Amicizia e massoneria

Amicizia e Massoneria

Quella che gli uomini hanno chiamato amicizia non è altro che un’alleanza, una reciproca cura d’interessi ed uno scambio di servigi: insomma, una relazione in cui l’egoismo si prefigge sempre qualche utile.

(François de la Rochefoucauld, 1613-1680)

Introduzione

Innanzi tutto occorre definire, come sempre, il soggetto del nostro tema e quindi cosa sia quest’amicizia, dando ovviamente per scontato che per noi non sia necessario stabilire il significato da attribuire alla Massoneria. Essa, l’amicizia, può essere considerata, a grandi linee, nel suo significato più corrente – e tanto per mettere un punto fermo – quel sentimento affettivo che unisce reciprocamente una o più persone in modo “disinteressato”. Tra l’altro, sarà da verificare se questa definizione è da considerare proprio esatta nei suoi termini, oppure no.

Stabilita più o meno la definizione del concetto, dobbiamo subito ammettere che, da un punto di vista strettamente operativo, non è facile la realizzazione di un duraturo e stabile rapporto amichevole anche tra due sole persone, un po’ per la vita frenetica o comunque abbastanza dinamica di tutti i giorni, che ci impegna sicuramente più del necessario e poi, diciamolo pure, anche per la pigrizia, il rilassamento e forse l’immobilismo che spesso hanno il sopravvento sulle nostre più buone intenzioni. Da tutte le parti, infatti, siamo continuamente sollecitati da un’infinità di stimoli, ma pochi di essi, in verità, si rivolgono solo alla purezza dei nostri sentimenti in modo definibile “disinteressato”, che non ci coinvolga in qualcosa che si possa considerare comunque materiale.

L’eccezione può essere costituita solo da un’amicizia cresciuta con noi, nata nell’infanzia e proseguita poi nel tempo fino alla maturità.

Questa modalità è certo la più semplice, ovvia nel suo divenire e non ha perciò bisogno di ulteriore indagine.

Nei tempi trascorsi, sicuramente, non possiamo sapere in quale forma il rapporto amichevole sia stato possibile e come potesse differire da quello di oggi: la letteratura, la retorica diffusa da scrittori e poeti (ma anche da regimi), la storia stessa, non sono per noi fonti sicure in quanto sappiamo molto bene che tanti degli atteggiamenti del passato possiamo considerarli “artificiosi” nel senso deteriore del termine, spesso “imposti da tipi di morale corrente, mirata a scopi precisi e non abbiamo appunto la certezza che tutti quei rapporti instauratisi tra gli uomini siano stati effettivamente “liberi”, ma più che altro autentici e disinteressati, secondo la definizione proposta.

Possiamo comunque ritenere, a grandi linee, che in passata la situazione non doveva divergere molto da quella di oggi, visto e considerato quel che succede in altri contesti. Come ormai risaputo e più volte detto, lo sviluppo o la modifica del pensiero e del comportamento umano sono piuttosto lenti, almeno rispetto alla lunghezza della nostra vita ed al trascorrere del tempo così come lo percepisce l’uomo.

Il tema che stiamo affrontando – quello dell’amicizia appunto – può essere considerato da molteplici punti di vista, come del resto qualsiasi altro tema, ma vediamo di esaminare qui quelli che sono più consoni al caso nostro e, visto il contesto nel quale ci troviamo, da un’angolatura ovviamente anche massonica. Certo l’argomento è stato sviscerato a fondo ed esaminato da tutte le prospettive possibili fin dall’antichità ed anche oggi scrittori, psicologi, sociologi, cercano di approfondire lo studio, evidentemente perché l’amicizia, in senso lato, deve essere per forza ritenuta una delle componenti principali ed essenziali del rapporto tra gli uomini e quindi della vita quotidiana di ogni individuo.

