamo gli Apostoli, che hanno ripetuto le parole del Signore e non si sono permessi
affatto d’aggiungere qualcosa di loro arbitrio: essi hanno accolto da Cristo Signore la dottrina

Sua e l’hanno bandita fedelmente alle genti (30). Pertanto, se anche un Angelo, che dai Cieli
scendesse, divenisse il banditore di un Vangelo diverso, noi chiameremmo tale predicazione

anathèma (31). Giy lo Spirito Santo aveva previsto che presso una vergine Filumene (32)
sarebbe disceso un angelo di seduzione, ma che si sarebbe trasformato e apparso come un
angelo di luce: A pelle, attratto ed ammaliato dai miracoli e dagli atti meravigliosi di lei,
introdusse nel seno della Chiesa una dottrina eretica.

È la filosofìa che favorisce le credenze eretiche

¶ Sono queste le dottrine di uomini e di demoni sorte da quel che sia lo spirito della pretesa

sapienza mondana, per le orecchie che non sanno trovar pace e tranquillity (33). Il Signore,
l’ha chiamata follia tale saggezza, |15 e la stoltezza del mondo ha scelto appunto, per

confonder quella che sia l’umana filosofia (34). È la filosofia stessa, invero, che dy materia a
quella che si chiama mondana saggezza, dal momento che, con molta liberty e pretesa
arroganza, interpetra la natura divina, i suoi disegni e i suoi procedimenti. Diciamolo
francamente: le eresie stesse sono quelle che attingono forza e consistenza da tali principi

filosofici. È dalla filosofia infatti, che Valentino (35) prende la concezione degli Eoni e di una
quantity di forme, di cui non saprei dire neppure il numero: infinite esse sono; e il concetto di
una Trinity umana: o non era costui stato discepolo di Platone? E non a da quella stessa fonte,

che scaturisce il dio di Marcione (36), preferibile agli altri? almeno ha un carattere di

tranquillity; e anche ìa sua dottrina deriva dagli Stoici. Sono stati gli Epicurei (37) quelli che hanno sostenuto il principio che l’anima a soggetta alla morte, e se tu vuoi negare il principio della resurrezione della carne, tu potrai attingere per questo punto dai dettami di tutti quanti gli antichi filosofi: dove trovi che la materia a uguagliata colla natura di Dio, quivi potrai |16

 

riconoscere la dottrina di Zenone; ed ecco invece che ti vien fuori Eraclito (38), quando si parli
di una divinity che abbia in sa natura ignea; a la stessa materia, in fondo, che viene trattata,
agitata, e da eretici e da filosofi: donde il male e percha? donde l’uomo e come egli a sorto? Ed
ecco il problema che ultimamente Valentino s’a posto: donde Iddio? Deriva dall’Entimesi o

dall’Ectroma (39) ? O Aristotele, mal facesti, tu, che hai loro insegnato la dialettica, arte abile
ugualmente e a costruire e a distruggere, diversa e sfuggevole nelle sue asserzioni,
immoderata, sforzata nelle sue congetture; aspra, difficile nelle sue argomentazioni, che crea
con facility contrasti; laboriosa e molesta talvolta a sa stessa, che tutto pone in discussione
sottile, percha appunto nulla sfugga all’attento e minuzioso esame di lei! Di qui proprio

derivano quei racconti favolosi (40), quelle genealogie interminabili, quelle questioni lunghe ed
oziose, quelle discussioni sottili, che s’insinuano negli animi come qualcosa di malefico che ti
consuma e ti uccide.

L’Apostolo, quando vuole preservarci da quello che a male, ci avverte appunto di star bene in
guardia contro l’opera della filosofia: egli |17 la ricorda chiaramente, espressamente: scrive ai
Colossesi: Guardatevi, percha non vi sia qualcuno che non v’inganni colla filosofia, che, con
vane apparenze di verity, non vi tragga fuori dalla retta strada, secondo l’umana tradizione e

contrariamente alla provvidenza dello Spirito Santo (41). Paolo era stato in Atene (42), e questa
specie di umana sapienza l’aveva ben conosciuta colle relazioni che aveva avuto coi filosofi:
pretende essa alla verity, ma non fa che impedire il raggiungimento di questa, e, divisa com’a
in una quantity di sette contrastanti intimamente fra loro, da luogo a credenze varie e
contradittorie. Può esservì forse qualcosa di comune fra Atene e Gerusalemme? quale relazione

potry stabilirsi fra la Chiesa e l’accademia (43)? fra gli eretici e i Cristiani? È dal portico di

Salomone che la nostra dottrina trae l’origine sua (44); fu lui stesso che ci ha insegnato che
Iddio si deve cercare nella semplicity e nella bonty del nostro cuore. Se la vedano un po’ coloro
che hanno messo fuori un Cristianesimo stoico, platonico, dialettico. Che bisogno abbiamo noi
di ricerche, dopo Gesù Cristo? che cosa dobbiamo richiedere noi, dopo che abbiamo avuto |18
il Vangelo? Noi fermamente crediamo, e non sentiamo più desiderio di credere oltre: percha
questo soprattutto a il canone fondamentale delia dottrina nostra: il non esservi altra cosa da
credere, al di ly di ciò che giy noi sinceramente crediamo.

VIII.

Cercate e troverete, a stato detto, ma a pur necessario intendere sì valore dell’ espressione

¶ Vengo ora dunque a quel punto, su cui si basano i nostri, per giustificare il loro principio di
continua ricerca e che gli eretici cercano d’infiltrare, per indurre negli animi dubbi che possono
spingerli alle loro credenze: dicono dunque costoro: a stato pur scritto “cercate e voi troverete„
(Matt. VII. 7); parole del Vangelo queste. Ricordiamo, dunque, quando il Signore pronunziò
tale frase: io credo, appunto, che ciò avvenisse agli albori della diffusione della Sua dottrina,
quando ancora in tutti era forte il dubbio, se fosse stato Egli veramente il Cristo. Pietro ancora

non l’aveva dichiarato “Figlio di Dio (45)„ e Giovanni stesso non aveva ancora avuto |19
l’assoluta sicurezza su di Lui. E fu giustamente che allora si disse: “Cercate e troverete„.

Bisognava infatti cercare quello che era ancora sconosciuto: e ciò s’indirizzava ai Giudei (46):
era proprio a loro che si rivolgeva questa parola di rimprovero, a loro, dico, che sapevano bene
dove cercare Cristo. Hanno costoro, Egli disse, Mosa ed Elia (47); cioa a dire la legge e i
profeti, annunziatori del Cristo. Dopo di che, Egli disse altrove apertamente: Esaminate le

Sacre Scritture, dalle quali voi attendete la salvezza; sono quelle che parlano di Me: (48) ecco quello che vorry dire: cercate e troverete. Ed a chiaro anche che quel che segue, riguarda i Giudei: Bussate e vi sary aperto: prima i Giudei erano stati ligi a Dio, poi, per le loro colpe, allontanati, cominciarono ad esser fuori dalla grazia divina. Ma i gentili non mai furono nella

casa di Dio, o almeno lo erano come una goccia che cade in un secchio o un granello di polvere

in un’ aia (49); ma in ogni modo ne erano sempre fuori. Ma colui che a stato sempre al di fuori,
come fary a bussare ly dove non a mai stato? qual conoscenza potry avere di una porta che
non ha mai oltrepassato, na per entrare, na per |20 uscire? O forse non avverry piuttosto che
bussery colui che sapry d’essere stato oltre quella porta e d’esserne stato poi allontanato, ma
che pure conosce bene dove deve bussare?

¶ Così anche il precetto “domandate e riceverete„ conviene bene a coloro che sapevano a chi
bisognasse domandare; e avrebbero ricevuto da chi aveva promesso, cioa dal Dìo di Abramo,

 

d’Isacco, di Giacobbe, che i gentili non conoscevano, più di quello che non conoscessero le
promesse di Lui. Ed era per questo che il Signore parlava al popolo d’Israele: io non sono stato

inviato che per le pecorelle smarrite della casa di Israele (50). Egli non gettava ancora ai cani il

pane dei Suoi figli (51): Egli ancora non aveva ordinato di camminare, per rintracciare le nazioni tutte; e se pure alla fine comandò ai Discepoli d’andare a insegnare e a portare il Sacramento del Battesimo ai gentili, dopo che costoro avessero ricevuti in sè i doni dello

Spirito Santo, del Paracleto, che avrebbe dovuto condurlì al lume di ogni più fulgida verity (52),
questo tende in fondo allo stesso suo scopo, sempre: che se gli Apostoli stessi, destinati come
maestri alle |21 genti, dovevano essi stessi ricevere come loro guida lo Spirito Santo, il
Paracleto, tanto più varry l’espressione “cercate e troverete„ nel nostro riguardo, in quanto la
dottrina doveva arrivare a noi direttamente dagli Apostoli, che a loro volta l’attingevano dallo
Spirito Santo. Tutte le parole del Signore sono indirizzate a tutti gli uomini, certamente, e
attraverso i Giudei sono arrivate a noi; ma nella loro massima parte, esse, dal momento che
sono rivolte ai Giudei personalmente, non rappresentano per noi, a dirla con tutta verity, un
ammonimento, quanto invece hanno la forza dell’esempio.

Nulla è da ricercare, dopo che siamo giunti all’intelligenza della dottrina di Cristo

¶ Ma ormai, io, proprio di mia spontanea volonty, mi allontano e abbandono la posizione su cui

mi ero posto dianzi. Ecco: il precetto “cercate e troverete (53) „ è rivolto, così, in generale, a
tutti; ammettiamo ciò: ma anche pensando così, la forza della mia ragione reclama che io
proceda a delle |22 considerazioni, e studi in me stesso la cosa. Non può esistere parola la
quale discenda dalla divinity, che manchi di tale carattere di armonia e di coerenza, da doverne
cercar solo una difesa formale, senza che non dobbiamo intenderla nel significato più riposto
ed intimo dell’espressione. In primo luogo dunque io pongo come base questo principio: Cristo
è stato Colui che ha stabilito un fondamento sicuro, unico, organico, cui le genti debbono in
ogni modo prestar fede; ed è perciò doveroso farne ricerca, perchè ognuno possa, quando
questo principio sia stato trovato, prestare ad esso la debita fede. Di questo principio unico,
infallibile dunque la ricerca non può avvenire, senza che questa non abbia poi un termine.
Bisogna insomma che la ricerca avvenga, finchè tu non trovi questa luce di verity; ma quando
tu l’abbia scoperta, devi ad essa credere fermamente: e non si domanda poi che tu faccia di
più, se non di saper custodire, con ogni diligenza, gelosamente, quello che una volta tu sia
arrivato a credere. E fissa stabilmente anche questo punto nell’animo tuo: come non si debba
affatto prestare ad altro fede, e perciò, come |23 non sia necessario ricercare altro, dopo che
tu abbia potuto trovare e fermare la tua fede nei principi che Cristo ha stabilito: è proprio Lui
che non vuole da te altra opera che questa: che tu, appunto, non avanzi nelle tue ricerche al di
ly di quanto Egli fermò col Suo insegnamento. Ci sary forse qualcuno che possa sollevare dei
dubbi sulla dottrina che Cristo ha tramandato? Ebbene, presso di noi sta, oh! Io sappia costui,
quasi in sua propria sede, quella somma di dottrine e d’insegnamenti che il Signore ci ha
tramandato. Si; presso di noi! Ed è per questo che io, sicuro della rettitudine del pensier mio,
mi faccio avanti pronunziando parole di esortazione per certi Cristiani, perchè essi non pensino
che sia dovere di far ricerca, anche al di ly di quanto essi giy prima pensarono che fosse loro
obbligo di fare oggetto di ricerca stessa, e non diano quindi all’ espressione “cercate e
troverete„ una estensione fuori dell’ambito di un criterio logico e giusto. |24

  1.  La ricerca continua è la prova di non aver mai trovato quello che può soddisfare l’animo nostro

¶ Il procedimento da seguire nella intelligenza di questa espressione, credo che si debba
fermare su tre punti: quale sia il soggetto, l’essenza cioè della ricerca, come primo; eppoi il
tempo, e il modo. Dico, dunque, per quel che riguarda il soggetto, che tu esamini e rifletta
bene che cosa sia questo qualcosa da ricercare; per il tempo, quale sia il momento più
opportuno per condurre tale ricerca; per il modo, in che cosa, fra quali confini, si debba
chiudere questa nostra disamina. Ecco dunque quel che devi ricercare: la dottrina che
promulgò Cristo, tu, s’intende, che la debba ricercare finchè non l’abbia trovata, e colla mira
assoluta di giungere alla conoscenza di quella. E puoi dire d’averla trovata, quando la luce della
tua fede si riversa tutta su di lei: se tu non l’avessi trovata, non avresti potuto sentire per lei
tanto ardore da prestarle credenza e, d’altra parte, non l’avresti ricercata, se non avessi avuto
il desiderio vivissimo di trovarla. Così, se dunque |25 cerchi spinto dal desiderio grande di

 

trovare, e se a questo s’aggiunge che tu, trovando, sei portato a credere, col principio della
fede hai troncato la via ad ogni prolungamento di ricerca, convienilo, e a ogni possibile
ulteriore investigazione. Qual sia dunque il resultato stesso della ricerca è ben chiaro e
stabilito: questo è il limite, il confine che a te Iddio stesso segnò: Egli non lascia che si abbia
credenza in altro, diverso da quanto Egli fissò fermamente; e perciò non permette neppure che
si faccia ricerca d’altro, se non della verace dottrina Sua.

¶ Del resto, sono stati tanti quelli che hanno insegnato delle dottrine; e, così stando le cose,
dunque, se dobbiamo cercare tanto, per quanto possiamo trovare, noi faremo una ricerca
continua, e non arriveremo mai alla vera fede. Quale sarà il punto d’arresto della nostra
ricerca? dove potremo fermarci nella nostra indagine e cominciare da questo punto a credere?
il frutto di questo nostro continuo investigare presso chi lo troveremo? Ci fermeremo su
Marcione forse? Ma anche Valentino ci farà ricordare del precetto “cercate e troverete„; sarà
Valentino allora che ci |26 fermerà colla sua dottrina? ma anche Apelle, con una uguale

affermazione, eccolo a bussare alla mia mente, e così Ebione, Simone (54), e tutti, uno dopo
l’altro, in bell’ordine, non usano davvero di un mezzo diverso, col quale potere infiltrarsi nel
mio spirito e cercare di avvicinarmi a loro.

¶ Non potrò trovar più pace in luogo alcuno, dal momento che, dovunque io volga i miei passi,
mi sentirò ripetere, “cercate e troverete„; quasi che, così, in nessun luogo e non mai più io
potessi raggiungere quello che Cristo fermò in questo Suo precetto: che si deve pur ricercare
quello cui bisogna tributare poi ardore di fede.

  1. Si discute sempre sci principio cercate e troverete„

¶ Ed ecco che impunemente si vaga di errore in errore, come ciechi che vadano brancolando,
quando non si cada veramente in qualche cosa di colpevole; per quanto anche questo andar
vagando, dì per sè stesso, abbia già qualche cosa di colpevole. Ma andare errando qua e là si
può anche fare, nella più |27 completa impunità, da chi poi non lascia decisamente niente di
sostanziale. Ma se io ho prestato credenza a quello che pur dovevo credere, eppoi di nuovo
penso di dovermi dare ad altra ricerca, significa che io ho speranza di poter trovare qualche
altra cosa, e ciò non vi sarebbe ragione di sperarlo mai, se non nel caso che io, che pur
pensavo di credere, viceversa, non avessi affatto fermezza e fervore di fede; oppure, che io
abbia abbandonato quello che precedentemente credevo. Abbandonando dunque i principi cui
prima avevo prestato la mia fede, è chiaro che io mi rendo colpevole di apostasia. Lo dirò una
volta per tutte: nessuno vi è che possa far ricerca, se non colui che, o non ebbe mai lume di
vera fede, o che, avutala, la perdette. Quella vecchietta ricordata nel Vangelo, delle dieci
dramme che aveva, ne perse una, e perciò la ricercava; ma appena l’ebbe ritrovata, non la

cercò più, naturalmente (55). Un tale non aveva pane, e perciò bussò alla porta di colui al quale

egli era vicino; ma quando la porta gli fu aperta ed egli ebbe il pane, smise di picchiare (56). E una povera donna vedova, che non era stata ammessa all’udienza, pregò |28 ripetutamente il

giudice, chè la volesse ascoltare; ma non pregò più, allorchè ella ottenne di esser sentita (57).
E cosi è chiaro che c’è pure un limite anche nel rivolgere le nostre richieste, e nel picchiare alla
porta altrui, e nella ricerca alla quale noi ci abbandoniamo. A chi domanda sarà dato, così la
Scrittura; a chi bussa sarà aperto, e chi cercherà, troverà. Chi insiste nel cercar sempre,
intenda, dunque, perche non potrà mai trovare; perchè cerca appunto là dove egli non troverà;
e colui che picchia, veda perchè la porta non si aprirà mai di faccia a lui; perchè picchia proprio
là dove non vi è alcuno che possa aprire; ed anche è lo stesso per colui che domanda sempre:
perchè non sarà costui dunque ascoltato? perchè chiede a chi non può dare ascolto.

XII.
Non cerchiamo mai oltre quello che può dare la vera luce della Fede

¶ Ammettiamo pure che noi dobbiamo fare ricerca ora e sempre…; ma dove dobbiamo volgere
le nostre ricerche? ci dobbiamo voltare agli eretici? ma se presso di loro tutto |29 è contrario,
almeno lontanissimo, dalla vera nostra credenza! o se a noi è perfino proibito di avvicinarci a
loro! Qual mai servo ci sarà, che speri di ricevere aiuto e sostentamento da persona estranea,
per non dir nemica, al suo padrone? E ci sarà forse mai un soldato che da sovrani non amici,
per non dir nemici, vada a chieder doni o il compenso in denaro che gli spetta? bisogna, per far
questo, che costui sia un disertore, un fuggiasco, un ribelle.

 

¶ Era pur nell’interno della sua casa che quella vecchierella cercava la dramma smarrita;
l’altro, che aveva bisogno di pane, picchiava alla porta del suo vicino, e quella vedovella
chiedeva ad un giudice, fosse stato pur severo, ma che non era nemico. Non c’a nesssuno che
possa essere istruito da ciò che porta in sa un germe di distruzione e dì negazione: nessuno vi
a che possa ricever luce da chi vive avvolto nelle tenebre. Cerchiamo dunque, si, ma nel
campo che possiamo dir nostro esclusivamente, dai nostri, e in questioni nostre, e guardiamo
che si debba trattare solamente di ciò che, pur restando |30 integra e intatta ogni regola di
fede, possa esser posto in discussione.

  1. La Regola di lede

¶ È proprio questa regola di fede, che noi professsiamo come base della difesa nostra: a essa
che ci da la linea nella nostra ferma credenza.

¶ Che vi a un Dio solo, creatore del mondo, ne alcun altro al di fuori di Lui. Questi ha tratto il
tutto, esistente nell’Universo, dal nulla per mezzo del Verbo Suo, generato al principio delle
cose tutte: Figlio Suo fu chiamato questo Verbo, e nel nome di Dio apparve ai Patriarchi sotto
varie figure; in ogni tempo fu ascoltato dai Profeti, e di poi discese per lo spirito e virtù di Dio
padre, in Maria Vergine, e nel seno di Lei divenne carne e da Essa ebbe vita Gesù Cristo. E
nuova legge Egli promulgò alle genti, e formulò una nuova promessa di un Regno dei Cieli;
fece dei miracoli, fu posto in croce, ma nel terzo giorno della Sua morte risorse, e ascese in
Cielo, dove seda alla destra del Padre Suo; e mandò in |31 terra la potenza dello Spirito Santo,
in vece Sua, cha fosse la guida di tutti i credenti. Egli poi ritornery in pieno fulgore di gloria e
di luce per prendersi i Santi e condurseli ai frutti della vita eterna e delle celesti promesse, e
per giudicare i profani, pronunciando contro di loro la condanna del fuoco eterno, dopo aver
compiuta la restituzione dei corpi agli uni e agli altri.

  1. La regola dì fede a cio che pienamente soddisfa l’anima nostra, senza andar più oltre cercando.

¶ Questa a stata la regola che Cristo ha stabilito; ed io ve lo proverò; ed essa non può dar luogo fra noi a controversie o a questioni di sorta, al di fuori di quelle che vengono sollevate dalle eresie, che creano gli eretici,

¶ Del resto, se la base della regola di fede restery inalterata, potrai anche discutere,
esaminare, considerare quanto sary di tuo piacimento, se qualche cosa in essa potry per te
rivestire carattere di ambiguity o sembrarti avvolta in un velo di oscuro. È vero |32 certamente
che vi a qualche dotto, nostro fratello, che ha avuto il dono di conoscere i segreti della più
profonda saggezza; vi a pur qualcuno, dico, che ha familiarity con chi possiede esperienza di
simili questioni; e che a preso, con voi, forse, dal desiderio di ricercare troppo avidamente. Ma,
in fondo in fondo, a meglio ignorare qualche cosa, piuttosto che venire poi a conoscere quello
che non sì deve, dal momento che tu sai giy quello che a te a doveroso sapere. Il Signore ha

detto: a la tua fede quella che ti ha salvato (58), non l’esame delle Scritture, che nella tua
ability hai condotto con sottigliezza di spirito critico. In che cosa consiste la fede? nella regola
della fede stessa. Essa ha la sua legge, e la salvezza ti viene appunto dall’osservanza
scrupolosa di questa: ma l’ability nell’interpretazione della Scrittura, risiede solo in un principio
di curiosity, e il suo prestigio l’attìnge solo dal potere acquistare il nome di uomo saggio ed
erudito: ma, di fronte alla fede, la ricerca abile e sottile ceda le armi, e la gloria lasci il passo
alla salvezza: almeno esse non facciano chiasso e non frappongano ostacoli; se ne stiano in
tutta pace. È raggiungere il grado più alto |33 di sapienza, il non saper nulla che possa opporsi
o contrastare alla regola dì fede.

¶ Ebbene; supponiamo ora che gli eretici non siano i nemici dichiarati della verity e che a noi
non sia fatto obbligo alcuno di fuggirli; ma che cosa a, insomma, questa nostra relazione con

gente che confessa apertamente di dover ricercare ancora (59)? Se essi sono sinceri
nell’affermare che ancora hanno ardore di ricerca, ciò significa manifestamente che fino ad ora
non hanno trovato niente di sicuro, e perciò anche quelle parti di dottrina che sembrano
intanto considerare come inalterabili, non possono, viceversa, convincerci che nell’animo loro
non serpeggi il dubbio, perche essi appunto sono sotto l’affanno tormentoso di ricerche nuove.
E tu, dunque, che vai cercando, o cristiano, e rivolgi lo sguardo a coloro che pur vanno
vagando nella ricerca stessa, tu, con loro, siete avvolti nelle tenebre del dubbio, e, incerti, vi

 

rivolgete a chi sta in maggiore incertezza della vostra, ed è quindi inevitabile che come ciechi,

guidati da ciechi, voi precipitiate nell’abisso (60). Ma essi vogliono trarci in inganno e usano di
questo mezzo: noi ricerchiamo ancora, dicono; e |34 questo, per far penetrare fra noi i loro
scritti, sperando appunto nel nostro intimo turbamento, che potrebbe derivare da questa ansia
tormentosa della ricerca; ma dopo, quando hanno fatto tanto di giungere all’animo nostro,
ecco che essi tosto si ergono a difensori, a sostenitori di ciò che prima dicevano formare ancora
l’oggetto della loro ricerca. A noi dunque sta di confutarli con tanta energia ed efficacia, così
che essi sappiano che noi intendiamo sconfessare, non Cristo, ma costoro. Cercano essi
ancora? evidente indizio che nulla essi possiedono di sicuro, e se nulla hanno di ben saldo nel
loro spirito, essi non hanno mai creduto, e se non hanno avuto sicurezza e fermezza di fede, a
loro non s’addice il nome di Cristiani, Hanno forse essi nel loro spirito una base di fede e
tuttavia affermano di dover cercare ancora per sostenerla e difenderla? ebbene, ciò significa
che costoro, prima di procedere alla difesa della credenza loro, la vengono implicitamente a
negare, perchè, finchè sono dediti a ricercare ancora, riconoscono, confessano di non aver mai
fermamente creduto. E chi non può dunque dirsi Cristiano neppure per sè stesso, quanto potrà
dirsi, a |35 maggior ragione, nei riguardi nostri? Di quale verità possono parlare coloro che
s’avvicinano a lei coll’inganno? possono farsi difensori, sostenitori di una verità, essi che
intendono trarre questa stessa dalla menzogna? Ma, si dirà: eppure, anche essi si appoggiano
alle Sacre Scritture e da queste pretendono di ricavare ogni argomento di persuasione…; ed è
logico infatti: come evidentemente potrebbero parlare di argomenti di fede, se non si
appoggiassero alle Scritture Sacre?

  1. Bisogna energicamente difendersi contro gii eretici

¶ La questione è proprio nel suo momento culminante: qua noi tendevamo, del resto; e con
questa trattazione preliminare volevamo appunto dare soltanto inizio a ciò che costituisce il
corpo dell’argomento nostro, per giungere poi alla lotta decisa su quei punti nei quali i nostri
avversarî sono soliti provocarci. Ecco che essi tirano fuori le Sacre Scritture, e, con questa loro
audace sicurezza, lì per lì, possono anche riuscire ad impressionare taluni: nell’accanimento
della lotta poi, anche |36 su chi ha forza di resistenza, producono un senso di stanchezza;
riescono a fiaccare i deboli e a portarli con loro; quelli poi che non posseggono uno spirito
veramente deciso e sicuro, li lasciano in un’intima perplessità e in un dubbio triste e
angoscioso. Noi dobbiamo precluder loro questa strada, senza indugio, sopratutto; dobbiamo
impedire agli eretici che essi possano scendere a qualunque discussione che riguardi le Sacre
Scritture. Se i Libri Sacri costituiscono il fulcro della loro potenza, perchè essi se ne possano
servire, è necessario prima esaminare e considerare perfettamente a chi spetti il possesso
delle Sacre Scritture; e questo, per evitare che di esse possano usufruire coloro ai quali
minimamente spettano.

  1. XVI.  Le Sacre Scrittore hanno avuto dagli eretici falsa interpretazione

¶ Potrebbe sembrare eventualmente che, per una certa debolezza, intrinseca alla causa da me
sostenuta o per un certo tal qual desiderio di portare la discussione su un campo |37 un po’
diverso, io abbia posto questa questione preliminare: ma dal lato mio militano ragioni
fermissime e incrollabili e, sopratutte, questa: che la fede nostra presenta il più assoluto

ossequio all’Apostolo Paolo, il quale proibisce decisamente che si facciano discussioni (61), che
si presti orecchio a qualunque voce di novità potesse giungerci, e che si abbia in certo modo
relazione con chi è macchiato d’eresia, dopo, che noi abbiamo una sola volta cercato di

correggerlo (62), e di trarlo dall’ errore; non però dopo aver sostenuto con lui discussioni
intorno alla diversità di dottrina. Mi pare che in tal modo ogni principio di disputa sia senz’altro
dall’Apostolo condannato, dal momento che ci ha proprio indicato egli stesso, come unica
ragione di potere avvicinar gli eretici, quella dì tentare una volta dì correggerli: una sola volta
dico, ed è chiaro, perchè, chi è eretico, non si può considerare Cristiano. Quindi non è con lui
da adoperarsi il sistema che si può, invece, usare con chi è Cristiano, di una correzione ripetuta

cioè per due o tre volte e alla presenza di due o tre testimoni (63): con lui non c’è ragione di
discussione: è solo il dovere di correzione che |38 noi, una volta, possiamo tentare con chi è
macchiato di eresia. Ma del resto, e volendo concludere, questa disputa sulle Scritture non
credo porti ad utilità alcuna, se non quella di confondere e di turbare il cuore e la mente.

 

XVII. Ancora sulla falsa interpretazione che gli eretici fanno dei Libri Sacri

¶ L’eresia non riconosce certe parti delle Sacre Scritture, e quelle che ammette, le travisa
secondo quello a cui essa mira, con aggiunte o con sottrazioni: anche se le riconosce dunque in
massima, siamo ben lontani dal carattere della assoluta integrity, e quando anche le riconosca
talvolta nella loro piena organicity e compattezza, purtuttavia viene poi a mutarle, dando alle
singole espressioni, interpretazioni che fanno deviare dalla verity. È un’offesa alla verity che si
compie, sia che il senso venga alterato, sia che l’ eretico scriva cosa che non corrisponda al
vero: è pur logico del resto e necessario che gli eretici, nel loro stolto e vano congetturare, non
vogliano |39 riconoscere m alcun modo giusti, quei punti delle Scritture, dai quali essi
verrebbero ad esser convinti di falsa dottrina. Chi segue eresia si basa, certamente, su quei
punti, i quali hanno prima tratto, a bella posta, con falsa interpretazione, alle loro dottrine,
oppure su quei luoghi che si prestano a questo gioco per il doppio significato che presentano.

¶ A che cosa crederai di arrivare, quale vantaggio pensi di ottenere tu che hai una conoscenza
e un’esperienza grande dei Libri Sacri, a discutere cogli eretici, dal momento che costoro non vi
sary parola che non neghino, fra quelle che tu affermi e sostieni? quando la loro difesa si
fermery proprio su quei punti che tu non approverai? Perderai il fiato e null’altro nella disputa
che ingaggerai; non raggiungerai scopo alcuno, se non quello d’inquietarti, nel sentire uscire
dalle loro labbra tante bestemmie.

  1. A nulla gioverebbero le discussioni con gli eretici

¶ Pensiamo ora a colui, per il quale, |40 eventualmente, voi affrontate la dìsputa sulla
questione delle Sacre Scritture: perchè volete rinsaldare la fede di lui, che oscilla in qualche
dubbio? io mi domando: egli si orientery verso la luce della verity o non piuttosto nuovamente
alle credenze eretiche? Egli rimarry certamente incoraggiato dal fatto che potry accorgersi
benissimo che tu non hai avuto vantaggio alcuno sul tuo avversario: e infatti, essendovi stata
tra le parti contendenti forse una stessa efficacia di negazioni e di affermazioni, ma certo un
resultato alla pari, costui, dal contrasto cui ha assistito, se ne partiry con nell’anima
un’incertezza ancora maggiore, e senza davvero conoscere da qual parte egli debba intendere
l’eresia. Eppoi agli argomenti che noi portiamo contro gli eretici, questi possono, naturalmente,
opporcene altri per parte loro, perche ne viene per necessity che essi sostengano che siamo
proprio noi a presentare le Scritture alterate o a dare ad esse false interpretazioni: è la verity,
infatti, che essi pretenderebbero di difendere, precisamente come la difendiamo realmente noi.
|41

Senza scendere a discussioni cogli eretici, i Libri Sacri non sono possesso assoluto di noi

Cristiani?

¶ Non andiamo dunque a ricercare le Sacre Scritture; non dobbiamo noi sostenere discussioni
in un campo in cui la vittoria non è possibile riportarla in tutto il suo splendore, ed essa in ogni
modo risentirebbe certamente di un carattere di dubbio e d’incertezza. Del resto però, anche
se questo studio attento, questo esame condotto sui Libri Sacri, non andasse a finire nella
conclusione che ciascuna delle due parti avversarie rimanesse salva sulla sua posizione, prima
di tutto, il procedimento normale della questione richiede che si stabilisca definitivamente
questo punto: è proprio ciò che rappresenta il fulcro di ogni dìsputa: chi è il detentore di un
principio vero e infallibile di fede? le Scritture a chi appartengono veramente? questa norma di
vita, questa disciplina, per la quale e dalla quale sorgono i fedeli in Cristo, da chi c’è stata
data? quali uomini ne sono stati i diffusori? quando e a chi è stata essa affidata? ly dunque,
dove si dimostreranno essere i possessori e i seguac, |42 della disciplina e della più pura e
sincera fede cristiana, ivi si potry dire che si riscontri la luce di verity delle Sacre Scritture, la
comprensione esatta di esse, la retta intelligenza, insomma, di ogni cristiana tradizione.

  1. Cristo e gli Apostoli: loro missione

¶ Chiunque sia Gesù Cristo – mi sia permessa, per ora, l’espressione che io uso -, il Signor
nostro, Figlio di Dìo, qualunque Esso sia, Dio e uomo, qualunque sia la materia di cui Esso,

 

come uomo, si sia rivestito, Maestro di una fede, qualunque essa voglia essere, e che ci
assicurò una ricompensa, qualunque essa sia per essere, durante il Suo soggiorno sulla terra,
Egli manifestò che cosa fosse, che cosa fosse stato, quale la volonty del Padre Suo, che Egli
seguiva, quali i doveri a cui l’uomo doveva piegarsi e che doveva compiere: e tutto ciò Costui
lo rendeva chiaro ed aperto, parlando o in mezzo al popolo o ai Suoi discepoli, in disparte. Egli
ne aveva prescelti dodici e li teneva sempre presso di sè: non si staccarono mai dal fianco del
Maestro: li aveva |43 scelti, perchè fossero maestri alle genti e diffusori della dottrina divina.
Uno di essi venne allontanato, ma agli altri undici, nel ritornare al Padre Suo dopo la
Resurrezione, comandò di andare nelle varie regioni del mondo e battezzarle nel nome del

Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (64). E gii Apostoli sùbito, [questo nome di Apostoli
significa appunto inviati, mèssi] in luogo di Giuda, che era stato cacciato, sortirono Mattia

come loro dodicesimo compagno (65), secondo quanto anche era stato profetizzato, come si
legge nel salmo di David (66). Avendo ricevuto la promessa virtù dello Spirito Santo per

compiere i dovuti miracoli e diffondere la fede in ogni linguaggio (67), fu dapprima in Giudea
che, fermata la grande parola di fede in Gesù Cristo, stabilirono quivi le prime radunanze di
fedeli, e dì poi si sparsero in tutto il mondo e bandirono alle genti il Verbo della nuova
credenza, della nuova regola di vita. E Chiese sorsero in ogni citty; e da queste trassero e
accesero la favella vivace e inestinguìbile della dottrina e della fede in Cristo tutte le altre
radunanze di fedeli, ed ogni giorno vi attingono forza nuova per poter divenire vere |44 Chiese.
Ed ecco che, per questo, esse saranno denominate Apostoliche, come figlie dirette delle Chiese
che dagli Apostoli ebbero prima loro origine. Tutto deve portare l’impronta della origine sua, è
necessario. Che cosa rappresentano tante Chiese e così importanti, sia pure, se non sempre,
quella prima dagli Apostoli fondata e dalla quale hanno poi tratto loro vita e sviluppo le altre
tutte? Tutte sono primitive dunque, Apostoliche tutte e tutte insieme non fanno che confermare
il principio della maggiore e possente unity: e in esse è la parola perenne di pace e d’amore;
fra gli uomini, da esse si parte il principio della più assoluta fratellanza umana, dunque; esse
parlano il linguaggio della maggiore e pie affettuosa ospitality. E questi, che poi son divenuti
veri diritti, non altra regola possono invocare, all’infuori di quella che può derivare da una
tradizione unica di uno stesso sacro principio.