Coloro poi che studiano a fondo, anche scientificamente, il comportamento dell’uomo – i cosiddetti etologi umani – vedranno sicuramente nell’amicizia anche un qualcosa che va oltre le apparenze ed ha a che fare con la selezione naturale, portatrice quindi di un valore biologico importante e molto selettivo per tutta la specie umana. Anche qui dovremo verificare se quanto affermato è vero e perché.

Il rapporto di amicizia nella vita dell’uomo

Generalmente, nel linguaggio comune, “un amico” è colui che si conosce anche superficialmente, è un conoscente, una persona che magari abbiamo avuto occasione di incontrare e forse spesso diamo al significato di amicizia solo una conoscenza approssimativa nell’ambito di una cerchia ristretta di persone. Ma l’amicizia, quella che a noi interessa, è qualcosa di più di un rapporto superficiale, anzi è un sentimento molto profondo ed un legame che in teoria – se effettivo – dovrebbe essere inscindibile ed uno dei primi nella scala delle priorità di ognuno di noi, forse contrastato solo dall’amore verso il sesso “opposto” (che certo non ne ha l’esclusiva), valido perciò per coloro che si ritengono e sono eterosessuali e che si autodefiniscono pure “normali”, ma non sono da tralasciare anche gli “altri”.

Un dato di fatto però è alla base e condiziona l’amicizia tra una o più persone ed è il principio, appunto, di apporto “disinteressato, accennato all’inizio come definizione generale da verificare. In tutte le sue manifestazioni la vita ci offre una molteplicità di esempi in questo senso: in genere, niente è casuale, qualunque cosa ha sempre una ragione di esistere ben precisa anche se apparentemente noi non riusciamo a vederla, c’è sempre – in particolare nella vita biologica – scambio d’informazione, di sostanze e prodotti, vantaggio reciproco in qualsiasi contesto, altrimenti, sembrerebbe proprio impossibile possa esistere da parte di due o più contraenti un qualche interesse per l’istaurarsi di un qualsiasi rapporto.

Per esempio, tanto per citare qualcosa di molto semplice, ma potremmo farne molti altri ancora, possiamo osservare cosa succede nell’ambito di alcuni piccoli, ma numerosi animaletti: un gruppo di Vespe definite “sociali”. Come si sa, al momento opportuno le uova sono deposte nelle cellette del nido in precedenza costruito, dove si svilupperanno e daranno vita a larve che si trasformeranno poi in pupe. Da quel momento inizierà quel processo definibile “egoistico-altruistico” tra pupa ed operaia: l’adulto fornirà alla pupa le sostanze nutritive per il suo accrescimento che avrà trovato all’esterno e nello stesso tempo usufruirà dei rifiuti del processo di digestione della pupa, dei quali è ghiottissimo. E’ evidente che questa strategia di sopravvivenza – operata dalla selezione naturale – si è evoluta nel corso di milioni di anni proprio perché è la più vantaggiosa per questa specie di Insetti.

Questo sistema, però, che potremmo definire come minimo, “curioso”, non è unica prerogativa delle Vespe sociali. Tutto ciò – fatte le dovute proporzioni e secondo le più varie modalità – è valido almeno per tutto il mondo animale e quindi anche per l’uomo. L’unica differenza è che l’uomo, almeno teoricamente, dovrebbe essere un animale “superiore” e quindi più “intelligente” di una Vespa o di un insetto comune, avendo non solo la possibilità di essere “guidato” da madre natura, ma anche di poter selezionare e scegliere sempre autonomamente la soluzione migliore per lui come individuo e come specie. Ma non sempre invece è così, anzi questa condizione sembra verificarsi raramente. Nella vita di tutti i giorni, nella società “profana”, ma talvolta anche nel nostro ambito massonico, non sempre la situazione è da considerarsi ottimale.