  1. Fondamente della PRESCRIZIONE contro gli eretici

¶ È da qui, da ogni considerazione esposta, |45 che noi facciamo movere la nostra prescrizione contro gli eretici. È pure vero che Gesù Cristo inviasse gli Apostoli a predicare la sua dottrina

(68). Ebbene: noi non dobbiamo accettare altri, all’ infuori di loro, come divulgatori di essa. Chi

può conoscere il Padre se non il Figlio Suo e quelli a cui il Figlio lo rivelò (69)? E sembra che a
nessun altro, se non agli Apostoli, il Figlio abbia rivelato i! Padre Suo. Ad essi poi dètte
l’incarico della predicazione e di divulgare, s’intende, ciò che era stato loro manifestato. Ciò
che essi, dunque, bandiscono alle genti, è quello che Cristo rivelò all’intelligenza loro; ed è da
questo punto anche che noi possiamo alzare il nostro grido di prescrizione, in quanto non deve
esser possibile conoscere la verity della dottrina di Cristo, se non ricorrendo alle Chiese che gli
Apostoli fondarono e dove essi ammaestrarono i fedeli, sia colla voce viva ed ardente, sia
rivolgendosi poi con lettere alle genti. Se dunque le cose stanno esattamente così ne risulta
che ogni dottrina, la quale si accordi ai principi di quelle Chiese Apostoliche Madri, sorgenti di
ogni fede più pura, si deve riconoscere come veritiera: essa |46 contiene in sè, senza dubbio
alcuno, ciò che le Chiese attinsero dal labbro degli Apostoli, ciò che a loro volta gii Apostoli
colsero dalle labbra di Gesù, ciò che infine Gesù attinse da Dio. E si può affermare, senz’ altro,
falsa ogni dottrina che si schieri contro la verity della Chiesa e quindi contro la parola degli
Apostoli, di Cristo, di Dio. Quello che ci resta da dimostrare è questo appunto: che la dottrina
nostra, di cui prima abbiamo dato la regola di fede, trae l’origine sua dalla pura tradizione
apostolica e che quindi, posto questo riconoscimento, tutte le altre dottrine vengono infirmate
come false, in quanto traggono loro sorgente da principi non veri. Noi siamo nel rapporto più
intimo colle Chiese Aposto-liche, perchè la nostra dottrina non è in alcun punto diversa dalla
loro: questa è la prova sicura dell’assoluta verity.

  1. XXII.

La dottrina degli Apostoli in tutta la sua importanza

¶ La prova di quanto asseriamo è così chiara che, appena sia apertamente esposta, non c’è

 

affatto bisogno di contrastare in qualche modo. |47 Ma, come se ormai la prova nostra non
risplendesse già nel suo fulgore di verità, alla parte avversaria noi vogliamo concedere di
mettere fuori gli argomenti loro, dal momento che essi pensano di potere infirmare la nostra
prescrizione contro l’eresie. Gli Apostoli non hanno avuto una conoscenza completa di tutta la
dottrina del Signore, essi dicono; ecco uno dei loro punti essenziali: ma poi, come scossi
intimamente da un accesso di pazzia, cambiano il loro pensiero e, contrariamente a quanto
prima avevano sostenuto, affermano che gli Apostoli hanno avuto bensì la conoscenza
completa della dottrina del Signore, ma non hanno comunicato, partecipato agli altri la loro
dottrina nella sua integrità. Ma, in ambedue i casi, essi gettano biasimo sulla figura di Cristo, il
quale avrebbe inviati gli Apostoli o non forniti di una conoscenza assoluta, o avrebbe dato
incarico della diffusione della dottrina a spiriti che l’alterarono, forse attraverso la sottigliezza
del loro pensiero. Ma chi potrà mai credere, che sia fornito di un retto discernimento, che non
siano stati in possesso dell’integrità e della completezza della dottrina, |48 quelli che il Signore
scelse a maestri, e che li tenne compagni, con Lui sempre, e Lo seguirono e vissero in
compagnia Sua fedelmente? E con loro si confidava di ogni segreto, senza fame parte ad altri,
dicendo appunto che a loro solamente sarebbe stato concesso di penetrare i misteri, che li
popolo invece non avrebbe dovuto e potuto conoscere (70). Qualcosa sarà dunque rimasta
nascosta a Pietro? A Pietro, pietra di quella Chiesa che avrebbe avuto da lui sua consistenza e
sua base? Che poteva, ripeto, essere occulto a lui, che aveva avuto le Chiavi del Regno dei
Cieli e la facoltà di legare e dì sciogliere sulla terra e nei Cieli (71)? E qualcosa avrà forse
potuto rimanere nascosta a Giovanni? egli era il più caro al Signore suo, fra i Discepoli; egli
potè posar la sua testa sul cuore del Signore (72); a lui il Signore, di preferenza, indicò Giuda
come quegli che l’avrebbe tradito; Giovanni fu quegli che il Signore indicò a Maria, come chi
avrebbe dovuto tenere presso di Lei (73) in luogo del Figliuol Suo. Che cosa potè rimanere
occulto a quelli ai quali Egli manifestò il fulgore della Sua gloria, e Mosè ed Elia e la voce stessa
del Signore, Padre Suo (74), |49 la quale scendeva dal Cielo? Non che Gesù avesse gli altri
Apostoli in minore considerazione, ma perchè ogni parola deve stare salda sulla testimonianza
di tre (75). Allora ignorarono qualche cosa anche quelli ai quali il Signor nostro, dopo che fu
resuscitato, volle, nella Sua immensa bontà, cammin facendo, spiegare tutte le Scritture Sacre
(76).

¶ Aveva sì, detto il Signore una volta: ho molte cose ancora da dirvi, ma voi ora non siete in
grado di comprenderle (77): ma aveva anche aggiunto: quando discenderà quello Spirito di
luce e di verità, questo stesso vi aprirà la conoscenza ad ogni vero. E così dimostrò
chiaramente che non potevano ignorare nulla, coloro ai quali aveva pure assicurato che
sarebbero giunti alla conoscenza della verità integralmente, per mezzo dello Spirito Santo,
sorgente appunto del vero. E la promessa fu mantenuta e gli Atti degli Apostoli sono lì a
provare la discesa dello Spirito Santo (78). Chi non riconosce questa parte delle Sacre
Scritture, non può essere dello Spirito Santo, come chi appunto ignora come Esso sia disceso
sulla terra, agli Apostoli. E poi, come costoro possono difendere e sostenere in |50 qualche
modo la Chiesa di Cristo, dal momento che essi non sanno e quando e da quali principi abbia
tratto l’origine sua e la sua forza questo organismo? Ma per gli eretici è preferibile non
possedere le prove di quello che essi sostengono, piuttosto che esser costretti, di fronte
all’evidenza delle prove, a rinunziare alle falsità che essi inventano.

XXIII.

Accuse degli eretici contro la pretesa ignoranza degli Apostoli

¶ Vogliono essi, ad esempio, addurre come argomento di lor difesa la non perfetta conoscenza
che gli Apostoli ebbero della dottrina cristiana e per questo, ricordano come Pietro e i seguaci
suoi fossero stati rimproverati da Paolo (79). Appunto, essi dicono, perche qualche differenza
d’indirizzo si riscontrava fra loro, onde ne traggono che la conoscenza loro poteva avere una
completezza maggiore: come dovè appunto essere il caso di Paolo, allorchè ebbe parole di
rimprovero per chi Paveva preceduto nell’apostolato. Ma in primo luogo io potrei ben
rispondere a questa gente, che non riconosce gli Atti degli Apostoli: voi |51 dovete dimostrare
qual sia codesto Paolo e che cosa sia stato prima di essere Apostolo e in qual modo lo sia
divenuto, dal momento che è chiaro che costoro si servono dell’autorità sua, moltissimo, anche
in altre questioni. È lui stesso che ci dice che da persecutore divenne Apostolo (80), ma questo
può anche non essere sufficiente, a chiunque voglia prestar fede a qualcosa, dopo aver bene

 

considerato ed esaminato ogni lato della questione stessa: eppoi sappiamo che neppure il

Signore fece testimonianza su sè stesso (81). Ma supponiamo pure che essi, appunto per

credere contrariamente ai dettami delle Scritture, non fondino affatto le loro credenze sulle
Scritture stesse; ma ci dimostrino almeno come in seguito al fatto della riprensione rivolta da

Paolo a Pietro, sia stata introdotta da Paolo un’altra forma di Vangelo, diversa da quella che
Pietro e gli altri Discepoli avevano già insegnato. Ma ben diversamente andò la cosa: la verità
fu che Paolo, che da persecutore era divenuto sostenitore e diffusore della dottrina di Cristo, è

presentato da fratelli ad altri fratelli: è considerato uno dei loro (82); egli viene dunque accolto da quelli |52 che avevano dagli Apostoli ricevuto il Verbo della fede, viene ammesso nella

società loro, e in seguito Paolo, come egli stesso ci racconta (83), per conoscere Pietro, sale a
Gerusalemme: era un dovere e un diritto nel tempo medesimo, come quegli che partecipava
della stessa fede e della stessa predicazione. E costoro non avrebbero certamente provato un
senso di soddisfazione e non avrebbero avuto lieta meraviglia che Paolo, da persecutore,

militasse ora nelle file dei predicatori (84) e dei diffonditori della fede, se dalle sue labbra
avessero sentito uscire qualcosa di contrario ai principi fondamentali della loro dottrina; e non

avrebbero innalzato inni di lode e di gloria al Signore (85), perchè Paolo, da nemico accanito, si era poi convertito alla giusta e retta credenza. Ma tutti invece dettero a lui la destra in segno di

concordia e di unione, e fra loro (86) regolarono la divisione degli uffici, ma non parlarono affatto di scissione di Vangelo. Non era il caso di pensare che uno dovesse andar predicando un

Vangelo, mentre poi un altro dovesse essere il diffusore di una diversa dottrina. No; era la medesima dottrina che doveva andare divulgata fra gruppi |53 di genti diverse; Pietro ai Giudei

avrebbe dovuto predicare, Paolo ai gentili. Del resto, se pur fu biasimato Pietro (87), perchè
egli, pur avendo convissuto con i gentili, dopo si allontanava da loro e stabiliva così differenza
di persone, si deve riconoscere che questo non fu difetto di sostanza di dottrina, ma di
semplice esteriore convivenza. Ed infatti egli non annunciava davvero un Dio diverso dal Dio
Creatore dei Cristiani, ne un altro Cristo, se non Quello che nacque da Maria; non fece brillare
altra speranza alla mente dei fedeli, se non quella della Resurrezione.

  1. La perfetta armonia della dottrina di Paolo, che non è, se non la fede di Cristo

¶ Io non ho affatto desiderio, anzi, dirò meglio, io non ho mai avuto un’idea così insana dì voler
porre gli Apostoli fra loro in contrasto. Ma dal momento che questa gente degli eretici, nella
sua perversità grande, si serve di questa specie dì rimprovero mosso da Paolo a Pietro, quasi
per provare e far |54 riconoscere come sospetta la dottrina anteriormente predicata, io
prenderò, per così dire, le difese di Pietro e ricorderò che Paolo stesso ha affermato questo:
che egli si era fatto tutto con tutti: giudeo con i Giudei, gentile con i gentili, per poterli tutti
attrarre a sè. Così, per riguardo a questioni di tempo, di persone, di procedimenti, di modalità
diverse, trovavano da ridire e da criticare, mentre poi essi stessi agivano perfettamente nello
stesso modo, riguardo ai punti di sopra ricordati. Sarebbe esattamente la medesima cosa come
se anche Pietro avesse dovuto usare riprensione con Paolo perchè, pur proibendo la
circoncisione, egli stesso poi aveva circonciso Timoteo. Per tal risposta se la vedano fra loro
quelli che azzardano giudizi e critiche sugli Apostoli. Quel che poi è magnifico, è che Pietro e
Paolo rifulgono ugualmente nella luce gloriosa del martirio.

¶ E sebbene Paolo, rapito fino al Terzo Cielo e trasportato in Paradiso, abbia colà avuto
straordinarie rivelazioni, pure queste non rivestirono carattere tale da suggerirgli l’idea di una
dottrina diversa, perchè quelle conoscenze erano di natura siffatta, da non esser |55 possibile
che fossero comunicate e conosciute dagli uomini. Le quali arcane verità o qualche cosa che a
ciò s’avvicini, se fossero giunte alla conoscenza di taluno o ci fosse una dottrina eretica che
sostenesse appunto di seguire essa questi tali misteriosi e arcani principi; ciò significherebbe
che Paolo si rese colpevole di tradire il segreto o altri, rapito in Paradiso dopo di lui, ebbe
facoltà di manifestare quegli arcani, che a Paolo non fu concesso neppure di accennare
segretamente.

  1. XXV.

Gli Apostoli hanno tutto saputo e tutto insegnato quello che Gesù volle che gli uomini

imparassero

¶ Ma, come abbiamo già detto, sarebbe una eguale stoltezza se costoro, dopo aver magari

 

riconosciuto che agli Apostoli nulla è rimasto occulto e che niente di contrario fra dì loro hanno
essi predicato, d’altra parte essi stessi sostenessero che gli Apostoli non hanno a tutti
ugualmente detto tutto ciò che era a conoscenza loro: così che si verrebbe a riconoscere che
alcune partì di dottrina essi l’avrebbero rivelate apertamente a tutti, altre, |56 invece,
sarebbero state insegnate a pochi e segretamente; e questa credenza potrebbe scaturire da
quello che Paolo disse a Timoteo: ecco l’espressione che egli usò: “O Timoteo, sappi custodire

quello che ti è stato confidato (88)„ . E, similmente, in altro punto: “Mantieni il prezioso

deposito (89)„. E di che deposito mai si tratta? è forse qualcosa di così misterioso e peregrino
da farci pensare agli arcani di più profonda dottrina? Oppure non fa che parte di quella

esortazione nella quale così si esprime: “O Timoteo, figlio mio, io ti do questo mandato (90) ,, ;
e medesimamente si può pensare che non faccia che parte di quel precetto, dove egli dice:
“Dinanzi a Dio, che è spirito vitale di tutte le cose, e dinanzi a Gesù Cristo, che sotto Ponzio

Pilato sostenne ferma e nobilissima confessione (91), io mi raccomando a te: sappi custodire quanto ti è stato dato come precetto„ . Si parla di precetto: ma che precetto è mai questo? e quale il consiglio, l’esortazione che a lui rivolge? Da quanto egli dice prima e dalla intelligenza complessiva del testo risulta chiaro che con tali parole non s’intende minimamente di alludere a dottrine diverse ed |57 oscure, ma piuttosto egli intendeva fermare questo principio, che non fosse da riconoscessi e da accettare altra dottrina se non quella che Timoteo avesse ascoltata dalla sua stessa bocca; ed ho ragione di credere, perchè [egli lo disse] in presenza di molti altri

(92). Molti testimoni, dunque. Ma se con questa espressione non vogliono che s’intenda la
Chiesa, non m’importa affatto; ma non si potrà parlare in ogni modo che tale insegnamento
fosse stato tenuto in segreto, quando risulta che molti furono realmente testimoni di questo. E
perchè l’Apostolo volle che Timoteo tramandasse i principi di tale dottrina ad uomini fedeli e
capaci poi d’insegnare ad altri, da questo fatto si può forse dedurre l’esistenza di una dottrina
evangelica che non si sia sviluppata alla piena luce del sole? Quando egli disse: queste cose,
intese evidentemente d’alludere a ciò che scriveva attualmente; qualora avesse voluto far
intendere elementi di dottrina occulta e misteriosa, quasi ristretti alla conoscenza sua e diversi
quindi e lontani dal corpo della comune dottrina, avrebbe detto “quelle cose„ non “queste
cose
,, . |58

XXVI.

Il Signore aveva voluto che la Sua dottrina fosse a tutti palese: niente di segreto vi
era in essa; nella sua infinita bontà e nell’immenso amore, essa si rivolgeva a tutti

gli uomini.

¶ Era poi del resto anche logico che a colui al quale il Signore affidava la cura della
predicazione evangelica, perchè fosse compiuta con costanza fermissima e con retto
discernimento, aggiungesse in un secondo momento un’altra raccomandazione; e furono

parole di Cristo queste, infatti: “Non gettate perle ai porci, nè cose sante ai cani (93)„ . Il
Signore poi aveva pubblicamente parlato e non aveva mai fatto allusione o cenno alcuno a una

dottrina nascosta (94). Egli stesso aveva ordinato agli Apostoli che, se anche qualche cosa
avessero ascoltato ed appreso in oscurità o in segreto, essi lo portassero alla piena luce del

sole e nell’alto (95). Fu Lui che insegnò loro, servendosi di una famosa parabola, di non lasciare nascosta una sola mina, cioè una sola parola Sua, senza che perciò questa potesse dare i suoi

frutti (96); come pure altro solenne insegnamento offriva, dicendo che la fiaccola non si
accende per |59 poi metterla sotto il moggio, ma per fissarla sul candelabro, perchè dall’alto

possa spargere la sua luce su tutti quelli che si trovano nella casa (97). E se gli Apostoli non
avessero seguito tali insegnamenti, tenendo nascosto qualche scintilla di luce, cioè della parola
di Dio e della dottrina di Cristo, ciò significava o che non li avrebbero tenuti nel conto che
dovevano, oppure, che non li avevano affatto compresi.

¶ Ma, per quanto io so, essi non avevano paura di alcuno, non temevano violenza o da parte di
Giudei o di pagani; e quelli dunque che facevano sentire alta ed ardita la loro parola nelle
pubbliche radunanze e nelle sinagoghe, dovevano pure, a maggior ragione, con più ampia
libertà, parlare nelle Chiese. Eppoi, essi non avrebbero potuto convertire nè Giudei nè pagani,
se non avessero, con metodo e con ordine, esposto ciò che volevano che formasse l’oggetto
delle loro credenze. Ed è anche più chiaro come costoro non avrebbero mai potuto indursi a
sottrarre una parte della dottrina da queir insegnamento che prodigavano alle compagnie dei

 

fedeli nei templi, per farne oggetto di |60 particolare ammaestramento, separatamente, a
pochi. Ammettiamo pure, per così dire, che non mancassero delle conversazioni, che si
sarebbero svolte fra pochi intimi; ma non per ciò si dovrebbe pensare che essi sostenessero in
queste una regola di fede diversa e contrastante a quella che era oggetto del loro
insegnamento pubblico, secondo quanto vuole il principio cattolico. Non si deve neppur credere
che predicassero un Dio in Chiesa e un altro Dio nelle loro particolari radunanze, e che dinanzi
alla massa assegnassero a Cristo una natura e che fra loro, poi, in segreto, la cosa fosse
diversa e la natura di Cristo mutasse; e che alla folla facessero rifulgere una certa speranza di
resurrezione, ma che fra pochi parlassero di ciò in altra maniera. Non erano forse loro, gli
Apostoli, che nelle loro lettere rivolgevano vive, calde ed appassionate preghiere, perche i
fedeli parlassero un linguaggio solo, uguale sempre e non tollerassero nel seno della Chiesa,

divisioni, scismi e contrasti (98)? E Paolo, o chiunque altro di loro, non affermavano
concordemente la stessa cosa? e ricordavano le seguenti espressioni: Il nostro linguaggio sia
questo: si, si: no, |61 no: quello che eccede, da questa assoluta laconicity d’espressione deriva

dal demonio (99); e tutto questo appunto, perchè nella trattazione del Vangelo, non esistessero

differenze di sorta.

  1. XXVII.
    Nonostante qualunque contrasto, la dottrina apostolica è integra, purissima

¶ Che gli Apostoli dunque non abbiano conosciuto in tutta la sua completezza la dottrina del
Cristo o che in ordine perfetto non ne abbiano tramandato a tutti la parola di quella fede che
essa bandiva, non è cosa a cui possiamo minimamente pensare. Vediamo dunque se, mentre
gli Apostoli nella sua maggiore integrity e con parola semplice e piana bandivano agli uomini
[la dottrina]; se, dico, sia stata la Chiesa, che, per proprio difetto, abbia ad essa attinto in
modo un po’ diverso da quanto gli Apostoli insegnavano. Tu potresti notare che questi del resto
sono i punti che gli eretici portano, per tentar di muovere nel nostro spirito scrupoli ed
incertezze. E stanno bene attaccati perciò alle parole di |62 rimprovero, ad esempio, che Paolo
usa nei riguardi di alcune Chiese: “O Galati, egli dice, nella vostra stoltezza, chi è riuscito a

trarvi fuori della retta vìa (100)? chi vi ha fatto acciecare?„ e ìn altro punto: “Voi così
speditamente procedevate per la vostra strada, chi vi ha trattenuto? chi ha impedito il vostro
cammino?„ E se voi leggete il principio della lettera, egli così si esprime: “Grande è il mio
stupore come presto voi vi siate allontanati da colui che vi richiamò nella grazia del Signore,
per rivolgervi ad altra dottrina (101) „. Ed ai Corinzi(102) Paolo si rivolge nello stesso tono e
domanda loro perchè fossero ancora così soggetti alla carne, da sentire il bisogno di essere
alimentati con latte, e non adatti quindi a ricevere altro cibo: e questi erano coloro che
credevano di saper tutto e non s’accorgevano di non sapere ancora il modo in cui era pur
necessario sapere. Ma dal momento che i sostenitori dell’eresia ci mettono dinanzi agli occhi il
ricordo di queste Chiese alle quali sono stati rivolti rimproveri e biasimi, potrebbero poi anche
pensare che posteriormente esse si siano emendate… ; ma, poi, potrebbero anche ricordare |
63 invece quelle Chiese di cui l’Apostolo esalta, rivolgendo per questo le più vive grazie al

Signore (103), l’integrity della fede, la saldezza della dottrina, la purezza della condotta. E si
noti poi che le Chiese di oggi sono in perfetto accordo, per quel che riguarda il principio
dell’unity di dottrina, con quelle alle quali un giorno furono rivolti quei biasimi.

  1. Carattere precipuo della dottrina della Chiesa è l’unity

¶ Ma, si deve ammettere che l’errore sia stato in tutti? ebbene si: l’Apostolo, nel rendere
testimonianza, or dunque ha errato; ammettiamo pure che lo Spirito Santo non abbia vegliato

su alcuna delle Chiese per condurla alla luce della verity (104); nonostante che Egli sia stato
inviato da Cristo e richiesto al Padre proprio a questo scopo, perchè appunto fosse assertore e
maestro di verity, abbia trascurato il dover suo il vicario di Cristo [il Romano Pontefice],
permettendo che le Chiese intendessero diversamente e prestassero fede a credenze diverse
da quelle che egli stesso predicava per la bocca degli Apostoli: |64 ma si può pensare come
cosa verosimile che tante Chiese e così importanti abbiano divagato per vie diverse per poi
confluire in una credenza unica e in un’ unica fede? Il resultato non poteva esser unico fra
tante variety d’indirizzi e sarebbe stato pur necessario che un errore di dottrina delle Chiese,
avesse poi caratteri diversi. Del resto, ciò che si riscontra che presso molti riveste un carattere
unico, inscindibile, immutabile, è chiaro che ha suo fondamento in una tradizione ben salda, e

non può derivare da una tal qual dubbiosa incertezza e oscillazione di credenza.

¶ Coraggio… allora e qualcuno provi a sostenere che coloro che crearono tale tradizione siano

stati nell’errore.

  1. La dottrina del Cristo è l’unica e la più fulgente fonte di verity

¶ Ma in qualunque modo si voglia ammettere che l’errore si sia generato, questo dunque
sarebbe regnato sovrano per tanto tempo, per quanto non si fecesse parola d’eresie. La verity,
per essere restituita nel suo fulgore, attendeva dunque proprio dei Marcioni e dei |65 Valentini,
e intanto si divulgava nella predicazione il Vangelo… ed era falso; si fissava una fede e non era
rispondente a verity; tante migliala di battesimi furono dunque falsi, tante opere di fede furono
compiute invano; e che valevano dunque i miracoli innumeri? e le grazie operate, e l’esercito
dei sacerdoti, e tante missioni? e a che dunque tanti Martiri, che pur ebbero la palma del loro
dolore e delle loro torture? Eppure, se lutto questo aveva in se qualcosa di manchevole, e,
d’altra parte, cadeva nel vuoto, quale spiegazione si può portare del fatto che le cose di Dio

precorressero la notizia, a qual Dio esse appartenessero (105)? Possiamo forse ammettere che i
Cristiani esistessero prima del Cristo? che l’eresie siano esistite prima di quella che è la vera
dottrina? Ma, in tutto, la verity precede sempre l’apparenza: una certa verosimiglianza, vien
dopo la verity. E sarebbe certamente assai sciocco dare all’eresia una priority sulla dottrina
vera ed infallibile… Ma se fu, poi, questa dottrina stessa che ci mise in guardia contro le
eresie, perchè appunto noi sapessimo guardarcene! È stato scritto alla Chiesa, che di questa
dottrina è la custode fedele; o, |66 per dire più esattamente, questa nostra dottrina stessa così
bandisce alla sua Chiesa: “Anche se un angelo venisse dal Cielo a bandirvi un Vangelo diverso

da quello che è nostro, ebbene, questo, sia per voi considerato anatèma

  1. XXX.
    Ogni eresia è posteriore alla verity

¶ Dove era allora Marcione, nocchiero del Ponto e seguace così ardente della filosofia Stoica?
dove era Valentino, difensore della dottrina Platonica? Poichè è noto che essi non risalgono
molto addietro nel tempo : circa nell’ety di Antonino (138-161) essi vissero, e sappiamo che
prima tributarono fede alla dottrina cattolica presso la Chiesa di Roma, sotto l’episcopato del

Beato Eleuterio (107), fino a che, per quel loro inquieto ardore di ricerca, col quale guastavano
anche la purity e l’integrity della credenza dei fratelli loro, furono, prima una volta, ed ancora
poi una seconda, cacciati, allontanati dal seno della Chiesa, e Marcione con quei ducente mila
sesterzi che aveva portato alla Chiesa. |67 Furono costoro infine relegati come in un perpetuo
esiglio: la Chiesa li volle lontani da sè, ed essi, ecco che sparsero il veleno delle loro dottrine.
Ma dopo, Marcione, avendo riconosciuto il proprio errore, accettò la condizione che gli veniva
fatta di poter riacquistare la pace delio spirito rientrando nella Chiesa; e tale condizione
consisteva nel riportare alla vera fede cattolica coloro che egli aveva allontanato colia falsity
delle sue dottrine; ma la morte lo colse prima che potesse far ciò. Le eresie erano pur

necessarie (108), ma se bisognava che esistessero, non si può da ciò trarre la conseguenza che esse siano un bene: anche il male è necessario che esista; bisognava anche che il Signore

fosse tradito…, ma guai a chi lo tradiva (109)! E questo sia detto, perchè non vi sia alcuno che, partendo da questo punto, non cominci a difendere e a sostenere dottrine ereticali.

¶ Ma sary pur opportuno ritornare un po’ sull’origine della dottrina di Apelle. Egli non risale
tanto nel tempo come Marcione, che si può dire fosse quegli che lo informò, lo istruì nelle sue
dottrine. Apelle ebbe dunque a perdersi a causa di una donna; abbandonando |68 perciò quello
spiritò di castity e di continenza che Marcione gli aveva insegnato, egli si ritirò ad Alessandria,
restando così lontano dagli occhi del maestro suo, integerrimo. Di ly, ritornò dopo alcuni anni e
non migliorato, se non in quanto non era più seguace dì Marcione. Ebbene, costui s’imbattè in
un’altra donna, la vergine Filomene, famosa, che abbiamo ricordato anche di sopra, e che
divenne dopo donna di pessimi costumi; e, tutto preso dall’azione, dall’influenza terribile di
costei, scrisse le Rivelazioni e manifestò quanto da lei avesse imparato. Nel mondo esìstono
ancora alcuni che li ricordano; scolari loro veri e propri, successori potremmo dire, onde non
possono affermare dì non aver avuto una continuazione: sebbene, come afferma il Signore,

saranno l’opere stesse loro che li condanneranno (110). Se infatti Marcione ha separato dal
Vecchio il Nuovo Testamento, egli appartiene naturalmente ad un’ety posteriore a ciò su cui

 

esercitò il suo criterio di divisione, perche non poteva evidentemente compiere tale suo atto,
se non su quello che prima era organico nella sua unità; e quindi, se in quella materia, prima
che si procedesse alla |69 separazione, esisteva una organicità, basta pensare che sia stata poi
divisa, perchè dobbiamo considerare posteriore ad essa colui che a tale divisione operò.

¶ Ed è lo stesso certamente di Valentino, il quale, dando un’interpetrazione diversa delle Sacre
Scritture e, procedendo colla massima franchezza, risolutamente, alle correzioni, ed
emendando proprio con la scusa che quanto scritto prima era errato, viene implicitamente a
dimostrare che le Sacre Scritture sono da far risalire ad altri. Noi ricordiamo Marcione e

Valentino come fra i nomi più famosi e più comuni di coloro che hanno falsato la verità (111);
ma io so che esiste anche un certo Nigidio ed un Ermogene e molti altri ancora che vanno
alterando, corrompendola, la parola del Signore e deviando dalla via che il Signore stesso ha
tracciato. Costoro dovrebbero avere il coraggio di dirmi da chi hanno attinto l’autorità di potersi
mettere in luce: predicano essi forse un Dio diverso dal nostro? Ebbene, in tal caso, com’è che
costoro abusano degli attributi delle Scritture, dei nomi di quel Dio, contro il quale
precisamente appuntano le loro armi? E se è il medesimo |70 [Iddio] invece, come si spiega
che essi possano predicare diversamente da noi? A loro non resterebbe dunque da dimostrare
altro, se non che gli apostoli nuovi son essi; ma l’abbiano il coraggio d’affermare che Cristo è
una seconda volta disceso sulla terra, che una seconda volta ha insegnato una dottrina, che è
stato crocefìsso da capo e che è morto e resuscitato di nuovo. Ma cogli Apostoli [veri] il
Signore opera così: concede cioè ad essi il potere di suscitare quegli atti straordinari e

miracolosi che Lui compie (112): io voglio allora che vengano alla luce queste facoltà [se le
hanno gli apostoli nuovi]! Ma io, in costoro, sono pronto a riconoscere una sola facoltà
notevolissima, ed è quella di sapere imitare gli Apostoli, avendo però dì mira il male, non il
bene degli uomini: questi sono capaci di restituire in vita chi è morto, mentre quelli stringono

nei lacci della morte chi ancora potrebbe godere della vita (113).

  1. La parabola evangelica della buona sementa

¶ M’accorgo però d’essere uscito dal mio |71 assunto. Ritorniamo dunque a discutere sulla questione fondamentale, come la verità sia quella che abbia diritto d’essere riconosciuta per prima e come a questa poi si sia mescolata la menzogna. Noi, per la nostra dimostrazione,

possiamo servirci dell’aiuto di quella famosa parabola (114) la quale narra che il Signore, in
principio, sparse il buon seme di frumento, ma che il diavolo poi, nella sua mala potenza, ci
mescolò la zizzania, erba sterile e dannosa. Propriamente questa narrazione sta a
rappresentare la differenza delle dottrine, dal momento che anche in altri luoghi la sementa

buona è l’immagine usata ad esprìmere e a significare la parola del Signore (115). Così diviene
ormai cosa chiara ed aperta che, riguardo all’ordine del tempo, ciò che ci è stato anteriormente
tramandato, è derivato dal Signore, e contiene il principio della verità; ma che invece riveste i
caratteri della falsità e dell’errore ciò che s’è mescolato e confuso dopo alla purità della prima
tradizione. Questo princìpio rimarrà come fondamento dal quale noi potremo avanzare contro
tutte le eresie posteriori anche, nelle quali non è possibile riscontrare alcun elemento di
sicurezza e di |72 fermezza, che dal loro seno si innalzi a difendere, per esse, un principio e
una luce di verità.

  1. XXXII.  Le Chiese Apostoliche e il loro insegnamento

¶ Ma poi, se vi siano eresie, le quali abbiano l’ardire di sostenere che esse sono strettamente
congiunte alla purezza e all’integrità dell’Epoca Apostolica, così da voler quasi dimostrare che
derivano in certo modo dagli Apostoli direttamente, perchè all’età loro fiorirono, noi possiamo
risponder così: ci dimostrino chiaramente le origini, dunque, delle Chiese loro; ce lo dichiarino
in quale ordine si siano susseguiti i vescovi loro, cominciando dall’inizio e venendo giù
ordinatamente nel tempo, in modo che quel primo vescovo possa a sua volta riconoscere come
predecessore e sostenitore qualcuno degli Apostoli o di quei primi uomini apostolici che cogli
Apostoli ebbero assoluta comunione di vita e di fede.

¶ È proprio seguendo questo sistema che le Chiese Apostoliche spiegano e dichiarano la loro
vita, la loro gloria. Ecco che la Chiesa |73 di Smirne afferma che fu Giovanni a porre a suo
capo Policarpo, e la Chiesa di Roma riconosce che Clemente fu ordinato da Pietro. E così

 

continuando, tutte le altre Chiese fanno ricordo dei loro vescovi, che posti in tal grado
direttamente dagli Apostoli, rappresentano la semente prima, apostolica, di quella che fu poi la
fioritura. Anche gli eretici possono forse portare qualcosa che stia a confronto colle nostre
affermazioni? Ci si provino! Che c’è di non lecito per loro, dal momento che han potuto e
saputo pronunziare parole piene di menzona? Ma per quanto essi possano inventare, non
riporteranno da ciò vantaggio alcuno: quando le dottrine loro verranno paragonate colf
integrity della dottrina apostolica, da quei loro caratteri di diversity e di contrariety, risultery
chiaro che esse non possono derivare nè direttamente dagli Apostoli nè da un uomo apostolico.
Come gli Apostoli non è ammissibile affatto che abbiano insegnato cose che fra loro non
avessero la più assoluta armonia, così non è possibile che uomini apostolici abbiano divulgato
dottrine contrarie a quelle degli Apostoli, almeno che non si siano allontanati da costoro. |74

¶ È proprio a un esame di questo genere che saranno chiamati anche da quelle Chiese le quali,
pur non traendo il vanto della fondazione direttamente dagli Apostoli o da uomini apostolici,
essendo esse di origine molto posteriore, si trovano d’accordo nella professione di una stessa
fede; e così pure da quelle che ogni giorno stanno istituendosi, ma che per questa piena e
completa unione di dottrina, sono ugualmente considerate apostoliche.

¶ Così le eresie, chiamate in massa ad una prova dalle Chiese nostre, perchè esse rendano
chiaro e evidente il loro carattere di autenticity, adducano, su, via, le ragioni per le quali
aspirano ad avere il nome di apostoliche! Ma se non lo sono! Come dunque, allora, potranno
sostenere e provare d’essere quello che non sono? Ed è questa appunto la ragione per la quale
le Chiese, che in qualche modo possono avere il nome di apostoliche, non vogliono accoglierle
nel loro seno per alcuna relazione, o comunione con esse. E s’intende: appunto perchè, data la
diversity della dottrina da loro sostenuta, esse non possono pretendere d’aspirare al nome di
apostoliche. |75

XXXIII.

Diversita di dottrine: purity della dottrina apostolica

¶ Mi piace di aggiungere una specie di sguardo generale; di abbracciare cioè in complesso
queste false dottrine, che fin dal tempo degli Apostoli esistettero, e che dagli Apostoli stessi
furono considerate, esaminate, prese di mira e poi condannate. In tal modo la facility sary
maggiore, di batterle in breccia, quando si potry dimostrare a loro riguardo che esistettero
come tali fin da quei tempi o che hanno tratto i primi elementi di vita da altre dottrine eretiche,
anche allora esistenti. Nella prima lettera, che indirizza ai Corinti (116), Paolo ha parole dì
biasimo per coloro che negavano, o almeno esprimevano dubbi sulla Resurrezione; ed era così

proprio che la pensavano i Sadducei (117): ebbene, Marcione, Apelle e Vaientino si riattaccano appunto a questa dottrina, ed anche gli altri, che combattono il principio della Resurrezione dei

corpi.

¶ Sentiamolo, quando si rivolge ai Galati (118). Egli si scaglia contro coloro che affermavano e mettevano in pratica la circoncisione e la legge – tale era il principio eretico di Ebione -; |76 e,

rivolgendo consigli ed ammaestramenti a Timoteo (119), è sempre Paolo che rimprovera chi non ammette il matrimonio – e in ciò dobbiamo pur riconoscere i principi di Marcione e di Apelle, che fu suo seguace -. E attacca pure, egualmente, coloro che sostenevano che la

Resurrezione fosse giy avvenuta (120) – e si noti che affermano questo, per quanto li riguarda, anche i seguaci di Valentino -. E come non ricorrere sempre a Valentino, quando Paolo parla di

genealogie infinitamente lunghe (121)? È proprio presso Valentino che si trova un Eone – io non
saprei più dir precisamente quale, eppoi non ha neppure una denominazione chiara -, che
genera dalla sua Grazia il Senso e la Verity, e questi a loro volta, ne generano altri due: il
Verbo e la Vita, che dan luogo, dopo, ad altre due produzioni: l’uomo e la Chiesa; e da questo
primo gruppo di otto Eoni ne scaturiscono fuori altri dieci, eppoi dodici, e tutti hanno
stranissimi nomi, finchè si arriva alla meravigliosa storiella dei trenta Eoni. E Paolo stesso,

quando ha parole di riprovazione per coloro che si dimostrano soggetti agli elementi (122),
intende chiaramente di riferirsi a quella |77 credenza di Ermogene, che, concependo una
massa di materia, che non ha avuto principio di creazione alcuna, paragona questa a Dio. Dio
è increato, e, intendendo [Ermogene] questa materia come una dea madre degli elementi
singoli, può naturalmente riconoscere ad essa anche un principio di soggezione, in quanto è da
lui paragonata ed uguagliata a Dio.

 

¶ E nell’Apocalisse (123), Giovanni comanda che vengano gastigati coloro che si cibano di
quelle carni che vengono consacrate agli idoli, e che commettono fornicazione: vi sono anche

ora dei Nicolaiti (124): vi è chi segue l’eresia Gaiana, dunque.

¶ In una sua lettera, Paolo, chiama Anticristi (125) coloro i quali non riconoscono che Gesù
abbia rivestito carne umana e che non credono che sia il Figliuolo di Dio. Marcione ha
sostenuto proprio il primo punto di questa falsa dottrina, ed Ebione è stato il difensore del
secondo. Era poi considerata sempre nel campo delle eresie la dottrina magica di Simone, la
quale faceva gli angeli oggetto di culto, e nella persona dello stesso Simone, tale credenza
ebbe condanna da Pietro (126). |78

  1. Si discute sempre sulle false dottrine esistenti ai tempi apostolici

¶ Ecco quelle che, come io credo, furono al tempo degli Apostoli le dottrine false e bugiarde; e
sono essi stessi infatti che ci illuminano su questo punto. Ma pure, noi, non troviamo, in mezzo
a tanta falsity e perversity di credenze, nessuna scuola che abbia sollevato discussione alcuna
o mosso alcun dubbio sulla questione di Dio, Creatore dell’ Universo. Non ci fu mai alcuno che
pensasse d’immaginare un altro Dio: se qualche dubbio s’ affacciava, era più facile che
involgesse la figura del Figlio, piuttosto che quella del Padre, finchè Marcione portò fuori
un’altra divinity, oltre Iddio Creatore, che possedeva solo l’attributo della bonty. Apelle, ai
contrario, fece Creatore, e Dio della Legge e d’Israele, un angelo, io non saprei dir quale,
rivestito della gloria di una superiore divinity, e sostenne che costui avesse un’essenza ignea; e
Valentino, poi, disseminò i suoi Eoni, e il difetto d’un solo Eone, lo riconobbe come origine del
Dio Creatore. |79

¶ A costoro solamente adunque e per primi sarebbe stata chiara ed aperta la conoscenza
intorno alla divinity; ma evidentemente essi conseguirono un privilegio e una grazia più piena
e completa dal diavolo, il quale volle gareggiare con Dio, così da compiere ciò che questi aveva

recisamente negato (127) e, precisamente, colle dottrine sue false e velenose, rendere i
discepoli al di sopra del maestro. Vadano dunque ricercando e si scelgano queste singole
credenze eretiche il momento in cui possono essere apparse: non avry per altro, tuttavia,
alcuna importanza la determinazione di questo momento; non è infatti da parlare affatto dì
elemento alcuno di verity in rapporto a esse: e non sarebbe possibile come quelle che neppure
esistevano al tempo degli Apostoli. Se fossero esistite avrebbero avuto ricordo anch’esse come
quelle contro le quali si dovevano prender misure coercitive: quelle false dottrine, che pure al
tempo degli Apostoli pullulavano, ebbero singolarmente la loro esplicita condanna. Dunque noi
dobbiamo per forza ammettere: o queste eresie ora esistenti sono le medesime di quelle
dottrine che, appunto in forma più semplice e |80 rudimentale esistevano giy nei tempi degli
Apostoli, mentre ora si sono, in certo modo, raffinate, e in tal caso hanno avuto fin d’allora in
se stesse il principio della loro condanna; oppure dobbiamo riconoscere che queste d’ ora siano
diverse da quelle di una volta e nate quindi in un periodo posteriore: ma in quanto da quelle
prime false dottrine abbiano tratto qualche elemento di lor credenza, dal momento che sono
legate in certi loro principi, ne sorge come logica necessity che debbano anche aver comune
con quelle la riprovazione e la condanna di ciò che affermano.

¶ Dal momento dunque che da quanto s’è detto appare chiaro che l’eresie abbiano un carattere
di posteriority, posto anche che sfuggano così, in certo modo, alla condanna pronunziata
contro quelle dottrine prima di esse esistite; per l’ety in cui si svilupparono è giustificato il
principio di prescrizione in quanto maggiormente appaiono nella loro luce di falsity e di
perversity come quelle che più lontane dagli Apostoli, non sono poi da questi neppur ricordate.

¶ Da tutto ciò risulta con maggior sicurezza che erano proprio queste eresie, quelle che |81
veniva predetto che un giorno si sarebbero pur sviluppate (128).

  1. XXXV.
    Le eresie non possono contenere germe alcuno di verity

¶ Queste eresie tutte si trovano strette da noi e quasi chiamate apertamente in causa da
queste nostre considerazioni e vengono confutate, siano esse posteriori all’ety degli Apostoli,
sia invece che abbiano sortito origine nel tempo loro. Esse insomma sono diverse e si
allontanano dalla loro dottrina: possano dagli Apostoli avere avuto parole dì biasimo e di

 

condanna su certi punti particolari o possano essere state condannate in complesso, non
importa: basta il fatto d’aver ricevuto già riprovazione e condanna. Provino dunque, su, via, a
risponderei e a lanciare contro la dottrina da noi sostenuta delle prescrizioni di simil genere. Se
diranno che la nostra dottrina non possiede in sa il principio della verità, dovranno pur provare
che essa a eresia e confutarla con un procedimento uguale a quello col quale noi operiamo
contro le dottrine ereticali e, nello stesso tempo, dovranno |82 mostrare chiaramente dove sia
da cercarsi la verità, dal momento che ormai resulta chiaro che essa, presso di loro, non esiste
affatto.

¶ La dottrina che noi seguiamo, non solo non può dire di avere un carattere di posteriorità, ma
anzi, su tutte quante, può vantare la priorità assoluta. Questa a appunto la prova della verità
in essa contenuta: per la precedenza che essa possiede sulle altre discipline tutte. È lei che
non trova da parte degli Apostoli condanna alcuna, anzi la più strenua e valida difesa, incontra:
e non a forse questa la prova migliore che essi la considerano e la sentono come propria? Sono
appunto gli Apostoli che condannano qualunque dottrina che capiscono lontana ed aliena da
loro. Ebbene: essi, non avendo per la dottrina nostra parola alcuna di riprovazione, dimostrano
che la riconoscono quasi proprietà loro, ed a perciò che la difendono.

  1. XXXVI.
    Le Chiese Apostoliche: esse detengono il tesoro della verace dottrina

¶ Ma insomma! vorrai tu con maggior frutto |83 magari andar facendo ricerca ed esaminando,
con l’occhio fisso sempre però a quel che costituisca la tua salvezza? Allora, guarda un po’ … ,
passa in rivista, dico, le Chiese Apostoliche: a presso queste che ancora si possono vedere le
cattedre, lì, al loro posto, dove gli Apostoli insegnarono; a là che si vanno rileggendo le lettere
autentiche degli Apostoli; a là dove tu puoi ascoltare quasi la loro viva voce; a là dove tu puoi
quasi rivedere davanti a te l’aspetto di ciascuno di loro. Sei vicino all’Acaia: ecco che hai
prossimo Corinto; se non ti troverai lontano dalla Macedonia, avrai Filippi; se puoi giungere
fino in Asia, eccoti Efeso; se poi stai in Italia, hai Roma, donde anche a noi, che viviamo in
Africa, giunge la parola della sua autorità. O davvero privilegiata e felice questa Chiesa
Romana, sulla quale gli Apostoli versarono, col loro sangue, il torrente della loro dottrina; dove
Pietro soffre supplizi, che si potrebbero paragonare a quelli del Signore; dove Paolo, colla sua
morte, uguale a quella di Giovanni Battista, acquista la palma del martirio; da dove Giovanni
ebbe a sopportare la relegazione in un’isola, dopo che miracolosamente |84 nulla ebbe a
soffrire, sebbene fosse stato immerso in un bagno di olio bollente ! Osserviamo e consideriamo
che cosa abbia prima imparato la Chiesa di Roma e quale dottrina poi abbia tramandato nel
suo insegnamento: quale testimonianza essa arrechi, e con lei, le Chiese Africane.

¶ Essa riconosce un Dio solo, che ha creato l’Universo; riconosce Gesù Cristo, nato dalla
Vergine Maria e Figlio di Dio Creatore; crede alla Resurrezione dei corpi; essa unisce la Legge e
i Profeti coi Libri Evangelici ed Apostolici ed a di lì che attinge la forza e la fermezza della sua
fede. Il primo segno di questa fede essa l’imprime colf acqua, lo ferma collo Spirito Santo;
l’Eucarestia dà poi a questa fede nutrimento vitale. Essa [la Chiesa Romana] chiama, invita al
martirio e si guarda bene dall’accogliere nel suo seno chi potesse esser contrario alla dottrina
sua e ai principi da lei sostenuti.

¶ Questa a proprio quella dottrina, non dico già che solo preannunziasse le eresie che
sarebbero sorte dopo, ma quella dalla quale queste stesse trassero loro origine. Ma non si deve
dire… via, che abbiano avuto origine le |85 dottrine eretiche dal seno della Chiesa…, dal
momento che esse sono divenute poi sue nemiche; e dal nocciolo dell’oliva, forse, che a frutto
così dolce, così ricco e così necessario, non nasce anche il selvatico oleastro? e dai semi del
fico, che a frutto così gradito e di tanta dolcezza, non nasce forse il caprifico, inutile e
selvatico? E lo stesso procedimento si ha nelle dottrine eretiche: a vero proprio che dal tronco
nostro esse escono, ma non appartengono poi alla famiglia nostra. Sta bene che esse siano pur
sorte dal buon seme della verità, ma poi sono tosto divenute rozze e selvatiche, percha hanno
seguito la falsità e la menzogna.

  1. Le Scrittore Sacre non possono appartenere affatto agli eretici.

¶ Le cose stanno dunque così: che noi possediamo la verità; che essa deve a noi proprio venire aggiudicata; a noi, che avanziamo, ognuno, sicuri in questa nostra regola, che le Chiese

 

riceverono dagli Apostoli, gli Apostoli a lor volta attinsero dalla voce di Cristo, Cristo, da Dio. È
chiaro ed evidente dunque |86 che noi abbiamo pieno il diritto di non riconoscere agli eretici la
facolty di discussione e d’esame delle Scritture Sacre; sono proprio loro che noi possiamo
benissimo convincere, senza appoggiarsi affatto all’aiuto dei Libri Sacri, che su di questi non
possono vantare diritto alcuno. Non si possono dir Cristiani costoro, dal momento che, non
traendo da Cristo la loro dottrina, ne seguono una a loro scelta, onde s’acquistano appunto il
nome di eretici. Se dunque non sono Cristiani, è chiaro che sui Libri Sacri non possono vantare
diritto alcuno, e noi potremmo rivolgerci a loro con queste parole e giustamente: Chi siete voi?
quando e donde siete venuti? a che v’occupate e v’intromettete nelle cose nostre, voi, che non
appartenete affatto a noi, che non siete dei nostri? Marcione, si può sapere di dove attingi la
facolty di tagliar legna dalla mia selva? chi ti ha dato il permesso, o Valentino, di deviare le
acque dalle mie fonti? e in nome di qual diritto, tu, Apelle, sposti i confini delle mie terre? È
casa mia questa; questi sono possessi miei; come può avvenire che voi altri tutti, secondo il
piacimento vostro, seminiate e raccogliate pascolo in |87 queste mie terre? È mia questa terra:
ve l’assicuro; da tanto tempo è mia; ed è chiaro il diritto di priority che io ne ho su di voi, e
delle prove non me ne mancano e son prove sicure, autentiche e le traggo proprio dai loro
primi ed autentici padroni. Sono io l’erede degli Apostoli, e, precisamente, come essi hanno
disposto per testamento, come confermarono e trasmisero per fedecommesso e come poi essi
infine fissarono sotto la santity del giuramento, io sento di possedere la loro dottrina. Per
quello poi che riguarda voi eretici, gli Apostoli, senza dubbio, vi hanno sempre rinnegato, vi
hanno considerati lontani da loro, come estranei, come nemici. Ma gli eretici, in seguito a che
cosa possono apparire agli Apostoli come estranei, come nemici, se non per una intima e
profonda diversity di dottrina, la quale ciascuno di loro, secondo il proprio capriccio, o inventò
o accolse, contrariamente a quanto era stato affermato dagli Apostoli? |88

XXXVIII.

Le Sacre Scritture: loro integrity; gii eretici le hanno male interpetrate o alterate

¶ È proprio ly, dunque, dove si riscontra diversity di dottrine, che noi dobbiamo pensare che
quivi appunto vi sia una falsificazione di Scritture ed errore d’interpetrazione. Coloro i quali si
proposero di alterare la parte sostanziale dell’insegnamento, si trovarono, per forza, nella
necessity di disporre altrimenti i mezzi che dovevano servire per giungere a tale dottrina;
perchè la sostanza dell’insegnamento loro non avrebbe potuto essere minimamente alterata,
se non fossero state diverse le strade per le quali dovevano giungere ad impartire tale dottrina.
Come agli eretici, dunque, sarebbe stato impossibile giungere alla falsificazione della dottrina
stessa, senza mutare o alterare, in certo modo, gli elementi suoi, così anche a noi, nello stesso
modo, non sarebbe stato possibile mantenere la integrity della dottrina, se integri non fossero
rimasti i principi e i mezzi, per i quali essa dottrina procedeva, e quegli elementi sui quali
trovava sua base l’insegnamento di essa. |89

¶ E nei nostri libri che cosa si potrebbe trovare che non sia perfettamente in accordo con quello
che crediamo noi? ci abbiamo forse messo qualcosa di nostro? o che cosa si può trovare che
noi cerchiamo in qualche modo di correggere o togliendo o aggiungendo o mutando? Quello
che noi siamo, lo sono pure le Scritture Sacre fin dalla loro origine prima: è da esse che
traiamo la sorgente nostra di vita, prima che subissero qualsiasi alterazione, prima che da voi
fossero in qualche modo guastate. Dal momento che ogni inter-polazione è logico che si debba
credere posteriore all’originale, poichè essa è necessariamente scaturita fuori da un certo
spirito di rivality e di dissenso, che non può, naturalmente, vantare carattere di priority e
neppure può essere che in certo modo si debba considerare della stessa famiglia di quel
principio a cui cerca di contrastare; per questa ragione, è naturale che nessuna persona fornita
di buon senso, possa credere minimamente che siamo stati noi a portare nelle Sacre Scritture
una mano emendatrice e falsificatrice, noi che siamo stati i primi e abbiamo attinto da esse
direttamente la dottrina nostra. Piuttosto è da |90 pensare che tali emendamenti l’abbiano
introdotti coloro che vennero dopo e che ci furono contrarî e nemici. Ecco qua uno, che falsifica
il testo; eccone un altro, che, dando una interpetrazione diversa, viene ad alterare
profondamente, intimamente il senso della Scrittura. E non si deve pensare che, se Valentino
sembra pure servirsi delle Scritture, mantenendole nella loro integrity organica, egli non sia di
un’astuzia più fina e più sottile di Marcione, il quale colpisce in pieno, apertamente, colle sue
armi, la verity. Fu di una spada che Marcione si servì per colpire in piena luce e decisamente le
sacre pagine; non gli bastò la penna, e così, dopo averle straziate colle sue armi, le ridusse alle

 

sue credenze. Valentino le risparmiò e non prese di mira le Scritture per armonizzarle al suo
sistema, ma sforzò il suo sistema ad entrare, ad accomodarsi nell’ambito delle Scritture. Ma in
quanto a tagliare, ad aggiungere…. anche più degli altri, costui, perchè non ha risparmiato
parola, alla quale non abbia sottratto il suo significato proprio e reale e sovrapposto certe
combinazioni strane d’immagini più o meno fantastiche, |91

Gli eretici tengono in loro uno spirito dì menzogna

¶ Erano proprio questi esseri, queste intelligenze che venivano dagli spiriti del male e del falso

(129), e noi dobbiamo, o fratelli, combattere appunto contro questi, e bisogna guardarli bene in faccia, noi; come esseri, di cui la fede ha necessity assoluta. E non è per loro forse che

verranno alla luce gli eletti e si scopriranno pure, invece, i reprobi (130)? Ed è appunto per
questo che essi posseggono tale un’ability e tale una forza, da costruire, da intelaiare con tanta
facility una rete di errori. Ma questa facility d’intesser e errori non ci deve far meraviglia
alcuna: non è mica essa qualcosa di strano e di inesplicabile! Di questa ability abbiamo esempi
anche a portata di mano nella letteratura non religiosa, ma profana. Ecco che ai giorni nostri si
vede comparire una tragedia tratta da Virgilio, ma cambiata completamente poi nel suo
complesso: la materia è adattata bene alla forma poetica, e la forma poetica armonizza quindi
colla materia trattata. Eppoi Osidio (131) Geta trasse completamente da Virgilio la sua tragedia
|92 intitolata Medea, e fu proprio uno che è a me legato da una certa parentela, che, con
espressioni del poeta stesso su rammentato, riuscì a ricamare così, nelle ore di svago letterario

e di divertimento, uno scritto che si disse la Tavola di Cebete (132).

¶ E sogliono ricevere il nome di centoni Omerici, o Omero-centoni più propriamente, gli scritti
di coloro che dai Poemi Omerici, con un lavoro loro personale, riuniscono, per formarne una
specie di centone, in un sol corpo, quelle singole parti che essi credono potere armonizzare. La
sacra letteratura per così dire, ha invero una ricchezza e una larghezza tali, quali sono
sufficienti a qualunque esigenza, ed io non ho timore alcuno ad affermare che i Libri Sacri
siano stati disposti e armonizzati per volonty di Dio, in tal modo, che essi potessero offrire
materia agli eretici, per fissare le loro dottrine, dal momento che io leggo che è necessario che

le eresie esistano (133); le quali non potevano esistere senza le Sacre Scritture. |93

  1. Falsi e ingannevoli procedimenti degli eretici

¶ Ma si domanda: da quale potenza può venire interpetrato il senso di quei luoghi, in modo che essi favoriscano poi lo svolgersi di una credenza eretica? È manifesto che ciò non può avvenire

se non da parte del diavolo; è proprio il suo mestiere, del resto, quello di sconvolgere e di turbare ogni principio di verity. E lui pure imita nei misteri degli idoli, i riti delia divina fede; egli pure battezza chi professa fede in lui e si dice suo seguace; e promette pure lui che le loro

colpe otterranno perdono da questo lavacro. Se ancor bene mi ricordo, anche Mitra (134) segna
i suoi seguaci, e imprime loro il suggello sulla fronte, dì quella che sia la sua religione; anche
l’offerta del pane è fra le cerimonie che si ricollegano a lui; ecco che nei suoi riti appare anche
un’immagine della resurrezione, e ai caduti di spada offre la corona. Eppoi, non ha fissato pur
lui per il suo sommo sacerdote la facolty di stringere una sola volta vincolo di nozze? Anche lui
ha le sue vergini ed ha pure discepoli, che osservano i |94 principi della continenza. Del resto
se ci rifacciamo a considerare le credenze superstiziose di Numa Pompilio, se esaminiamo le
funzioni dei sacerdoti gli onori di cui sono insigniti, i loro privilegi, le funzioni sacrificali a cui
essi presiedono, gli strumenti e i vasi diversi che vengono usati nei molteplici riti, e le
stranezze, le particolarity curiose e minuziose dei voti e delle cerimonie espiatorie, non ci
appare forse manifestamente che il demonio ha imitato la Legge Mosaica in tutta la sua
minuziosa esattezza?

¶ Egli dunque, che i medesimi procedimenti rituali con cui vengono trattati e celebrati i
Sacramenti del Signore, si è studiato con tanta scrupolosity di riprodurre nelle cerimonie
idolatre; egli dico, tese con ogni desiderio a raggiungere questo scopo e potè infatti applicare
ad una credenza profana, in contrasto aperto colla vera, quei procedimenti proprì delle cose
divine e dei Sacramenti Cristiani. I pensieri suoi si ritrovavano nei nostri, le sue parole erano
quelle nostre, le sue parabole non erano che le parabole nostre. Ed è per questo, dunque, che
non ci deve essere alcuno, il quale possa nutrire dubbi che quei principi di male |95 e di

 

menzogna, da cui traggono origine e alimento le eresie, derivino proprio dal diavolo e che le
eresie non sono affatto molto lontane dalla idolatria, in quanto riconoscono come loro principio
e usano come loro mezzi, quelli stessi che riconosce e di cui si serve l’idolatria. Infatti o
immaginano un Dio diverso dal Dio, sommo Creatore, oppure, se riconoscono un Dio unico
Creatore, seguono intorno a Lui una credenza che non è la vera. E dunque, qualunque parola
di menzogna che si possa pronunziare contro Iddio, diviene, in certo modo, elemento
d’idolatria.

La dottrina eretica ha sempre elementi di confusione e di oscurity, che non si riscontrano nella vera dottrina, che è luce e fulgore.

¶ Non sarebbe però il caso di tralasciare la descrizione di tutto il procedimento seguito dagli
eretici nelle loro relazioni? Voi, vedete quanto sia futile, quanto materiale, quanto profana,
quanto la loro condotta sia senza seriety alcuna, senza dignity, senza spirito di disciplina, ma
come tutto questo, in fondo, |96 combini esattamente col carattere della loro credenza? Dirò
per primo: fra loro chi è che conosca chi sia catecumeno e chi fedele? senza differenza alcuna
essi presenziano alle cerimonie, ugualmente ascoltano, ugualmente pregano: potrebbero
magari presentarsi a loro anche dei pagani: ebbene: eccoli lì pronti a gettare dinanzi ai cani le

cose sacre, e le perle dinanzi ai porci; perle, dico; ma false s’intende (135). Parlano di
semplicity; ma io direi che la loro semplicity è lo sconvolgimento e il sovvertimento della
dottrina tutta; chiamano, invece, l’attenzione, la diligenza nostra scrupolosa, nei riguardi delle
sacre credenze, ricerca corruttrice. Essi concedono la pace a tutti, così, in massa, senza
seguire discernimento alcuno; per loro poi, non esìste, e non importa la diversity dei mezzi e
dei procedimenti, purchè tutti abbiano come scopo quello di combattere, di alterare, di
guastare l’assoluto principio del vero. Orgoglio ne hanno tutti a dismisura, tutti promettono
luce di sapienza. I catecumeni, prima di giungere al richiesto grado di dottrina e di conoscenza,
sono iniziati ai loro misteri. E la sfacciataggine, l’impudenza a cui giungono le donne |97
eretiche, è poi straordinaria: esse hanno bene l’ardire d’insegnare, di discutere, di compiere
esorcismi, di promettere guarigioni, e ci manca poco che non giungano anche a battezzare I Le
ordinazioni loro rivestono il carattere della più assoluta leggerezza, senza un fondamento,
senza seriety alcuna e non possono, quindi, avere stability; sono capaci d’innalzare, ora, dei
giovanissimi senza esperienza e dottrina, ora, uomini che hanno troppo ben salde relazioni col
mondo, talvolta anche degli apostati nostri, e tentano, dal momento che in nome della verity
non lo potrebbero fare, di tenerseli vincolati, favorendo in loro l’ambizione. In nessun campo si
verificano progressi tali come si avvertono nel campo degli eretici; basta esser di loro e il
continuo progredire viene da sè: oggi uno è vescovo, domani sary vescovo un altro; oggi uno è
diacono, domani eccotelo lettore; oggi sacerdote? domani costui lo troveremo laico; poichè
anche i laici, presso di loro, adempiono a funzioni sacerdotali. |98

  1. XLII.
    Predicazione presso gli eretici.

¶ E che cosa dovrò dire dell’ufficio che essi attribuiscono alla parola? Questa facolty presso di
loro non serve a fare opera di conversione sui pagani, ma per condurre i nostri fuori della via
della verity. Sapete quale sia il genere di gloria a cui essi aspirano maggiormente? se riescono
di abbattere coloro che stanno in piedi, saldi, ben fermi; non quella che potrebbe loro derivare
da sollevare i caduti! E si capisce: quello che essi fanno non deriva da qualche cosa di
organico, di armonico che posseggono e che possono dire loro proprio; ma è qualche cosa di
frammentario, di inorganico che’risulta appunto dallo sgretolare la verity. Vogliono costruire la
loro casa? ebbene: essi si servono dei materiali che sono riusciti ad abbattere dalla nostra.
Togliete a costoro il principio della Legge Mosaica, i Profeti, Iddio Creatore: essi, ecco, che non
sapranno formulare contro di noi, più accusa alcuna. Ed accade così, che essi riescono a
mandare in rovina più facilmente gli edifici, che pur hanno solide basi, piuttosto che ne |99
possano costruire uno nuovo coi materiali giacenti. E a questo lavoro essi attendono con umilty
ipocrita, con ogni maggiore mitezza e sottomissione. Del resto, poi, costoro non conoscono
riguardo alcuno neppure per i loro capi; e questa è la ragione per la quale fra eretici non si
sente parlare di scismi, perchè, anche quando vi siano, non vengono alla luce: sta proprio nello
scisma la loro forza unitaria. Chiamatemi liberamente bugiardo, quando non sia vero che
ognuno s’allontana, si stacca dalle proprie norme senza riguardo alcuno; e le regole ricevute le

 

altera, le dispone, le modifica a suo modo, come del resto colui che tali norme anteriormente
aveva tramandato, le aveva prima, a sua volta, mutate secondo l’arbitrio suo. Dunque l’eresia
nel suo progredire, nel suo svolgersi, non fa che conservare la natura sua originaria e il
carattere che essa ebbe fin da principio. Quello che Valentino crede lecito per sè, cioè portare
innovazioni secondo il suo capriccio in materia dì fede, se lo credono lecito anche i suoi
seguaci, i Valentiniani, e Io stesso accade per Marcione e i Marcioniti. Così infine, qualora noi
volessimo esaminare proprio |100 intimamente le credenze eretiche, noi troveremmo, senza
dubbio, che tali dottrine si trovano certamente in contrasto in molti punti col fondatore della
dottrina stessa. Un numero grande di loro non riconoscono chiese, e se ne vanno privi di quella
che dovrebbe essere come la madre loro, senza alcuna sede stabile, privi di luce ed errabondi
cosi, come divisi e banditi dalla society.

  1. XLIII.
    Stranezze degli eretici

¶ Non sono sfuggite neppure le relazioni che gli eretici hanno con una gran quantity di maghi, di ciarlatani, di astrologhi, di filosofi; con tutta quella gente, cioè, che non fa altro che spendere il suo tempo in ricerche vane ed inutili. Non fanno essi che ricordare il versetto

“cercate e troverete„ (136). Quale specie di fede essi abbiano, si può giudicare benissimo dalla
condotta, dal tenore di vita che essi tengono, dalle compagnie che frequentano; è proprio tutto
questo che può darci un indice della dottrina da essi seguita. Dicono costoro che non bisogna
temere Iddio: |101 è naturale quindi che in tutte le cose per essi ci debba essere la più
assoluta delle liberty; ma dove è che si può parlare di non temere Iddio, se non ly dove la
divinity non sia? e dove non è Iddio, ivi non sta neppure la verity e dove non esiste verity, ivi
non si può non riscontrare, naturalmente, che un sistema di vita quale è quello che gli eretici
seguono. Ma dove Dio esiste, ivi non si può non riscontrare il timore di Lui, nel quale appunto

risiede il principio di ogni Sapienza (137); ly, dove esiste il timor di Dio, esìstono pure una
condotta seria e dignitosa, una cura scrupolosissima, una diligenza grande, un criterio di scelta
assennato e giusto, la facolty di giudicare e di esprimersi dopo aver ben riflettuto, il nostro
miglioramento per le opere degnamente prestate, la sottomissione ai sacri principi religiosi, la
piety delle opere, la modestia di ogni nostra azione.: la Chiesa nella sua armonica unione è lì:
tutte queste cose sono di Dio.

  1. XLIV.
    Gli eretici: il giudizio che il Signore dary su loro

¶ A maggior dimostrazione della verity, |102 s’aggiungono poi queste prove, che consistono appunto nella severity massima della disciplina da noi sostenuta. Come è possibile che vi sia qualcuno il quale voglia allontanarsi da lei! non ne potry ricevere vantaggio alcuno davvero: bastery che ognuno pensi al futuro giudizio finale, per il quale sary pur necessario che noi tutti

ci presentiamo al supremo tribunale di Gesù, per render conto delle azioni nostre (138) e
sopratutto di come noi abbiamo saputo conservare il principio della fede più pura. E che

dovranno dire dunque coloro, che la Vergine consegnataci da Gesù (139) hanno
vergognosamente macchiato colla adultera colpa dell’eresia? Oh, io penso che essi addurranno
come scusa, come giustificazione del loro operato, il fatto che loro non fu detto nulla mai
intorno a dottrine malvagie e perverse che avrebbero dovuto sorgere, ne da Cristo nè dagli

Apostoli, e che quindi avrebbero dovuto guardarsene e coprirle del loro disprezzo (140). E
quindi saranno pronti a gettare la colpa, che è di loro, invece su chi non li ha prima messi
sull’avviso, onde potessero difendersi.

¶ Ma saranno poi anche pronti ad |103 aggiungere molte osservazioni e prove sull’autority
posseduta da ciascuno che sia stato fondatore e sostenitore di un’eresia e diranno che quelli
hanno saputo confermare e dare prove convincenti e sicure della loro dottrina: hanno infatti
resuscitato dei morti, hanno restituito la sanity a dei malati, hanno predetto il futuro, così che,
a buon dritto, essi potessero esser creduti apostoli (141). Quasi che non fosse stato scritto pure
che sarebbero venuti molti i quali avrebbero operato fra gli uomini delle cose straordinarie,
miracolose addirittura, e tutto ciò l’avrebbero fatto per rafforzare, per consolidare la loro
predicazione, che non era altro invece che menzogna ed inganno.

¶ E sary così forse che spereranno di ottenere perdono. E allora potrebbe anche verificarsi il
caso che coloro, i quali avranno tenuto fede alle Sacre Scritture Apostolìche e alle regole in

 

esse contenute e avranno conservato quindi la loro dottrina nella sua più assoluta integrità e
purezza, forse potranno anche correre pericolo di condanna.

¶ Il Signore potrà loro risponder così: avevo preannunziato che sarebbero certamente venuti
alcuni che, in mio nome, in quello dei |104 Profeti e degli Apostoli, sarebbero stati maestri di
menzogna, ed io avevo dato incarico ai discepoli miei di avvertirvi di ciò. Avevo anche dato ai
miei Apostoli un Vangelo e tutta una dottrina ispirata a quei principi di fede, ma non avendo voi
dimostrato di credere facilmente, piacque a me poi di apportare qualche cambiamento. Anche
la Resurrezione della carne avevo promesso, ma ci ho ripensato su e mi accorgo di non poter
più mantenere la promessa fatta. Mi ero manifestato come chi aveva avuto suo nascimento da
una Vergine, ma poi questa cosa mi è sembrata coperta da un’ombra di vergogna. Colui che fa
sorgere il sole e manda dal cielo le pioggie l’avevo chiamato Padre mio: un altro padre migliore
del primo mi ha ora adottato. Vi avevo anche proibito di dare ascolto agli eretici, ma riconosco
ora che ho sbagliato. Cose enormi queste! ma avvengono a coloro che escono dalla retta
strada e non sanno evitare i pericoli, i quali minacciano ed insidiano la fede vera ed integra.

¶ Ma mi par che basti ora: noi abbiamo portato la nostra parola contro tutte le eresie in
generale e dobbiamo contro di esse usare |105 prescrizioni ben fisse, ispirate alla massima
giustizia e che rispondano a un criterio di assoluta necessità; e abbiamo il dovere di tenerle
ben lontane da ogni eventuale confronto colle Sacre Scritture. Ci accompagni la grazia del
Signore e potremo anche su qualcuna portare la nostra risposta particolarmente. Per chi legge
queste nostre pagine nella fede della verità, noi formuliamo l’augurio di avere dal nostro
Signore, pace e favore in eterno.

NOTE

(1)   Matt. VII. 15 “Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste da pecore, ma di dentro son lupi rapaci„. Matt. XXIV. 5. “Molti infatti verranno nel nome mio, dicendo: Io sono il Cristo: e sedurranno molti„ . Matt. XXIV. 24. “Perchè sorgeranno falsi Cristi e falsi profeti, e faranno grandi segni e prodigi da ingannare, se è possibile, gli stessi eletti„.

(2)   I. Ai Corinti. I. 19. “Imperocchè sta scritto: Sperderò la saggezza dei savi e rigetterò la
prudenza dei prudenti„.

(3)   II. A Timoteo. III. 8. “Così anche costoro contrastano alla verità: uomini corrotti della
mente, reprobi riguardo alla fede„.

(4)   Atti. XIII. 22. “Rimossolo, suscitò loro per re, David, cui, rendendo testimonianza, disse:
Ho trovato David di lesse, uomo secondo il cuor mio, che farà tutti i miei voleri„. |110

(5)                                                                                           Salm. L.

(6)   III. dei Re. IV. 29. “E Iddio diede sapienza a Salomone e grandissimo senno e un animo
capace di tante cose, quanta è la rena che è sul lido del mare „.

(7)   Agli Ebrei. IV. 15. “Imperocchè non abbiamo noi un pontefice il quale non possa aver compassione delle nostre infermità: ma similmente tentato in tutto, tolto il peccato„. I. Lettera di S. Pietro. II. 22. “Il quale non fè peccato, nè frode trovossi nella sua bocca „.

(8)                                                                        Matt. X. 22. “E sarete odiati da tutti per causa del nome mio, ma chi avrà perseverato fino alla fine, si salverà „.

(9)                                        Esdra. VIII. 20. “Lo sguardo del Signore è profondo „.

(10) I. Dei Re. XVI. 7. “Ma il Signore disse a Samuele: Non riguardare al suo aspetto, nè ali’ altezza della sua statura, perchè io l’ho lasciato indietro? con ciò sia che il Signore non riguarda a ciò che Puomo riguarda, perchè Puomo riguarda a ciò che è davanti agli occhi, ma il Signore riguarda al cuore,,.

(11) II. A Tìmoteo II. 19. “Ma saldo sta il fondamento di Dìo, che ha questo segno: conosce il
Signore quelli che sono Suoi, e si ritira dall’iniquità chiunque invoca il nome del Signore„.

(12)    Matt. XV. 13. “Qualunque pianta non piantata dal mio Padre celeste sarà sradicata „.

 

(13) Marc. X. 31. “Molti dì primi saranno ultimi e d’ultimi primi ,,. |111

(14) Matt. III. 12. “Egli ha il ventilabro in mano e purgherà bene la Sua aia e raccoglierà il Suo frumento nel granaio; ma brucierà la paglia con fuoco inestinguibile,,.