Indubbiamente, dove finisce l’egoismo ed inizia l’altruismo è un confine non troppo definibile con precisione (come sostiene pure Rochefoucauld, citato all’inizio) anche perché sembra che l’altruismo – e di conseguenza l’amicizia – non sia altro che un meccanismo di “egoismo” mascherato dalla natura che usa spesso la strategia di dare vantaggio apparente al singolo individuo, ma solo in funzione del mantenimento della specie alla quale poi il singolo stesso appartiene.

Sembrerebbe proprio un complicato gioco di parole, se non sapessimo invece che il tutto è vero.

Indubbiamente l’uomo è diverso da una Vespa e da una larva e qualsiasi paragone sarebbe certo improprio, ma è il “sistema” adottato dalla natura che ci interessa, sistema che se abbiamo l’accortezza di osservare è adottato più o meno da tutte le specie animali (vedi per esempio i leoni africani che nella savana si nutrono delle gazzelle più deboli o meno veloci – cioè di quelle più facilmente catturabili – e, contemporaneamente, provocano la selezione dei migliori esemplari; nelle foreste, le scimmie in branco se attaccate da predatori si dispongono in cerchio ed i vecchi ed i malati disponendosi alla periferia si lasciano sopraffare per difendere così gli altri e per mantenere il gruppo integro e sano, e quindi migliorando la specie) e l’uomo, essendo né più, né meno che un animale, obbedisce consapevolmente o no a questo tipo di leggi ed adotta con ogni probabilità identico sistema.

Anche l’amicizia quindi – così a occhio – dovrebbe rientrare, in qualche maniera, in questa categoria di rapporto, ma ricordiamolo, presumibilmente non per vantaggio individuale primario, ma per quello della specie. Come sopra già detto, in ogni caso – ed è anche cosa ovvia – se viene avvantaggiato il singolo ne ha beneficio l’intera specie e viceversa.

In pratica, possiamo ritenere che da un punto di vista strettamente biologico o usando un termine forse più fastidioso – animale – le condizioni dovrebbero essere proprio queste. Un qualsiasi rapporto, amicizia compresa, è solo possibile in presenza di un reciproco vantaggio, sia che si tratti di un qualcosa di materiale e concreto, sia che riguardi esclusivamente la sfera dei sentimenti, cioè di quel benessere interiore che solo la certezza di non essere “soli” può dare.

Questo tipo di sentimento e di sensazione può sembrare a prima vista una cosa molto labile, ma ricordiamoci tutti noi lo smarrimento che in qualche occasione abbiamo provato nel sentirci proprio “soli”, nella sgradevole condizione di non poter interloquire con qualcuno, nella spiacevole e frustrante sensazione di non essere “compresi”, oltre che da coloro che stimiamo o amiamo anche dal prossimo in generale.

Anche ora, in questo momento, io stesso, se ritengo di essere compreso, più o meno approvato, considerato, stimato dagli amici che mi circondano e con i quali ritengo di avere identiche vedute ed aspirazioni, avrò dentro di me un diffuso e piacevole senso di benessere, in sintesi, ho la sensazione di essere effettivamente “ricambiato”. Diversamente se fossi sicuro che ho parlato o scritto a chi non ascolta, a chi non condivide il mio pensiero, in pratica a chi mi è ostile, avrei per certo una sensazione sgradevole e di disagio, cioè non riterrei di avere i miei sentimenti contraccambiati, indispensabili, come accennato in precedenza all’instaurazione di un effettivo rapporto di amicizia.

Ecco, in pratica, come può essere inquadrato il significato della mancanza di “gratuità” in un rapporto amichevole. Tra noi, ora, in questo nostro ambito, non è scorso di certo denaro, ma ritengo e mi auguro che ci sia stato invece uno scambio invisibile, ma reciproco, di stima, forse di approvazione, di amicizia appunto; la creazione cioè di un rapporto più stretto ed efficace di sentimenti, di affinità spirituale, di profonda considerazione reciproca, che forse prima era latente, ma non ancora completamente emersa in noi stessi.