(15) Matt. XIII. 22. “Quello poi che riceve la semenza in un buon terreno, è chi ascolta la
parola, e ci pone mente; e porta frutto, e rende questo il cento e quello il sessanta, quell’altro
il trenta,,. Giov. VI. 66. “Per questo v’ho detto che nessuno può venire da me, se non gli sia
concesso dai Padre mio,,.

(16) Giov. VI. 67-63. “D’allora molti dei suoi discepoli si ritrassero indietro, e non andavano pie con lui: per ciò Gesù disse ai dodici: vorreste andarvene anche voi? ,,.

(17) Ermogene: è interessante di lui il ritratto che ce ne ha lasciato lo stesso Tertulliano (Ad.
Hermog. I.): dalia irrequietezza del suo carattere era naturalmente portato verso l’eresia:
crede d’esser facondo, perchè parla molto e alla sfacciataggine suoi dare il nome di fermezza.
Ufficio di coscienza virtuosa per lui è il dir male di tutti. Dipinge per giunta quel che non è
lecito e passa continuamente da un matrimonio ad un altro: invoca da un lato la legge di Dio a
sfogo della sua passione, e la disprezza dall’altro in vantaggio della sua arte: due volte falsario
per il pennello e per lo stile, adultero fino alla radice dei capelli e nella dottrina e nella carne.
In lui senti il fetido contagio di coloro che amano celebrar nuove nozze… L’eresia di Ermogene
era fondata sui dissìdio |112 fra Dio e materia, ed egli, subendo in gran parte l’influenza della
dottrina stoica, credeva nell’esistenza di una materia prima dalla quale Dio avrebbe prodotto il
mondo e da questa materia sarebbe derivato non solo il corpo ma l’anima dell’uomo: l’eretico
poi ammetteva l’identificazione del Padre e del Figlio.

(18) II. A Timoteo. I. 15. “Tu sai come si sono da me alienati tutti quelli che sono nell’Asia, tra
i quali è Figello ed Ermogene,,. I. A Timoteo. I. 20. “Del numero dei quali è Hymeneo e
Alessandro t i quali io ho consegnati a Satana, perchè imparino a non bestemmiare,,.

(19)  I. Lettera di S. Pietro. IV. 13. “Ma godetevi di partecipare ai patimenti di Cristo, affinchè
ancor vi rallegriate ed esultiate, quando si manifesterà la gloria di lui,,.

(20)  Matt. VII. 15. “Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste da pecore, ma di dentro son lupi rapaci,,.

(21)          I. Lettera di S. Giovanni. IV. I. “Carissimi, non vogliate credere ad ogni spirito, ma provate gli spiriti se sono da Dio, perchè molti falsi profeti sono usciti per il mondo,,.

(22)          II. Ai Corinti XI. 13. “Imperocchè questi tali falsi apostoli sono operai finti, che si
trasfigurano in apostoli di Cristo,,.

(23)       I. Lettera dì S. Giovanni. II. 18. “Figliuolini, ell’è l’ultim’ora: e siccome udiste che l’Anticristo viene, anche adesso molti son diventati anticristi, donde intendiamo che è |113 l’ultim’ora,,. I. Lettera di S. Giovanni. II. 19. “Sono «sciti di tra noi, ma non erano dei nostri, perchè se fossero stati dei nostri sarebbero certamente rimasti con noi; ma si deve far manifesto che non tutti sono dei nostri,,.

(24)  Marc. XIII. 7. “Quando poi sentirete rumori di guerre, non temete: è necessario che ciò
accada, ma non è ancora la fine… ,,.

(25)  I. Ai Tessaionicesi. V. 21. “Disanimate tutto: Attenetevi ai buono,,. I. Ai Corinti. XI. 19.
“Imperocchè sta scritto i sperderò la saggezza dei savi e rigetterò la prudenza dei prudenti,,.

(26)  I. Ai Corinti. I. 10. ‘”Or vi scongiuro, o fratelli, per il Nome del Signor Nostro Gesù Cristo, che diciate tutti il medesimo; e non siano scismi tra voi, ma siate perfetti nello stesso spìrito e nello stesso sentimento,,.

(27)  Ai Galati. V. 19-20. “Or manifeste sono le opere della carne, le quali sono l’adulterio, la fornicazione, l’ impurità, la lussuria, l’idolatria, i venefici, le nimicizie, le contese, le emulazioni, le ire, le risse, le discordie, le sette,,.

(28)       A Tito. III. 10-11. “L’uomo eretico, dopo la prima e la seconda correzione, sfuggilo, sapendo che questo tale è pervertito e pecca, come quegli che per suo proprio giudizio è condannato,,.

(29)  Eresia, dal verbo greco ai9re/w: ai3resij : significa propriamente scelta, in quanto uno, allontanandosi dalla vera credenza, segue a suo piacimento un’altra dottrina.

 

(30) Ai Galati. I. 11-12. “Or vi fo sapere, o fratelli, come il Vangelo, che è stato |114
evangelizzato da me, non è cosa, umana, perchè non lo ho ricevuto nè l’ho imparato da un
uomo, ma per rivelazione di Gesù Cristo,,.

(31) Ai Galati. I. 8. “Ma quand’anche noi o un Angelo del Cielo evangelizzi a voi oltre quello che abbiamo a voi evangelizzato, sia anathèma,,.

(32) Filumenei sembra che costei fosse una donna di Alessandria, la quale, invasata da spirito diabolico, andasse profetando. Apelle sembra che abbia avuto relazioni con costei e ne divenisse seguace e scrivesse le Profezie e le Rivelazioni di Filumene.

(33) II. A. Timoteo. IV. 3. “Imperocchè verrà tempo che non potran patire la sana dottrina, ma, secondo le proprie passioni, per prurito di udire, moltiplicheranno a sè stessi i maestri,,.

(34) I. Ai Corinti. I. 27. “Ma le cose stolte del mondo elesse Dio per confondere i sapienti, e le
cose deboli del mondo elesse Dio per confondere le forti,,. I. Ai Corinti. III. 18. “Niuno inganni
sè stesso: sè qualcuno tra di voi si tiene per sapiente secondo questo secolo, diventi stolto,
affin d’esser sapiente,,.

(35) Eoni: fu di Valentino questa teoria. Egli nacque in Egitto, e seguì l’eresia gnostica; fu
autore del sistema eclettico piò ampio, in cui si uniscono elementi varî, tratti dalla teosofia
orientale, dalla dottrina dei Pitagorici, degli stoici e dei sacerdoti egizi; insegnò a Roma verso
l’anno 140; ebbe molti discepoli fra i quali, i principali, Eracleone, Tolomeo, Marcos, Bardesane.
Eoni (ai0w~nej): le eternità. Gli gnostici |115 chiamavano cosi, a causa della loro eternità, le
emanazioni o proiezioni che, secondo la loro dottrina, colmavano l’intervallo fra la materia e lo
spirito, mettendo in contatto questi due principi da essi concepiti come opposti e irriducibili. Gli
Eoni si cambiavano in Sigizie o coniugazioni a coppie e in pleromi. Pleroma (cf. plhro&w,
plh&rwma) era detta dagli gnostici la pienezza dell’essere, il complesso degli Eoni in numero di
trenta. L’eresia di Valentino si diffuse fra l’epoca di Adriano e di Antonino Pio: senza credere
che la ragione del suo distacco dalla Chiesa fosse la sua mancata elezione, alla carica
episcopale, pure, secondo quanto afferma Tertulliano stesso (Adversus Valent. 4), ne può
essere stata la ragione occasionale: “Speraverat episcopatum Valentinus, quia et ingenio
poterat et eloquio. Sed alium ex martyrii praerogativa loci potitum indignatus, de Ecclesia
authenticae regulae abrupit. Ut solent animi pro prioratu exciti praesumptione ultionis accendi,
ad expugnandam conversus veritatem et cuiusdam veteris opinionis semitam nactus, aestu
colubroso viam deliniavit,,. La sua dottrina eonologica si dice che l’avesse ricevuta da un certo
Theodas, compagno dell’Apostolo Paolo. Al sommo delle cose eterne, incomprensibili, si trova
l’abisso ( bu~qoj), cioè il Padre non generato, e la sua compagna Segè ( sigh&): il Silenzio. Da
questi primi due Eoni balza fuori, come estrinsecazione dell’assoluto, un seme dal quale, a sua
volta, nascono altri due Eoni: |116 l’Intelletto e la Verità, da cui, con successivo processo, il
Verbo ( lo&goj) e la Vita ( aiuh&), l’Uomo ideale (a1nqrwpoj) e la comunità di vita
( e0kklhsi0a); dalla prima delle quali coppie scaturiscono altri dieci Eoni, dalla seconda altri
dodici, formando così un numero complessivo di trenta, quindici di natura maschile e altrettanti
femminile; divisi in un aggruppamento di otto (Ogdoade), di dieci (Decade), di dodici
(Dodecade): tutti uniti formano il Pleroma. “Società perfetta degli esseri ineffabili,,. Desiderio
degli Eoni è di conoscere il primo principio che è l’abisso, ma ciò non può essere ottenuto che
dal primo figlio, l’Intelletto, e fra gli Eoni ve n’è uno che aspira più di ciascun altro al principio
originario ed è l’ultimo di essi: la Sapienza (sofi/a) la quale, in questa tendenza alle regioni
superne della luce, corre rischio di dissolversi se il termine d’ogni realtà non intervenisse: esso
è detto Horos (o3roj). Intanto dalla coppia di Eoni, Intelletto e Verità, emanano, come
sedicesima coppia, il Cristo e lo Spirito Santo e da essi gli altri Eoni comprendono come debba
regolarsi la relazione col principio primo, che non è concesso comprendere, e allora, in uno
slancio di gratitudine verso il Padre, dal seno degli Eoni, tutti uniti in questa adorazione al
principio, emana Gesù Salvatore, che sarebbe così il trentatreesimo Eone. Ma la Saggezza,
nello sforzo da lei compiuto per il raggiungimento del Principio Primo, ha generato
imperfettamente una creatura dal nome Achamoth |117 (‘Akamw_q), figlio dunque del
travaglio solitario di conoscere l’Essere Supremo. Achamoth sprofonda nel Caos dal quale
Cristo e Gesù Salvatore lo sollevano, dando a lui la facoltà dì conoscere e di liberarsi dalle
passioni: allora si viene alla formazione della materia inanimata (u9likh&) in quanto Achamoth
mantiene la sua impurità originaria; la materia animata (yuxikh&) e spirituale (pgeumatikh&)
per un processo di sempre maggior purità ed elevazione. Da Achamoth ha origine il Demiurgo
che crea ormai non più le tre sostanze, materiale, psichica, e pneumatica come Achamoth, ma

 

il mondo e l’Uomo che può essere di sostanza materiale carnale (yuxh& u9likh&) di natura
animale (yuxh_ qei/a) di natura spirituale (spe/rma pneumatiko&n). In Gesù di Nazareth
appare il Redentore che consta di quattro elementi, uno apparentemente corporeo, lo psichico,
il pneumatico, il divino proprio del Pleroma, e su lui discende in forma di Colomba l’Eone Gesù
Salvatore, che risale alla perfezione del Pleroma quando il Redentore muore, portando seco l’
elemento pneumatico o spirituale del Redentore, lasciando ai tormenti gli altri elementi di cui
Egli risulta.

(36)  Marcione, seguace di Cerdone, gnostico, della Siria: nel 144 venne a rottura colla Chiesa: fondò una dottrina basata sul dualismo, che si concreta appunto in un dualismo fra due principi eterni e increati di un Dio buono e di uno giusto, ma anche cattivo, il quale ultimo a il creatore del mondo. |118 La dottrina stoica fu fondata da lenone, dì Cizico in Cipro s gli Stoici credevano che il principio attivo o dinamico sia una forza sempre in azione, informatrice della materia e la muove e la organizza: l’esistenza stessa del corpo non a possibile che così: occorre alla materia un principio di unità che ne mantenga le parti, che le tenga insieme, come occorre alla forza un sustrato in cui essa risieda e nel quale agisca: l’uno non può stare senza dell’altro: gli Stoici chiamano questa forza lo&doj, ragione, o anche Dio, forza divina.

(37)  La scuola Epicurea fu fondata da Epicuro in Atene (341-270) nel 3° Sec. A. C. e durò fino al 4° Sec. D. C.: furono seguaci di questa dottrina Metrodoro, Ermarco, Polistrato, Apollodoro, Diogene di Tarso, Fedro; in Roma Amafinio, Pomponio Attico, T. Lucrezio Caro, che l’espose nel suo poema De rerum natura,,. Questo sistema esclude ogni intervento divino e ogni finalità nella natura, nella quale non scorgeva che cause meccaniche; pone il criterio del vero nella certezza data dalla sensazione e il fine supremo della condotta fa consistere non già nel piacere grossolano e immediato dei sensi, ma nella felicità che a data, per quel che riguarda il corpo, dall’ assenza del dolore (a0poni/a) e, per ciò che concerne l’animo, dalla tranquillità (a0taraci/a). L’anima a mortale: la materialità dell’anima e la sua mortalità sono i due dogmi fondamentali della psicologia epicurea.

(38)  Eraclito (540-480) poneva il fuoco come |119 principio, come fondamento e simbolo della sostanza del mondo. Zenone sostiene un panteismo materiale, confondendo la natura con Dio: Dio, o la ragione cosmica, a dappertutto; a il mondo stesso nel suo carattere razionale e nella sua perfezione, a un Dio immanente che s’identifica col mondo e il mondo tutto a come un immenso vivente immortale, di cui tutte le parti cospirano insieme e si corrispondono. Di qui quella parentela di tutte le cose che fanno un tutto unico simpatizzante con sa stesso: quella consentiens, conspirans, continuata cognatio rerum di cui parla Cicerone e che non sarebbe possibile, se tutte le cose non fossero contenute da un solo divino e continuato spirito (Melli).

(39)  Entimesi: animazione della Sapienza Superiore come Eone a sa separato dal Pleroma o
mondo ideale superiore: Ectroma: significherebbe: l’ultimo degli Eoni: Cristo.

(40)  I. A Timoteo. I. 4. Na andasser dietro alle parole e alle genealogie che non hanno fine, le quali partoriscon piuttosto delle dispute, che quell’edificazione di Dio che si ha per la fede,,. II. A Timoteo. II. 17,,. E il loro discorso va serpendo come cancrena: tra i quali a Imeneo e Fileto,,. A Tito. III. 9. “Ma le pazze questioni e le genealogie e le dispute e le battaglie legali sfuggile,

percha sono inutili e vane,,.

(41)  Ai Colossesi. II. 8. “Badate che alcuno non vi seduca per mezzo di filosofia inutile e |120 ingannatrice. secondo la tradizione degli uomini, secondo i principî del mondo e non secondo Cristo …

(42)     Atti. XVII. 15. “Quelli poi che accompagnavano Paolo, lo condussero fino ad Atene, e,
ricevuta commissione da lui per Sila e Timoteo di raggiungerlo il più presto, partirono…

(43)  Platone insegnò negli orti di Academo, i quali rimasero poi la sede della sua scuola detta perciò Accademia: essa durò fino al VI sec. D. C. e si divide in tre periodi: la vecchia Accademia ingolfatasi con Spensippo, Xenocrate e Crantore nella metafisica pitagoreggiante, e in astruso dommatismo; la media, caduta nello scetticismo con Cameade e Arcesilao; la nuova, tornata al primitivo dommatismo con Filone di Larissa e Antioco di Ascalona.

(44)     Atti. V. 12. “E si facevano per le mani degli Apostoli molti segni e prodigi nel popolo. E
tutti, di comune accordo, se ne stavano nel portico di Salomone,,.

(45)     Matt. XVI. 13-16. “Chi dice la gente che sia il Figlio dell’Uomo? Ed essi risposero: Altri
dicono che a Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti. E Gesù disse

 

loro: Or voi chi dite che io mi sia? In risposta, Simon Pietro, disse: Tu sei il Cristo, il Figliolo del

Dio vivente,,.

(46) Matt. XI. I. E, quando ebbe finito di dare questi insegnamenti ai suoi Dodici Apostoli, Gesù partì di là per insegnare e predicare nelle loro città,,. |121

(47) Luc. XVI. 29. “E Abramo gli rispose: Hanno Mosè e i profeti; ascoltino quelli,,.

(48) Giov. V. 39. “Voi investigate le Scritture, perchè credete d’avere in esse vita eterna: ora
queste son quelle che fanno testimonianza di me,,.

(49) Isaia. X. 4-i 5. Ecco che le Nazioni sono come una goccia della secchia e son valutate
come uno scrupolo che da il tratto alla bilancia: ecco che le isole sono come un granellino di

polvere,,.

(50)    Matt. XV. 24. “Ed egli in risposta, disse: Non sono stato mandato che alle pecore perdute
della Casa di Israele,,.

(51)    Matt. XV. 26. “Ed egli le rispose: Non è ben fatto prendere il pane dei figlioli e gettarlo ai
cani,,.

(52)    Matt. X. 5. “Questi dodici inviò Gesù, ordinando loro così: Non andate tra i gentili, e non entrate nelle città dei Samaritani,,. Matt. XXVIII. 19-20. “Andate dunque ad istruire tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservar tutto quanto v’ho comandato. Ed ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo,,. Giov. XVI. 13. “Quando però verrà lo spirito di Verità, vi giudicherà per ogni vero: che non vi parlerà da sè, ma dirà tutto quello che udrà e v’annunzierà l’avvenire,,.

(53)    Matt. VII. 7-8. “Chiedete e vi sarà dato: cercate e troverete, picchiate e vi sarà aperto:
che |122 chiunque chiede, riceve, chi cerca trova, e a chi picchia, sarà aperto,,.

(54)                Ebioniti: cristiani giudaissanti: dicevano che la nascita di Cristo era avvenuta non
diversamente da quella degli altri esseri umani. Simone: altro eretico.

(55)           Luc. XV. 8-9. “O qual donna, avendo dieci dramme, perdutane una, non accende la lucerna e spazza la casa e cerca attentamente finchè non la trovi? E, trovatala, chiama d’intorno le amiche e le vicine dicendo: Rallegratevi insieme con me, che ho ritrovata la dramma smarrita,,. Luc. XVIII. 3. “E ci era in quella città una vedova la quale andava da lui a dirgli: Rendimi giustisia del mio avversario. E per molto tempo colui non volle, ma poi disse fra sè: Benchè io non tema Iddio, nè abbia riguardo agli uomini, pure, per la noia che mi da questa vedova, le farò giustisia, chè alla fine non venga più a darmi molestia,,.

(56)    Luc. XI. 5-9. “Se uno di voi avrà un amico e andrà da lui a messa notte dicendogli: Amico, prestami tre pani, perchè un amico mio è arrivato di viaggio in casa mia e non ho niente da apparecchiargli; e quello, rispondendo di dentro, dica: Non mi dar noia; l’uscio è già chiuso, ed i miei figli sono coricati con me, non posso levarmi a darti niente. Se l’altro continuerà a picchiare, vi dico, quando anche colui non si levasse a darglieli, perchè è suo amico, tuttavia si leverà a dargliene, per l’insistenza, quanti gliene bisognano. E io vi dico: Chiedete e vi |123 sarà dato, cercate e troverete, picchiate e vi sarà aperto,,.

(57)    Luc. XVIII. 2-3. “C’età, in una città un giudice che non temeva Iddio, nè aveva rispetto
alcuno. E c’era in quella città una vedova la quale andava da lui a dirgli: Rendimi giustizia del
mio avversario,,.

(58)                                      Luc. XVIII. 42. “E Gesù gli replicò: Vedici; la tua fede ti ha salvato,,.

(59)    I. A Timoteo VI. 4-5. “Egli è un superbo, che non sa nulla, ma si ammala per dispute e questioni di parole, dalle quali nascono invidie, contese, maldicenze, cattivi sospetti, conflitti di uomini corrotti nell’animo, i quali sono stati privati della verità, e pensano che la pietà sia un’arte per guadagnare.

(60)    Matt. XV. 14. “Non badate loro: ciechi son guide di ciechi; e se un cieco guida un cieco,
cadono entrambi nella fossa,,.

(61)           I. A Timoteo VI. 4. “Egli è un superbo che non sa nulla, ma si ammala per dispute e
questioni di parole; dalle quali nascono invidie, contese, maldicenze, cattivi sospetti . . . ,,.

(62)                A Tito III. 10. “L’uomo eretico, dopo la prima e la seconda correzione, sfuggilo,,.

(63) Matt. XVIII. 15-16. “Se poi tuo fratello abbia peccato contro di te, vai e correggilo fra te e
lui solo. Se ti ascolta, hai guadagnato tuo fratello; se non ti ascolta, prendi con te una o due
persone, affinchè per bocca di due o tre testimoni si stabilisca ogni cosa,,,

(64) Matt. XXVIII. 19-20. “Andate dunque ad |124 istruire tutte le genti, battezzandole nel
Nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto quanto

vi ho comandato,,,

(65) Atti. I. 26, “E li tirarono a sorte, e la sorte cadde su Mattia, ed egli fu aggregato agli

Undici Apostoli,,.

(66) Psal. CIX. 8. “Sieno i suoi giorni pochi, un altro prenda il suo ufficio,,.

(67) Atti. I. 8. “Ma riceverete forza di Spirito Santo, quando verrà su di voi, e mi sarete
testimoni in Gerusalemme e in tutta la Giudea e la Samaria, insino agli estremi del mondo,,.

(68) Atti. II. 4, “E furono tutti ripieni di Spirito Santo, e cominciarono a parlare varî linguaggi, secondo che lo Spirito Santo concedeva ad essi di esprimersi,,. Matt, X. 27. “Dite nella luce quel che vi dico allo scuro, e predicate sui tetti, quello che vi è stato detto all’orecchio,,. Matt, XXVIII, 19-20. “Andate dunque ad istruire tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figliolo e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto quanto vi ho comandato. Ed ecco io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo,,.

(69) Matt, XI, 27, “Tutto è stato dato a me dal Padre mio; e nessuno conosce il Figlio fuori del
Padre, e nessuno conosce il Padre fuori del Figlio e fuori di colui, cui il Figlio Io avrà voluto
rivelare,,.

(70) Luc. VIII. 10. “A voi è concesso di intendere il mistero del Regno di Dio; ma a tutti |125
gli altri per via dì parabole, affinchè guardando non vedano, e ascoltando non intendano,,.

(71) Matt. XVI. 18-19. “E io dico che tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, nè preveranno contro di lei le porte dell’inferno. E darò a te le Chiavi del Regno dei Geli, e qualunque cosa avrai legato sulla terra sarà legata, anche nei Cieli, e qualunque cosa avrai sciolto sulla terra, sarà sciolta anche nei Cieli,,.

(72)                                                                                    Giov. XVI. 23.

(73) Giov. XIX. 26-27. “Gesù allora vedendo la madre, e lì presente il discepolo amato da lui,
dice a sua madre: O donna, ecco il tuo figlio; poi dice al discepolo: Ecco la madre tua,,.

(74) Marc. IX. 3-6. “E apparvero loro Elia con Mosè, i quali stavano a discorrete con Gesù. E Pietro prese a dire: Maestro, è bene per noi lo star qui; facciamo tre tende: una per te, una per Mosè e una per Elia. Non sapeva infatti quel che si dicesse, perchè erano pieni di sgomento. E si levò una nuvola ad involgerli, e dalla nuvola uscì una voce che disse: Questo è il figlio mio diletto, ascoltatelo,,.

(75) Matt. XVIII. 16. “Se non ti ascolta, prendi con te una o due persone, affinchè, per bocca
di due o tre testimoni, si stabilisca ogni cosa,,. II. Ai Corinti. XIII. I. “Ecco che vengo a voi
questa terza volta; sui detto di due o tre testimoni sarà decisa ogni questione,,.

(76) Luc. XXIV. 13-15. “Ed ecco due di loro andavano quello stesso giorno ad un castello |126 chiamato Emmaus, distante sessanta stadi da Gerusalemme. E ragionavano insieme di quanto era accaduto. Or, mentre ragionavano e discutevano fra loro, Gesù stesso, appressatesi, camminava con essi,,.

(77)  Giov. XVI. 12. “Molte cose ho ancora da dirvi, ma non le potete comprendere adesso,,.

(78) Atti. II. 1-4. “Giunto il giorno della Pentecoste, stavano tutti insieme nel medesimo luogo; e, all’improvviso, venne dal Cielo un suono come se si fosse levato un vento gagliardo, e riempì tutta la casa dove abitavano. E apparvero ad essi delle lingue distinte, come di fuoco, che si posarono sopra a ciascuno di loro, e furono tutti ripieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare vari linguaggi, secondo che lo Spirito Santo concedeva ad essi di esprimersi,,.

(79)  Ai Galati. II. 11. “Essendo poi venuto Pietro ad Antiochia, gli resistei in faccia, perchè
meritava riprensione,,.

(80) Ai Galati. I. 23. “E solamente avevano sentito dire: colui che una volta ci perseguitava,
evangelizza ora la fede, cui già devastava,,. I. A Timoteo. I. 13. “Me, che prima fui

 

bestemmiatore e persecutore e oppressore, ma conseguii misericordia da Dio, perchè per
ignoranza Io feci, essendo incredulo„.

(81) Giov. V. 31. “Se io rendo testimonianza a me stesso, la testimonianza mia non è verace„.

(82)  Atti IX. 27. “Ma Barnaba, presolo con sè, lo menò dagli Apostoli, ed espose loro come | 127 egli avesse veduto per istrada il Signore che gli aveva parlato, e come in Damasco avesse predicato francamente nel Nome di Gesù„.

(83)  Ai Galati. I. 18. “Indi, tre anni dopo, andai a Gerusalemme per visitare Pietro; e stetti
presso di lui quindici giorni„.

(84)  Ai Galati. I. 23. “E solamente avevan sentito dire: colui che una volta ci perseguitava, evangelizza ora la fede, cui già devastava„. Atti. IX. 21. E tutti quei che l’udivano, restavano stupefatti e dicevano: non è costui quello che in Gerusalemme disperdeva quanti invocavano codesto Nome, ed è qua venuto a questo fine di condurli legati ai gran sacerdoti?„

(85)                  Ai Galati. I. 24. “E per causa mia glorificavano il Signore„.

(86)    Ai Galati. II. 9. “E, avendo riconosciuto la grazia conceduta a me, Giacomo e Cefa e
Giovanni, che erano reputati le colonne, porsero le destre di confederazione a me e a
Barnaba„.

(87)  Ai Galati. III. 10. “Imperocchè tutti quelli che sono per le opere della legge, sono sotto la maledizione, imperocchè sta scritto: maledetto chiunque non si terrà fermo a tutte quelle cose che sono scrìtte nel libro della legge per adempierle„.

(88)                                  I. A Timoteo. VI. 20. “O Timoteo, guarda il deposito, schivando le profane vanità di parole e le contradizìoni della falsamente nominata scienza„.

(89)  II. A Timoteo. I. 14. “Guarda il buono deposito, per lo Spirito Santo che abita in noi„. |
128

(90)  I. A Timoteo. I. 18. “Io ti raccomando questo comandamento, o figliuolo Timoteo; che
secondo le profezie, che innanzi sono state di te, tu guerreggi in virtù di esse la buona guerra„.

(91)              I. A Timoteo. VI. 13. “Ti ordino dinanzi a Dio, che dà vita a tutte le cose e a Gesù Cristo, il quale sotto Ponzio Pilato rendette testimonianza alla buona professione„.

(92)       II. A Timoteo. II. 2. “E le cose che hai udite da me con molti testimoni confidale ad
uomini fedeli, i quali saranno idonei ad insegnarle anche ad altri„.

(93)  Matt. VII. 6. “Non date ai cani ciò che è santo, e non buttate le vostre perle davanti ai
porci, che non le pestino coi loro piedi e si rivoltino contro voi a sbranarvi„.

(94)  Giov. XVIII. 20. “Io ho parlato apertamente al mondo; io sempre ho insegnato nella
sinagoga e nel tempio, dove s’adunano tutti i Giudei, e niente ho detto in segreto„.

(95)  Matt. X. 27. “Dite nella luce quel che vi ho detto all’oscuro, e predicate sui tetti quel che
v’è stato detto all’orecchio„.

(96)                                                                            Luc. XIX. 20. “E venne un altro a dirgli: Signore, eccoti la tua mina, che l’ho tenuta rivolta in una pezzuola„.

(97)  Matt. V. 14-15. “Voi siete la luce del mondo. Non può rimanere nascosta una città situata su di un monte, nè accendono la lucerna e la mettono sotto il moggio, ma sul candeliere: così fa lume a tutti di casa„.

(98)  Matt. V. 37. “Ma sia il vostro parlare: si, |129 si; no, no; che il di piò di questo viene dal
maligno„.

(99)  Ai Galati. III. 1. “O Galati, insensati; chi vi ha ammaliati per non ubbidire alla verità?„.

(100)    Ai Galati. V. 7. “Voi correvate bene; chi vi ha dato disturbo per non prestar fede alla
verità?„

(101)                                                Ai Galati. I. 6. “Io mi meraviglio che si tosto da Cristo, che vi ha chiamati in grazia, voi
siate trasportati ad un altro evangelo„.

(102)                I. Ai Corinti. III. 1-2.

 

(103) Ai Colossessi. I. 3. “Noi rendiamo grazie a Dio e Padre del Signore Nostro Gesù Cristo, facendo del continuo orazione per voi,,. I. Ai Tessalonicesi. I. 2. “Noi rendiamo del continuo grazie a Dio per tutti voi, facendo di voi menzione nelle nostre orazioni,,. II. Ai Tessalonicesi. I. 3. “Noi siamo obbligati di render grazie di Voi a Dio, fratelli, come egli è ben convenevole, perciocchè la vostra fede cresce sommamente e la carità di ciascuno di tutti voi abbonda fra voi scambievolmente,,.

(104) Giov. XIV. 26. “Poi il consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel nome mio, egli v’insegnerà ogni cosa e vi commenterà tutto quanto già vi dissi,,. XV. 26. “Ma quando sarà venuto il consolatore, che io vi manderò dal Padre, lo Spiritò di verità, che procede dal Padre, egli attesterà per me,,.

(105) II. Ai Tessalonicesi I. 7. “E a voi, che siete afflitti, requie con noi, quando il Signore Cesù |130 Cristo apparirà dal Cielo con gli Angeli della sua potenza,,.

(106) Ai Galati. I. 8. “Ma avvegna che noi, o un Angelo del Cielo, vi evangelizzassimo oltre a ciò che vi abbiamo evangelizzato, sia anathèma„.

(107)    Eleuterio: fu papa dal 174-189.

(108) II. Ai Corinti. XI. 19. “Con ciò sia che voi, essendo savi; volentieri comportiate i pazzi,,.

(109) Marc. XIV. 20-21. “Uno dei Dodici, quello che intinse con me la mano nel piatto. Il Figliuolo dell’ Uomo se ne va, come è scritto di Lui, ma guai a quell’uomo, per cui il Figliuolo dell’Uomo è tradito. Era meglio per un tal uomo non esser mai nato,,.

(110) Matt. VII. 16-17. “Li conoscerete dai loro frutti. Si coglie forse uva dalle spine e fichi dai triboli? Così ogni buon albero porta buoni frutti; e ogni albero bacato porta frutti cattivi,,.

(111)    II. Lettera di S. Pietro. I. 1. “Or vi furono ancora dei falsi profeti fra il popolo come altresì vi saranno fra voi dei falsi dottori i quali introdurranno eresie di perdizione e rinnegheranno il Signore che li ha comperati, traendosi addosso subita perdizione,,. II. I. 15. “I quali, lasciata la diritta strada si sono sviati seguitando la via di Balaam figliolo di Bosor, il quale amò il salario d’ iniquità,,.

(112) Marc. XVI. 17-18. “Or questi segni accompagneranno coloro che avranno creduto. Nel nome mio scacceranno i demoni, parleranno |131 lingue nuove, maneggeranno serpenti e se avranno bevuto qualche veleno non farà loro male; imporranno le mali agli infermi e li guariranno,,.

(113) Atti III. 1 e segg. “Pietro e Giovanni salivano al tempio all’ora della preghiera, a nona. E veniva portato un certo uomo storpio dalla nascita, che posavano ogni giorno alla porta del tempio detta la Bella, per chiedere limosina a quelli che entravano nel tempio. Costui, vedendo Pietro e Giovanni che stavano per entrar nel tempio, si raccomandava per aver limosina. E Pietro con Giovanni, fissandolo, dissero: Guardaci. E quello li guardava attentamente, sperando di ricevere da essi qualche cosa. Ma Pietro disse: Non ho nè argento nè oro, ma quel che ho, te lo do: in Nome di Gesù Cristo il Nazareno, alzati e cammina. E, presolo per la man dritta, lo alzò, e in un attimo gli si consolidarono le piante e gli stinchi. E d’un salto si levò su, e camminava; ed entrò con essi nel tempio, camminando, saltando e lodando Dio. E tutto il popolo lo vide camminare e lodare Dio,,.

(114) Matt. XIII. 24-30. “Propose loro un’altra parabola, dicendo: il Regno dei Cieli è simile ad un uomo il quale seminò buon seme nel suo campo; ma nel tempo che gli uomini dormivano il nemico suo andò, seminò loglio in mezzo al grano, e se ne partì. Come poi il seminato germogliò e granì, allora apparve anche il loglio. I servi del padrone di casa |132 andarono a dirgli: Signore, non hai seminato buon seme nel tuo campo? Come mai c’è il loglio? Ed egli rispose loro: Qualche nemico ha fatto tal cosa. E i servi gli dissero: Vuoi che andiamo a coglierlo? E egli rispose: No: che, cogliendo il loglio, non strappiate con esso anche il grano. Lasciate che l’uno e l’altro crescano fino alla mietitura e al tempo della raccolta dirò ai miei mietitori: sterpate prima il loglio e legatelo in fasci per bruciarlo; il grano poi riponetelo nel mio granaio,,.

(115) Marc. IV. 3-4. “Udite: ecco, il seminatore andò a seminare. E, mentre gettava il seme, parte cadde lungo la strada, e venneso gli uccelli dell’aria e lo mangiarono,,. Luc. VI. 1. “Or avvenne nel sabato secondo primo, mentre egli passava pei seminati, che i suoi Discepoli coglievano delle spighe e, sgranandole con le mani, mangiavano,,.

 

(116) Ai Corinti. XV. 12.

(117) Matt. XXII. 23. “In quel giorno andarono a lui i Sadducei, i quali negano la Resurrezione,
e lo interrogarono così…,,. Atti XXIII. 8. “I Sadducei infatti negano esserci Resurrezione e
l’esistenza degli Angeli e degli Spiriti: i Farisei invece sostengono le due cose,,.

(118) Ai Galati. III. 10-11. “Con ciò sia che tutti coloro che sono delle opere della legge sieno sotto maledizione… ora, che per la legge niuno sia giustificato presso Dio è manifesto, per ciò che il giusto viverà di fede,,. V. 2. Ecco: io, |133 Paolo, non dico che, se siete circoncisi, Cristo non vi gioverà nulla,,.

(119) I. A Timoteo IV. 3. “Di uomini che vieteranno il maritarsi e comanderanno d’astenersi dai cibi che Iddio ha creati,,.

(120) II. A Timoteo. II. 18. “I quali si sono sviati dalla verità dicendo che la Resurrezione è già avvenuta e sovvertono la fede di alcuni,,.

(121)       I. A Timoteo. I. 4. “E che non attendano a favole, a genealogie senza fine, le quali
producono piuttosto questioni che edificazione,,.

(122)      Ai Galati. IV. 3. “Così ancora noi, mentre eravamo fanciulli, eravamo tenuti in servite sotto gli elementi del mondo,,.

(123)       Apocalisse. II. 20. “Ma ho contro a te alcune poche cose, che tu lasci che la donna Iezabele, la quale si dice esser profetessa, insegni e seduca i miei servitori, per fornicare e mangiare i sacrifizî degli idoli,,.

(124)      Nicolaiti: setta gnostica fondata da Nicolao. Circa l’altra eresia Gaiana, sappiamo da S. Girolamo, op. 43. “Et consurgit mihi gaiana haeresis atque olim mortua vipera caput levat,,. Probabilmente questa eresia, che era venuta perdendo credito, ai tempi di S. Girolamo riprese alquanta vita.

(125) I. Lettera di S. Giov. IV. 2-3. “E ogni spirito che non confessa che Gesù Cristo, venuto in carne, non è da Dio, quello è lo spirito d’anticristo, il quale voi avete udito venire ed ora egli è già nel mondo,,. II. 22. “Chi è il mendace se non colui che nega che Gesù è il |134 Cristo? Esso è l’anticristo, il quale nega il Padre e il Figliolo,,.

(126)       Atti. XIII. 20. “Ma Pietro gli disse: Alla malora tu e il tuo denaro, che hai creduto di
comprare col danaro il dono di Dio,,.

(127)           Matt. X. 24-25. “Il discepolo non è da più del maestro, nè il servo da più del suo
padrone: basti al discepolo d’ essere come il maestro e al servo d’essere come il padrone,,.

(128)      I. A Timoteo. IV. I. “Or lo Spirito dice espressamente che negli ultimi tempi alcuni a-postateranno dalla fede, attendendo a spiriti seduttori e a dottrine diaboliche,,.

(129) Agli Efesini. VI. 12. “Con ciò sia che noi non abbiamo il combattimento contro a sangue e carne, ma contro ai principati, alle potestà; contro ai rettori del mondo e alle tenebre di questo secolo; contro agli spiriti maligni dell’ aria,,.

(130) Ai Corinti. I. 11-19.

(131) Osidio Geta: ricordiamo di lui una Medea in 461 versi.

(132)       Cebete di Cinico, vissuto ai tempi di Marco Aurelio [161-180], compose la Tavola o
Quadro della vita umana.

(133) Ai Corinti. I. 11-19.

(134) Mithra: era naturale che l’agape mitriaca, a base di pane e di vino, apparisse ai Cristiani come una contraffazione diabolica del Sacramento Eucaristico; si aggiunga il segno impresso sulla fronte corrispondente al crisma cristiano. Probabilmente la prima ondata |135 dell’espansione occidentale del Mitraismo è rappresentata dalle incursioni mediterranee di quei pirati di Cilicia, che, dopo aver saccheggiato parecchie città greche, furono domati da Pompeo [a. 67 a. C.]. Essi, insieme con altri culti barbarici, praticavano anche quello di Mitra, ma, a parte questo preludio sporadico, la vera grande espansione occidentale del Mitraismo si ebbe nel I. Sec. D. C. Prima dell’anno 100 si avverte già la presenza del culto di Mitra a Roma. [Pettazzoni].

 

(135)        Matt. VII. 6. “Non date ai cani ciò che è santo e non buttate le vostre perle davanti ai
porci che non le pestino coi loro piedi e si rivoltino a sbranarvi„.

(136)        Matt. VII. 7. “Chiedete e vi sarà dato: cercate e troverete: picchiate e vi sarà aperto„.

(137)    Prov. I. 7. “Il timor del Signore è il capo della scienza, ma gli stolti sprezzano la sapienza e l’ammaestramento„. IX. 10. “Il principio della sapienza è il timor del Signore, e la scienza dei Santi è la prudenza„.

(138)    I. Lettera di S. Pietro. IV. 5. “I quali renderanno ragione a colui che è presto a giudicare i vivi ed i morti„.

(139)        Ai Corinti. II. 11-13.

(140)    II. A. Timoteo. III. 1. “Or sappi questo: che negli ultimi giorni sopraggiungeranno tempi difficili„.

(141)    Matt. VII. 15-16. “Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma di dentro son lupi rapaci: li conoscerete dai |136 loro frutti„. XXIV. 4-5. “Badate che nessuno vi seduca: molti infatti verranno nel nome mio, dicendo: Io sono il Cristo, e sedurranno molti„. 24. “Perchè sorgeranno falsi Cristi e falsi profeti e faranno grandi segni e prodigi da ingannare, se è possibile, gli stessi eletti„. II. Ai Corinti, XI. 13. “Per ciò che tali falsi apostoli sono operai frodolenti, trasformandosi in apostoli di Cristo„. I. A Timoteo IV. 1. “Or lo spirito dice espressamente che negli ultimi tempi alcuni apostateranno dalla fede, attendendo a spiriti seduttori e a dottrine diaboliche„. II. IV. 3-4. “Per ciò che verrà il tempo che non comporteranno la sana dottrina… e rivolteranno le orecchie dalla verità, e si volgeranno alle favole„. II. Lettera di S. Pietro. III. 3. “Sapendo questo, ricordati che negli ultimi giorni verranno degli schernitori, che cammineranno secondo le lor proprie concupiscenze„.

INDICE

DEDICA . . . . IX
PREFAZIONE . . XIII

INTRODUZIONE……. XV

CAPITOLO I. …..  1

Non si può negare che le eresie esistano e che abbiano una forza

CAPITOLO II. . 2

In che cosa possa consistere la forza delle eresie, e su chi esse possano

eventualmente avere la loro influenza

CAPITOLO III. …..  5

Le eresie non fanno che provare costanza e saldezza di fede, la quale non può, nè

deve essere abbandonata per alcuni che si allontanano dalla credenza vera cristiana

CAPITOLO IV. …..  9

Le eresie sono state preannunziate e siamo stati esortati a sapercene guardare

CAPITOLO V. …..  11

Le eresie vengono a minare la compattezza e l’unità della Chiesa

CAPITOLO VI. ….. 12

Le eresie sono da fuggire in ogni modo

CAPITOLO VII. …. 14

 

È la filosofia che favorisce le credenze eretiche
CAPITOLO VIII. ….18

Cercate e troverete, è stato detto, ma è pur necessario intendere il valore
dell’espressione

CAPITOLO IX. . . . . . 21

Nulla è da ricercare, dopo che siamo giunti all’intelligenza della dottrina di Cristo
CAPITOLO X. . . . . . 24

La ricerca continua è la prova di non aver mai trovato quello che può soddisfare

l’animo nostro

CAPITOLO XI. . . . . . 26

Si discute sempre sul principio “cercate e troverete„

CAPITOLO XII.          28

Non cerchiamo mai oltre quello che può dare la vera luce della Fede

CAPITOLO XIII. …. « 30
La Regola di fede

CAPITOLO XIV. . . . . « 31

La regola di fede è ciò che pienamente soddisfa l’anima nostra, senza, andar più

oltre cercando

CAPITOLO XV. …. « 35

Bisogna energicamente difendersi contro gli eretici

CAPITOLO XVI. …. « 36

Le Sacre Scritture hanno avuto dagli eretici falsa interpretazione

CAPITOLO XVII. …. « 38

Ancora sulla falsa interpretazione che gli eretici fanno dei Libri Sacri

CAPITOLO XVIII. . . . . « 39

A nulla gioverebbero le discussioni con gli eretici
CAPITOLO XIX. . 41

Senza scendere a discussioni cogli eretici, i Libri Sacri non sono possesso assoluto

di noi Cristiani?

CAPITOLO XX. . . 42

Cristo e gli Apostoli: loro missione

CAPITOLO XXI. …. 44

Fondamento della PRESCRIZIONE contro gli eretici

CAPITOLO XXII. …. 46

La dottrina degli Apostoli in tutta la sua importanza

 

CAPITOLO XXIII. . . 50

Accuse degli eretici contro la pretesa ignoranza degli Apostoli

CAPITOLO XXIV. …. 53

La perfetta armonia della dottrina di Paolo, che non è, se non la fede di Cristo
CAPITOLO XXV. …. 55

Gli Apostoli hanno tutto saputo e tutto insegnato quello che Gesù volle che gli
uomini imparassero

CAPITOLO XXVI. …. 58

Il Signore aveva voluto che la sua dottrina fosse a tutti palese: niente di segreto vi
era in essa; nella sua infinita bonty e nell’immenso amore, essa si rivolgeva a tutti

gli uomini

CAPITOLO XXVII. …. 61

Nonostante qualunque contrasto, la dottrina apostolica è integra, purissima

CAPITOLO XXVIII. …. 63

Carattere precipuo della dottrina della Chiesa è l’unity

CAPITOLO XXIX. …. 64

La dottrina del Cristo è l’unica e la più fulgente fonte di verity

CAPITOLO XXX. …. 66

Ogni eresia è posteriore alla verity

CAPITOLO XXXI. …. 70

La parabola evangelica della buona sementa

CAPITOLO XXXII. …. « 72

Le Chiese Apostoliche e il loro insegnamento

CAPITOLO XXXIII. …. « 75

Diversity di dottrine: purity della dottrina apostolica

CAPITOLO XXXIV. …. « 78

Si discute sempre sulle false dottrine esistenti ai tempi apostolici

CAPITOLO XXXV.  . . . . « 81

Le eresie non possono contenere germe alcuno di verity

CAPITOLO XXXVI. . . . . « 82

Le Chiese Apostoliche: esse detengono il tesoro della verace dottrina

CAPITOLO XXXVII. . . . . « 85

Le Scritture Sacre non possono appartenere affatto agli eretici

CAPITOLO XXXVIII- . – . « 88

 

Le Sacre Scritture: loro integrità; gli eretici le hanno male interpetrate o alterate

CAPITOLO XXXIX.    . . . . « 91

Gli eretici tengono in loro uno spirito di menzogna

CAPITOLO XL. …. « 93

Falsi e ingannevoli procedimenti degli eretici
CAPITOLO XLI. …. « 95

La dottrina eretica ha sempre elementi di confusione e di oscurità, che non si
riscontrano nella vera dottrina, che è luce e fulgore.

CAPITOLO XLII. ….

Predicazione presso gli eretici

CAPITOLO XLIII. ….
Stranezze degli eretici

CAPITOLO XLIV. ….

Gli eretici i il giudizio che il Signore darà su loro

NOTE             109

Il Pimandro

Il Pimandro

Ermete Trismegisto

Mentre un giorno io riflettevo sugli esseri e il mio pensiero s’era elevato e tutte le mie

sensazioni s’erano assopite – come avviene a chi è immerso nel sonno per sazietà, per lussuria

o per stanchezza – mi parve che un essere immenso, senza limiti, mi chiamasse a nome e mi

dicesse:

” Che cosa vuoi udire e vedere che cosa vuoi apprendere e conoscere? ”

” E chi sei tu ? ” dissi io.

” Io sono – rispose – Pimandro , l’Intelligenza suprema. Io sono quel che tu vuoi

e dovunque io sono con te ” .

” Io voglio – dissi – essere istruito sugli esseri, comprendere la loro natura e

conoscere Iddio “.

” Raccogli nel tuo pensiero tutto quello che vuoi sapere – mi disse – chè io

t’istruirò “.

Ciò detto, egli mutò di forma e allora, subitamente, tutto mi fu chiaro ed io vidi uno spettacolo

prodigioso. Tutto diventava una dolce e gaia luce la cui vista mi rallegrava. Ma tosto discesero

tenebre cupe e orribili di forme tortuose: mi parve che queste tenebre mutassero in non so

quale natura umida indicibilmente sconvolta esalante fumo come da fuoco ed un rumore

indescrivibile, lugubre.

E ne uscì un grido inarticolato che sembrava la voce stessa della luce. Una parola santa discese

dalla luce sulla natura e un fuoco puro si sollevò dalla natura umida verso l’alto, ed era sottile,

penetrante e, nello stesso tempo, attivo. E l’aria, per la sua leggerezza, seguiva il fluido

sollevandosi dalla terra e dall’acqua sino al fuoco, talchè sembrava sospesa. La terra poi e

l’acqua restavano mescolate insieme in modo che non si poteva scorgere la terra attraverso

l’acqua ed entrambe si muovevano per la parola spirituale che si udiva.

” Hai compreso – mi disse Pimandro – il significato di questa visione? ”

” Sto per comprenderlo ” risposi.

” Questa luce – disse – sono io, l’Intelligenza, il tuo Dio che precede la natura umida uscita

dalle tenebre, e il Verbo luminoso che emana dall’Intelligenza è figlio di Dio ” .

” Che vuoi dire? ” domandai.

” Ascolta : quello che in te vede e intende è il Verbo, la parola di Dio; l’Intelligenza è il Dio

Padre.

Essi non sono separati poiché l’unione è la loro vita ” .

” Io ti ringrazio ” risposi.

” Comprendi dunque la luce – disse – e conoscila ” .

A queste parole egli mi fissò a lungo ed io tremai nel guardarlo. E ad un cenno di lui vidi nel

mio pensiero la luce e le sue potenze innimerevoli, il mondo infinito prodursi e il fuoco,

mantenuto da una forza immensa, arrivare al suo equilibrio. Ecco quel che compresi guardando

attraverso la parola di Pimandro.

E come io ero ripieno di stupore, egli mi disse : ” Tu hai visto nel tuo pensiero, la forma

primordiale anteriore al Principio infinito ” .

Questo mi disse Pimandro. E io risposi :

” Donde son venuti gli elementi della natura? ”

E di nuovo mi disse :

” Dalla volontà di Dio che, avendo preso il Verbo e contemplandovi il mondo bello, l’imitò e costruì il mondo con elementi presi da sé stessa e con germi d’anime. L’Intelligenza, il Dio maschio e femmina insieme, che a vita e luce, generò, mediante il Verbo, un’altra Intelligenza creatrice, il Dio del fuoco e dello spirito che formò, a sua volta, sette ministri racchiudenti nel loro circolo il mondo sensibile; e il loro governo dicesi Fato.

” Il verbo di Dio si sollevò bentosto dagli elementi inferiori nella pura creazione della natura e si unì al pensiero creatore poiché era della medesima essenza. E gli elementi inferiori e irragionevoli furono lasciati allo stato di semplice materia. Il pensiero creatore insieme col Verbo, avvolgendo i cerchi e imprimendo loro una rotazione rapida, riportò le sue creazioni su loro stesse e le fece girare dal loro principio indefinito alla loro interminabile fine, poiché sempre esse cominciano là dove finiscono. Questa circolazione, per volere dell’Intelligenza, fece uscire dagli elementi inferiori gli animali senza parola cui non fu data la ragione: l’aria portò i volatili, l’acqua i natanti. La terra e l’acqua furono separate l’una dall’altra secondo il volere dell’Intelligenza, e la terra fece uscire dal suo seno gli animali che conteneva: quadrupedi, rettili, bestie feroci e domestiche.

” Ma l’Intelligenza, origine di tutte le cose, che a vita e luce, generò l’uomo simile a sé e l’amò come la sua creatura poiché era bellissimo e riproduceva l’immagine del padre. Dio amava dunque, in realtà, la sua propria forma.

E consegnò all’uomo tutte le creature. Ma l’uomo, avendo meditato sull’opera della creazione, volle creare anche lui e si separò dal padre entrando nella sfera della creazione. Avendo pieni poteri, meditò sulle creazioni dei suoi fratelli e questi l’amarono e ciascuno lo fece partecipe della propria stirpe, Allora, conoscendo la loro essenza e partecipando della loro natura, volle rompere il limite dei cerchi e sorpassare la potenza che risiede nel fuoco.

( Alla caduta si deve creazione della donna, e non a questa la causa della caduta ).

” E questo sovrano del mondo e degli esseri mortali e privi di ragione emerse, attraverso l’armonia, rompendo la potenza dei cerchi, e rivelò alla natura inferiore la bella immagine di Dio.

E riguardandone la meravigliosa bellezza dove tutte le energie dei sette ministri erano uniti alla forma di Dio, sorrise d’amore poiché aveva visto l’immagine della bellezza dell’uomo nell’acqua e la sua ombra sulla terra. Ed egli, riguardando nell’acqua il riflesso della propria forma, s’innamorò di lei e volle possederla. L’energia accompagnò il desiderio e la forma, priva di ragione, fu concepita. La natura s’impadronì del suo amante e l’avvolse tutto, ed essi s’amarono. (Creazione della donna ).

” Ed ecco perché, solo fra quanti esseri vivono sulla terra, l’uomo a duplice, mortale nel corpo, immortale nella sua essenza. Immortale e sovrano di tutte le cose, a sottomesso al fato che governa ciò che a mortale; superiore all’armonia del mondo, egli a schiavo dell’armonia; a maschio e femmina come suo padre e, superiore al sonno, a dominato dal sonno “.

” Questo discorso mi piace ” disse allora il mio pensiero. E Pimandro:

” Ecco il mistero che a stato finora nascosto. La natura unita all’uomo ha prodotto la più straordinaria meraviglia. Essendo, come t’ho detto, composta d’aria e di fuoco come i sette principii dell’armonia, la natura non s’arrestò, ma subito generò sette uomini, rispondenti ai sette ministri, androgini e d’un ordine superiore “.

Dopo ciò : ” O Pimandro – esclamai – un gran desiderio mi ha preso e voglio ascoltare: non correre “.

” Ma taci – disse Pimandro – poiché io non t’ho ancora spiegato tutto “.

” Ecco, io mi taccio ” risposi.

” La generazione di questi sette uomini, come ho detto, ebbe luogo in questo modo. La terra era femmina, l’acqua generatrice; il fuoco fornì la maturità, l’aria il soffio, e la natura produsse i corpi di forma umana. L’uomo ricevette dalla vita e dalla luce l’anima e l’intelligenza; l’anima gli venne dalla vita, l’intelligenza dalla luce. E tutti i membri del mondo sensibile rimasero così fino alla perfetta evoluzione dei principii e dei generi. Ed ora ascolta il resto del discorso che vuoi conoscere. Essendo finito il periodo, il legame universale fu sciolto dal volere di Dio, poiché tutti gli animali, prima androgini, furono divisi nello stesso tempo come l’uomo e si formarono i maschi e le femmine. Allora Iddio disse la parola santa : ” Crescete in accrescimento e moltiplicate in moltitudine, voi tutti, opere e creature mie; e colui che ha l’intelligenza sappia che a immortale e che la cagione della morte a l’amore del corpo, e conosca tutti gli esseri “.

” Dopo queste parole, la sua provvidenza unì le coppie secondo leggi fatali e armoniche, e

stabilì le generazioni. E tutti gli esseri si moltiplicarono per generi. E c0lui che conobbe sé stesso arrivò al bene perfetto, ma colui che, per un errore dell’amore, amò il corpo, quegli va errando nelle tenebre, sottomesso, per i sensi, alle condizioni della morte “.

” Qual è, dunque – diss’io – il torto così grande degl’ignoranti perché siano privati dell’immortalità? “.

” Sembra – rispose – che tu non abbia compreso quello che hai udito: non t’avevo raccomandato di riflettere? “.

” Io ho riflettuto, ed ora mi ricordo e ti ringrazio “.

” Se hai compreso, dimmi perché quelli che sono morti sono degni della morte “.

” Perché – risposi – il nostro corpo proviene da quella lugubre oscurità ond’è uscita la natura umida di cui il corpo è formato nel mondo sensibile, donde deriva la morte “.

” Tu hai ben compreso – disse. -Ma perché colui che ha riflettuto su sé stesso corre verso Dio, come dice la parola divina? “.

” Perché – diss’io – di vita e di luce è formato il Padre di tutte le cose donde è nato l’uomo “. ” Bada a quello che dici! – soggiunse. – Dio e il Padre dal quale l’uomo è nato sono luce e vita. Se dunque tu sai d’essere uscito dalla vita e dalla luce e dess’esserne formato, tu correrai verso la vita “.

Questo mi disse Pimandro.

” Ma ora – dissi io – dimmi: come potrò entare nella vita, o intelligenza?”.

” L’uomo che ha l’intelligenza – rispose il Dio – conosca sé stesso “.

” Tutti gli uomini – diss’io – non hanno dunque intelligenza? “.

” Parla un po’ meglio! – disse. – Io, l’Intelligenza, assisto i santi, i buoni, i puri, i caritatevoli, coloro che vivono in pietà. Il mio potere è per loro un soccorso e cos’ essi conoscono tutto ed invocano il Padre con amore e gli dedicano le azioni di grazia, benedicendolo, e gli cantano gl’inni con

passione, e, prima d’abbandonare il loro corpo alla morte, detestano i sensi di cui conoscono le opere, o piuttosto, io, l’Intelligenza, non lascerei compiere le opere del corpo; come un portinaio

io chiuderei la porta alle opere cattive e detestabili, rimovendone i desideri. Ma in quanto agli stolti, ai cattivi, ai viziosi, agli invidiosi, agli avidi, agli assassini ed agli empii, io sono lontano da

loro e li abbandono al dèmone vendicatore che versa nei loro sensi un fuoco penetrante, li spinge

sempre più verso il male per aggravare la loro pena e, senza posa, eccita le loro passioni con insaziabili desideri e come nemico invisibile, li tortura e ravviva in essi la fiamma inestinguibile “.

” Tu m’hai istruito su tutto – diss’io – come desideravo, o Intelligenza; ma chiariscimi il modo come

avviene l’ascensione “.

” Sul principio, – disse Pimandro – nella dissoluzione del corpo materiale, questo consegna sé stesso alla trasformazione; sparisce la forma che tu avevi; il carattere, perdendo la sua forza, è

consegnato al dèmone: i sensi tornano alle loro sorgenti e, diventati delle parti, si confondono tra

le energie. Le passioni e i desideri rientrano nella natura irrazionale; ciò che resta s’innalza così attraverso l’armonia, abbandonando alla prima zona la facoltà di crescere e decrescere, alla seconda l’industria del male e l’inganno divenuto impotente, alla terza l’illusione ormai incapace

di desideri, alla quarta la vanità del comando che non può più essere soddisfatta, alla quinta l’arroganza empia e l’audacia temeraria, alla sesta l’attaccamento alle ricchezze ora senza effetto, alla settima la menzogna insidiosa. E, spogliato così di tutte le opere dell’armonia, giunge

all’ottava zona, non avendo più che il suo proprio potere, e canta, con gli esseri, inni in onore del

Padre. Quelli che sono colà gioiscono nella sua presenza, ed egli, divenuto simile a loro, ode la voce melodiosa delle potenze che sono al disopra dell’ottava natura e cantano le lodi di Dio. E allora salgono, per ordine, verso il Padre e s’abbandonano alle potenze e, divenuti tali, nascono in Dio. Questo è il bene finale di quelli che posseggono la Gnosi: divenir Dio. E tu che aspetti?

Perché, avendo tu saputo tutto, non mostri la via agli uomini affincha, per tuo mezzo, il genere umano sia salvato da Dio? “.

Ciò detto, Pimandro si mescolò con le potenze.

Ed io, rendendo grazie al Padre di tutte le cose e benedicendolo, mi levai, fortificato da lui ed istruito sulla natura dell’universo e sulla grande visione. E incominciai a predicare agli uomini la bellezza della religione e della Gnosi: ” O popoli, uomini nati dalla terra, ingolfati nell’ubriachezza,

nel sonno e nell’ignoranza di Dio, siate sobrii, cessate le crapule e svegliatevi dal sonno irragionevole! ” .

Essi m’ascoltarono e si radunarono attorno a me volentieri. Allora aggiunsi : ” Perché, o uomini nati dalla terra, voi vi abbandonate alla morte quando vi a dato d’ottenere l’immortalità? Rientrate

in voi stessi, voi che foste nell’errore, che languiste lell’ignoranza, allontanatevi dalla luce tenebrosa e partecipate dell’immortalità, rinunciando alla corruzione “.

E gli uni, ciarlando, si precipitavano nella via della morte; gli altri, gettandosi ai miei piedi, mi supplicavano d’istruirli. Ed io, ordinando loro di alzarsi, diventai la guida del genere umano, insegnando, coi miei discorsi, come e in che modo potessero salvarsi; io seminai in loro la parola

della saggezza, ed essi furono nutriti con l’acqua d’ambrosia. E giunta la sera, cominciando a dileguarsi gli ultimi raggi del sole, ordinai loro di rendere grazie a Dio. E compiute le azioni di grazia, ciascuno tornò a casa sua. E io scrissi in me stesso il beneficio di Pimandro e, possedendo l’oggetto dei miei voti, mi riposai pieno di gioia. Il sonno del corpo produceva la lucidità dell’anima; i miei occhi chiusi vedevano la verità e il mio silenzio era gravido di bene e le

parole pronunciate erano semenze di bene.

Ecco i beneficii che ricevetti dalla mia intelligenza, cioa da Pimandro, la Ragione suprema; così, per ispirazione divina, io possedevo la verità. E perciò con tutta l’anima e con tutte le mie forze io

benedico il divino Padre.

” Santo a Dio, il Padre di tutte le cose. Santo a Dio, la volontà del quale si compie per la sua propria potenza. Santo a Dio che vuol essere e che a conosciuto da quelli che sono suoi. Santo sei tu che hai formato gli esseri mediante la tua parola: santo sei tu di cui tutta la natura a immagine, santo sei tu non formato dalla natura. Tu sei santo e più forte d’ogni potere, tu sei santo e più grande d’ogni maestà, tu sei santo e sopra a ogni lode. Ricevi il puro sacrificio verbale dell’anima e del cuore che sale verso di te, o Indefinibile, Ineffabile, cui può nominare il

solo silenzio. Fa che io non mi svii dalla conoscenza della nostra essenza, dammi la forza, illumina della tua grazia quelli che sono nell’ignoranza, i fratelli della mia schiatta, figli tuoi. Io credo in te e te ne rendo testimonianza: io cammino verso la vita e la luce. O Padre, sii benedetto: l’uomo tuo vuol partecipare della tua santità poiché tu gliene hai dato pieno potere “.

DISCORSO UNIVERSALE

DI ERMETE TRIMEGISTO AD ASCLEPIO

Ermete: Tutto ciò che a mobile,o Asclepio, non si muove in qualche cosa e per qualche cosa? Asclepio: Certo.

Erm.: Il mobile non a, necessariamente, più piccolo del luogo dove si compie il movimento? Ascl.: Necessariamente.

Erm.: Il motore non a più forte del mosso?

Ascl.: Sicuramente.

Erm.: Il luogo del movimento non ha, di necessità, una natura contraria a quella del mobile? Ascl.: Sì, certo.

Erm.: Questo mondo a così grande che non vi sono corpi più grandi di esso?

Ascl.: E’ evidente.

Erm.: Ed a solido poiché e riempito di gran numero di corpi o piuttosto da tutti i corpi che esistono?

Ascl.: Così a.

Erm.: Il mondo a un corpo?

Ascl.: Si .

Erm.: Ed a mobile?

Ascl.: Senza dubbio.

Erm.: Quale sarà dunque il luogo del suo movimento e di quale natura? Non bisogna che sia

assai più grande del mondo perché questo possa muoversi senza essere ritenuto o arrestato

nel

suo cammino?

Ascl.: E’ qualche cosa di ben grande, o Trimegisto.

Erm.: Ma di qual natura? Di natura contraria, non a vero? Ed il contrario del corpo non a

l’incorporeo?

Ascl.: Evidentemente.

Erm.: Il luogo a dunque incorporeo. Ma l’incorporeo o a divino o a Dio. Io chiamo ” Divino ” non

ciò che a generato, ma ciò che a increato. Se a divino a essenziale; se a Dio a al di sopra

dell’essenza. In altre parole a intellegibile, ed ecco come: Il primo Dio a intelligibile, per noi, non

per sa stesso, poiché l’intelligibile cade sotto la sensazione dell’intelligente. Dio non a dunque intelligibile per sé stesso, poiché in Lui il soggetto pensante non a altro che l’oggetto pensato. Da

noi egli a differente perciò noi lo concepiamo. Se lo spazio a intelligibile non a Dio, ma spazio. Se

a Dio, a, non come spazio, ma come principio d’intendimento. Ma tutto quel che a mosso si muove non nel mobile, ma nello stabile. Il motore a dunque stabile, giaccha a impossibile per lui

il movimento.

Ascl.: Come dunque, o Trimegisto, noi vediamo qui i mobili muoversi insieme con i loro motori ?

Poiché tu dicevi che le sfere mobili erano mosse dalla sfera fissa.

Erm.: Ma quello non a un commovimento, o Asclepio, ma un contro-movimento. [ Queste sfere ]

non si muovono nel medesimo senso, ma in senso contrario. Questa opposizione offre un movimento, una resistenza fissa, giaccha la reazione ai movimenti a l’immobilità: perciò le sfere

erranti, essendo mosse in senso contrario alla sfera fissa, il loro movimento inverso a prodotto dalla resistenza che si fanno a vicenda e non può essere altrimenti. Tu vedi le Orse che non tramontano né risorgono e girano attorno a un punto: credi tu che siano mosse o che stiano ferme?

Ascl.: Sono mosse, o Trimegisto.

Erm.: E quale a il loro movimento, o Asclepio?

Ascl.: Esse girano continuamente attorno a un medesimo punto.

Erm.: Una rivoluzione attorno a un punto a un movimento contenuto nella fissità. Giaccha la circolazione attorno ad un punto impedisce il moto sopra di esso, e questo moto impedito a contenuto nella circolazione. E così l’opposizione di questi due movimenti produce uno stato stabile mantenuto sempre dalle resistenze reciproche. Te ne darò un esempio visibile, preso dalle cose terrestri . Osserva, per esempio, il nuoto dell’uomo e degli altri animali : la reazione dei

piedi e delle mani rende l’uomo immobile e gl’impedisce d’essere trascinato nel movimento dell’acqua e d’annegarsi .

Ascl.: Questo paragone a molto chiaro, o Trimegisto.

Erm.: Ogni movimento a dunque prodotto nella fissità e mediante la fissità. Così il movimento del

mondo e di ogni animale materiale non viene dal difuori ma a prodotto dal di dentro al difuori per

mezzo dell’anima, dello spirito o di qualche altro principio incorporeo. Poiché un corpo non può muovere quel che a animato e non può neppure muovere un corpo inanimato.

Ascl.: Che cosa vuoi dire, o Trimegisto? Il legno, la pietra e tutti gli altri corpi inanimati , non sono

essi motori ?

Erm.: Niente affatto, o Asclepio. Perché ciò che a al di dentro del corpo, ciò che muove

l’oggetto

inanimato non a esso il motore comune del corpo che porta e dell’oggetto portato ? Giammai

un

oggetto inanimato potrà muovere un altro oggetto inanimato. Ogni motore a animato poiché

produce movimento. Così si vede che l’anima a appesantita quando deve portare due corpi . E’

dunque evidente che ogni movimento sia prodotto in qualche cosa e da qualche cosa.

Ascl.: Ma il movimento deve essere prodotto nel vuoto, o Trimegisto.

Erm.: Non dir questo, Asclepio ! Non c’a vuoto nell’universo. Il non essere soltanto a vuoto ed

al

di fuori dell’esistenza: l’essere non sarebbe tale se non fosse esistente. Ciò che a vuoto non

può

esistere.

Ascl.: Non vi sono dunque cose vuote, o Trimegisto, per esempio: un vaso vuoto, una botte

vuota, un pozzo vuoto, uno scrigno vuoto e altre cose simili ?

Erm.: Qual errore, o Asclepio ! Tu chiami vuote delle cose pienissime e riempitissime.

Ascl.: Che cosa vuol dire, o Trimegisto?

Erm.: L’aria non a forse un corpo?

Ascl.: Si a un corpo.

Erm.: Questo corpo non attraversa tutte le cose e non riempie quello che attraversa? Ed ogni

corpo non a composto di quattro elementi ? Tutto ciò che tu credi vuoto a, dunque pieno d’aria

e,

di conseguenza, dei quattro elementi . E viceversa, si può dire che ciò che tu credi pieno a

privo

d’aria giaccha la presenza di altri corpi non permette che l’aria occupi lo stesso posto. Così gli

oggetti che tu chiami vuoti bisogna chiamarli cavi poiché esistono e son pieni d’aria e di spirito.

Ascl.: Non c’a nulla da rispondere a questo, o Trimegisto. L’aria a un corpo e questo corpo

tutto

compenetra e riempie tutto ciò che compenetra. Ma come chiameremo il luogo dove si muove

l’universo ?

Erm.: Incorporeo, O Asclepio.

Ascl.: Ma che cosa a dunque l’incorporeo ?

Erm.: L’Intelligenza e la Ragione che si abbracciano e son libere dal corpo, prive d’errore, impassibili e che restano fisse in sé stesse e contengono tutto, conservando tutti gli esseri ; e quasi loro raggi , sono il bene, la verità, il principio della luce, il principio dell’anima.

Ascl.: Che cosa a dunque Iddio ?

Erm.: Dio non a nulla di tutto ciò, ma a la causa di tutto in generale e di ciascun essere in particolare. Egli non ha lasciato nulla che non sia; ogni essere viene da ciò che a e non da ciò che non a. Il nulla non può diventare qualche cosa: a nella sua natura il non poter essere. La natura dell’essere invece a quella di non poter cessare d’essere.

Ascl.: Come, dunque , tu definisci Iddio ?

Erm.: Dio non a l’Intelligenza, ma la Causa dell’Intelligenza: non a lo Spirito, ma la Causa dello Spirito; non a la Luce, ma la causa della Luce. I due nomi coi quali bisogna onorar Dio non convengono che a lui solo e a nessun altro. Nessuno di quelli che si chiamano Dei , nessun uomo né demone può, in alcun modo, esser chiamato buono: questo titolo conviene solo a Dio:

egli a il Bene e non altro. Tutti gli altri esseri sono separati dalla natura del bene: sono corpi e anime e non v’a posto in essi per il bene. Il bene eguaglia in grandezza l’esistenza di tutti gli esseri corporei e incorporei , sensibili e intelligibili . Questo a il Bene, questo a Dio.

Non dire dunque di un altro essere che a buono: diresti un’empietà; non dir di Dio che a altra cosa che il bene; diresti un’altra empietà. Tutti adoperano la parola ” bene ” ma non tutti ne comprendono il significato: così non tutti concepiscono Iddio, e, in seguito a questa ignoranza, si

chiamano buoni gli Dei e alcuni uomini bencha questi non possano né essere né divenir buoni poiché sono diversissimi da Dio e il bene a da lui inseparabile essendo Iddio il bene stesso. Tutti

gli altri Dei son detti immortali e si dà loro il nome di Dei come dignità. Ma per Dio il bene non a

una dignità, a la sua natura: Dio e il bene sono una sola e stessa cosa e il principio di tutte le altre cose, giaccha a proprio della bontà dar tutto senza nulla ricevere: ora Dio dà tutto e non riceve nulla. Dio a dunque il bene e il bene a Dio.

L’altro suo nome a quello di Padre a cagione del suo ufficio di creatore, giaccha a proprio del padre il creare. Ed a perciò che la più alta e la più sacra funzione della vita a la generazione, e la

più gran disgrazia e la più grande empietà a quella di lasciare la vita umana senza aver figli . Quelli che mancano a questo dovere son puniti dai damoni dopo la morte. Ecco qual a la pena: l’anima di chi a senza figli a condannata ad entrare in un corpo che non a né maschio né femmina, condizione orribile sotto il sole.

Perciò, o Asclepio, non invidiare la sorte di quelli che non hanno figli , ma compiangi la loro disgrazia, pensando all’espiazione che li attende.

Questi sono , o Asclepio, i primi elementi della conoscenza della natura di tutte le cose . DISCORSO SACRO DI ERMETE TRIMEGISTO

Gloria di tutte le cose, Dio, il divino e la natura divina. Principe degli esseri , Dio, l’Intelligenza, la

natura e la materia; la saggezza manifesta l’universo di cui il divino a il principio, la natura, l’energia, la necessità, la fine e la rinascita.

C’erano sull’abisso tenebre senza limiti e l’acqua e uno spirito sottile e intelligente contenuto nel

caos dalla potenza divina. Allora scaturì la luce santa e, disotto la sabbia, gli elementi uscirono dalla sostanza umida e tutti gli Dei distribuirono la natura feconda. Essendo tutto in confusione e

in disordine, gli elementi leggeri s’inalzarono e i più pesanti furono messi , come fondamento, sotto la sabbia umida, essendo tutte le cose divise dal fuoco e sospese per essere sollevate dallo

spirito. E il cielo apparve in sette cerchi , e gli Dei si manifestarono in forma di astri con tutti i loro

caratteri , e gli astri furono enumerati con tutti gli Dei che sono in essi .