Ripeto, è questo lo “scambio” o la “reciprocità” che può intercorrere anche in un rapporto di amicizia che, se si vuole essere molto precisi, non è proprio “gratuito”, ma è protagonista di un “passaggio” di valori.

Fin qui sembrerebbe tutto chiaro.

L’amicizia in relazione alla Massoneria

All’interno della nostra Istituzione il meccanismo sopra esposto, già osservato nel mondo profano, dovrebbe verificarsi ugualmente e forse lo si verifica effettivamente. Ma questa procedura è da ritenere ancora valida tra Fratelli, oppure dovrebbe esistere qualcosa di leggermente differente? Cerchiamo quindi di dare una risposta esauriente a questi interrogativi, senza retorica, né ipocrisia.

Dobbiamo ritenere che all’interno della nostra Istituzione dovrebbe verificarsi inequivocabilmente quel fenomeno di “scambio” sopra accennato. Siamo uomini comuni inseriti nell’ambito della nostra società e quindi obbedienti a tutte quelle leggi che regolano il mondo biologico ed animale.

Bisognerebbe però,  per differenziarsi dal contesto che noi usiamo definire profano, che il nostro rapporto, almeno tra massoni, avesse delle valenze superiori e ben visibili, ben distinguibili dalle consuetudini della profanità. In sintesi, il “dare gratuitamente” – concetto ritenuto improbabile o impossibile sia da un punto di vista biologico sia filosofico – dovrebbe essere alla base di un rapporto fraterno, che non è detto debba avere per forza una base di “reciprocità”, ma dovrebbe essere invece un qualcosa di offerto proprio “a senso unico”, senza la necessità o la gratificazione di un qualsiasi “ritorno”, come avviene di norma nel mondo estraneo all’atmosfera dei nostri Templi.

Ecco, questo dovrebbe essere il meccanismo dell’amicizia, quella vera, l’unica, quella che il vero massone dovrebbe considerare con molta attenzione e concretamente. Come sempre, sarà molto difficile la realizzazione pratica di un progetto, di un pensiero, di un’intuizione.

Tutto il nostro impegno però dovrebbe essere rivolto in questo senso e forse non solo nell’ambito dei Fratelli, ma proprio come scelta di comportamento civile anche nella società profana. Qesto sistema di gratuità e di “non ritorno” dovrebbe distinguerci effettivamente dagli altri, dovrebbe insomma fare la differenza tra il profano ed il massone. Sarà questo mai possibile? Riusciremo mai ad essere vincitori a livello personale o collettivo in questa impresa? Saremo in grado di dominare questa situazione? Di fare effettivamente questo tipo di scelta?

Infine, un’altra marginale considerazione c’è da fare e che non è possibile prendere qui in seria considerazione, ma che è doveroso citare comunque per opportuna riflessione dato che, nell’ambito del Grande Oriente d’Italia-Palazzo Giustiniani, essa assume una veste precisa ed un significato che esulano però da questo contesto. Specialmente nel mondo maschile, si ritiene che l’amicizia tra un uomo ed una donna sia una cosa praticamente impossibile, vista l’abitudine e la componente sessuale che si ritiene abbia priorità assoluta nel rapporto uomo-donna e che sembra quindi impegnare l’attenzione dei due partner da tutto il resto del mondo circostante.

Conclusioni

Proviamo a formulare qualche suggerimento operativo, il progetto per una nuova strategia, un tentativo. Può darsi che noi non si riesca a realizzare nel mondo profano la procedura sopra suggerita, ma almeno all’interno della nostra Istituzione – tanto per cominciare e per “costringerci” a fare qualcosa di più concreto in questo senso – bisognerebbe sforzarsi almeno un po’.