E l’aria avvolse il cerchio esterno, sorretto, nella sua corsa circolare, dallo spirito divino, e ciascun

Dio, secondo il suo potere, compì l’opera che gli era stata assegnata. E nacquero i quadrupedi e

i rettili e le bestie acquatiche e le bestie alata e tutti i semi fecondi e la verdura e ogni fiore, aventi

in sé una semenza di rigenerazione.

Ed essi seminarono così le generazioni umane perché queste conoscessero le opere divine e testimoniassero dell’energia della natura, e la moltitudine degli uomini perché regnassero su tutto

ciò che a sotto il cielo e conoscessero il bene e crescessero in grandezza e moltiplicassero in

moltitudine, ed ogni anima avviluppata dalla carne per la corsa degli Dei circolari , perché contemplasse il cielo, la corsa degli Dei celesti , le opere divine e l’energie della natura, e perché

distinguesse i beni , perché conoscesse la potenza divina, perché imparasse a distinguere il bene dal male, e scoprisse tutte le arti utili . La loro vita e la loro saggezza son regolate, fin dall’origine, dalla corsa degli Dei circolari e si risolvono in essi .

E vi saranno delle grandi e memorabili opere sulla terra, lasciando la distruzione nella

rinnovazione dei tempi . Ed ogni generazione di carne animata e di semi di frutta e tutte le opere

mortali saranno rinnovate dalla necessità e dal rinnovamento degli Dei e dal cammino periodico e

regolare della natura. Giacché il divino a l’ordinamento del mondo e il suo rinnovamento naturale;

e la natura a stabilita dal divino.

ERMETE TRIMEGISTO A SUO FIGLIO TAT:

DISCORSO DEL CRATERE O DELLA MONADE

Ermete : L’Artefice ha fatto il mondo non con le sue mani , ma con la sua parola. Bisogna che tu

te lo immagini come presente e sempre esistente, come l’autore di tutto, l’unico e il solo, che ha

creato gli esseri con la sua volontà. Il suo corpo non è tengibile né visibile, né misurabile, né esteso, né simile ad alcun altro corpo. Non è né fuoco, né acqua, né aria, né soffio, ma tutto viene da lui . Essendo buono egli ha voluto creare il mondo per sé e adornare la terra. Come ornamento del corpo divino, vi ha posto l’uomo, animale immortale e mortale. L’uomo si solleva

sugli altri animali per la ragione e l’intelligenza: egli contemplò le opere di Dio, le ammirò e ne conobbe l’autore.

Dio ha fornito la ragione a tutti gli uomini , o Tat, ma non l’intelligenza; non perché ne abbia invidia per qualcuno, giacché l’invidia non gli appartiene: essa nasce nelle anime degli uomini che

non hanno intelligenza.

Tat : Perché dunque, o padre, Iddio non ha distribuito l’intelligenza a tutti?

Erm : Egli ha voluto, figlio mio, metterla nel mezzo delle anime come premio da conquistarsi . Tat : E dove l’ha messa?

Erm : Ne ha riempito un grande cratere e l’ha fatto portare da un banditore, ordinandogli di gridare ai cuori degli uomini : << Battezzatevi , se lo potete, nel cratere, o voi che credete di tornare a colui che l’ha mandato, voi che sapete il fine della vostra vita ! >> E quelli che compresero questo appello e furono battezzati nell’Intelligenza, quelli possederono la Gnosi e diventarono gl’iniziati dell’Intelligenza, gli uomini perfetti , ed ebbero l’Intelligenza mentre gli altri

ignorano perché e da chi siano stati creati .

Le loro sensazioni rassomigliano a quelle degli animali irragionevoli . Formati unicamente di passioni e di desideri , essi non ammirano ciò che è degno d’esser contemplato: essi si danno ai

piaceri ed agli appetiti del corpo, e credono che questo sia il fine dell’uomo.

Ma quelli che hanno ricevuto i doni di Dio, quelli , o Tat, a considerare le loro opere, sono immortali e non più mortali . Essi abbracciano con l’intelligenza ciò che esiste sulla terra e nel cielo e ciò che può esserci sopra ad esso. All’altezza dove son pervenuti , essi contemplano il bene, e questo spettacolo fa loro considerare come una disgrazia il soggiorno di quaggiù ; e, disprezzando tutte le cose corporee, essi aspirano verso l’Uno e il Solo.

Questa è, o Tat, la scienza dell’Intelligenza: contemplare le cose divine e comprendere Iddio poiché divino è il cratere.

Tat : Anch’io voglio esservi battezzato, o padre.

Erm : Se tu non cominci con l’odiare il tuo corpo, o figlio mio, tu non puoi amare te stesso; quando amerai te stesso avrai l’intelligenza, e allora otterrai anche la scienza.

Tat : Che cosa vuoi dire, o padre ?

Erm : E’ impossibile, figlio, d’attaccarsi , nello stesso tempo, alle cose mortali e alle divine. Gli esseri sono di due specie: corporei e incorporei , e in essi si distingue il mortale e il divino: la scelta dell’uno o dell’altro è lasciata alla volontà. Poiché non ci si può attaccare a tutti e due insieme.

Quando si è fatta la scelta, quello che si abbandona manifesta l’energia dell’altro. E la scelta del

meglio non solo riesce ottima per chi sceglie, rendendo l’uomo Dio, ma anche mostra maggiormente la pietà verso Dio.

La scelta del peggio è la rovina dell’uomo, però senza far torto a Dio, ma come quelle processioni che, non essendo capaci di far nulla, impediscono il traffico per le strade, così quelli passano attraverso il mondo trattenuti dai piaceri del corpo.

E poiché, o Tat, il bene che viene da Dio lo abbiamo o lo avremo, noi non dobbiamo far altro che

prenderlo senza indugio. Il male poi non viene da Dio, ma da noi stessi che lo preferiamo al bene. Tu vedi , figlio mio, per quanti corpi , per quanti cori di dèmoni e rivoluzioni di astri dobbiamo passare per giungere fino a Dio, solo e unico. Il bene non può passare ed è infinito e

senza limiti e, per la sua stessa natura, non ha principio, benché, per noi , sembri averne uno che

a la Gnosi . Ma la Gnosi non a precisamente il principio del bene, ma a per noi , un mezzo per arrivare al bene. Prendiamolo dunque come una guida e noi avanzeremo attraverso gli ostacoli .

E’ difficile abbandonare le cose presenti e solite per tornare alle antiche. Poiché le apparenze ci seducono, ma noi ci rifiutiamo di credere all’invisibile. Le cose cattive sono più evidenti ; il bene a

invisibile agli occhi poiché non ha né forma né figura: a simile a sé stesso e differente da tutto il

resto; a impossibile che l’incorporeo si manifesti mediante il corpo.

Ecco la differenza tra il simile e il dissimile e l’inferiorità dei dissimile rispetto al simile.

L’unità, principio e radice d’ogni cosa, esiste in tutti come principio e radice. Non c’a nulla senza

principio: il principio non deriva da altri che da sé stesso giacché tutto deriva da lui . Ed a il principio di sé stesso, non avendo altri principii .

La monade ( l’unità ), che a il principio, contiene tutti i numeri e non a contenuta da alcuno; li genera tutti e non ne a generata. Tutto quello che a generato a imperfetto, divisibile, suscettibile

d’aumento o di diminuzione.

Il perfetto non ha nessuno di questi caratteri . Ciò che si può accrescere, s’accresce per la monade, e perisce per la sua debolezza quando non può più ricevere la monade.

Ecco, o Tat, l’immagine di Dio come possiamo rappresentarcela : se tu la contempli attentemente e la comprendi con gli occhi del cuore, credimi , figlio, tu troverai la via dell’ascensione: o piuttosto, questa immagine stessa ti condurrà, giacché questa a la virtù della

contemplazione: incatena e attira coloro che sono giunti a essa come dicono che la calamita attiri

il ferro.

ERMETE TRIMEGISTO A SUO FIGLIO TAT:

IL DIO INVISIBILE E’ VISIBILISSIMO

E anche questo discorso io t’indirizzo, o Tat, affinché non ti sia ignoto il nome del Dio superiore.

Tu comprendilo, e quello che sembra invisibile ai più sarà per te assai appariscente, poiché, se fosse invisibile, non sarebbe lui . Ogni apparenza a creata perché manifestata: ma l’invisibile esiste sempre senza aver bisogno di manifestazioni . Egli esiste sempre e rende visibili tutte le cose. Invisibile, perché eterno, egli fa tutto apparire senza mai mostrarsi . Increato, manifesta ogni cosa nell’apparenza la quale appartiene alle cose generate e non a altro che la nascita. Colui che solo a increato a, dunque, per questo, irrivelato e invisibile, ma, nel manifestare tutte le

cose, egli si rivela in esse e mediante esse, soprattutto a quelli cui vuol manifestarsi . Perciò, o figlio mio Tat, prega il Signore e il Padre, il solo, l’unico donde a nato l’Unico, perché egli ti sia propizio e tu possa comprenderlo. Bisogna perciò che uno dei suoi raggi illumini il tuo pensiero. Il

pensiero solo vede l’invisibile, poiché a, di per sé stesso, invisibile. Se tu puoi , lo vedrai con gli occhi dell’Intelligenza, o Tat, poiché il Signore non a avaro, ma si rivela nell’intero universo. Tu puoi comprenderlo, vederlo, toccarlo con mano e contemplare la sua immagine. Ma come potrà manifestarsi ai tuoi occhi se ciò che a in te a invisibile per te stesso? Se tu vuoi vederlo, pensa al sole, pensa al corso della luna, pensa all’ordine degli astri . Chi mantiene quest’ordine?

Poiché ogni ordine a determinato dal numero e dal luogo. Il sole a il più gran Dio del cielo e tutti

gli Dei celesti gli sono inferiori come a un capo e a un re. E quest’astro, più grande della terra e

del mare, fa roteare sopra a sé astri molto più piccoli . Ora quale rispetto, quale timore l’obbliga,

o figlio mio?

I corsi di tutti questi astri nel cielo son differenti e diseguali : chi ha dato a ciascuno di loro la

direzione e la lunghezza del corso? L’Orsa gira su sé stessa e trascina con sé l’universo: chi se ne serve come d’un istrumento? Chi ha dato al mare i suoi limiti , chi ha posto le fondamenta alla

terra? C’è dunque, o Tat, un creatore e un padrone di tutto quest’universo poiché sarebbe impossibile che il posto, il numero, la misura si conservassero senza un creatore. L’ordine non si

può fare senza un luogo e una misura: c’è dunque bisogno d’una guida, figlio mio. Il disordine ne

ha bisogno per giungere all’ordine: esso obbedisce a colui che non l’ha ancora ordinato. Se tu potessi aver le ali , volare nell’aria e ly, tra cielo e terra, vedere la solidity di questa, la fluidity dei mari , i corsi dei fiumi , la leggerezza dell’aria, la sottigliezza del fuoco, il corso degli astri e il movimento del cielo che li avvolge, o figlio mio, che magnifico spettacolo osserveresti ?

Vedresti , in un istante, l’immobile muoversi e l’invisibile apparire per ciò che costituisce l’ordine

del mondo ed il mondo dell’ordine.

Se tu vuoi contemplare il Creatore anche nelle cose mortali , in ciò che è sulla terra o negli abissi

, ripensa, o figlio mio, alla generazione dell’uomo nell’utero di sua madre: esamina con attenzione

l’arte dell’artefice e impara quindi a conoscere l’autore di questa bella e divina immagine. Chi ha

fatto rotondi gli occhi ? Chi ha forato le narici e le orecchie ? Chi ha aperto la bocca? Chi ha tesi ed intrecciati i nervi ? Chi ha formato i canali delle vene? Chi ha fatto dure le ossa? Chi ha ricoperto la carne di pelle? Chi ha separato le dita e le membra? Chi ha formato la base dei piedi

? Chi ha forato i pori ? Chi ha steso la milza? Chi ha dato al cuore la forma di piramide? Chi ha dilatato i fianchi ? Chi ha allargato il fegato? Chi ha formato le caverne dei polmoni , la cavity del

ventre? Chi ha messo in mostra le parti oneste e nascoste le altre?

Vedi quant’arte su di una sola materia, che lavoro su di una sola opera, dappertutto bellezza, proporzione, variety.

Chi ha fatto tutte queste cose? Quale madre, qual padre se non l’unico e invisibile Iddio che ha tutto creato con la sua volonty?

Nessuno pretende che una statua o un quadro possano esistere senza uno scultore o un pittore,

e questa creazione non avrebbe dunque un creatore?

O cecity, empiety, ignoranza ! Ma tu, o figlio Tat, guyrdati bene dal credere l’opera priva dell’artefice: dy piuttosto a Dio il nome che più gli conviene, chiamalo padre di tutte le cose perché egli è l’unico e la sua funzione è quella di esser padre; e se vuoi che io adoperi un’espressione ardita , ti dirò che la sua essenza è quella di esser gravido e di creare. E siccome

nulla può esistere senza creatore, così egli stesso non esisterebbe se non creasse continuamente, nell’aria, sulla terra, negli abissi e in ogni parte dell’universo e in ciò che non esiste. Poiché nulla c’è nel mondo che non sia lui: egli è quello che esiste e quello che non esiste: quello che esiste lo ha manifestato, quello che non esiste lo tiene in sé stesso.

Tale è il Dio superiore al suo nome, invisibile e visibilissimo; che si rivela allo spirito, che si rivela

agli occhi , che non ha corpo ed ha molti corpi , p meglio, tutti i corpi poiché non v’è cosa che non

sia lui e tutto è lui solo. Ed ha tutti i nomi perché è il padre unico e non ha alcun nome perché è il

padre di tutto. Che si può dire di te, che si può dire a te? Dove poserò i miei sguardi per benedirti

: in alto, in basso, di dentro, di fuori ? Non c’è via, non c’è posto che sia intorno a te; non esistono

altri esseri : tutto è in te, tutto viene da te; tu dyi tutto e non ricevi nulla poiché tu possiedi

tutto e

non v’a cosa che non ti appartenga .

Quando ti loderò, o padre mio?

Giacché non si può comprendere né il tuo tempo né la tua ora. E per che cosa ti loderò? Per quello che hai creato o per quello che non hai creato? Per ciò che riveli o per ciò che nascondi ? E perché ti loderò? Come se tu m’appartenessi ed io avessi qualche parte di te o come se fossi un altro?

Perché tu sei tutto quello che io posso essere, tu sei tutto quello che io posso fare, tu sei tutto quello che io posso dire, poiché tu sei tutto e nulla c’a che tu non sia ! Tu sei quello che a nato e

quello che non a nato, l’intelligenza pensante, il Padre creatore, il Dio agente, il bene e l’autore di

ogni cosa. La parte più sottile della materia a l’aria, dell’aria l’anima, dell’anima l’intelligenza, dell’intelligenza Dio.

IL BENE E’ SOLO IN DIO E NON ALTROVE

Il bene, o Asclepio, non a in nessun’altra aprte fuorché in Dio o, piuttosto, il Bene a sempre lo stesso Dio. Se a così , deve essere un’essenza immutabile, increata, presente dapertutto, avente

in sé un’attivtà stabile perfetta, compiuta e inesauribile. L’unità a il principio di tutto il bene, a la

sorgente di tutto. Quando dico << bene >> intendo ciò che a interamente e sempre buono. Ora

questo bene perfetto non si trova che in Dio poiché non v’a nulla che a lui manchi e il desiderio non può renderlo cattivo; non v’a nulla che egli possa perdere e non può quindi affliggerlo la perdita; il dolore a una parte del male. Non v’a cosa più forte di lui e che possa vincerlo; non v’a

cosa eguale a lui che possa nuocergli o inspirargli un desiderio. Nulla c’a che possa, disobbedendogli , eccitare la sua collera, e nulla di più saggio che egli possa invidiare.

Essendo tutto ciò estraneo alla sua essenza, che colpa resterà a lui se non il solo bene?

E siccome in questa essenza non c’a nulla di cattivo, il bene non può trovarsi in nessun altro. La

diversità esiste in tutti gli esseri particolari , piccoli o grandi , ed anche tra il più grande e il più forte di tutti gli esseri viventi .

Gli esseri generati sono pieni di passioni e la nascita stessa a una passione.

Ora dove c’a passione non esiste il bene e là dove a il bene non c’a passione, allo stesso modo che il giorno non a la notte e la notte non a il giorno. Il bene non può dunque esistere nella creazione, ma soltanto nell’increato. E come tutte le cose partecipano della materia, così pure partecipano del bene: in questo senso il mondo a buono perché produce degli esseri possibili . Nell’uomo, quando si tratta del bene, si fa per comparazione col male; quaggiù tutto quello che non a cattivo, a buono, e il bene a una particella del male. Ma il bene non può essere interamente privo del male quaggiù; si altera per la mescolanza con esso, e allora cessa di essere il bene e diventa il male.

Il bene esiste dunque in Dio soltanto, ossia Dio a il bene. Tra gli uomini , o Asclepio, il bene non

esiste che di nome, ma non di fatto perché sarebbe impossibile. Il bene a incompatibile con un corpo materiale circondato d’ogni parte dal male, dal dolore, dai desideri , dagli errori , dalle false

opinioni . Ma il peggio di tutto, o Asclepio, a che si ritenga quaggiù come bene ciascuno dei mali

che bisognerebbe evitare, ed il massimo: gli eccessi del ventre, l’errore che si trascina dietro tutti

i mali e che ci allontana dal bene.

In quanto a me, io ringrazio Iddio perché ha messo nel mio intelletto la conoscenza del bene, poiché il bene di per sé stesso non può esistere nel mondo essendo questo pieno d’ogni male. Iddio invece a la plenitudine del bene o il bene a la plenitudine di Dio. L’eccellenza del bello sfolgora attorno a questa essenza ed a forse là che appare nella sua forma più trasparente e più

pura e quasi essenza del bene. Non temiamo di dirlo, o Asclepio; l’essenza di Dio – se Dio ha un’essenza – a la bellezza. E il bello a anche buono. Il bene poi non può trovarsi nel mondo: tutti

gli oggetti visibili non sono che immagini e ombre. Il bene e il bello bisogna cercarli oltre a ciò che

cade sotto i nostri sensi , e l’occhio non può vederli perché non può scorgere Iddio: essi sono le

parti integranti di Dio, i caratteri propri , inseparabili ed assai desiderabili che egli ama e dai quali

a amato.

Se tu puoi comprendere Iddio, tu comprenderai il bene e il bello, il fulgidissimo saggio divino, l’incomparabile bellezza, il bene senza pari , come Dio stesso. Quando tu comprendi Iddio, comprendi pure il bello e il bene: essi non sono comunicabili agli altri animali perché non possono separarsi da Dio.

Quando tu cerchi Iddio, cerchi la bellezza. Una sola a la via che vi ci conduce: la pietà unita alla

Gnosi . Gli ignoranti , quelli che non vanno per la via della pietà, osano chiamar l’uomo bello e buono; lui che non ha visto neppure in sogno ciò che sia il bene e che a circondato da tutte le parti del male e che ritiene il male come bene e se ne nutre senza mai saziarsi , ne teme la perdita e si sforza non solo di conservarlo, ma di accrescerlo. Queste cose, che gli uomini trovano buone e belle, o Asclepio , noi non possiamo né evitare né odiare, poiché quello che c’a

di più duro a che noi ne abbiamo bisogno e che non potremmo vivere senza di esse.

IL PIU’ GRAN MALE PER GLI UOMINI

E’ LA IGNORANZA DI DIO

Dove correte, o uomini ubriachi , voi che avete bevuto il vino dell’ignoranza e non potete sopportarlo e già lo rigettate?

Diventate sobri e aprite gli occhi del vostro cuore, se non tutti voi , almeno quelli che possono. Giacché il flagello dell’ignoranza inonda tutta la terra, corrompe l’anima rinchiusa nel corpo e le impedisce di entrare nel porto della salvezza. Non vi lasciate trascinare dalla grande corrente: tornate, se potete, al porto della salvezza ! Cercate un pilota che vi conduca verso le porte della

Gnosi dove brilla la sfolgorante luce, pura di tenebre, dove nessuno s’inebria, dove tutti son sobrii

e girano gli occhi del cuore verso colui che vuol essere contemplato, il non-udibile, l’ineffabile, l’invisibile agli occhi , ma visibile all’intelligenza e al cuore.

Prima di tutto, bisogna che tu abbandoni questo vestimento che porti , tessuto d’ignoranza, sostegno di malvagità, catena di corruzione, viluppo tenebroso, morte vivente, cadavere sensibile, tomba che tu porti con te, ladro domestico, nemico nell’amore, geloso nell’odio. Tale a

il vestimento nemico che ti ricopre: ti attira in basso per timore che la visione della verità e del bene non ti faccia odiare la sua malvagità, scoprire le sue insidie che ti tende, rendendo oscuro per te quel che a chiaro, tuffandoti nella materia, ubriacandoti d’infami voluttà, affinché tu non possa intendere quel che devi intendere né vedere quello che devi vedere.

NULLA MUORE, MA I CAMBIAMENTI

SONO ERRONEAMENTE CHIAMATI

MORTE E DISSOLUZIONE

Dobbiamo ora parlare, o figlio mio, dell’anima e del corpo, dell’immortalità dell’anima, della costituzione del corpo e della sua decomposizione. Poiché la morte non esiste affatto: la parola << mortale>> a priva di senso, oppure, per la caduta della prima sillaba, si disse << mortale >>

invece di << immortale >> . La morte sarebbe la distruzione e nulla si distrugge nel mondo. Poiché il mondo a il secondo Dio, un animale immortale, nessuna parte d’un essere vivente e immortale può morire. Ora, tutto fa parte del mondo, soprattutto l’uomo che a animale ragionevole. Il primo essere a l’eterno, l’increato, il Dio creatore di tutte le cose. Il secondo a fatto

a sua immagine: a il mondo generato, conservato e nutrito e fatto da lui immortale come dal

proprio padre: a dunque sempre vivente essendo immortale. L’immortality differisce dall’eternity:

l’eterno non a generato da un altro; non s’a fatto da sé, ma si crea eternamente. Chi dice eterno,

dice universale. Il Padre a eterno di per sé: il mondo ha ricevuto dal Padre l’eternity e l’immortality.

Con tutta la materia che aveva in suo potere, il Padre fece il corpo dell’universo: gli diede forma

sferica: ne fissò gli attributi e lo rese immortale ed eternamente materiale. Possedendo tutte le forme, il padre sparse i suoi attributi nella sfera e ve li chiuse come in una caverna volendo ornare la sua creazione con tutte le quality. E fece immortale il corpo dell’universo perché la materia, volendo dissolversi , non tornasse nel disordine che le a naturale. Poiché quand’era priva di corpo, la materia era disordinata. E ne conserva anche quaggiù una debole traccia nella

facolty di aumentare e diminuire che gli uomini chiamano << morte >> .

Questo disordine non si produce che negli animali terrestri; i corpi celesti seguono l’ordine unico

che hanno avuto dal Padre fin dal principio e che si conserva indissolubile per la reintegrazione di

ciascuno di loro. La reintegrazione mantiene i corpi terrestri : la loro dissoluzione li restituisce ai

corpi indissolubili cioa immortali , cosicché c’a privazione di sensazioni e non distruzione dei corpi

.

Il terzo animale a l’uomo, fatto ad immagine del mondo: e, per la volonty del Padre, possiede in

più degli altri animali terrestri l’intelligenza; a in rapporto, mediante la sensazione, col secondo Dio, mediante il pensiero col primo, e vede l’uno come corporeo, l’altro come l’essere incorporeo,

l’intelligenza del bene.

Tat : Quest’animale non muore dunque?

Erm. : Parla bene, figlio mio, e comprendi chi a Dio, il mondo, l’animale immortale, l’animale soggetto a dissoluzione, e comprendi che il mondo viene da Dio ed a in Dio, che l’uomo viene dal

mondo ed a nel mondo. Il principio, il contenuto, la costituzione di tutte le cose a Dio. PENSIERO E SENSAZIONE.

IL BELLO E IL BENE SONO IN DIO

SOLO E NON ALTROVE

Ieri , o Asclepio, io t’indirizzai un discorso d’iniziazione: ora credo necessario farlo seguire da un

altro, e parlare della sensazione.

Sembra esistere tra sensazione e pensiero questa differenza: cioa l’una sia materiale,l’altro essenziale; a me pare che ambedue siano uniti e indivisibili . Presso gli altri animali la sensazione, presso l’uomo il pensiero a unito con la natura. Il pensiero differisce da Dio: la divinity nasce da Dio, il pensiero nasce dall’intelligenza: esso a fratello della parola e l’uno serve

di strumento all’altra poiché non c’a parola senza pensiero né pensiero senza parola. La sensazione e il pensiero hanno dunque, nell’uomo, un’influenza reciproca e sono indissolubilmente uniti . Non vi sono pensieri possibili senza la sensazione né sensazioni senza pensiero.

Si può tuttavia supporre un pensiero senza sensazione come, per esempio, le immagini fantastiche che si vedono in sogno, ma mi sembra che le due azioni si producano nel sogno e che la sensazione eccitata passi dal sogno allo stato di veglia. L’uomo a composto di corpo e di anima: quando le due parti della sensazione son d’accordo, allora si esprime il pensiero concepito dall’intelligenza. Poiché l’intelligenza concepisce tutti i pensieri : quelli buoni quando a

fecondata da Dio, quelli cattivi quando si trova sotto qualche influenza demoniaca, – poiché nessuna parte del mondo a priva di damone: parlo del damone separato da Dio, quello cioa

che

entra in noi e semina il germe della sua energia, e l’intelligenza, ricevendo questo

germe,concepisce gli adulteri , gli omicidi , i parricidi , i sacrilegi , le empietà, le oppressioni , le

cadute nei precipizi e tutte le altre opere dei damoni cattivi .

Le semenze di Dio, poche, ma grandi , belle e buone, sono la virtù, la temperanza e la pietà . La

pietà a la conoscenza di Dio : colui che la possiede a ripieno di tutti i beni , concepisce pensieri divini e diversi da quelli della moltitudine . Perciò quelli che hanno la Gnosi non piacciono alla folla e questa non piace loro. Son creduti insensati , si ride di loro, sono odiati e disprezzati : possono anche esser condannati a morte, poiché, l’abbiamo detto, bisogna che la malvagità abiti

quaggiù : a il suo posto. La terra a il suo soggiorno e non il mondo, come dicono alcuni bestemmiatori .

Ma l’uomo pio a sopra a tutti perché possiede la Gnosi . Tutto a buono per lui , anche ciò che per

gli altri sarebbe cattivo.

Le sue meditazioni riconducono tutto alla Gnosi e – cosa meravigliosa – egli solo cambia il male in

bene .

Ma torno al mio discorso sulla sensazione . L’unione intima della sensazione col pensiero a il carattere dell’uomo. Non tutti gli uomini , come ho detto, godono dell’intelligenza : alcuni sono materiali , altri essenziali . I malvagi sono materiali e ricevono dai damoni la semenza dei loro pensieri ; quelli che sono uniti in essenza col bene sono salvati da Dio.

Il quale a il creatore di tutte le cose e fa tutte le sue creazioni simili a sé, ma le sue creazioni buone sono sterili nell’atto.

Il movimento del mondo fa nascere prodotti diversi , alcuni soggetti al male , altri purificati dal bene. E il mondo, o Asclepio, possiede una sensazione e un pensiero, non però simile a quello dell’uomo né così vario, ma superiore e più semplice, poiché la sensazione e il pensiero del mondo a unico: creare tutte le cose e farle rientrare in sé; strumento della volontà di Dio, il suo

ufficio a quello di ricevere le semenze divine, di conservarle, di produrre tutte le cose, di distruggerle e rinnovarle. Come un buon lavoratore della vita, esso rinnova i suoi prodotti , trasformandoli , e genera ogni vita e porta tutti gli esseri viventi , ed a insieme il luogo e l’artefice

della vita. I corpi differiscono tra loro quanto materia: alcuni son formati di terra, altri d’acqua, altri

d’aria e altri di fuoco: tutti sono composti , ma alcuni di più, altri di meno: i primi sono più pensanti

, i secondi più leggeri . La rapidità del movimento del mondo produce la varietà dei generi : la sua

frequente respirazione stende sui corpi degli attributi molteplici insieme con la plenitudine uniforme della vita. Dio a dunque il padre del mondo; il mondo a il padre di ciò che contiene ; il

mondo a il figlio di Dio; quello che a sul mondo gli a sottomesso. Ed a ragione il mondo a detto Cosmo perché esso adorna tutto con la varietà delle specie, con la necessità del movimento, con

la combinazione degli elementi e con l’ordine delle creazioni . E’ dunque necessario e giusto chiamarlo Cosmo.

In tutti gli animali la sensazione e il pensiero vengono dal di fuori , dall’ambiente; il mondo l’ha ricevuto da Dio una volta per sempre, alla sua nascita .

Dio non a privo di sensazione e di pensiero, come credono alcuni ; a questa una bestemmia della

superstizione . Tutto quel che esiste, o Asclepio, a in Dio, prodotto da lui e dipendente da lui : tutto ciò che fa per mezzo dei corpi , ciò che muove per mezzo dell’essenza anumata, ciò che vivifica mediante lo spirito, ciò che serve di ricettacolo alle creazioni mortali . Ed io non dico soltanto che egli contiene tutto, ma che veramente egli a Tutto. Egli non trae nulla dal difuori ,

fa

tutto scaturire da sé stesso.

E questa a la sensazione e il pensiero di Dio: il movimento eterno dell’universo; mai , in

nessun

tempo, perirà una parte d’un essere qualsiasi , e quando dico d’un essere dico di Dio, giacché

Dio contiene tutti gli esseri : nulla a fuori di lui ed egli non a fuori di nulla.

Queste cose, o Asclepio, son vere per coloro che le comprendono, ma incredibili per

gl’ignoranti

poiché intelligenza a fede: non credere vuol dire non comprendere. La mia parola tocca la

verità;

l’intelligenza a grande e può, quando le si mostri la via, giungere alla verità . Quando

l’intelligenza

medita su tutte le cose trovandole d’accordo con le interpretazioni della parola, essa crede e si

riposa in questa fortunata fede . Quelli che comprendono le parole divine credono, e quelli che

non le comprendono non credono.

Ecco quanto io dovevo dirti sul pensiero e sulla sensazione .

ERMETE TRIMEGISTO

A SUO FIGLIO TAT: LA CHIAVE

Ermete : Io t’ho indirizzato il mio discorso ieri , o Asclepio; a giusto che oggi io l’indirizzi a Tat,

tanto più che esso a il riassunto dei concetti generali che gli ho esposto. Iddio, il Padre e il Bene,

o Tat, hanno una stessa natura o, piuttosto, una stessa energia. Perché la parola << natura >> (

fysis ) significa anche crescenza e si applica alle cose cangianti o permanenti , mobili o immobili ,

cioa divine o umane , creazioni di Dio. In altro luogo a l’energia, come sappiamo che esiste in altre cose divine e umane: queste cose bisogna comprendere.

L’energia di Dio a la volontà: la sua essenza a di volere che l’universo sia, poiché Dio, il Padre e il

Bene, non a altro che l’esistenza di ciò che non ancora esiste. In questa esistenza degli esseri, ecco, tu vedi Iddio, il Padre, il Bene; non altro. Il mondo o il sole, padre di ciò che partecipa all’essere, non a tuttavia per i viventi la causa del bene e della vita; e così a, la sua azione a l’effetto necessario della volontà del bene, senza di che nulla potrebbe esistere né divenire. Il padre a la causa dei suoi figli, dells loro nascita, del loro nutrimento e prende per mezzo del sole

il desiderio del bene, poiché il bene a il principio creatore. Nessun altro, ma lui solo, può avere questo carattere di non ricevere nulla e di voler l’esistenza di tutte le cose. Non dico, o Tat, di tutto produrre, poiché l’azione creatrice manca per molto tempo: ora essa crea, ora non crea; varia in qualità e in quantità; a volte produce tali e tali cose, a volte i loro contrari . Ma Dio a il Padre e il Bene poiché a l’esistenza universale: così egli si può considerare. Ecco quello che vuol

essere e che a: egli ha il fine di sé stesso ed a il fine di tutto il resto.

Il carattere proprio del bene a quello di essere conosciuto: ecco il bene, o Tat.

Tat : Tu ci hai riempito, o padre, della visione del bene e del bello, e questa contemplazione ha quasi santificato l’occhio della mia intelligenza, poiché essa non a come i raggi del sole che abbagliano e fanno chiuder gli occhi : al contrario, la contemplazione del bene accresce tanto la

potenza dello sguardo che si diviene più adatti a ricevere i raggi dello splendore ideale . E’ una luce vivissima e penetrante, inoffensiva e piena d’immortalità.

Quelli che possono abbeverarsi maggiormente a tale spettacolo entrano spesso, abbandonando il corpo, nella visione felice come i nostri antenati Urano e Crono. Così sia anche per noi, o padre

!

Ermete : Iddio lo voglia, figlio mio. Ma, per ora, questa visione supera le nostre forze: gli occhi della nostra intelligenza non possono ancora contemplare la bellezza incorruttibile e incomprensibile del bene. Tu la vedrai quando non avrai nulla da dire di essa,poiché la Gnosi, la

contemplazione a il silenzio e il riposo di ogni sensazione. Colui che vi a giunto non può pensare

più ad altro né guardare né udir parlare e nemmeno muovere il suo corpo. Liberato da tutte le sensazioni del corpo e del moto, egli riposa: lo splendore che inonda tutto il suo pensiero e tutta

la sua anima, lo libera da legami del corpo e lo trasforma interamente nell’essenza di Dio. Poiché

l’anima umana può indiarsi, pur rimanendo nel corpo dell’uomo, quando ha contemplato la bellezza del bene.

Tat : Che cosa intendi per << indiarsi >>, o padre?

Erm. : Ogni anima parziale a soggetta a cambiamenti successivi.

Tat : Che cosa significa << parziale >> ?

Erm. : Non hai appreso nei concetti generali che dall’anima unica dell’universo escono fuori tutte

le anime che si spandono e son distribuite in tutti i luoghi del mondo? Queste anime attraversano

numerosi cambiamenti, felici o avversi.

Le anime dei rettili passano negli esseri acquatici, quelli degli acquatici passano negli animali terrestri, quelle dei terrestri nei volatili, quelle dei volatili negli uomini; le anime umane pervengono all’immortality passando nei damoni. Quindi esse entrano nel coro degli Dei immobili

- perché vi sono due cori di Dei: uno di Dei erranti e l’altro di Dei fissi – e questo a l’ultimo grado

dell’iniziazione gloriosa dell’anima. Ma quando l’anima, dopo di essere entrata in un corpo umano,resta cattiva, non gode l’immortality né partecipa del bene, ma torna indietro e ridiscende

verso i rettili. Questa a la punizione dell’anima cattiva, e male dell’anima a l’ignoranza. L’anima cieca, non conoscendo nulla degli esseri ,né la loro natura né il bene, a circondata dalle passioni

corporali e, sventurata, non conoscendo sé stessa, a asservita ai corpi stranieri e abietti : essa porta il fardello del corpo e, invece di comandare, obbedisce. Questo a il male dell’anima. Al contrario, la virtù dell’anima a la Gnosi, poiché colui che conosce a buono, pio e giy divino. Tat : – E chi a costui, o padre?

Erm. :- Chi non pronunzia né ascolta molte parole. Chi passa il proprio tempo a discutere, figlio

mio, lotta contro le ombre poiché Dio, il Padre, il Bene, non a discutibile né udibile. Gli esseri hanno sensazioni poiché non possono esistere senza di esse, ma la Gnosi differisce molto dalla sensazione. Questa a un’influenza che si subisce, la Gnosi invece a il fine della sapienza, e la sapienza a un dono di Dio. Poiché ogni sapienza a incorporea e si serve, come di uno strumento,

dell’intelligenza, come questa si serve del corpo. Così l’una e l’altra si servono di un corpo, sia intellettuale, sia materiale: poiché tutto deve risultare dall’opposizione del contrari, e non può essere diversamente.

Tat :- Qual a, dunque, questo Dio materiale?

Erm. :- Il mondo che a bello, ma non buono, giacché a materiale e passibile. Esso a il primo dei

passibili, ma il secondo degli esseri e non basta a sé stesso. Esso a nato, bencha sia sempre, e diviene continuamente. Il divenire a un cambiamento in quality e quantity: ogni movimento materiale a una nascita.

L’intelligenza ferma mette in moto la materia, ed ecco come: il mondo a una sfera cioa una testa:

al disopra della testa nulla a materiale come al disotto dei piedi nulla a spirituale, ma tutto materiale. L’intelligenza a sferica come la testa. Tutto ciò che tocca la membrana di questa testa,

dove a posta l’anima, a immortale, come avente un corpo circondato d’anima e più d’anima che

di corpo. Ma ciò che a lungi da questa membrana, ly dove c’a più corpo che anima, a mortale.

L’universo a un animale composto di materia e d’intelligenza. Il mondo a il primo animale vivente,

l’uomo a il secondo dopo il mondo, e il primo dei mortali a, come gli altri animali, animato. Non solo l’uomo non a buono, ma a cattivo, essendo mortale. Il mondo non a buono, essendo mobile; ma, essendo immortale, non a cattivo. L’uomo, a sua volta, mobile e mortale, a cattivo.

Ecco ora come a formata l’anima dell’uomo : l’intelligenza a nella ragione, la ragione a nell’anima,

l’anima a nello spirito, lo spirito a nel corpo. Lo spirito, penetrando per le vene, per le arterie e pel

sangue, fa muovere l’animale e lo porta, per così dire. Così alcuni hanno creduto che il sangue sia l’anima; ma questo vuol dire conoscere poco la natura e non sapere che lo spirito deve prima

ritornare nell’anima, e, quando il sangue si coagula, le vene e le arterie si vuotano e l’animale perisce.

Tale a la morte del corpo: tutto dipende da un solo principio e questo principio viene dall’unity, a

messo in moto, poi ritorna principio e, diventando unity, rimane fisso e immutabile.

Bisogna dunque considerare tre cose: prima Dio, il padre, il bene, poi il mondo e infine l’uomo. Dio contiene il mondo, il mondo contiene l’uomo.

Il mondo a il figlio di Dio, l’uomo a come il rampollo del mondo. Dio non ignora l’uomo, anzi lo conosce e vuol esser conosciuto da lui. La sola salvezza per l’uomo a la conoscenza di Dio; a la via dell’ascensione verso l’Olimpo; solo così l’anima diventa buona e un po’ cattiva, ma necessariamente buona.

Tat :- Che cosa vuoi dire, o Trimegisto?

Erm. :- Considera, figlio mio, l’anima del fanciullo: la sua separazione non a ancora avvenuta; il

suo corpo a piccolo e non ha avuto ancora un pieno sviluppo.

Tat :- Come?

Erm. :- Essa a bella a vedersi, non ancora contaminata dalle passioni del corpo, ancora quasi attaccata all’anima del mondo. Ma quando il corpo s’a sviluppato e contiene, nella sua mole, l’anima, allora avviene la separazione, si produce in essa l’oblìo e non partecipa più del bello e del bene. Quest’oblìo diventa il vizio.

La stessa cosa accade a quelle che escono dal corpo. L’anima rientra in sé stessa, lo spirito si ritira nel sangue, l’anima nello spirito. Ma l’intelligenza, purificata e liberata dai vincoli, divina per

sua natura, prendendo corpo di fuoco, percorre lo spazio, abbandonando l’anima al giudizio e alla punizione meritata.

Tat :- Che cosa vuoi dire, o padre? L’intelligenza si separa dall’anima e l’anima dallo spirito, poiché tu hai detto che l’anima era l’indumento dell’intelligenza e lo spirito l’indumento dell’anima.

Erm. :- Bisogna, figlio mio, che chi ascolta segua il pensiero di colui che parla e vi si associ ed abbia l’udito più acuto della voce. Questo sistema di indumenti esiste nei corpi terrestri. L’intelligenza tutta nuda non potrebbe stabilirsi in un corpo terrestre, e questo corpo passibile non

potrebbe contenere una tale immortality né portare una tale virtù. L’intelligenza prende l’anima

per suo vestito: l’anima, che pure a divina, si veste dello spirito e questo si spande nell’animale.

Quando poi l’intelligenza lascia il corpo terrestre, essa prende tosto la sua tunica di fuoco che non poteva portare quando abitava in questo corpo terrestre, poiché la terra non sopporta il fuoco, una sola scintilla del quale basterebbe per bruciarla. Ed a per questo che l’acqua circonda

la terra e ne forma una difesa che la protegge dalla fiamma del fuoco. Ma l’intelligenza, il più sottile dei pensieri divini, ha per corpo il più sottile degli elementi. Poiché l’intelligenza, essendo

creatrice di tutte le cose, si serve del fuoco come strumento per la sua creazione. L’intelligenza universale si serve di tutti gli elementi, quella dell’uomo si serve solo degli elementi terrestri.

Privata del fuoco, essa non può costruire opere divine, sottomessa com’a alle condizioni

dell’umanità.

Le anime umane, non tutte però, ma quelle pie, sono demoniache e divine. Una volta separata dal corpo, e dopo aver sostenuta la lotta della pietà che consiste nel conoscere Iddio e non danneggiare alcuno, una tale anima diviene tutta intelligenza. Ma l’anima empia resta nella sua essenza propria e si punisce da sé cercando un corpo terrestre per penetrarvi, un corpo umano,

poiché un altro corpo non può ricevere l’anima umana: essa non saprebbe cadere nel corpo d’un

animale irragionevole: una legge divina preserva l’anima umana da una simile ingiuria. Tat :- E come a punita, o padre, l’anima umana?

Erm. :- Vi a forse un castigo per essa più grande dell’empietà, o figlio mio? Vi a forse una fiamma

più devastatrice? E quale morso di belva può dilacerare il corpo come l’empietà dilacera l’anima?

Non vedi quello che soffre l’anima empia che grida e urla : << Io brucio, io ardo! Che dire, che fare, sventurata, in mezzo ai mali che mi divorano? Sfortunata, io non vedo niente, non intendo

niente! >> .

Ecco le grida dell’anima punita; ma essa non entra in corpi di bestie come credono i più e come tu pure credi, o figlio mio: questo a un gravissimo errore. Il castigo dell’anima a tutt’altro. Quando

l’intelligenza a diventata damone e, dietro gli ordini di Dio, ha preso un corpo di fuoco, essa entra

nell’anima empia e la flagella con la sferza dei suoi peccati. Da questi flagellata, l’anima empia si

precipita allora negli assassini, nelle ingiurie, nelle bestemmie, nelle violenze d’ogni specie e in tutte le malvagità umane.

Invece l’intelligenza, entrando nell’anima pia, la conduce alla luce della Gnosi . Un’anima simile non a mai sazia d’inni e di benedizioni per tutti gli uomini, e, facendo del bene con le parole e con

le opere, rassomiglia a suo padre. Bisogna dunque render grazie a Dio, figlio mio, e domandargli

una buona intelligenza.

L’anima cangia di condizione in meglio, ma non in peggio.C’a una comunione con le anime: quelle degli Dei comunicano con quelle degli uomini; queste con quelle degli animali . Le più forti

si prendono cura delle più deboli; gli Dei degli uomini, gli uomini degli animali irragionevoli, e Dio

di tutto, poiché egli sorpassa tutto ed ogni cosa gli a inferiore. Il mondo a sottomesso dunque a

Dio, l’uomo al mondo, gli animali all’uomo, e Dio a sopra a tutto e abbraccia tutto. Le energie sono quasi i raggi di Dio; i raggi del mondo sono le creazioni; i raggi dell’uomo sono le arti e le scienze. Le energie agiscono attraverso il mondo e sull’uomo mediante i raggi creatori; le creazioni agiscono mediante gli elementi, l’uomo mediante le arti e le scienze.

Questo a il regime universale, conseguenza di una sola natura e di una sola intelligenza. Poiché nulla a più divino e più potente dell’intelligenza né più valido ad unire gli Dei agli uomini e gli uomini agli Dei . Essa a il buon démone: l’anima fortunata ne a ripiena, l’anima infelice ne a priva.

Tat :- Che cosa vuoi dire, o padre?

Erm. :- Tu credi dunque, figlio mio, che ogni anima abbia una buona intelligenza? Poiché a di questa che io parlo e non di quella che a al servizio dell’anima – di cui prima abbiamo discorso – e

che serve di strumento alla giustizia. L’anima, senza intelligenza, non potrebbe né parlare né agire. Spesso l’intelligenza abbandona l’anima, e, in questo stato, l’anima non vede niente, non intende niente e somiglia a un animale irragionevole. Tale a il potere dell’intelligenza. Ma essa non sostiene l’anima viziosa e la lascia attaccata al corpo che la trascina in basso. Un’anima

simile, o figlio, non ha intelligenza e, in questa condizione, un uomo non può chiamarsi più un uomo. Poiché l’uomo a un animale divino che deve esser paragonato non agli altri animali terrestri, ma a quelli del cielo che son detti Dei. O piuttosto – se bisogna dire audacemente la verità – l’uomo vero a al disopra di essi o, per lo meno, loro uguale. Poiché nessun Dio celeste lascia la sua sfera per venire sulla terra, mentre l’uomo sale al cielo e lo misura, e sa con esattezza ciò che c’a in alto e ciò che c’a in basso, e per di più, non ha bisogno di lasciar la terra

per elevarsi, tale a la grandiosità della sua condizione.

Così osiamo dire che l’uomo a un Dio mortale e che un Dio celeste a un Uomo immortale. Cos’ tutte le cose son governate dal mondo e dall’uomo, e sopra a tutto c’a l’Uno.

ERMETE TRIMEGISTO A TAT:

DELL’INTELLIGENZA COMUNE

L’Intelligenza, o Tat, appartiene all’essenza stessa di Dio, se pure Dio ha un’esssenza, ciò che lui

solo può sapere esattamente. L’Intelligenza non a dunque separata dalla natura di Dio: essa le a

unita come luce al sole. Questa intelligenza a il Dio che a in noi: a per questo che alcuni uomini sono Dei e che la loro umanità a vicina alla divinità. Il buon damone disse che gli Dei sono uomini

immortali e che gli uomini sono Dei mortali. Negli animali irragionevoli l’intelligenza a la natura,

poiché dove c’a anima c’a intelligenza, allo stesso modo che dove c’a la vita c’a pure un’anima.

Ma negli animali irragionevoli l’anima a una vita priva d’intelligenza. L’intelligenza a la guida benefica delle anime umane: essa la conduce verso il loro bene. Presso gli animali, essa agisce nel senso della loro natura; presso l’uomo, in senso contrario.

Poiché, da quando l’anima penetra nel corpo, a vivificata dal dolore e dal piacere che sono come

effluvii emananti dal corpo e dove l’anima discende e vi si tuffa.

L’Intelligenza, scoprendo il suo splendore alle anime che governa, lotta contro le loro tendenze, allo stesso modo che un buon medico usa il fuoco e il ferro per combattere le malattie e risanare

il corpo. E’ così che l’intelligenza afflige l’anima, togliendola dal piacere che a la sorgente di tutte

le sue malattie. La gran malattia dell’anima a l’allontanamento da Dio; a l’errore che trascina tutti i

mali senza alcun bene. L’intelligenza la combatte e riavvicina l’anima a Dio, come il medico rende

la salute ai corpi.

Le anime umane, che non hanno l’intelligenza per guida, sono nello stesso stato degli animali irragionevoli . L’intelligenza le abbandona alle passioni che le trascinano con l’esca del desiderio

verso l’irragionevole, come l’istinto irriflessivo degli animali. Le loro collere e i loro appetiti, egualmente ciechi, le stringono verso il male senza che esse siano mai sazie.

Contro questo straripare del male, Dio ha posto una diga, un freno che a la Legge.

Tat : Questo, padre mio, sembra contraddire quello che tu mi hai detto prima, parlando del destino. Se questi o quegli a fatalmente destinato a commettere un adulterio, un sacrilegio o qualche altro delitto, perché a punito una volta che agisce per necessità fatale?

Erm.: Tutto a sottomesso al destino, o figlio mio, e nelle cose corporee nulla accade al difuori di

esso, né di bene né di male. E’ fatale che colui che ha mal fatto sia punito; ed egli agisce per subire la punizione del suo atto. Ma lasciamo la questione del male e del destino che abbiamo trattato altrove. Noi parliamo ora dell’intelligenza, della sua potenza, dei suoi effetti, differenti nell’uomo e negli altri animali irragionevoli sui quali la sua azione benefica non si esercita, mentre

che nell’uomo essa smorza le passioni e i desideri. Ma, tra gli uomini, bisogna distinguere i ragionevoli dagli irragionevoli. Tutti gli uomini ,son sottomessi al destino, nella generazione e nella trasformazione che sono il principio e la fine del destino; e tutti gli uomini sopportano

quello

che a loro destinato. Ma i ragionevoli che sono – come abbiamo detto – guidati dall’intelligenza, non soffrono quello che soffrono gli altri: essi sono estranei al male e, non essendo cattivi, non soffrono il male.

Tat : Che vuoi dire, o padre? L’adultero non a cattivo, l’assassino non a cattivo, e gli altri non sono cattivi?

Erm.: Ma il saggio, o figlio, non avendo commesso adulterio, soffriry, ma [non] come assassino.

E’ impossibile sfuggire alle condizioni del cangiamento come a quelle della nascita, ma colui che

ha l’intelligenza può evitare il vizio. Così, o figlio mio, io ho spesso udito dire da un buon Damone; e se egli avesse scritto avrebbe reso gran servigio agli uomini, poiché lui solo, figlio mio, come il Dio primo nato, sapeva tutto e pronunciava le parole divine. Egli diceva dunque che

tutto a uno e soprattutto i corpi intelligibili; che noi viviamo in potenza, in atto e in eternity. Così la

buona intelligenza [ rassomiglia ] alla propria anima. Così essendo, nulla a separato dagli

intelligibili; così l’intelligenza, principio di tutte le cose e anima di Dio, può far tutto ciò che vuole.

Rifletti dunque e metti in relazione questo con la questione che tu mi ponevi riguardo alla fatality

e all’intelligenza.

Poiché, mettendo da parte le parole che si prestano alla discussione, tu troverai, figlio mio, che l’intelligenza, anima di Dio, domina veramente tutte le cose: il destino, la legge e il resto. Nulla le

a impossibile, né di sottometterla ad esso, rendendola indifferente agli accidenti. Così parlava il buon damone.

Tat : Erano parole divine, vere e utili; ma ancora una spiegazione. Tu hai detto che negli animali

irragionevoli l’intelligenza agisce conforme a natura e nel senso dei loro appetiti. Ma gli appetiti degli animali irragionevoli sono, mi sembra, passioni; l’intelligenza a dunque una passione se si confonde con esse?

Erm.: Bene, o figlio. La tua obiezione a seria e io devo rispondere. Tutto ciò che vi a di incorporeo nel corpo a passivo ed a questo che si dice propriamente ” passione”. Poiché ogni motore a incorporeo e ogni mobile a corporeo. L’incorporeo a mosso dall’Intelligenza, e il movimento a una passione.

Il mobile, quello che comanda e quello che obbedisce, sono dunque egualmente passivi. Ma, separandosi dal corpo, l’intelligenza sfugge alla passione. O piuttosto, figlio mio, nulla vi a d’impossibile, tutto a possibile. Ma la passione differisce dal passivo: l’una agisce, l’altra subisce.

I corpi stessi hanno un’energia propria: siano mobili o immobili, a sempre una passione. Ma

l’incorporeo a sempre agitato e di conseguenza, passivo. Non lasciarti dunque impressionare dalle parole: azione o passione, a tutt’una cosa. Ma non a male servirsi dell’espressione più nobile.

Tat : Questa spiegazione a chiarissima, padre.

Erm.: Rifletti inoltre, figlio mio, che l’uomo ha ricevuto da Dio, più di tutti gli animali mortali, due

doni eguali all’immortality cioa l’intelligenza e la ragione; ed oltre a ciò egli possiede la ragione enunciativa [il linguaggio]. Se di questi fa un uso conveniente, non differiry in nulla dagli immortali; uscendo dal corpo, s’innalzery, guidato dall’Intelligenza e dal Verbo, verso il coro dei

felici e degli Dei.

Tat : Gli altri animali, o padre, non hanno dunque l’uso della parola?

Erm.: No, figlio mio, essi hanno soltanto la voce. La parola e la voce sono due cose differentissime. La parola a comune a tutti gli uomini, la voce a differente in ciascun genere d’animali.

Tat : Ma, padre mio, il linguaggio differisce pure tra gli uomini, da una nazione all’altra.

Erm.: Il linguaggio a diverso, ma l’uomo a lo stesso perché la ragione parlata a una, e, con la traduzione, si vede che a la stessa, in Egitto, in Persia, in Grecia. Mi sembra, figlio, che tu non conosca la virtù e la grandezza della parola. Il Dio felice, il Damone, ha detto che l’anima a nel corpo, l’intelligenza nell’anima, il verbo nell’intelligenza, e che Dio a il padre di tutto ciò. Il Verbo a, dunque, l’immagine dell’Intelligenza, l’Intelligenza a l’immagine di Dio, il corpo a l’immagine dell’idea, l’idea a l’immagine dell’anima.

La parte più sottile della materia a l’aria, dell’aria l’anima, dell’anima l’int elligenza, dell’intelligenza

Iddio. Dio avvolge e penetra tutto; l’intelligenza avvolge l’anima; l’anima avvolge l’aria; l’aria avvolge la materia. La necessità, la provvidenza e la natura sono gli strumenti del mondo e dell’ordine materiale. Ciascuno degl’intelligibili a una essenza, e la loro essenza a l’identità. Ogni corpo che compone l’universo a multiplo, poiché i corpi composti, avendo in sé l’identità e trasformandosi gli uni negli altri, conservano intatta l’identità. In tutti gli altri corpi composti a il

numero di ciascuno, perché, senza numero, non può esserci né composizione né combinazione né dissoluzione. Le unità generano i numeri e li aumentano e separandosi, rientrano in sé stesse.

La materia a una, e il mondo intero, questo gran dio, immagine del Dio supremo unito a lui, guardiano dell’ordine stabilito dalla volontà del padre, a la pienezza di vita.

E non v’a nulla, in tutta l’eternità della costituzione che ha ricevuto dal padre, non v’a nulla, nell’insieme o nelle parti, che non sia vivente. Nulla a stato mai morto nel mondo, e non a e non

sarà mai tale. Il padre ha voluto che fosse vivo per tutta la sua esistenza. E’ dunque, necessariamente, un Dio.

E come in Dio, nell’immagine dell’universo, nella pienezza della vita, potrebbero esserci delle cose morte? Cadavere a ciò che si decompone e si distrugge; e come mai una parte dell’incorruttibile potrebbe corrompersi, e come qualche cosa di Dio potrebbe perire?

Tat : Gli esseri viventi che sono in lui e che sono parti di lui non muoiono dunque, o padre? Erm.: Non dir questo, figlio mio: a una falsa espressione: nulla muore, ma soltanto ciò che era composto si divide. Questa divisione non a una morte: a l’analisi di una combinazione; ma lo scopo di quest’analisi non a la distruzione, a la rinascita. Qual a, in fondo, l’energia della vita? Non a il movimento? E che cosa c’a di immobile nel mondo? Nulla, figlio mio.

Tat : La terra non ti sembra immobile, padre?

Erm.: No, figlio; essa ha molti movimenti nel mentre che a stabile. Non sarebbe assurdo supporla

immobile, essa, la nutrice universale che fa nascere e crescere tutto.

Non c’a produzione senza movimento. E’ questione ridicola domandare se la quarta parte del mondo sia inerte, poiché un corpo immobile non significa altro che inerzia. Sappi dunque, figlio mio, che tutto ciò che a nel mondo, senza eccezione a la sede di un movimento, di accrescimento o di diminuzione. Ora tutto quel che si muove a vivente e la vita universale a una

trasformazione necessaria. Nel suo insieme, il mondo non cambia, ma tutte le sue parti si trasformano. Nulla si perde o si distrugge, ma vi a una confusione nelle parole: non la nascita a

vita, ma la sensazione; non il cambiamento a morte, ma la vita, l’intelligenza, il soffio, l’anima, tutto ciò che forma l’essere vivente. Ogni animale a, dunque, immortale per l’intelligenza e, soprattutto, l’uomo che a capace di ricevere Iddio e che partecipa della sua essenza. Poiché a il solo animale che si trovi in comunicazione con Dio, di notte mediante i sogni, di giorno mediante i

presagi. Dio gli fa conoscere l’avvenire con ogni sorta di mezzi; con hli uccelli, con le viscere, col

soffio, con le querce. L’uomo può dunque dire che conosce il passato, il presente e il futuro. Considera inoltre che ciascuno degli altri animali vive solo in una parte del mondo: gli animali

acquatici nell’acqua, quelli terrestri sulla terra, quelli volatili nell’aria; l’uomo invece si serve di tutti

gli elementi: la terra, l’acqua, l’aria, il fuoco. Egli vede anche il cielo e lo tocca con questa sensazione.

Dio avvolge e penetra tutto poiché egli a l’azione e la potenza; non a difficile concepire Iddio,

figlio mio. Ma se tu vuoi anche contemplarlo, osserva l’ordine e la bellezza del mondo, la

necessità che presiede alle sue manifestazioni, la provvidenza che regola ciò che a stato e ciò

che diviene; vedi la vita che riempie la materia e il movimento di questo gran Dio con tutti gli

altri

Dei buoni e belli e con i damoni e gli uomini.

Tat : Ma queste sono pure energie, padre?

Erm.: Se sono energie, chi le fa agire se non Dio? Non sai tu che se il cielo, la terra, l’acqua,

l’aria fanno parte del mondo, fanno parte di Dio la vita e l’immortalità e l’energia e il soffio e la

necessità e la provvidenza e la natura e l’anima e l’intelligenza e la permanenza di tutte le cose

che si chiamano ” il bene” ? In tutto ciò che a o si produce, vi a Dio.

Tat : C’a dunque nella materia, o padre?

Erm.: La materia, figlio mio, a fuori di Dio se tu vuoi attribuirle un luogo speciale: ma la

materia

non messa in opera, che cos’altro a se non una massa confusa? E se a messa in opera, ciò

avviene per le energie, ed abbiamo detto che le energie son parti di Dio. Da chi i viventi

ricevono

la vita e gli immortali l’immortalità? Chi produce le trasformazioni? Sia materia, corpo,

essenza,

sappi che sono là le energie di Dio: energia materiale nella materia, corporale nel corpo,

essenziale nell’essenza. Tutto quest’insieme a Dio, e nell’universo non c’a nulla che non sia

Dio.

Così non c’a né grandezza né luogo, né qualità né forma né tempo al di là di Dio, poiché egli a

tutto, egli penetra tutto, egli avvolge tutto. Adora questa parola e inchinati, o figlio, e rendi a

Dio il

solo culto che gli conviene, cioa di non esser cattivo.

ERMETE TRIMEGISTO A SUO FIGLIO TAT:

DISCORSO SEGRETO SULLA MONTAGNA DELLA RINASCITA E DELL’ORDINE DEL

SILENZIO

Nei discorsi generali, padre, tu hai parlato per enigma sulla divinità e non hai rivelato il senso

delle tue parole quando hai detto che nulla poteva esser salvo senza rinascere. Io mi rivolsi a

te

supplicandoti di spiegarmi le parole che tu mi avevi dette nel passaggio della montagna,

desiderando apprendere la parola della rinascita che mi a più sconosciuta del resto, e tu mi

dicesti che me l’avresti fatta conoscere quando io sarei stato straniero al mondo ; io mi

preparai

dunque a rendere il mio pensiero straniero all’illusione del mondo. Conducimi ora, secondo la

tua

promessa, all’iniziazione ultima della rinascita, sia a voce, sia per un cammino nascosto. Io non

so, o Ttimegisto, di quale materia, di quale matrice, di quale semenza l’uomo sia nato.

Erm.: O figlio mio, la saggezza ideale a nel silenzio e il vero bene a la semenza.

Tat : E chi la semina? Perché io ho bisogno di conoscere tutto.

Erm.: La volontà di Dio, figlio.

Tat : E donde viene il generato, padre mio? Essendo privato dell’essenza intelligibile che a in

me,

altro sarà il dio generato, il figlio di Dio.

Erm.: Il tutto nel tutto, composto di tutte le forze.

Tat : E’ un enigma, padre mio, e tu non mi parli come un padre parla al suo figlio.

Erm.: Questo genere di verità non si impara, figlio mio, ci si ricorda quando Iddio lo vuole.

Tat : Tu mi dici cose impossibili e violente, padre, ma io voglio giustamente obiettarti: Sono

uno

straniero, il figlio di un’altra razza? Non ripudiarmi, padre, ché io sono il tuo vero figlio ;

spiegami

il modo della rinascita .

Erm.: Che ti dirò , figlio mio? Non ho nulla da dirti fuorché questo : una visione ineffabile si a

prodotta in me. Per la misericordia di Dio , io sono immortale, non sono più lo stesso, sono

nato

in intelligenza . Ciò non si apprende da questo elemento modellato , per mezzo del quale a

dato

vedere, per ciò io non mi curo più della mia primitiva forma composta , né m’importa che io sia

colorato , tangibile e misurabile. Io sono straniero a tutto ciò . Tu mi vedi con i tuoi occhi e

pensi a

un corpo e a una forma visibile, ma non con codesti occhi mi si vede ora, o figlio .

Tat : Tu mi fai diventar pazzo , mi fai perdere la ragione, padre mio . Io non vedo più me

stesso ,

ora.

Erm.: Possa tu, figlio mio , uscire da te stesso senza dormire, come si a, dormendo ,

trasportati

nel sogno .

Tat : Dimmi ancora questo : chi a il generatore della rinascita?

Erm.: Il Figlio di Dio , l’Uomo uno per volonty di Dio .

Tat : Ora, padre mio , tu mi hai reso muto ; non so che pensare, poiché ti vedo sempre della stessa grandezza e con la stessa figura.

Erm.: Tu t’inganni anche in questo , poiché le cose mortali cambiano aspetto tutti i giorni: il tempo

le accresce o le diminuisce: esse non sono che menzogne.

Tat : E che cosa a vero , o Trimegisto?

Erm.: Ciò che non a turbato , figlio , ciò che non ha né colore né forma: l’immutabile, il nudo , il

luminoso , ciò che si comprende da sé, l’inalterabile, il bene, l’incorporeo .

Tat : In verity io perdo il giudizio , padre mio . Mi sembrava che mi avessi fatto divenir saggio , e

questo pensiero distrugge le mie sensazioni.

Erm.: Così a, filgio mio . La parte leggera si solleva come il fuoco , la parte pesante discende come la terra, e l’umido cola come l’acqua e il soffio spira come l’aria. Ma come potrai cogliere con i sensi ciò che non a né solido né liquido né duro né molle, ciò che si concepisce solo in potenza e in energia? Per comprendere la nascita in Dio , ti bisogna la sola intelligenza. Tat : Ne sono dunque incapace, o padre?

Erm.: Non disperare, figlio mio ; il tuo desiderio si compiry, il tuo volere avry il suo effetto ; addormenta le sensazioni corporee, e tu nascerai in Dio , purificato dalle cieche vendette della materia.

Tat : Io ho dunque delle vendette in me?

Erm.: E non in piccolo numero , figlio mio ; esse sono terribili e numerose.

Tat : Ed io non le conosco?

Erm.: La prima a l’ignoranza, la seconda la tristezza, la terza l’intemperanza, la quarta la concupiscenza, la quinta l’ingiustizia, la sesta l’avarizia, la settima l’errore, l’ottava l’invidia, la nona la malizia, la decima la collera, l’undicesima la temerity, la dodicesima la malvagity. Sono dodici e ne hanno sotto di sé un gran numero ancora. Mediante la prigione dei sensi, esse sottomettono l’uomo interiore alla passione dei sensi. Essi s’allontanano a poco a poco da colui che Dio ha preso a piety, ed ecco in che cosa consistono il modo e la ragione della rinascita. Ed ora, figlio mio , silenzio , e lode a Dio : la sua misericordia non ci abbandonery. Rallagrati ora, figlio mio , purificato dalla potenza di Dio nell’articolazione della parola.

La Gnosi a entrata in noi, e subito l’ignoranza a fuggita. La conoscenza della gioia ci giunge e, davanti a essa, figlio mio , la tristezza fuggiry verso quelli che possono ancora provarla. La potenza che io invoco , dopo la gioia, a la temperanza; o bella virtù! Sforziamoci di riceverla, figlio

; il suo arrivo scaccia l’intemperanza. In quarto luogo invoco la continenza, la forza opposta alla

concupiscenza. Questo grado, figlio mio , a il seggio della giustizia: vedi come essa ha cacciato ,

senza lotta, l’ingiustizia. Noi siamo fatti giusti, figlio mio ; l’ingiustizia a fuggita. Evoco la sesta potenza: la comunity che viene in noi per lottare contro l’avarizia. Quando questa a andata via, invoco la verity; l’errore fugge e la ralty appare.

Vedi, figlio , la pienezza dei beni che segue l’apparizione della verity, poiché l’invidia s’allontana

da noi, e, per mezzo della verità, il bene ci giunge con la vita e con la luce, e non resta più in noi

alcuna vendetta delle tenebre, ma, vinte dall’impeto , si ritirano .

Tu conosci, figlio mio , la via della rigenerazione. Quando la decade è completa, la nascita ideale

è compiuta, la dodicesima vendetta è cacciata, e noi nasciamo alla contemplazione.

Colui che ottiene dalla misericordia divina la nascita in Dio , è liberato dalle sensazioni corporee,

riconosce gli elementi divini che lo compongono e gode d’una perfetta felicità.

Tat : Fortificato da Dio , o padre, io contemplo non con gli occhi, ma con l’energia intellettuale delle potenze. Io sono nel cielo , sulla terra, nell’acqua, nell’aria; io sono negli animali, nelle piante, nell’utero , prima dell’utero , dopo l’utero , dovunque. Ma dimmi ancora questo : come le

vendette delle tenebre che sono il numero di dodici, sono cacciate dalle dieci potenze? Quale ne

è il modo , o Trimegisto?

Erm.: Questa tenda che abbiamo attraversato , figlio mio , è formata dal cerchio zodiacale che si

compone di dodici segni, di una sola natura e d’ogni sorta di forme. Esistono là delle coppie destinate a perdere l’uomo e che si confondono nella loro azione. La temerità è inseparabile dalla

collera: esse non possono esser distinte. E’ dunque naturale e conforme alla giusta ragione che spariscano insieme, cacciate dalle dieci potenze, cioè dalla ” decade ” , poiché questa, o figlio , è

la generatrice dell’anima. La vita e la luce sono unite là dove nasce l’unità dello spirito . L’unità contiene dunque, razionalmente, la decade, e la decade contiene l’unità.

Tat : Padre, io vedo l’universo in me stesso , nell’Intelligenza.

Erm.: Ecco la rinascita, figlio mio ; distogliere il pensiero dal corpo delle tre dimensioni, secondo

questo discorso sulla rinascita che io ho commentato , affinché noi non sembriamo nemici dell’universo alla folla, cui Dio non vuol rivelare queste cose.

Tat : Dimmi, padre, questo corpo composto di potenze si decompone?

Erm.: Parla bene, figlio mio , non dire delle cose impossibili: sarebbe un errore e una empietà dell’occhio della tua intelligenza. Il corpo sensibile della natura è lontano dalla generazione essenziale. L’uno è decomponibile, l’altro no ; l’uno è mortale l’altro immortale. Non sai che sei diventato Dio e figlio dell’Uno come me?

Tat : Io vorrei, o padre, la benedizione dell’inno che tu hai promesso di farmi sentire quando io fossi giunto all’ ” ogdoade ” delle potenze.

Erm.: Secondo l’ ” ogdoade ” rivelata da Pimandro , tu ti affretti con ragione, figlio , di uscire dalla

tua tenda ( dal tuo corpo ) perché sei purificato . Pimandro , l’Intelligenza sovrana, non mi ha trasmesso nulla di più di quel che è scritto , sapendo che io potevo , da me, comprendere e intendere tutto quello che volessi, e veder tutte le cose; e mi ha prescritto di fare ciò che è bello .

Ecco perché tutte le potenze che sono in me, lo cantano .

Tat : Io voglio , padre, intendere e comprendere.

Erm.: Ripòsati, figlio , e intendi la benedizione perfetta, l’inno di rigenerazione che io non ho voluto rivelare tanto facilmente se non a te, in fine di tutto . Poiché esso non s’insegna, ma si nasconde nel silenzio . Così, figlio mio , mettiti in luogo scoperto e, guardando verso il vento di Sud, prostèrnati al cadere del sole, e al suo levare prostèrnati dalla parte del vento di Est. Ascolta

dunque, figlio mio :

Inno Segreto

Tutta la natura del mondo ascolti quest’inno.

Apriti terra; ogni serbatoio di pioggia s’apra per me; gli alberi non si agitino più. Io sto per inneggiare al Dio della creazione, al Tutto, all’Unico. Apritivi, cieli; venti, placatevi, il cerchio immortale di Dio riceva la mia parola, poiché sto per cantare il Creatore dell’Universo, colui che

ha reso stabile la Terra, che ha sospeso il Cielo, che ha ordinato all’acqua dolce di uscire dall’Oceano e di spandersi sulla Terra, abitata e disabitata, per nutrimento ed uso di tutti gli uomini; che ha ordinato al Fuoco di brillare su tutte le azioni degli uomini e degli Dei. Diamo la benedizione a colui che a al di sopra del cielo, al Creatore di tutta la natura. Egli a l’occhio dell’Intelligenza: riceva le benedizioni delle mie potenze. Cantate l’Uno e il Tutto, potenze che siete in me; cantate secondo la mia volontà, o mie potenze. Gnosi santa, illuminato da te, io canto, per tuo mezzo, la luce ideale, io mi rallegro nella gioia dell’Intelligenza. O tutte mie potenze, cantate con me: canta, o mia continenza; o mia giustizia, canta per me la giustizia; o mia comunità, canta il Tutto; verità, canta per me la verità; bene, canta il bene. Vita e luce, da noi

a voi sale la benedizione. Io ti benedico, o Padre, energia delle mie potenze; io ti benedico, Dio,

potenza delle mie energie. Il tuo Verbo ti canta per me; ricevi, per me, l’universale nel Verbo, il

sacrificio verbale. Ecco quel che gridano le potenze che sono in me. Esse cantano te, l’Universale , esse compiono la tua volontà.

Salva l’universale che a in noi, o Vita, illumina, o Luce, Spirito di Dio ! Poiché l’Intelligenza fa nascere la tua parola, Creatore che porti lo Spirito! Tu sei Dio e l’uomo che ti appartiene grida queste cose attraverso il fuoco, l’aria, la terra, l’acqua, lo spirito; attraverso le tue creazioni. Io ho trovato la benedizione nella tua eternità. Ciò che io cerco, l’ho ottenuto dalla tua saggezza:

so che per la tua volontà io ho pronunciata questa benedizione.

Tat : O padre, io ti ho collocato nel mio mondo.

Erm.: Dì nell’Intelligibile, figlio mio .

Tat : Nell’Intelligibile, padre; io lo posso . Il tuo inno e la tua benedizione hanno illuminata la mia

intelligenza; anche io voglio inviare, col mio pensiero, una benedizione a Dio .

Erm.: Non farlo alla leggera, figlio mio .