Dato per scontato l’estremo interesse di ognuno di noi per tutte le questioni definibili “spirituali”, che coinvolgono comunque la cultura ed i rapporti umani, per prima cosa sarebbe necessario effettuare regolarmente qualche incontro in più ed al di fuori anche della routine delle nostre Tornate di Loggia, anzi bisognerebbe insistere maggiormente in questa direzione e ritrovarci più spesso anche in altri ambienti, in altre città, con i Fratelli in altri Orienti, anche in modo informale. C’è la inderogabile necessità di conoscerci meglio e ricordiamoci che solo questa reciproca conoscenza potrà “salvarci”.

Solo conoscendoci meglio avremo la possibilità di apprezzarci, di aumentare le nostre esperienze, insomma di progredire. Non diamo ascolto ad Oscar Wilde (mi sembra proprio che fosse lui), il quale sosteneva di non dover approfondire le varie situazioni, ma più che altro l’animo umano, perché diceva “Lo fai a tuo rischio e pericolo”.

(Proprio tra parentesi, ma dovrebbe essere già dato per scontato, abbiamo anche il dovere di non essere supercritici nei confronti degli altri, specialmente se Fratelli. Ricordiamoci che tutti, che più chi meno, siamo sottoposti a sbagliare ed abbiamo quindi il dovere di essere “generosi” con coloro che riteniamo siano nell’errore, a prescindere dal fatto che è piuttosto complicato e difficile poter stabilire chi ha “ragione” e chi “torto”, mancando al riguardo parametri sicuri: tra l’altro non è stata inventata ancora una unità di misura in questo senso. Dobbiamo anche tener presente e dare per scontato che, almeno tra noi, dovrebbe esistere la “buona fede”, e colui che nel caso dovesse proprio sbagliare, si ritiene lo abbia fatto nella stessa identica maniera che avremmo potuto fare noi. Non dimentichiamo mai questo, come non dobbiamo mai dimenticare di essere particolarmente generosi con coloro che riteniamo amici).

Tra le nostre attività massoniche, ancora, la Gran Loggia annuale, anche se assolve in parte a questa funzione di reciproca conoscenza e forse anche di coesione, è pur sempre troppo formale e densa di avvenimenti più o meno interessanti e poco spazio è lasciato proprio allo scambio di idee ed all’amicizia, quella vera, anzi. I Convegni poi, che per fortuna sono spesso organizzati, sono sempre mirati a qualcosa di preciso e la “fuga” verso casa alla loro conclusione è sempre cosa un po’ squallida, condizione che tra l’altro si verifica spesso anche alla fine delle nostre riunioni regolari di Loggia.

Bisognerebbe proprio alzarsi la mattina con l’inderogabile volontà, non di fare quattrini o di imbrogliare il prossimo (qualcuno – non certo tra noi massoni – sembra abbia incubi notturni se nel corso della giornata non è riuscito a fregare qualcuno o qualcosa), ma  proprio di riuscire a dare “gratuitamente” agli altri tutto ciò che abbiamo acquisito, sia che si tratti di conquiste genericamente spirituali o culturali, sia di altro.

E ricordiamo ancora che questa strategia non ripaga subito, forse non ripagherà mai, ma è solo l’indice di un comportamento socialmente civile, al quale l’uomo ha sempre aspirato, forse anche come semplice utopia, visto che raramente è riuscito a realizzarlo.

Il mondo cristiano – quello filosofico s’intende e non quello delle madonne piangenti o dei giubilei – al quale tutti noi più o meno apparteniamo, almeno come cultura, sembra che in origine fosse orientato proprio in questo senso, ma fino ad oggi, cioè dopo circa duemila anni di tentativi, non c’è ancora riuscito e sembra che la metà sia ancora molto, troppo lontana. In fondo, anche le utopie fanno parte dell’animo e dei sentimenti umani e quindi accogliamo nel nostro intimo anche questa, sarà una compagna sempre presente in noi, un po’ come la nostra coscienza, che ci ricorderà sempre la migliore e la più civile strada da percorrere, per noi stessi e di conseguenza per la specie umana, ma direi anzi per tutto il mondo che ci circonda ed a qualsiasi “regno” appartenga.

Fr:.

Comments are closed.