Tat : Nell’Intelligenza, o padre mio , quel che io contemplo ti dico , o principe della generazione:

io innalzo a Dio il sacrificio verbale. Dio , tu sei il Padre, tu sei il Signore, tu sei l’Intelligenza: ricevi il sacrificio verbale che vuoi da me, poiché tutto quel che tu vuoi si compie.

Erm.: Tu, o figlio , manda a Dio , Padre di tutte le cose, il sacrificio che gli conviene, ma aggiungi:

mediante il Verbo .

Tat : Ti ringrazio , padre mio , dell’avvertimento .

Erm.: Io sono lieto , o figlio , che tu abbia ricevuto i buoni frutti della Verità, i germi immortali. Apprendi da me a celebrare il silenzio della virtù senza rivelare a nessuno la rinascita che ti ho trasmessa, affinché noi non siamo creduti diavoli. Poiché ciascuno di noi ha meditato , io parlando , tu ascoltando . Tu hai conosciuto intellettualmente te stesso e il nostro Padre

ERMETE TRIMEGISTO AD ASCLEPIO : DELLA SAGGEZZA

Poiché in tua assenza, il mio figlio Tat ha voluto essere istruito sulla natura degli esseri, non mi a

stato possibile passare oltre, perché egli a mio figlio ed a giovanissimo; perciò, venendo alle conoscenze particolari, sono stato costretto ad essere prolisso per dargliene una spiegazione più

facilmente comprensibile. Ma ho voluto inviarti un estratto di quel che a stato detto di più importante, con una interpretazione più mistica, considerando la tua età più avanzata e la tua conoscenza della natura.

Se tutto quello che si manifesta ha avuto un principio, una nascita, a nato non da sé stesso ma da altra cosa.

Le cose create son numerose, o, piuttosto, ogni cosa apparente, differente e non simile, nasce da un’altra cosa. C’a dunque qualcuno che le fa e che a increato e anteriore a ogni creazione.Dico che tutto quello che a nato, a nato da un altro e che nessun essere creato può essere anteriore a tutti gli altri, ma soltanto l’Increato può esser tale. Esso a superiore in forze, uno e solo, veramente saggio in tutte le cose, poiché nulla l’ha preceduto. Da lui dipendono la moltitudine, la grandezza, la differenza degli esseri creati, la continuità della creazione e la sua

energia. Inoltre le creature sono visibili, ma egli a invisibile. Bisogna dunque concepirlo con l’intelligenza; comprenderlo vuol dire ammirarlo: chi l’ammira arriva alla beatitudine per la conoscenza del suo venerabile padre.

Poiché che c’a di più dolce di un padre? Chi a lui e come lo conosceremo? Bisogna designarlo col nome di “Dio” o con quello di “Creatore” o con quello di “Padre” o con questi tre nomi insieme?

“Dio” risponde alla sua potenza; “Creatore” alla sua attivity; “Padre” alla sua bonty. La sua potenza a distinta dalle sue creature, la sua energia risiede nell’universality della sua creazione.

Lasciamo dunque da parte il chiaccherio e le parole vuote, e concepiamo due termini: il creato e

il creatore; tra essi non v’a posto per un terzo. Ogni volta che tu rifletti sull’universo e ne senti parlare, ricordati di questi due termini e pensa che sono tutto quello che esiste senza che si possa lasciar nulla fuori di essi, sia in alto, sia in basso, sia nel divino, sia nel cangiamento, sia negli abissi. Questi due termini: il creato e il creatore comprendono tutto l’universo e sono inseparabili l’uno dall’altro, poiché non può esistere creatore senza creazione né creazione senza

creatore. Ognuno di essi a definito dalla sua funzione e non può astrarsi dall’altro più che da sé stesso.

Se il Creatore non a altro che colui che crea, funzione unica, semplice e non complessa, egli si crea, necessariamente, da sé, poiché, creando, egli diventa creatore. Allo stesso modo il creato nasce, necessariamente, da un altro: senza creatore il creato non può nascere né esistere: ciascuno perderebbe la propria natura se fosse separato dall’altro.

Se dunque si riconosce l’esistenza dei due termini, l’uno creato, l’altro creatore, la loro unione a

indissolubile: l’uno precede, l’altro segue; il primo a il Dio Creatore, il secondo a il creato, qualunque esso sia. E non credere che la gloria di Dio sia abbassata per la variety della creazione: la sua unica gloria a di prodursi, e questa funzione a, per così dire, il suo corpo. Ma nulla di cattivo o di brutto può essere considerato come opera sua. Questi accidenti sono conseguenze inerenti alla creazione, come la ruggine al ferro o il sudiciume al corpo.

Non a il fabbro che fa la ruggine né i genitori che fanno il sudiciume né Dio che fa il male; ma, per la durata e le vicissitudini delle cose create, queste efflorescenze si producono; ed a per questo che Dio ha creato il cambiamento, quasi per purificare la creazione.

E se al pittore a dato fare il cielo e gli Dei, la terra, il mare, gli uomini e gli animali d’ogni specie,

gli esseri immortali e le piante, a Dio non sary dato creare tutto ciò? O follia! O ignoranza della natura divina! Questa opinione a la peggiore di tutte. Credersi pieno di religione e di piety e rifiutare a Dio la creazione di tutte le cose, vuol dire non conoscere Iddio e aggiungere all’ignoranza una solenne empiety, attribuendo a lui orgoglio, impotenza, ignoranza e invidia. Poiché, se egli non crea tutto, a per orgoglio, o perché non può o perché non sa o perché invidia

l’esistenza delle sue creature. Pensar questo a empiety.

Poiché Dio non ha che una passione: il bene; e la bonty esclude l’orgoglio, l’impotenza e il resto.

Ecco quel che a Dio: il bene con potere di ogni creazione. Ogni creatura a generata da Dio, cioa dal bene e dall’onnipotenza creatrice. Se vuoi sapere come Iddio produca e come nasca la creazione, tu puoi saperlo: ne hai la più bella e più rassomigliante immagine in un agricoltore che

getta semenze sulla terra: qui orzo, ly frumento, ly qualche altro seme: eccolo che pianta una

vigna, un melo, un fico e altri alberi. Così Dio semina nel cielo l’immortality, sulla terra il cambiamento, dovunque vita e movimento. Questi principii non sono numerosi, sono facili a contarsi. Ce ne sono quattro in tutto; ed essi, Dio e la creazione, costituiscono tutto ciò che esiste.

Ho Detto .

Tavola di smeraldo

Questo a vero senza menzogna, certo e verissimo.

Ciò che a in basso a come ciò che a in alto e ciò che a in alto a come ciò che a in basso per

fare

i miracoli della cosa una.

E poiché tutte le cose sono e provengono da una, per la mediazione di una, così tutte le cose sono nate da questa cosa unica per adattamento.

Il Sole è suo padre, la Luna è sua madre, il Vento l’ha portata nel suo grembo, la Terra è la sua nutrice.

Il padre di ogni telesma, di tutto il mondo è qui. La sua forza è intera se essa è convertita in terra

Separerai la Terra dal Fuoco, il sottile dallo spesso dolcemente e con grande industria

Egli sale dalla Terra al Cielo e nuovamente discende in Terra e riceve la forza delle cose superiori e inferiori

Con questo mezzo avrai la gloria di tutto il mondo e per mezzo di ciò l’oscurità fuggirà da te È la forza forte di ogni forza: perché vincerà ogni cosa sottile e penetrerà ogni cosa solida Così è stato creato il mondo

Da ciò saranno e deriveranno meravigliosi adattamenti, il cui metodo è qui

È perciò che sono stato chiamato Ermete Trimegisto, possedendo le tre parti della Filosofia del mondo intero

Ciò che ho detto dell’operazione del Sole è compiuto e terminato.

Versione latina

SMARAGDINA HERMETIS TABULA

Verum sine mendacio, certum et verissmum.

Quod est inferius est sicut quod est superius, et quod est superius est sicut quod est inferius ad

perpetranda miracola Rei Unius. Et sicut omnes res fuerunt Uno, meditatione Unius: sic omnes res natae fuerunt ab hac Una re adaptatione. Pater eius est Sol, mater eius Luna. Portavit illud ventus in ventre suo. Nutrix eius terra est. Pater omnis telesmi totius mundi est hic. Vis eius integra est, si versa fuerit in terram. Separabis terram ab igne, subtile a spisso, suaviter cum magno ingenio. Ascendit a terra in coelum, iterumque descendit in terram, et recipit vim superiorum et inferiorum. Sic habes gloriam totius mundi. Ideo fugiet a te omnis obscuritas. Hic

est totius fortitudinis fortitudo fortis, quia vincet omnem rem subtilem; omnemque solidam penetrabit: SIC MUNDUS CREATUS EST. Hinc erunt adaptationes mirabiles, quarum modus hic est. Itaque vocatus sum Hermes Trismegistus, habens tres partes philosophiae totius mundi. Completum est quod dixi de operatione solis.

Hermes Trismegistus

STORIA

Diodoro nella sua Biblioteca Storica ( libro I, 15-16) scrive: “Tra tutti Osiride teneva nel più alto

grado di considerazione Ermes, perché fornito di naturale sagacia nell’introdurre innovazioni capaci di migliorare la vita associata. Secondo la tradizione, infatti sono opera di Ermes l’articolazione del linguaggio comune, la denominazione di molti oggetti fino ad allora privi di nome, la scoperta dell’alfabeto e l’organizzazione dei rituali pertinenti agli onori e ai sacrifici divini.

Egli fu il primo ad osservare l’ordinata disposizione degli astri e l’armonia dei suoni musicali secondo la loro natura; fu l’inventore della palestra e rivolse le sue cure allo sviluppo ritmico del

corpo umano. Inventò anche la lira con tre corde fatte di nervi, imitando le stagioni dell’anno: adottò infatti tre toni, acuto, grave, medio, in sintonia rispettivamente con estate, inverno, primavera. Anche i Greci furono da lui educati nell’arte dell’esposizione e dell’interpretazione, vale a dire l’arte dell’ermeneutica, e per questa ragione gli hanno dato appunto il nome di Ermes.

In generale Osiride ebbe in lui il suo scriba e sacerdote: a lui comunicava ogni questione e ricorreva al suo consiglio nella stragrande maggioranza dei casi. Invece di Atena, come credono i

Greci, sarebbe stato Ermes a scoprire la pianta dell’ulivo.”

ERMETE TRISMEGISTO – L’Egiziano Ermete “tre volte grande”. Il mitico personaggio da cui prese il nome la filosofia Ermetica. In Egitto, era il Dio Thoth o Thot. È anche il nome generico

di

molti scrittori Greci di filosofia e di Alchimia. Ermete Trismegisto è il nome di Ermete, o Thoth, nel

suo aspetto umano, ma come un dio è molto di più. Come Ermete-Thoth-Aah è Thoth, la luna; il

suo simbolo è il lato illuminato della luna, che si suppone contenga l’essenza della saggezza creativa, “l’elisir di Ermete”. Come tale, è associato al Cinocefalo, la scimmia con la testa di cane, per la stessa ragione per cui Anubis era uno degli aspetti di Thoth. La stessa dottrina è alla

base della forma del Dio Indù Ganesa o Ganpat, Dio della Saggezza, figlio di Parvati e Shiva, raffigurato con la testa di elefante. Quando egli ha la testa di un ibis, è il sacro scriba degli dei; ma talvolta porta la corona atef e il disco lunare. È il più misterioso degli dei. Come serpente, Ermete Thot è la Saggezza divina creatrice. I Padri della Chiesa parlano molto di Thoth-Ermes. Detto anche Trimegisto, termine avente il significato di tre volte grandissimo. Epiteto riferito ad

Ermete, dal greco Hermes, per i latini Mercurio, che sarebbe il nome attribuito dai Greci antichi a

Thoth, il Dio egizio lunare, patrono delle scienze, e considerato l’inventore della scrittura geroglifica, detta “Parola Divina”. Era raffigurato antropomorfo, simile all’uomo, con il capo dell’ibis, uccello a lui consacrato, e portava sul capo il crescente lunare. Ermete Trismegisto (Hermes Trismegistos), considerato dai filosofi stoici la personificazione della parola, o logos, in cui si racconta una Cosmogonia accentrata sulla creazione dell’uomo, tendente a chiarire la sua condizione attuale di incarnato vivente, nonché la condizione imprescindibile per la sua totale e definitiva liberazione spirituale, ovvero al completamento della sua “evoluzione”, conseguibile soltanto attraverso la reale e completa conoscenza della natura propria e di quella Divina. Sembra ormai accettato dagli studiosi il fatto che Ermete sia vissuto in Egitto, “forse” come uomo, nei tempi primordiali, probabilmente all’inizio delle prime dinastie, quindi molti secoli prima

di Mosé. Alcuni lo inquadrano addirittura come contemporaneo di Abramo. Secondo alcune antiche tradizioni ebraiche, Abramo avrebbe addirittura attinto da Ermete buona parte delle conoscenze mistiche per cui ci è noto. Resta il fatto che l’intera cultura, tradizione e teologia dell’antico Egitto sono impregnate dalla saggezza della sua dottrina, adottata e diffusa poi in tutto

il mondo conosciuto alcuni millenni prima della nostra era. Ermete risulta essere un nome generico, designante al contempo un uomo, una casta ed un Dio. Come uomo, Ermete T. viene considerato grande iniziato e primo grande iniziatore dell’Egitto. Come casta, rappresenta il sacerdozio, depositario delle Tradizioni più occulte. Come Dio, egli è Mercurio, assimilato ad una

categoria di spiriti iniziatori divini, così da presiedere alla regione sovraterrestre dell’iniziazione celestiale. Tutte queste cose, nell’economia spirituale del mondo, sono legate insieme da un filo

invisibile, da affinità segrete, ed il nome Ermete T. é talismano che li riassume, come pure suono

che lo evoca. È da questo peculiare aspetto che trae origine il suo immenso prestigio. Ermete T.,

tre volte maestro, veniva così definito dagli antichi greci, discepoli degli Egizi, poiché

riconoscevano in lui il Re, il Legislatore ed il Sacerdote, avendolo eletto a simbolo dell’epoca magica in cui sacerdozio, legislatura e regalità si trovavano raggruppate in un unico corpo di governo. Un fenomeno unico nella storia dell’uomo, caratteristica di un’era che Manetone ha definito “Regno degli Dei”. Gli Egizi attribuivano ad Ermete T. ben 42 volumi, tutti trattanti la scienza occulta, quale la dottrina del Fuoco-principio e del Verbo-luce, racchiusa nella sua visione che resterà centro e vetta della stessa iniziazione egizia. Sarebbero libri concernenti l’astrologia, la magia e la filosofia religiosa (teosofia), tutte branche misteriose attribuite od almeno rivelate da Ermete T., tramandate in termini oscuri, il cui pensiero risulta sempre di ardua

penetrazione. Rivelano comunque un sicuro rapporto tra l’Ermetismo e lo sviluppo della Gnosi, pagana prima e cristica poi. Secondo Maspero, la teologia risulta decisamente e rigidamente monoteista in tutti i testi risalenti ai tempi dell’antico impero, quindi anche nella dottrina

ermetica.

Dio è l’Uno unico, esiste per essenza ed è il solo che viva in sostanza. È il solo generatore nel cielo e sulla terra che non sia generato. Padre, madre e figlio ad un tempo, egli genera, partorisce e perpetuamente è. Suoi principali attributi sono immensity, eternity, indipendenza,

onnipotenza ed illimitata bonty. Edoardo Schuré nel suo dotto volume “I grandi Iniziati”, cita quanto Asclepio, discepolo di Ermete, ci trasmette degli insegnamenti del tre volte Maestro: “Nessuno dei nostri pensieri potrebbe mai concepire Dio, così come nessuna lingua può definirlo.

Incorporeo, invisibile, senza forma, inconcepibile da parte dei sensi. La breve regola del tempo non può misurare l’Eterno. Egli è ineffabile, e può infondere a pochi eletti la facoltà di trascendere

le cose naturali, e percepire il lontano irradiarsi della sua suprema perfezione. Quegli eletti non sapranno mai trovare parola alcuna per tradurre in linguaggio comprensibile ai più la visione immateriale che li ha resi esultanti nella Luce. Potranno unicamente spiegare all’umanità le cause secondarie della Creazione, che passano sotto i loro sguardi come immagini della vita universale, ma la causa prima restery celata nelle loro menti e nei loro cuori, essendo comprensibili unicamente attraverso la morte”. La morte del Maestro vi viene descritta come la dipartita di un Dio: “Vide Ermete l’insieme delle cose, e avendo veduto comprese, avendo compreso aveva il potere di manifestarsi e rivelarsi. Quel che pensò egli scrisse, quel che scrisse

in gran parte nascose, tacendo con saggezza pur parlando, affinché l’umanità futura ricercasse queste cose. Poi, ordinato ai suoi fratelli Dei di fargli da scorta, egli salì alle stelle”. Quando si accenna ad Ermete T., non si può ignorare la famosa “Tavola di Smeraldo” a lui attribuita, nota anche come smeraldina o smaragdina. Come precedentemente accennato, dal concetto filosofico scaturito dai principi enunciati da Ermete T., è nata un’importante dottrina di natura profondamente esoterica, nota come Ermetismo.

ERMETICO – Qualsiasi dottrina o scritto connesso con gli insegnamenti esoterici di Ermete che, per gli antichi, era sia come il Thot Egiziano che come l’Ermete Greco e che, secondo Platone, “scoprì i numeri, la geometria, l’astronomia e le lettere”. Sebbene considerati per la maggior parte apocrifi, nondimeno gli scritti di Ermete erano altamente apprezzati da Sant’Agostino, Lattanzio, Cirillo ed altri. Secondo quanto dice Mr. J. Bonwick, “furono , quando più quando meno, ripresi dai filosofi Platonici del primo Cristianesimo (come Origene e Clemente Alessandrino) che cercarono di dare consistenza ai loro argomenti Cristiani appellandosi a questi

apprezzati scritti pagani, sebbene non potessero resistere alla tentazione di ampliarli e travisarli

un pò troppo”. I libri di Ermete, o i Trismegistici, benché presentati da alcuni scrittori abili ed interessati come puro monoteismo, sono nondimeno schiettamente politeistici. La Divinity cui essi fanno riferimento è definita da San Paolo quella in cui “noi viviamo e ci muoviamo, ed in cui

abbiamo il nostro essere” – malgrado il “in Lui” dei traduttori.

ERMETISMO – Complesso di dottrine esoteriche, di natura astrologica e religiosa, nel quale confluì durante l’ellenismo una parte della tradizione sapienziale e sacerdotale egizia, insieme con altri apporti orientali. Deriva da Ermes, il dio con il quale i Greci identificavano l’egizio Thoth,

che avrebbe per primo rivelato tali dottrine. La prima fase delle dottrine ermetiche coincide con le

speculazioni astrologiche dei sacerdoti egizi. Nel III sec. a.C. gran parte di quel materiale fu tradotto in greco, organizzati in trattati, la cui paternity veniva attribuita a Ermete Trismegisto. Alla

medesima corrente appartengono gli scritti astrologici del sec. I a.C., summa della scienza esoterica di un circolo di iniziati che in Egitto era chiamata filosofia, ma nulla aveva a che fare con il significato che tale termine aveva in Grecia. Si trattava di rivelazioni divine, oracolari, che

non si limitavano più alla dottrina astrologica, ma abbracciavano anche insegnamenti

cosmogonici, metafisici, escatologici, ecc. Nei primi secoli della nuova era, andò formandosi una

vera e propria letteratura ermetica il cui testo più antico è probabilmente “Kore kosmou” (La fanciulla del mondo), depositario di una dottrina segreta insegnata da Ermes-Thoth a Kamephis

e da lui trasmessa ad Iside che l’avrebbe affidata al figlio Oro. Da citare anche i 17 trattati del Corpus Ermeticum e l’Asclepius, forse di Apuleio. Gli scritti ermetici, comunque, non sono concordi nel contenuto dottrinale nè sono riconducibili a strutture uniformi. Per ermetismo si intende anche la filosofia ermetica, ossia la corrente di pensiero di stampo misteriosofico che si rifà agli scritti del Corpus Ermeticum e si sviluppa in età ellenistica, mantenendo suoi filoni che attraverso il Medioevo, il Rinascimento ed il cosiddetto “secolo dei lumi”, giungono fino a noi. Ermetisti, o filosofi ermetici, erano detti coloro che, alchemicamente, perseguono il raggiungimento della Grande Opera, intesa come realizzazione spirituale.

Termine che definisce una delle più importanti dottrine iniziatiche, che si aprono al cospetto d’ogni “ricercatore della Verità”. L’E. è noto come “corrente mistica e filosofica”, sorta nel tardo ellenismo (II e III secolo dopo Cristo), basata su alcuni scritti antichi, in buona parte attribuiti ad

Ermete Trismegisto (Hermes Trismegistos), un personaggio emblematico e misterioso,

considerato dai filosofi stoici la personificazione della parola, o logos. L’intera cultura, tradizione e

teologia dell’antico Egitto sono impregnate dalla saggezza di questa dottrina, adottata e diffusa poi in tutto il mondo conosciuto alcuni millenni prima della nostra era. L’origine dell’E. è collocata

a metà tra storia e leggenda, ed ha per fondamento quella che è ritenuta la più famosa tra le opere attribuite proprio ad Ermete Trismegisto, ovvero la “Tavola di Smeraldo”, detta anche smeraldina o smaragdina .A quanti fossero interessati ad approfondire lo studio di questo documento unico, si raccomanda la lettura dell’appendice II alla Scala dei filosofi, la Scala philosophorum (5), oppure dell’ancor più famosa opera del Burckhardt (6). Opportuno rammentare comunque come questa sia pervenuta a noi quale ultima pagina di un’opera composta d’una cinquantina di fogli, risalenti al VI-VIII secolo dell’era volgare, originariamente redatti in lingua araba ed introdotti in Europa attraverso le invasioni islamiche. La Tavola era stata scritta in lingua fenicia, poi tradotta successivamente in greco, siriaco (dialetto aramaico orientale), arabo, latino, francese e, più recentemente, in italiano. Immaginabili le contaminazioni

e distorsioni introdottevi. Il suo mitico scopritore, il saggio Apollonio di Tiana, pare fosse riuscito a

penetrare in una cripta posta proprio sotto la statua di Thoth-Ermete, trovandovi un vegliardo, uno “cheikh”, seduto su un trono d’oro. Egli teneva in mano una “Tavoletta di Smeraldo”, su cui

era scritto: “E’ qui la formazione della natura”. Davanti a lui v’era un libro, su cui si leggeva: “É qui

il segreto della creazione degli esseri, e la scienza delle cause di ogni cosa”. In ogni caso, la Dottrina Ermetica dice chiaramente che essa non parla per gli ignoranti, ma solo per coloro che sanno, e quindi “coloro che sanno”, leggendo una qualsiasi versione della Tavola di Smeraldo, sono potenzialmente in grado di recepire il giusto messaggio, superando senza difficoltà gli errori

che in essa possono essere stati eventualmente introdotti. L’Ermetismo è stato, ed è tuttora, spesso confuso con la consequenziale Alchimia, altra scienza occulta importata in Spagna con le

invasioni arabe. Molti sono i testi che confondono le due diverse filosofie, seppur esse siano molto profondamente correlate. Nel Medioevo, e nel successivo Rinascimento, l’E. è stato considerato come la dottrina occulta degli alchimisti: Questi infatti sostenevano che Ermete Trismegisto fosse stato il padre dell’Alchimia a cui, proprio per questo, diedero il nome di scienza

ermetica. Essa identifica il complesso di conoscenze, sia fisiche che spirituali, connesse con la ricerca della Pietra Filosofale, catalizzatore indispensabile per la creazione dell’Oro. Una allegoria

mascherante il vero indirizzo della dottrina ermetica, rivolta al solo piano mentale, non certo (come sembrerebbe, come si credeva ed ancora si crede) a quello banalmente materiale.

L’illustrazione della dottrina deve mantenersi entro i confini definiti dal “Kybalion”, il nome attribuito fin dalla più remota antichità alla raccolta degli insegnamenti di Ermete Trismegisto. La

difficile comprensione dell’unità dei principi ermetici impone un’operazione preliminare in quanti

intendono penetrarne gli anfratti più occulti. Si tratta di lavorare su sé stessi, per ampliare la propria coscienza, sviluppandola gradualmente fino a conseguire l’indispensabile sensibilità spirituale, l’unica vera chiave d’accesso ai Misteri dell’E. Recita il Kybalion: “Allorché s’ode il passo del Maestro, s’aprono le orecchie di quanti sono pronti a riceverne l’insegnamento”. Ed ancora: “Quando le orecchie dello studioso sono pronte per l’audizione, vengono le labbra a riempirle di saggezza”. Per cui, i contenuti dei principi operativi esposti attireranno l’attenzione di

coloro che sono pronti a ricevere il messaggio, soltanto la loro, mentre contemporaneamente, allorché il discepolo sarà pronto, il Kybalion verrà a lui. Questa è la legge fondamentale dell’E., ed il Kybalion dice dei suoi principi operativi “I principi della Verità sono sette. Colui che ne ha conoscenza possiede la chiave magica con cui si aprono le porte del Tempio”. Essi sono. 1) Mentalismo (Tutto ciò che appare, e che i nostri sensi recepiscono, è “Spirito”, che di per sé è inconoscibile ed indefinibile, ma che va considerato come “Mente universale, infinita e vivente”. Tutto l’universo fenomenico, ogni sua parte compresa, non è che la semplice creazione mentale

del Tutto, ed esiste nella mente del Tutto stesso, insieme a noi, ed è lì che noi viviamo, ci muoviamo ed operiamo. Questo principio, fissando la natura mentale dell’intero universo, spiega

da solo ogni fenomeno mentale e psichico. La sua comprensione consente all’uomo di afferrare le leggi dell’universo mentale, implicando conseguentemente il far contribuire le stesse al suo benessere, al suo progresso ed alla sua evoluzione. Esso rivela la reale natura dell’energia, della

forza e della materia, come pure perché e come queste siano subordinate al magistero della mente. Lo studioso che si trovi in possesso di questa importantissima chiave madre, può aprire le porte del Tempio della conoscenza mentale e psichica, accedendovi liberamente e coscientemente. In tempi remotissimi, un maestro dell’ermetismo scrisse: “Colui che afferra la verità sulla natura mentale dell’universo è certo molto avanti sul sentiero della sapienza”.; 2)

Corrispondenza (Il Kybalion recita: “Com’è al di sopra, così è al di sotto; com’è al di sotto, così è

al di sopra”. Trattasi di un principio ribadente la verità della corrispondenza tra le leggi ed i fenomeni dei diversi piani dell’essere e della vita. La sua comprensione chiarisce oscuri paradossi e segreti della natura. Assurdo il solo pensare che l’uomo sappia tutto: costituirebbe la

conferma della sua perfezione. Farebbe di ogni ricerca un assurdo. Raggiunta la vetta del monte,

sempre l’uomo vede altre cime davanti a sé, a ricordargli le sue immense limitazioni. Esistono quindi piani al di là d’ogni nostra conoscenza. Ma allorché applichiamo loro questo principio, possiamo afferrare conoscenze che, normalmente, ci sarebbero precluse. Il principio della corrispondenza è di applicazione universale, manifestazione sui diversi piani della materia, della

mente e dello spirito. Da sempre l’ermetismo lo considera strumento mentale essenziale, per mezzo del quale possiamo eliminare i veli che ostacolano la visione del mondo del mistero. Come la conoscenza della geometria consente all’astronomo la misura della distanza dei soli, delle galassie e dei loro movimenti, così questo principio pone l’uomo in condizione di usare la ragione sia nel noto che nell’ignoto. Esaminando a fondo l’elemento reale minimo ed indivisibile,

cioè la “monas”, ovvero la monade di Giordano Bruno, Leibniz e Kant, lo studioso può facilmente

arrivare a comprendere l’arcangelo); 3) Vibrazione (Il Kybalion recita: “Nulla è in quiete, tutto si

muove; ogni cosa vibra”. Un principio questo che trova conferma anche nelle conclusioni delle più attuali ricerche scientifiche. Esso spiega come le differenze tra le molteplici manifestazioni

della materia, dell’energia, della mente e dello spirito, non siano che una risultante dai diversi livelli di vibrazione. Dal Tutto, che è puro spirito, fino alle più grossolane forme materiali, ogni cosa vibra. Quanto più elevata è la frequenza di vibrazione, tanto più evoluta è la posizione nella

scala spirituale. La vibrazione dello spirito è tanto alta ed ampia da apparire in quiete, proprio come la ruota che gira tanto rapidamente da sembrare ferma all’osservatore. All’opposto estremo

della scala troviamo le forme grossolane di materia, le cui vibrazioni sono tanto basse da

sembrare a riposo. orpuscoli microscopici ed elettroni, atomi e molecole, mondi e galassie vicine

e lontane, tutto è in vibrazione. Così come avviene sui piani d’energia e di forza, sui piani mentali

e sui piani spirituali. Attraverso la comprensione del principio della vibrazione, lo studioso di ermetismo arriva a controllare le sue proprie vibrazioni mentali, nonché quelle degli altri. I maestri

lo applicano per acquisire potere sui fenomeni naturali, a conferma dell’antica citazione: “Colui che comprende il principio della vibrazione possiede lo scettro della potenza”); 4) Polarity (Il Kybalion recita: “Tutto è duale,; tutto ha poli; ogni cosa la sua coppia di opposti. Il simile ed il diverso sono uguali; gli opposti sono di natura identica, seppur differenti in grado. Gli estremi si

toccano; tutte le verity non sono che mezze verity, e tutti i paradossi possono essere conciliati”. Il

principio ribadisce l’esistenza d’una seconda facciata della stessa medaglia, dimostrando come caldo e freddo, seppur opposti, siano in verity identici, differenziandosi unicamente per il diverso

grado. Nessun termometro definisce i confini tra caldo e freddo. In entrambi i casi si tratta solo di

forma, di variety, di livello di vibrazione. I fenomeni correlati sono manifestazioni del principio della polarity, che diventa evidente nel caso di “luce” ed “oscurity”. Quale differenza esiste tra grande e piccolo, tra duro e tenero, tra nero e bianco, tra rumore e silenzio, tra acuto ed ottuso,

tra alto e basso, tra positivo e negativo, tra bene e male? Paradossi spiegati da questo principio,

operativo anche sul piano mentale. Un esempio? Prendiamo in considerazione odio ed amore, due stati mentali apparentemente opposti. Ci sono livelli diversi per entrambi, ed esiste un punto

intermedio, in cui si parla di piacere e dispiacere. Non sono che gradi diversi di una stessa cosa.

Infine, aspetto fondamentale per gli ermetici, le rispettive vibrazioni sono variabili, tanto da trasformare l’odio in amore, tanto nel proprio come nell’altrui spirito. E’ sufficiente l’impiego della

volonty. Tra gli opposti abbiamo citato il bene ed il male. Ebbene, applicando il principio della polarity, l’ermetista sa come trasmutare l’uno nell’altro. Trattasi dell’alchimia mentale, un’arte la

cui applicazione consente, a chi ne è padrone, il cambio della polarity propria e di quella altrui);

5) Ritmo (Il Kybalion recita: “Ogni cosa fluisce e rifluisce; ogni cosa ha le sue fasi; tutto s’innalza

e cade; l’oscillazione del pendolo si manifesta in tutte le cose; la misura dell’oscillazione a destra

é la misura dell’oscillazione a sinistra; il ritmo compensa”. In tutte le cose esiste flusso e riflusso,

un’oscillazione, come quello del pendolo, o dell’alta e bassa marea. Un movimento conforme al principio della polarity. Quindi c’è sempre azione e reazione (vd. legge di Archimede), avanzamento e retrocessione, innalzamento ed abbassamento. Interessa tutto l’universo, ed avviene nei soli e nelle galassie, negli uomini e nella natura intera, nei corpi e nella mente, nell’energia come nella materia. Il principio del ritmo risulta evidente ed incontestabile nella creazione e distruzione dei mondi, nello sviluppo e decadenza delle nazioni, nell’alternanza

degli

eventi storici come nella vita d’ogni essere umano, nonché negli stessi stati mentali dell’uomo. Gli

ermetisti, compreso questo principio universale, hanno ideato formule e metodi per annullarne gli

effetti, soprattutto in loro stessi, mediante l’applicazione della legge mentale della

neutralizzazione: non potendo eliminare o bloccare il principio, ne sfuggono in buona parte gli effetti. Anziché subirlo, lo sfruttano, coll’uso della loro “Arte”. Polarizzandosi nel punto ottimale prescelto, neutralizzano l’oscillazione pendolare che tende a portarli al polo opposto. Quanti abbiano raggiunto un certo livello di autocontrollo, od autopadronanza, lo fanno, almeno fino ad

un certo punto, più o meno consciamente. Il maestro riesce a farlo ogni qual volta lo voglia, raggiungendo un grado di equilibrio e di fermezza mentale incredibile per il profano, che invece non può che subire gli effetti del principio, spesso senza rendersene conto. Trattasi del principio

più e meglio studiato ed approfondito da parte degli ermetisti, che nel tempo hanno potuto mettere a punto metodi di reazione, di neutralizzazione e di sfruttamento, metodi che rappresentano una parte importante dell’alchimia mentale ermetica); 6) Causa ed Effetto (Il Kybalion recita: “Ogni causa ha il suo effetto; ogni effetto ha la sua causa; ogni cosa avviene per

una legge; il caso non esiste, è un nome dato ad una legge non riconosciuta; non esistono molto

piani di causalità, e nulla sfugge alla legge”. Illogico credere che qualcosa, qualsiasi cosa, possa

avvenire per pura combinazione, dato che ogni evento si verifica solo in quanto conseguenza d’una precisa causa che precedentemente, cioè a monte, l’ha originato. Mentre esistono pochi piani di causalità, ove i più bassi dominano quelli più alti, nulla sfugge alla legge. La massa profana non può che subire l’ambiente, poiché forza e volontà altrui sono più forti di essa stessa,

vera pedina sulla scacchiera della vita. Per cui la massa viene mossa, succube dell’eredità, della

suggestione e di svariate cause che le sono inevitabilmente esterne. Il maestro invece si innalza

ad un piano superiore, dominando il suo stato d’animo, il suo carattere, le sue qualità, i suoi stessi poteri su quanto lo circonda, trasmutandosi da pedina a motore, da spettatore ad artefice.

Usa così il principio, anziché esserne lo strumento succube. Comunque, soltanto i maestri possono farlo, proprio sfruttando la legge della causalità dei piani superiori, dopo essersi assicurato il controllo, il dominio assoluto, sul loro stesso piano. É in questo che è condensata l’immensa ricchezza della scienza ermetica: lo legga, lo capisca e lo comprenda, naturalmente “chi può”; 7) Genere (Il Kybalion recita: “Il genere è in tutte le cose; ogni cosa ha il suo principio

mascolino e femminino; il genere si manifesta su tutti i piani”. Anche questo principio trova applicazione ovunque, in ogni cosa: sul piano fisico, sul piano mentale e su quello spirituale. Sul

piano fisico si manifesta come “sesso”, sui piani superiori assume invece forme diverse, pur restando identico. Nessuna creazione, fisica, mentale o spirituale, è possibile senza questo principio. Generazione, rigenerazione e creazione d’ogni cosa ha per base questo grande principio, che insegna come ogni elemento maschile contenga il suo elemento femminile, e viceversa. Guai a coloro che guarderanno al principio del Genere per enunciare basse, perniciose e degradanti teorie, insegnamenti e pratiche, sbandierati con titoli fantasiosi, che in realtà non rappresentano che una vera “prostituzione” del principio stesso. Si tratterebbe solo di

nefande riesumazioni di antiche forme infami del “fallicismo”, che portano inesorabilmente alla concupiscenza, alla dissolutezza ed alla perversione dei principi della natura, ovvero alla rovina del corpo, dell’anima e dello spirito. Per il puro tutto è puro, come per l’abbietto tutto è abbietto.